ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 2, 3, 4, 6, 8 e 12 della legge 25 febbraio 1992, n. 215 (Azioni positive per l'imprenditoria femminile), promossi con ricorsi della Provincia autonoma di Trento e della Regione Lombardia, notificati il 6 aprile 1992, depositati in cancelleria il 13 successivo ed iscritti ai nn. 45 e 46 del registro ricorsi 1992. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 3 novembre 1992 il Giudice relatore Antonio Baldassarre; Uditi l'Avvocato Valerio Onida per la Provincia autonoma di Trento e per la Regione Lombardia e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Orazio Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Provincia autonoma di Trento ha sollevato questione di legittimita' costituzionale nei confronti di numerose disposizioni della legge 25 febbraio 1992, n. 215 (Azioni positive per l'imprenditoria femminile), deducendo: a) la violazione della competenza esclusiva in materia di artigianato, di comunicazioni e trasporti di interesse provinciale, di turismo e industria alberghiera, di agricoltura e foreste e di formazione professionale, ad essa costituzionalmente attribuita dall'art. 8, nn. 9, 18, 20, 21 e 29 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e dalle relative norme di attuazione; b) la violazione della competenza concorrente in materia di commercio, di esercizi pubblici e di incremento della produzione industriale, ad essa attribuita dall'art. 9, nn. 3, 7 e 8 del medesimo Statuto e dalle relative norme di attuazione; c) la lesione delle potesta' amministrative sulle medesime materie, attribuite alla Provincia, ai sensi dell'art. 16 del citato Statuto. La legge impugnata prevede interventi finanziari dello Stato finalizzati a favorire la promozione delle pari opportunita' per uomini e donne nell'attivita' economica e imprenditoriale. Destinatari di tali interventi sono, da un lato, le societa' cooper- ative e le societa' di persone o di capitali con determinate caratteristiche nella composizione del capitale sociale e degli organi di amministrazione e le imprese individuali gestite da donne che operano "nei settori dell'industria, dell'artigianato, dell'agricoltura, del commercio, del turismo e dei servizi" (art. 2, comma 1, lett. a) e, dall'altro, le imprese, i consorzi, le associazioni, gli enti, le societa' di promozione, i centri di formazione o gli ordini professionali che "promuovono corsi di formazione imprenditoriale o servizi di consulenza e di assistenza tecnica e manageriale" (art. 2, comma 1, lett. b). Gli interventi previsti consistono, per le imprese individuali o societarie, in contributi in conto capitale fino al cinquanta per cento delle spese "per impianti e attrezzature sostenute per l'avvio o per l'acquisto di attivita' commerciali e turistiche o di attivita' nel settore dell'industria, dell'artigianato, del commercio e dei servizi" e "per i progetti aziendali connessi all'introduzione di qualificazione e di innovazione di prodotto, tecnologica ed organizzativa" (art. 4, comma 1, lett. a); ovvero in contributi in conto capitale fino al trenta per cento delle spese sostenute "per l'acquisizione di servizi destinati all'aumento della produttivita', all'innovazione organizzativa, al trasferimento delle tecnologie, alla ricerca di nuovi mercati per il collocamento dei prodotti, all'acquisizione di nuove tecniche di produzione, di gestione e di commercializzazione, nonche' per lo sviluppo di sistemi di qualita'" (art. 4, comma 1, lett. b). Un contributo per un ammontare pari al cinquanta per cento delle spese sostenute dai soggetti di cui all'art. 2, comma 1, lett. b), e' poi previsto dall'art. 4, terzo comma. Ai sensi dell'art. 8, ai destinatari della legge possono essere concessi dagli istituti di credito, agli stessi fini, finanziamenti agevolati di importo fino a trecento milioni e per cinque anni, con abbattimento del tasso di interesse al cinquanta per cento del tasso di riferimento in vigore per il settore di appartenenza dell'impresa. Quanto al procedimento di erogazione e di finanziamento delle agevolazioni, viene innanzitutto istituito un "Fondo nazionale per lo sviluppo dell'imprenditoria femminile", con apposito capitolo nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'industria e con dotazione di dieci miliardi annui per il triennio 1992-1994. A carico di tale Fondo sono posti, non solo i contributi in conto capitale, ma anche le agevolazioni sugli interessi, determinate nella misura del dieci per cento del Fondo, del quale e' previsto il conferimento al Mediocredito centrale. L'art. 6 demanda, poi, a un decreto del Ministro dell'industria, di concerto con quello del tesoro, la determinazione dei criteri e delle modalita' per la presentazione delle domande e per la concessione delle agevolazioni, stabilendo, comunque, che le agevolazioni stesse sono concesse con decreto del Ministro dell'industria, di concerto con i ministri competenti per i settori cui appartengono i soggetti beneficiari (secondo comma). A giudizio della ricorrente, questa disciplina sarebbe illegittima, in quanto, in materie di sicura competenza provinciale, prevede interventi affidati esclusivamente allo Stato, senza il minimo coinvolgimento, neanche formale, delle regioni e delle prov- ince autonome. La Provincia osserva, infatti, che, anche secondo la giurisprudenza di questa Corte, interventi statali in materia di competenza provinciale sono ammissibili solo se sorretti da un interesse nazionale ovvero se