ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 2, 3, 4, 6,  8
 e  12  della  legge  25  febbraio  1992,  n. 215 (Azioni positive per
 l'imprenditoria femminile),  promossi  con  ricorsi  della  Provincia
 autonoma  di Trento e della Regione Lombardia, notificati il 6 aprile
 1992, depositati in cancelleria il 13 successivo ed iscritti  ai  nn.
 45 e 46 del registro ricorsi 1992.
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  3  novembre  1992  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi l'Avvocato Valerio Onida per la Provincia autonoma di Trento
 e  per  la Regione Lombardia e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Orazio
 Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Provincia
 autonoma  di  Trento   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale  nei confronti di numerose disposizioni della legge 25
 febbraio  1992,  n.  215   (Azioni   positive   per   l'imprenditoria
 femminile), deducendo: a) la violazione della competenza esclusiva in
 materia  di  artigianato,  di  comunicazioni e trasporti di interesse
 provinciale, di turismo e industria  alberghiera,  di  agricoltura  e
 foreste  e  di  formazione  professionale, ad essa costituzionalmente
 attribuita dall'art. 8, nn. 9, 18, 20, 21 e 29 dello Statuto speciale
 per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n.  670)  e  dalle
 relative  norme  di  attuazione;  b)  la  violazione della competenza
 concorrente in materia  di  commercio,  di  esercizi  pubblici  e  di
 incremento della produzione industriale, ad essa attribuita dall'art.
 9,  nn.  3,  7  e  8  del  medesimo Statuto e dalle relative norme di
 attuazione;  c)  la  lesione  delle  potesta'  amministrative   sulle
 medesime  materie,  attribuite  alla Provincia, ai sensi dell'art. 16
 del citato Statuto.
    La legge  impugnata  prevede  interventi  finanziari  dello  Stato
 finalizzati  a  favorire  la  promozione  delle pari opportunita' per
 uomini  e   donne   nell'attivita'   economica   e   imprenditoriale.
 Destinatari  di tali interventi sono, da un lato, le societa' cooper-
 ative e  le  societa'  di  persone  o  di  capitali  con  determinate
 caratteristiche  nella  composizione  del  capitale  sociale  e degli
 organi di amministrazione e le imprese individuali gestite  da  donne
 che    operano   "nei   settori   dell'industria,   dell'artigianato,
 dell'agricoltura, del commercio, del turismo e dei servizi" (art.  2,
 comma  1,  lett.  a)  e,  dall'altro,  le  imprese,  i  consorzi,  le
 associazioni, gli enti,  le  societa'  di  promozione,  i  centri  di
 formazione  o  gli  ordini  professionali  che  "promuovono  corsi di
 formazione imprenditoriale o servizi di consulenza  e  di  assistenza
 tecnica  e  manageriale"  (art.  2, comma 1, lett. b). Gli interventi
 previsti consistono, per le  imprese  individuali  o  societarie,  in
 contributi  in conto capitale fino al cinquanta per cento delle spese
 "per impianti e attrezzature sostenute per l'avvio o  per  l'acquisto
 di  attivita'  commerciali  e  turistiche  o di attivita' nel settore
 dell'industria, dell'artigianato, del commercio e dei servizi" e "per
 i progetti aziendali connessi all'introduzione di qualificazione e di
 innovazione di prodotto, tecnologica ed organizzativa" (art. 4, comma
 1, lett. a); ovvero in contributi in conto capitale  fino  al  trenta
 per  cento  delle  spese  sostenute  "per  l'acquisizione  di servizi
 destinati   all'aumento    della    produttivita',    all'innovazione
 organizzativa,  al  trasferimento  delle  tecnologie, alla ricerca di
 nuovi mercati per il collocamento dei prodotti,  all'acquisizione  di
 nuove  tecniche  di produzione, di gestione e di commercializzazione,
 nonche' per lo sviluppo di sistemi di qualita'"  (art.  4,  comma  1,
 lett.  b). Un contributo per un ammontare pari al cinquanta per cento
 delle spese sostenute dai soggetti di cui all'art. 2, comma 1,  lett.
 b), e' poi previsto dall'art. 4, terzo comma.
    Ai  sensi  dell'art.  8, ai destinatari della legge possono essere
 concessi dagli istituti di credito, agli stessi  fini,  finanziamenti
 agevolati  di  importo fino a trecento milioni e per cinque anni, con
 abbattimento del tasso di interesse al cinquanta per cento del  tasso
 di riferimento in vigore per il settore di appartenenza dell'impresa.
    Quanto  al  procedimento  di  erogazione  e di finanziamento delle
 agevolazioni, viene innanzitutto istituito un "Fondo nazionale per lo
 sviluppo dell'imprenditoria femminile", con apposito  capitolo  nello
 stato  di  previsione  della spesa del Ministero dell'industria e con
 dotazione di dieci miliardi annui per il triennio 1992-1994. A carico
 di tale Fondo sono posti, non solo i contributi in conto capitale, ma
 anche le agevolazioni sugli interessi, determinate nella  misura  del
 dieci  per  cento del Fondo, del quale e' previsto il conferimento al
 Mediocredito centrale. L'art.  6  demanda,  poi,  a  un  decreto  del
 Ministro  dell'industria,  di  concerto  con  quello  del  tesoro, la
 determinazione dei criteri e delle  modalita'  per  la  presentazione
 delle  domande  e  per la concessione delle agevolazioni, stabilendo,
 comunque, che le agevolazioni stesse sono concesse  con  decreto  del
 Ministro  dell'industria, di concerto con i ministri competenti per i
 settori cui appartengono i soggetti beneficiari (secondo comma).
