IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nel procedimento segnato al
 n. 39AA del ruolo affari  volontaria  giurisdizione  dell'anno  1991,
 promosso  dalla  procura  della  Repubblica  presso  il  tribunale di
 Firenze,  ricorrente,  contro  Lenzi  Vieri,  resistente,  avente  ad
 oggetto: rettifica di atto dello stato civile;
    Letti gli atti, sentito il giudice relatore;
                         CONSIDERATO IN FATTO
    Il presente procedimento di rettificazione e' stato promosso dalla
 procura  della  Repubblica presso il tribunale di Firenze con istanza
 depositata il 12 agosto 1991 che ha richiesto ai sensi dell'art.  165
 dell'ordinamento dello stato civile la rettifica dell'atto di nascita
 di Vieri nato a Firenze il 12 giugno 1972.
    In particolare e' stato richiesto che venga eliminata dall'atto la
 dicitura "moglie di Lenzi Geri" accanto al nome di D'Aquino Maddalena
 dichiarantesi  madre  del Vieri: l'ufficio ricorrente e' stato a cio'
 sollecitato dal comune di Firenze, il quale con proposta del 5 luglio
 1991 trasmetteva sentenza penale della corte d'appello di Firenze  la
 quale  dichiarava  la  falsita'  parziale  dell'atto di nascita prima
 citato.
    Era lo stesso comune a rilevare  che  la  stessa  pronunzia  aveva
 volutamente  ed espressamente omesso di provvedere alla cancellazione
 della  dichiarazione  falsa,  quella  che  attestava  che   Maddalena
 D'Aquino madre di Lenzi Vieri, sulla base della considerazione che la
 cancellazione  stessa avrebbe potuto pregiudicare interessi di terzi,
 tuttavia insisteva nella proposta, prontamente accolta dalla procura,
 nell'interesse della pubblica fidefacienza dei registri.
    Il tribunale decideva allo stato degli  atti  e  con  sentenza  19
 agosto-9   settembre   1991  accoglieva  la  richiesta  del  pubblico
 ministero e Vieri Lenzi proponeva  reclamo  avverso  tale  pronunzia,
 sostenendo  il  proprio  diritto  ad essere sentito e ad opporsi alla
 rettificazione: la  corte  d'appello  accoglieva  il  reclamo,  senza
 pronunziarsi  nel  merito,  sotto  l'assorbente  profilo  del mancato
 rispetto del  contraddittorio,  dichiarava  la  nullita'  dell'intera
 procedura e rimetteva gli atti a questo tribunale ex art. 354.
    Era  quindi  fissata l'udienza di comparizione delle parti e cioe'
 del Lenzi Vieri, della D'Aquino e del  pubblico  ministero:  solo  il
 primo  compariva insistendo nella propria richiesta, gia' evidenziata
 nel reclamo avanti la corte d'appello, di conservare il proprio  nome
 (prenome  e  cognome)  quale segno distintivo nelle proprie relazione
 sociali. Il difensore del Lenzi depositava la memoria  gia'  prodotta
 in sede di reclamo ed il tribunale si riservava la decisione.
                          RITENUTO IN DIRITTO
    L'audizione    del   controinteressato   Lenzi   Vieri,   eseguita
 successivamente  all'ordine  di  integrazione   del   contraddittorio
 contenuta  nella  decisione  della  corte  d'appello,  ha permesso di
 appurare un interesse concreto attuale ed immediato del Lenzi  stesso
 a  conservare integralmente l'intero proprio nome, mentre, in caso di
 rettifica, sarebbe conseguenza nesessaria automatica  ed  inevitabile
 il  cambiamento  del cognome attuale con quello, della madre poiche',
 giusta il disposto dell'art. 262 del c.c. il figlio, a  questo  punto
 naturale,   assume   il   cognome   dell'unico  genitore  che  lo  ha
 riconosciuto.
    Non si puo' condividere infatti, non l'ha evidentemente  condivisa
 la  procura  della  Repubblica  che  ha  presentato  la  richiesta di
 rettifica,  la  tesi  espressa  dalla  sezione  penale  della   corte
 d'appello  nella sentenza dichiarativa della falsita' dell'atto circa
 il mancato ordine di cancellazione della parte  falsa  dell'atto  per
 non  pregiudicare  i diritti del terzo non intervenuto: al contrario,
 la fidefacienza del registro degli atti dello stato  civile  risponde
 ad  un  pubblico interesse e ad una pubblica necessita' e ad essa non
 puo' derogarsi omettendo la rettifica allorche' sia accertato in modo
 incontrovertibile che essi non rispondano al vero. La rettifica cioe'
 e' atto dovuto.
    Il Lenzi Vieri non ha messo in discussione  l'accertamento  penale
 al  quale  egli  non  ha  partecipato, bensi' ha reclamato il proprio
 diritto a conservare il nome con il quale e' individuato, conosciuto,
 trattato e stimato nell'ambiente sociale in cui egli stesso vive.