    A   giudizio   della   ricorrente,   questa   disciplina   sarebbe
 illegittima, in quanto, in materie di sicura competenza  provinciale,
 prevede  interventi  affidati  esclusivamente  allo  Stato,  senza il
 minimo coinvolgimento, neanche formale, delle regioni e  delle  prov-
 ince  autonome.  La Provincia osserva, infatti, che, anche secondo la
 giurisprudenza di questa Corte,  interventi  statali  in  materia  di
 competenza  provinciale  sono  ammissibili  solo  se  sorretti  da un
 interesse nazionale ovvero se rispondenti ad  esigenze  straordinarie
 riconducibili   a   situazioni   di  particolare  emergenza  (v.,  in
 particolare,  sent.  n.  116  del  1991).  D'altra  parte,  anche  ad
 ammettere la priorita' dell'obiettivo del sostegno dell'imprenditoria
 femminile,  ben altre avrebbero dovuto essere, secondo la ricorrente,
 le forme dell'intervento  statale  (statuizioni  di  principio  e  di
 indirizzo; previsioni di finanziamenti a destinazione vincolata).
    Per  quanto  riguarda,  poi, la previsione di interventi statali a
 sostegno delle imprese industriali, sussisterebbe,  ad  avviso  della
 ricorrente, un'ulteriore ragione di illegittimita', consistente nella
 violazione dell'art. 15 dello Statuto. Quest'ultimo dispone, infatti,
 che  siano assegnate alle province autonome, sentite le stesse, quote
 degli stanziamenti annuali iscritti  nel  bilancio  dello  Stato  per
 l'attuazione di leggi statali che prevedono interventi finanziari per
 l'incremento  della  produzione  industriale  e  che  le  somme cosi'
 assegnate siano utilizzate  d'intesa  tra  lo  Stato  e  le  province
 stesse.   La  legge  impugnata,  al  contrario,  non  prevede  alcuna
 assegnazione  in  favore  delle  province  autonome,  ne'   un   loro
 coinvolgimento   nella   utilizzazione  delle  somme  destinate  alla
 promozione dell'imprenditoria femminile. Una simile  disciplina,  del
 resto, non potrebbe neanche essere giustificata in base alla clausola
 contenuta  nello  stesso  art. 15 dello Statuto, il quale fa salva la
 diversa  regolamentazione  contenuta  nelle  norme   generali   sulla
 programmazione  economica,  dal momento che le disposizioni impugnate
 certamente non hanno carattere di norme programmatiche.
    Illegittimo sarebbe, infine, sempre secondo la ricorrente,  l'art.
 12  della legge impugnata, il quale dispone che le regioni e le prov-
 ince  autonome,  in  accordo  con  le  associazioni  di  categoria  e
 attraverso  convenzioni  con  enti  pubblici  e  privati  che abbiano
 caratteristiche di  affidabilita'  e  di  consolidata  esperienza  in
 materia  e  che  siano  presenti  sull'intero  territorio  nazionale,
 provvedono  all'attuazione  di  programmi  che  siano  diretti   alla
 diffusione  di  informazioni  mirate,  nonche'  alla realizzazione di
 servizi di consulenza  e  di  assistenza  tecnica,  di  progettazione
 organizzativa  e  di  supporto  alle  attivita' agevolate dalla legge
 stessa. A tale  fine  le  regioni  e  le  province  autonome  possono
 ottenere  contributi  dal  Fondo  di  cui  all'art.  3  in misura non
 superiore al trenta  per  cento  della  spesa  prevista.  Ove  questa
 disciplina  dovesse  essere  interpretata  nel  senso che impone alle
 regioni e alle province autonome un vero e proprio obbligo di attuare
 i  programmi  previsti,  risulterebbero   lesi,   ad   avviso   della
 ricorrente,  l'autonomia organizzativa della Provincia di Trento e il
 principio di cui all'art. 81, quarto comma,  della  Costituzione,  il
 quale  richiede  che  le  leggi  statali,  ove  impongano nuovi oneri
 finanziari alle regioni  o  alle  province  autonome,  debbono  anche
 fornire i mezzi per far fronte a tali oneri.
    2.  -  Con  un distinto ricorso, la Regione Lombardia ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale nei confronti  delle  stesse
 disposizioni  della  legge  n.  215  del 1992 (ad eccezione di quelle
 concernenti le agevolazioni per le imprese industriali), deducendo la
 violazione degli artt. 117, 118 e 119  della  Costituzione,  nonche',
 limitatamente   all'art.   12,  dell'art.  81,  quarto  comma,  della
 Costituzione, anche in riferimento all'art. 109 del d.P.R. 24  luglio
 1977,  n.  616,  all'art.  27  della  legge  5  agosto 1978, n. 468 e
 all'art. 3, sesto comma, della legge 14 giugno 1990, n. 158.
    Le ragioni addotte dalla Regione Lombardia coincidono, fatte salve
 le  differenze  inerenti  ai  parametri,  con  quelle  esposte  dalla
 Provincia autonoma di Trento.
    3.  -  Si  e'  costituito  in entrambi i giudizi il Presidente del
 Consiglio dei ministri, chiedendo che le questioni  siano  dichiarate
 non fondate.
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato osserva, innanzitutto, che la
 legge impugnata, al pari della precedente legge 10  aprile  1991,  n.
 125,  e'  attuativa  del  precetto  di cui all'art. 3, secondo comma,
 della Costituzione, in quanto e' diretta a rimuovere le condizioni di
 fatto limitative  dell'eguaglianza,  promuovendo  l'instaurazione  di
 condizioni  di parita' non solo formale fra uomini e donne. La stessa
 legge, inoltre, sarebbe attuativa anche del precetto di cui  all'art.
 41, primo comma, della Costituzione, che vuole l'iniziativa economica
 "libera" anche da condizionamenti di fatto. Ma, se questi sono i fini
 della  legge,  risulta  evidente, ad avviso dell'Avvocatura, come gli
 stessi non possano essere perseguiti altro che dallo Stato, dovendosi
 assicurare  uniformita'  di  trattamento  su  tutto   il   territorio
 nazionale    attraverso   strumenti   di   gestione   necessariamente
 centralizzata per realizzare un equo riparto delle risorse.
    Quanto al merito delle singole censure, l'Avvocatura  dello  Stato
 rileva  che, per essere accordabili ratione subiecti, le agevolazioni
 in favore delle imprese nulla tolgono e nulla aggiungono  all'assetto
 normativo  dei  vari settori di attivita' nei quali verosimilmente si
 verifichera'  solo  un  aumento   quantitativo,   con   una   diversa
 composizione  soggettiva,  degli operatori. In altri termini, secondo
 l'Avvocatura dello Stato, proprio perche' dall'ambito di operativita'
 della legge non e' escluso  alcun  settore  di  attivita'  e  proprio
 perche'  la  finalita' della legge e' precipuamente quella di indurre
 un mutamento nella struttura delle imprese e nella  loro  conduzione,
 deve  escludersi la dedotta violazione delle competenze provinciali e
 regionali, le quali non possono ritenersi  incise  da  un  intervento
 suppletivo e complementare operante, piuttosto, sul piano dei diritti
 della  personalita'.  In  particolare, cio' vale per le competenze in
 materia di  formazione  professionale,  le  quali  non  sono  affatto
 disciplinate dalla legge impugnata.
    Quanto  alle censure rivolte all'art. 12, l'Avvocatura dello Stato
 contesta l'interpretazione  proposta  dalle  ricorrenti,  secondo  la
 quale  regioni e province autonome sarebbero obbligate ad assumere le
 iniziative di supporto ivi descritte. Si tratterebbe,  al  contrario,
 di  interventi  meramente  facoltativi,  nei  confronti dei quali non
 avrebbero conseguentemente ragion d'essere i  dubbi  di  legittimita'
 costituzionale  formulati  con riferimento all'art. 81, quarto comma,
 della Costituzione.
    Ne',  ad  avviso  dell'Avvocatura  dello  Stato, possono ritenersi
 fondate le censure sotto  il  profilo  della  lesione  dell'autonomia
 organizzativa.  Premesso,  infatti,  che  il vincolo nella scelta dei
 soggetti con i quali stipulare convenzioni che abbiano  il  requisito
 della  presenza  nell'intero  territorio  regionale (e non nazionale,
 come affermato dalle ricorrenti)  riguarderebbe  le  sole  regioni  a
 statuto  ordinario, la difesa dello Stato ritiene che tale previsione
 sia giustificata dallo  scopo  di  assicurare  un'uniforme  copertura
 dell'attivita'   di   supporto,   in   maniera   che   la  promozione
 dell'imprenditoria  femminile  ne  resti  ugualmente  coadiuvata  sul
 territorio di ciascuna regione.
    4.  -  In prossimita' dell'udienza, le ricorrenti hanno presentato
 memorie con le quali insistono  per  l'accoglimento  delle  sollevate
 questioni di legittimita' costituzionale.
    Replicando   alle   deduzioni   dell'Avvocatura  dello  Stato,  le
 ricorrenti osservano che il perseguimento di finalita' di eguaglianza
 sostanziale non e' di per se' ragione  sufficiente  per  giustificare
 deroghe  al  riparto  costituzionale  delle  competenze  tra  Stato e
 regioni (o province autonome). In  realta',  il  legislatore  statale
 potrebbe  legittimamente  intervenire  nelle  materie  assegnate alle
 regioni (o alle province autonome) ai  fini  perseguiti  dalla  legge
 impugnata   soltanto   dettando   principi   fondamentali   o   norme
 fondamentali   di   riforma   economico-sociale    ovvero    erogando
 finanziamenti  a destinazione vincolata. Del resto, poiche' l'art. 3,
 secondo  comma,  della  Costituzione  assegna   tale   compito   alla
 Repubblica, deve ritenersi che quest'ultimo debba essere svolto dallo
 Stato,  dalle  regioni  o  dalle  province autonome nell'ambito delle
 rispettive competenze, individuate in base a criteri  oggettivi,  non
 in base a criteri teleologici.