    In altre parole si deve logicamente scindere da un lato il potere-
 dovere di rettificazione dell'atto, dall'altro il diritto  del  Lenzi
 Vieri di conservare il proprio nome.
    Ma  come  e'  noto nel r.d. 9 luglio 1939, n. 1238, non esiste una
 norma di salvaguardia applicabile alla fattispecie, poiche'  l'inciso
 di   cui  all'art.  165  "avvertite  le  parti  interessate  e  senza
 pregiudizio dei loro diritti" certo non puo' essere fatto valere  del
 Lenzi  che  da  un  lato  certamente  non  vanta  un diritto alla non
 rettificazione dell'atto pubblico, dall'altro non  vede  protetto  il
 diritto  al proprio nome dall'art. 6 del c.c. che tutela il "nome che
 per legge e' attribuito" al soggetto e non  il  nome  che  lo  stesso
 soggetto abbia portato per un tempo indefinito senza aveme diritto.
    L'angusto  ambito  nel  quale  (art.  7  del  c.c.) e' tutelato il
 diritto al nome, ed anche allo pseudonimo allorche' abbia assunto  la
 stessa importanza del nome, nel senso dell'attribuzione del potere di
 far  cessare  il fatto lesivo altrui e ottenere il ristoro del danno,
 non   esaudisce   le   esigenze   di   protezione   di   un   diritto
 all'individualita'  personale  che  puo'  direttamente farsi risalire
 all'art. 2 della Costituzione, autorevolmente definita quale clausola
 generale di tutela della persona umana.
    Orbene,  anche  la  Corte  di  cassazione  ebbe  a considerare che
 "ciascun soggetto ha un interesse, ritenuto  generalmente  meritevole
 di tutela giuridica, di essere rappresentato nella vita di relazione,
 con  la  sua vera identita', cosi' come questa nella realta' sociale,
 generale o particolare, e' conosciuta o poteva essere conosciuta  con
 l'applicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede
 soggettiva"  (Cass.  22  giugno  1985,  n. 3769, in Foro It. 1985, I,
 2211) e riportando alla fattispecie che occupa tale insegnamento deve
 sottolinearsi che il Lenzi Vieri non mira a conservare il cognome del
 presunto padre, ma il proprio segno distintivo che possiede rilevanza
 e autonomia proprie e che ormai fa parte della sua soggettivita' come
 caratteristica precisa, personalissima e proiettata all'esterno.
    In  tale  prospettiva  l'automatico   cambiamento   del   cognome,
 palesando    immediatamente    all'esterno    l'origine   illegittima
 dell'interessato, produce un evidente danno all'altro  personalissimo
 diritto alla reputazione.
    D'altronde  esiste  un eclatante esempio nel nostro ordinamento in
 cui tale situazione soggettiva viene considerata e  tutelata:  l'art.
 262,  secondo comma, consente infatti una possibilita' di deroga alla
 regola generale dando facolta' al  figlio  tardivamente  riconosciuto
 dal  padre  di  conservare il cognome originario (mentre prima del 19
 maggio 1975 l'assunzione del cognome paterno era automatica),  e  per
 altro  verso il riconoscimento, nonostante possa essere rispondente a
 verita', non produce effetto senza l'assenso del maggiore  di  sedici
 anni  (art.  250,  secondo  comma  )  con cio' proteggendo il diritto
 all'identita' personale fino a quel momento  posseduta  dal  soggetto
 riconosciuto.
    Si  evidenzia cioe' come esista un diritto del soggetto al cognome
 assunto, che ha precise radici nella norma costituzionale  citata,  e
 che  e'  indipendente  da  quello dei genitori e dunque da quello che
 successivamente si riconosca spettante in forza della normativa sullo
 stato civile. Se e' pregiudizievole l'uso indebito che  altri  faccia
 del  nome  spettante  al  soggetto,  parimenti  e  forse  ancor  piu'
 pregiudizievole  e'  la  cessazione  dell'uso  cui  il  soggetto  sia
 costretto  per  fatti  accertati aliunde che lo vedono, e non possono
 che vederlo, estraneo e che si riverberano quali effetti riflessi  su
 una  parte  rilevante  della  sua personalita', proprio su quella che
 perche' a lungo esteriorizzata, ha finito per assumere una dimensione
 oggettiva. Il diritto all'identita' personale concerne in questo caso
 la "proiezione" della persona (in punto tribunale di  Roma  27  marzo
 1984 in Giur. It. 1985 I, 2, 13).
    Sembra  dunque non manifestamente infondata, oltreche' palesemente
 rilevante per le ragioni esposte, la questione  di  costituzionalita'
 degli  artt.  165  e  segg.  del  r.d.  9  luglio  1939, n. 1238, per
 contrasto con l'art. 2 della Costituzione laddove non e' previsto che
 a seguito della rettifica degli atti dello stato civile  per  ragioni
 indipendenti  dall'interessato, il soggetto stesso possa mantenere il
 cognome fino a quel momento attribuito e che e' entrato a  far  parte
 del   proprio   diritto  costituzionalmente  garantito  all'identita'
 personale.