    Le  ricorrenti  contestano,  quindi,  l'assunto della difesa dello
 Stato in  base  al  quale  la  legge  impugnata  nulla  aggiungerebbe
 all'assetto  normativo dei vari settori di attivita', osservando che,
 al  contrario,  gli  strumenti  individuati  dalla  legge   impugnata
 (incentivazioni  finanziarie  di investimenti aziendali o di acquisto
 di  servizi  da  parte  delle  imprese;  finanziamenti  di  corsi  di
 formazione  imprenditoriale) sono di per se' oggettivamente attinenti
 all'ambito della disciplina dei singoli settori interessati. In  ogni
 caso,  proseguono  le ricorrenti, quand'anche si volesse ritenere non
 preclusa  allo  Stato  la  disciplina  specifica   e   di   immediata
 applicazione   degli   interventi  previsti  dalla  legge  impugnata,
 dovrebbe  ritenersi   ingiustificata   l'attribuzione   agli   organi
 ministeriali centrali dell'attivita' amministrativa di erogazione dei
 finanziamenti. Nessuna finalita' di eguaglianza sostanziale, infatti,
 potrebbe   giustificare  l'avocazione  allo  Stato  delle  competenze
 amministrative di spesa in materie  rientranti  tra  le  attribuzioni
 regionali o provinciali.
    Quanto  all'art.  12,  le ricorrenti prendono atto delle deduzioni
 dell'Avvocatura dello Stato, secondo le quali le iniziative regionali
 o provinciali ivi previste sarebbero facoltative e non  obbligatorie.
 La  Regione  Lombardia,  in  particolare,  osserva, in ogni caso, che
 anche l'accertata facoltativita' delle convenzioni non farebbe  venir
 meno  la  dedotta  lesione della propria autonomia organizzativa, dal
 momento  che  le  attivita'  previste  dall'art.  12  vanno  comunque
 realizzate  nell'ambito  regionale  mediante  strumenti organizzativi
 disciplinati dalla legge statale  e  attraverso  soggetti  aventi  le
 caratteristiche individuate dalla stessa legge.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Le  questioni  di legittimita' costituzionale sottoposte al
 giudizio di questa  Corte,  le  quali  investono  varie  disposizioni
 contenute  nella  legge 25 febbraio 1992, n. 215 (Azioni positive per
 l'imprenditoria femminile), sono  state  sollevate  da  due  distinti
 ricorsi  regolarmene notificati e depositati dalla Provincia autonoma
 di Trento e dalla Regione Lombardia.
    Con il  primo  dei  menzionati  ricorsi  la  Provincia  ricorrente
 contesta  la  legittimita'  costituzionale degli artt. 2, 3, 4, 6 e 8
 della legge n. 215  del  1992,  ritenendo  che  le  disposizioni  ivi
 contenute si pongano in contrasto con:
       a)  le  competenze  di  tipo  esclusivo  attribuite alla stessa
 Provincia dall'art. 8,  nn.  9  (artigianato),  18  (comunicazioni  e
 trasporti   d'interesse   provinciale),   20   (turismo  e  industria
 alberghiera), 21  (agricoltura  e  foreste)  e  29  (addestramento  e
 formazione professionale) dello Statuto speciale per il Trentino-Alto
 Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e relative norme di attuazione;
       b)  le competenze di tipo concorrente assicurate alla Provincia
 medesima dall'art. 9, nn. 3 (commercio), 7 (esercizi  pubblici)  e  8
 (incremento della produzione industriale) del citato Statuto speciale
 e relative norme di attuazione;
       c)  le  competenze  di  natura  amministrativa  attribuite alla
 ricorrente sulle materie indicate nelle lettere precedenti in  virtu'
 dell'art. 16 del ricordato Statuto speciale;
       d)  la speciale attribuzione assegnata alla Provincia dall'art.
 15  del  citato  Statuto  speciale  in  ordine   alle   quote   degli
 stanziamenti   annuali   iscritti   nel   bilancio  dello  Stato  per
 l'attuazione di leggi statali che prevedono interventi  finanziari  a
 favore dell'incremento delle attivita' industriali.
    Con  il medesimo ricorso, la Provincia autonoma di Trento contesta
 altresi' la legittimita' costituzionale dell'art. 12 della  legge  n.
 215  del  1992,  deducendone  il  contrasto  con la propria autonomia
 organizzativa e con il principio posto dall'art.  81,  quarto  comma,
 della  Costituzione,  in  base al quale ogni legge che comporti nuove
 spese deve contestualmente prevedere i  mezzi  finanziari  per  farvi
 fronte.
    Con  il  secondo  ricorso  la  Regione  Lombardia ha contestato la
 legittimita' costituzionale degli artt. 2, 3, 4, 6 e 8 della legge n.
 215  del  1992,  deducendo  la  violazione  degli  artt.  117  e  118
 (competenze  legislative  e  amministrative  in  materia di turismo e
 industria alberghiera, trasporti  d'interesse  regionale,  istruzione
 artigiana  e  professionale,  agricoltura  e  foreste, artigianato) e
 dell'art. 119 (autonomia finanziaria).  Anche  la  Regione  Lombardia
 contesta  la  legittimita'  costituzionale dell'art. 12, deducendo la
 violazione della propria  autonomia  organizzativa  e  dell'art.  81,
 quarto  comma,  della Costituzione, in connessione con l'art. 109 del
 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, l'art. 27 della legge 5  agosto  1978,
 n. 468 e l'art. 3, sesto comma, della legge 14 giugno 1990, n. 158.
    Poiche'  i  predetti ricorsi prospettano questioni di legittimita'
 costituzionale identiche o connesse, i relativi giudizi vanno  decisi
 con un'unica sentenza.
    2.  - Una prima censura riguarda gli artt. 2, 4 e 8 della legge n.
 215 del 1992, i quali determinano, rispettivamente,  i  soggetti  che
 possono accedere ai benefici disposti dalla predetta legge (art. 2) e
 le  agevolazioni  previste  al  fine  di incentivare la promozione di
 nuove imprenditorialita' femminili e di permettere l'acquisizione  di
 servizi reali da parte dei soggetti precedentemente indicati (artt. 4
 e  8).  Ad  avviso  delle  ricorrenti,  le disposizioni contenute nei
 predetti articoli sembrano contrastare con  le  norme  costituzionali
 ricordate  nel  precedente  punto  della motivazione, dal momento che
 individuerebbero le agevolazioni finanziarie e i  relativi  possibili
 beneficiari  in  relazione  ad attivita' economiche e imprenditoriali
 svolgentisi in ambiti  (agricoltura,  turismo,  etc.)  affidati  alle
 competenze delle province autonome e delle regioni.
    Le questioni non sono fondate.
    Al  fine  di  decidere  i dubbi di costituzionalita' sollevati nei
 confronti degli artt. 2, 4 e 8 della legge impugnata,  occorre  prima
 precisare  in  cosa  consistono  le  "azioni positive" a favore delle
 donne nel campo imprenditoriale.
    2.1. - Ai sensi dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 215 del
 1992, le disposizioni contenute nell'atto  contestato  perseguono  le
 seguenti finalita':
       a)  favorire  la  creazione  e  lo  sviluppo dell'imprenditoria
 femminile, anche in forma cooperativa;
       b) promuovere la formazione imprenditoriale  e  qualificare  la
 professionalita' delle donne imprenditrici;
       c) agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o
 a prevalente partecipazione femminile;
       d)  favorire  la  qualificazione  imprenditoriale e la gestione
 delle imprese familiari da parte delle donne;
       e) promuovere la  presenza  delle  imprese  a  conduzione  o  a
 prevalente  partecipazione femminile nei comparti piu' innovativi dei
 diversi settori produttivi.
    In vista della realizzazione di  tali  fini,  l'impugnato  art.  2
 individua,  quali  soggetti che possono accedere ai benefici indicati
 in altre disposizioni della stessa legge, le societa'  cooperative  e
 di  persone  costituite in misura non inferiore al sessanta per cento
 da donne, le societa' di capitali  le  cui  quote  di  partecipazione
 appartengano  in  misura  non  inferiore ai due terzi a donne e i cui
 organi di amministrazione siano costituiti per almeno i due terzi  da
 donne,  le  imprese individuali gestite da donne operanti nei settori
 dell'industria, dell'artigianato,  dell'agricoltura,  del  commercio,
 del  turismo  e  dei  servizi  (lettera  a). Lo stesso articolo, alla
 lettera b), aggiunge che ai medesimi  benefici  possono  accedere  le
 imprese  o i loro consorzi, le associazioni, gli enti, le societa' di
 promozione  imprenditoriale,  anche  a  capitale  misto  pubblico   e
 privato, i centri di formazione imprenditoriale o eroganti servizi di
 consulenza  e  di assistenza tecnica e manageriale riservati, per una
 quota non inferiore al settanta per cento, a donne.
    In relazione alle distinte categorie di  soggetti  indicati  nelle
 due  lettere dell'art. 2, l'art. 4 determina, poi, le agevolazioni di
 cui quei soggetti possono  beneficiare.  Le  societa'  e  le  imprese
 indicati nella lettera a), sempreche' siano costituite dopo l'entrata
 in  vigore  della  legge  n.  215  del  1992,  possono  usufruire  di
 contributi in conto capitale fino al cinquanta per cento delle  spese
 per impianti e attrezzature sostenute per l'avvio dell'impresa ovvero
 per  l'acquisto  di attivita' commerciali e turistiche o di attivita'
 nel settore dell'industria, dell'artigianato,  del  commercio  o  dei
 servizi,  nonche'  per i progetti aziendali connessi all'introduzione
 di qualificazione  e  di  innovazione  attinenti  ai  prodotti,  alle
 tecnologie  o  all'organizzazione.  Inoltre,  gli stessi soggetti ora
 considerati possono beneficiare di  contributi  fino  al  trenta  per
 cento  delle  spese sostenute per l'acquisizione di servizi destinati
 all'aumento della produttivita',  all'innovazione  organizzativa,  al
 trasferimento  delle tecnologie, alla ricerca di nuovi mercati per il
 collocamento dei prodotti,  all'acquisizione  di  nuove  tecniche  di
 produzione,  di  gestione  e  di  commercializzazione, nonche' per lo
 sviluppo di sistemi di qualita'.
    I soggetti indicati nell'art. 2, lettera b), possono usufruire,  a
 norma  dell'art.  4, terzo comma, di contributi fino al cinquanta per
 cento delle spese sostenute per le attivita' descritte  dallo  stesso
 art. 2.
    Infine,  l'art.  8  dispone  che ai soggetti indicati nell'art. 2,
 lettera a),  possono  essere  concessi  finanziamenti  agevolati,  di
 importo  non superiore a trecento milioni e di durata non superiore a
 cinque anni, ad un tasso di interesse pari al cinquanta per cento del
 tasso  di  riferimento  in  vigore  per  il  settore  cui  appartiene
 l'impresa beneficiaria.
    2.2.   -   Dalla   descrizione  ora  compiuta  si  desume  che  le
 disposizioni impugnate prevedono incentivazioni finanziarie a  favore
 di  imprese  a prevalente partecipazione femminile ovvero a favore di
 istituzioni vo'lte a promuovere  l'imprenditorialita'  femminile,  al
 chiaro  scopo  di  agevolarne lo sviluppo, con riferimento ai momenti
 piu' importanti del ciclo produttivo, nei vari  settori  merceologici
 in  cui  operano.  Si  tratta,  piu'  precisamente,  di interventi di
 carattere positivo diretti a colmare o,  comunque,  ad  attenuare  un
 evidente   squilibrio   a  sfavore  delle  donne,  che,  a  causa  di
 discriminazioni accumulatesi nel corso della storia  passata  per  il
 dominio  di determinati comportamenti sociali e modelli culturali, ha
 portato a favorire le  persone  di  sesso  maschile  nell'occupazione
 delle posizioni di imprenditore o di dirigente d'azienda.
    In  altri  termini,  le  finalita'  perseguite  dalle disposizioni
 impugnate sono svolgimento immediato del dovere  fondamentale  -  che
 l'art. 3, secondo comma, della Costituzione assegna alla Repubblica -
 di  "rimuovere  gli  ostacoli  di  ordine  economico  e  sociale che,
 limitando  di  fatto  la  liberta'  e  l'eguaglianza  dei  cittadini,
 impediscono  il  pieno  sviluppo  della  persona  umana e l'effettiva
 partecipazione di tutti  i  lavoratori  all'organizzazione  politica,
 economica  e  sociale del Paese". Le "azioni positive", infatti, sono
 il piu' potente strumento a disposizione del  legislatore,  che,  nel
 rispetto della liberta' e dell'autonomia dei singoli individui, tende
 a innalzare la soglia di partenza per le singole categorie di persone
 socialmente  svantaggiate  - fondamentalmente quelle riconducibili ai
 divieti di discriminazione espressi nel primo comma dello stesso art.
 3 (sesso, razza, lingua, religione,  opinioni  politiche,  condizioni
 personali  e sociali) - al fine di assicurare alle categorie medesime
 uno statuto effettivo di pari opportunita'  di  inserimento  sociale,
 economico e politico.
    Nel  caso  di  specie,  le  "azioni  positive"  disciplinate dalle
 disposizioni  impugnate  sono  dirette  a  superare  il  rischio  che
 diversita'   di   carattere   naturale  o  biologico  si  trasformino
 arbitrariamente in discriminazioni di destino sociale. A tal fine  e'
 prevista,  in  relazione  a un settore di attivita' caratterizzato da
 una composizione personale che rivela un manifesto squilibrio a danno
 dei soggetti di sesso femminile,  l'adozione  di  un  trattamento  di
 favore  nei  confronti  di  una  categoria di persone, le donne, che,
 sulla  base  di  una  non  irragionevole  valutazione   operata   dal
 legislatore,  hanno  subi'to  in  passato  discriminazioni  di ordine
 sociale e culturale e, tuttora, sono soggette al pericolo di analoghe
 discriminazioni.
    Trattandosi di misure dirette  a  trasformare  una  situazione  di
 effettiva   disparita'   di   condizioni  in  una  connotata  da  una
 sostanziale parita' di opportunita', le "azioni positive"  comportano
 l'adozione  di  discipline  giuridiche  differenziate  a favore delle
 categorie sociali svantaggiate, anche in deroga al generale principio
 di formale parita'  di  trattamento,  stabilito  nell'art.  3,  primo
 comma,  della Costituzione. Ma tali differenziazioni, proprio perche'
 presuppongono l'esistenza storica  di  discriminazioni  attinenti  al
 ruolo  sociale  di determinate categorie di persone e proprio perche'
 sono  dirette  a  superare  discriminazioni  afferenti  a  condizioni
 personali  (sesso)  in  ragione  della  garanzia effettiva del valore
 costituzionale primario della "pari dignita' sociale", esigono che la
 loro attuazione non possa subire difformita' o deroghe  in  relazione
 alle  diverse  aree geografiche e politiche del Paese. Infatti, se ne
 fosse  messa  in  pericolo  l'applicazione  uniforme  su   tutto   il
 territorio   nazionale,  il  rischio  che  le  "azioni  positive"  si
 trasformino in fattori (aggiuntivi) di disparita' di trattamento, non
 piu' giustificate  dall'imperativo  costituzionale  di  riequilibrare
 posizioni  di  svantaggio  sociale  legate  alla condizione personale
 dell'essere donna, sarebbe di tutta evidenza.
    Cio' non toglie che nel programma di "azioni  positive"  previsto,
 in  conformita' alla precisa indicazione costituzionale che ne affida
 il compito alla "Repubblica", siano coinvolti anche soggetti pubblici
 diversi  dallo  Stato  (regioni   e   province   autonome).   Ma   un
 coinvolgimento  del  genere,  come  la  Corte  non  ha mai mancato di
 affermare  (v.,   da   ultimo,   sent.   n.   281   del   1992),   e'
 costituzionalmente   possibile  soltanto  all'interno  di  un  quadro
 diretto  a  garantire  un'effettiva  coerenza  di  obiettivi   e   di
 comportamenti.
    2.3.  -  Sulla  base delle suesposte motivazioni vanno rigettati i
 dubbi di legittimita' costituzionale sollevati dalle  ricorrenti  nei
 confronti degli artt. 2, 4 e 8 della legge n. 215 del 1992.
    Analogamente a quanto si riscontra nella piu' recente legislazione
 sociale  (sulla  quale questa Corte si e' gia' pronunziata: v. sentt.
 nn. 75, 202, 281 e 406 del 1992), le disposizioni  impugnate  pongono
 una  disciplina  positivamente differenziata in dipendenza di fattori
 direttamente attinenti  a  qualita'  soggettive  delle  categorie  di
 persone  considerate,  e  non gia' in ragione delle attivita' da esse
 svolte. Questo carattere della  disciplina  impugnata  testimonia  la
 portata   generale  della  stessa,  nel  senso  che  contiene  misure
 concernenti  le  imprese   condotte   da   donne   o   a   prevalente
 partecipazione  femminile,  senza  riguardo  ai  particolari  settori
 materiali nei quali queste operano. Tali settori, infatti, sono presi
 in  considerazione  dal legislatore unicamente al fine di specificare
 la natura imprenditoriale delle attivita' e  non  gia'  a  quello  di
 privilegiare taluni settori materiali e di riservare ad essi soltanto
 il superamento delle discriminazioni che si intendono eliminare.
    Quanto  affermato  non  porta  ad escludere che l'attuazione delle
 "azioni positive" a  favore  dell'imprenditoria  femminile  possa  in
 concreto  interferire  con  le  politiche  di  incentivazione  che le
 regioni o le  province  autonome  promuovono  nei  settori  materiali
 affidati  alle  loro competenze. Tale incidenza indiretta, secondo il
 costante orientamento di questa Corte (v., da ultimo, sentt. nn. 281,
 366  e  406  del  1992),  non  puo'  tuttavia  costituire  motivo  di
 illegittimita'  costituzionale, ma esige, piuttosto, la previsione di
 adeguati strumenti di cooperazione fra lo Stato e le  regioni  (o  le
 province autonome).
    3.  -  Le  considerazioni appena svolte conducono all'accoglimento
 parziale  delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  che  le
 ricorrenti  hanno  sollevato nei confronti dell'art. 6 della legge n.
 215 del 1992.
    Tale articolo, al primo comma, demanda a un decreto  del  Ministro
 dell'industria,  del commercio e dell'artigianato, di concerto con il
 Ministro del tesoro, la determinazione dei criteri e delle  modalita'
 per  la  presentazione  delle  domande  e  per  la  concessione delle
 agevolazioni previste dal gia' ricordato art. 4. Per  questo  aspetto
 le  censure  mosse  dalle ricorrenti vanno rigettate, dal momento che
 l'attribuzione allo  Stato  del  potere  di  stabilire  programmi  di
 "azioni    positive"    riguardo   all'imprenditoria   femminile   fa
 consequenzialmente cadere la pretesa lesivita' dell'intervento di  un
 decreto  ministeriale  diretto a fissare i criteri e le modalita' per
 l'attuazione di quei programmi legislativi.
    Al contrario, vanno parzialmente accolte le censure che le  stesse
 ricorrenti  muovono  al  secondo  comma  dell'art. 6, per il quale le
 agevolazioni sono concesse con decreto del  Ministro  dell'industria,
 di  concerto con i Ministri competenti per i settori cui appartengono
 i soggetti beneficiari, ma senza alcuno strumento di cooperazione con
 le regioni  o  le  province  autonome,  le  cui  materie  di  propria
 competenza siano interessate dal suddetto decreto.
    Le  censure  delle ricorrenti vanno accolte su quest'ultimo punto,
 poiche' l'esercizio del potere statale di concedere agevolazioni alle
 imprese a prevalente partecipazione femminile o  condotte  da  donne,
 giustificato dalla necessita' di assicurare condizioni di uniformita'
 su  tutto  il  territorio  nazionale  in  ordine all'attuazione di un
 valore    costituzionale    primario,    come    la     realizzazione
 dell'eguaglianzaeffettiva  delle  donne  e  degli  uomini  nel  campo
 dell'imprenditoria, produce indubbie interferenze  sullo  svolgimento
 delle competenze regionali (o provinciali), allorche' le agevolazioni
 da   concedere  riguardino  imprese  operanti  in  settori  materiali
 sottoposti alla  disciplina  dei  poteri  regionali  (o  provinciali)
 medesimi.   In   relazione   a   tali   interferenze,   il  principio
 costituzionale di leale cooperazione esige che la  decisione  statale
 di  concessione delle predette agevolazioni sia preceduta da forme di
 raccordo con le regioni (o le province autonome) nel  cui  ambito  di
 competenza  ricadono  le  attivita'  delle  imprese  destinatarie dei
 benefici previsti dalla legge n.  215  del  1992.  Tale  esigenza  di
 cooperazione,   che   peraltro  la  disposizione  impugnata  soddisfa
 unicamente   nei  rapporti  con  gli  altri  ministeri  (mediante  il
 "concerto"), si impone tanto piu' nei rapporti con le  regioni  e  le
 province  autonome,  dal  momento che l'art. 12 della legge impugnata
 prevede che queste ultime concorrano - attraverso la  predisposizione
 di   propri  programmi  di  "azioni  positive"  coerenti  con  quelli
 nazionali  -  al  raggiungimento  degli  obiettivi   di   eguaglianza
 sostanziale perseguiti dalla legge stessa.
    Per   le   ragioni   ora  esposte,  quando  la  concessione  delle
 agevolazioni da parte del Ministro  dell'industria  interferisce  con
 competenze  attribuite  alle regioni a statuto ordinario e alle prov-
 ince autonome, il relativo potere non puo'  essere  esercitato  senza
 che  sia previsto un adeguato strumento di collaborazione tra Stato e
 regioni (o province autonome).
    4. - Non fondate sono le questioni di legittimita'  costituzionale
 sollevate  da entrambe le ricorrenti nei confronti dell'art. 12 della
 legge n. 215 del 1992.
    Nel prevedere che le regioni e le province autonome, in  vista  di
 finalita'  coerenti  con  la stessa legge, attuino, in accordo con le
 associazioni di categoria, programmi che prevedano la  diffusione  di
 informazioni   mirate,   nonche'   la  realizzazione  di  servizi  di
 consulenza e di assistenza tecnica, di  progettazione  organizzativa,
 di  supporto alle attivita' agevolate dalla legge medesima, l'art. 12
 violerebbe l'autonomia organizzativa garantita alle  regioni  e  alle
 province  autonome  la'  dove  stabilisce,  secondo la prospettazione
 delle ricorrenti, la necessita' dell'accordo con le  associazioni  di
 categoria.  La  stessa  sfera  di  competenze sarebbe violata, sempre
 secondo le ricorrenti, anche dal secondo comma dello stesso articolo,
 che  prevede,  per  la  realizzazione  dei  predetti  programmi,   la
 stipulazione di convenzioni con enti pubblici e privati, presenti nel
 territorio,  aventi  esperienza  in  materia.  Infine, anche il terzo
 comma dell'art. 12 sarebbe costituzionalmente illegittimo, in  quanto
 violerebbe  l'art.  81,  quarto  comma,  della Costituzione, per aver
 limitato la possibilita' per le regioni e  le  province  autonome  di
 attingere  al Fondo nazionale ad un ammontare non superiore al trenta
 per cento della spesa prevista, di modo che sarebbero stabiliti oneri
 finanziari sprovvisti di adeguati mezzi di copertura.
    Le censure ora considerate muovono tutte dal  presupposto  erroneo
 che le regioni e le province autonome siano obbligate a predisporre i
 programmi  indicati  nell'art.  12,  con  il  conseguente  vincolo  a
 stipulare le convenzioni e gli accordi previsti  e  a  finanziare  le
 suddette  attivita',  per il settanta per cento, con risorse proprie.
 In realta', sia se interpretato nella sua stretta  letteralita',  sia
 se  collocato in una visione sistematica dell'intera legge, l'art. 12
 porta  a  configurare  la  predisposizione  e  la  realizzazione  dei
 programmi  di  "azioni  positive"  come  una facolta' delle regioni e
 delle  province  autonome.  Sotto  il  profilo   letterale,   occorre
 considerare  che  l'articolo in esame mira a predisporre un quadro di
 coordinamento fra le iniziative a favore dell'imprenditoria femminile
 poste in essere dallo Stato e quelle concorrenti autonomamente decise
 dalle  regioni  e  dalle  province   autonome.   L'art.   12,   sotto
 quest'ultimo  aspetto,  si  limita  a  prevedere  la necessita' della
 coerenza dei programmi liberamente determinati dalle regioni (e dalle
 province autonome) con le finalita' d'interesse  generale  perseguite
 dalla  legge  n.  215  del  1992 e a stabilire, anche in relazione al
 contributo  finanziario  statale  del  trenta  per  cento della spesa
 prevista per i suddetti programmi, la via preferenziale  dell'accordo
 con   le  associazioni  di  categoria  (per  la  predisposizione  dei
 programmi medesimi) e quella della convenzione con  enti  pubblici  e
 privati   aventi   particolare   esperienza   in   materia   (per  la
 realizzazione dei programmi stessi). Si tratta, com'e'  evidente,  di
 vincoli  e  di  disposizioni  che  non  possono  in  alcun modo esser
 considerati  lesivi  dell'autonomia  costituzionale  spettante   alle
 ricorrenti.
    5.  -  Deve, infine, dichiararsi la non fondatezza delle questioni
 di legittimita' costituzionale sollevate dalla Provincia autonoma  di
 Trento  e  dalla  Regione  Lombardia  nei confronti dell'art. 3 della
 legge n. 215 del 1992,  il  quale  prevede  l'istituzione  presso  il
 Ministero   dell'industria   del  Fondo  nazionale  per  lo  sviluppo
 dell'imprenditoria  femminile.  Infatti,  poiche'  per   le   ragioni
 precedentemente   illustrate  la  materia  regolata  dalla  legge  in
 questione sfugge alle competenze  regionali  o  provinciali,  vengono
 conseguentemente a cadere le censure delle ricorrenti in ordine a una
 presunta   violazione   della  autonomia  ad  esse  assicurata  dalle
 disposizioni statutarie e costituzionali ricordate al punto  1  della
 presente motivazione.