rispondenti ad esigenze straordinarie riconducibili a situazioni di particolare emergenza (v., in particolare, sent. n. 116 del 1991). D'altra parte, anche ad ammettere la priorita' dell'obiettivo del sostegno dell'imprenditoria femminile, ben altre avrebbero dovuto essere, secondo la ricorrente, le forme dell'intervento statale (statuizioni di principio e di indirizzo; previsioni di finanziamenti a destinazione vincolata). Per quanto riguarda, poi, la previsione di interventi statali a sostegno delle imprese industriali, sussisterebbe, ad avviso della ricorrente, un'ulteriore ragione di illegittimita', consistente nella violazione dell'art. 15 dello Statuto. Quest'ultimo dispone, infatti, che siano assegnate alle province autonome, sentite le stesse, quote degli stanziamenti annuali iscritti nel bilancio dello Stato per l'attuazione di leggi statali che prevedono interventi finanziari per l'incremento della produzione industriale e che le somme cosi' assegnate siano utilizzate d'intesa tra lo Stato e le province stesse. La legge impugnata, al contrario, non prevede alcuna assegnazione in favore delle province autonome, ne' un loro coinvolgimento nella utilizzazione delle somme destinate alla promozione dell'imprenditoria femminile. Una simile disciplina, del resto, non potrebbe neanche essere giustificata in base alla clausola contenuta nello stesso art. 15 dello Statuto, il quale fa salva la diversa regolamentazione contenuta nelle norme generali sulla programmazione economica, dal momento che le disposizioni impugnate certamente non hanno carattere di norme programmatiche. Illegittimo sarebbe, infine, sempre secondo la ricorrente, l'art. 12 della legge impugnata, il quale dispone che le regioni e le prov- ince autonome, in accordo con le associazioni di categoria e attraverso convenzioni con enti pubblici e privati che abbiano caratteristiche di affidabilita' e di consolidata esperienza in materia e che siano presenti sull'intero territorio nazionale, provvedono all'attuazione di programmi che siano diretti alla diffusione di informazioni mirate, nonche' alla realizzazione di servizi di consulenza e di assistenza tecnica, di progettazione organizzativa e di supporto alle attivita' agevolate dalla legge stessa. A tale fine le regioni e le province autonome possono ottenere contributi dal Fondo di cui all'art. 3 in misura non superiore al trenta per cento della spesa prevista. Ove questa disciplina dovesse essere interpretata nel senso che impone alle regioni e alle province autonome un vero e proprio obbligo di attuare i programmi previsti, risulterebbero lesi, ad avviso della ricorrente, l'autonomia organizzativa della Provincia di Trento e il principio di cui all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, il quale richiede che le leggi statali, ove impongano nuovi oneri finanziari alle regioni o alle province autonome, debbono anche fornire i mezzi per far fronte a tali oneri. 2. - Con un distinto ricorso, la Regione Lombardia ha sollevato questione di legittimita' costituzionale nei confronti delle stesse disposizioni della legge n. 215 del 1992 (ad eccezione di quelle concernenti le agevolazioni per le imprese industriali), deducendo la violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonche', limitatamente all'art. 12, dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, anche in riferimento all'art. 109 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, all'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468 e all'art. 3, sesto comma, della legge 14 giugno 1990, n. 158. Le ragioni addotte dalla Regione Lombardia coincidono, fatte salve le differenze inerenti ai parametri, con quelle esposte dalla Provincia autonoma di Trento. 3. - Si e' costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. L'Avvocatura generale dello Stato osserva, innanzitutto, che la legge impugnata, al pari della precedente legge 10 aprile 1991, n. 125, e' attuativa del precetto di cui all'art. 3, secondo comma, della Costituzione, in quanto e' diretta a rimuovere le condizioni di fatto limitative dell'eguaglianza, promuovendo l'instaurazione di condizioni di parita' non solo formale fra uomini e donne. La stessa legge, inoltre, sarebbe attuativa anche del precetto di cui all'art. 41, primo comma, della Costituzione, che vuole l'iniziativa economica "libera" anche da condizionamenti di fatto. Ma, se questi sono i fini della legge, risulta evidente, ad avviso dell'Avvocatura, come gli stessi non possano essere perseguiti altro che dallo Stato, dovendosi assicurare uniformita' di trattamento su tutto il territorio nazionale attraverso strumenti di gestione necessariamente centralizzata per realizzare un equo riparto delle risorse. Quanto al merito delle singole censure, l'Avvocatura dello Stato rileva che, per essere accordabili ratione subiecti, le agevolazioni in favore delle imprese nulla tolgono e nulla aggiungono all'assetto normativo dei vari settori di attivita' nei quali verosimilmente si verifichera' solo un aumento quantitativo, con una diversa composizione soggettiva, degli operatori. In altri termini, secondo l'Avvocatura dello Stato, proprio perche' dall'ambito di operativita' della legge non e' escluso alcun settore di attivita' e proprio perche' la finalita' della legge e' precipuamente quella di indurre un mutamento nella struttura delle imprese e nella loro conduzione, deve escludersi la dedotta violazione delle competenze provinciali e regionali, le quali non possono ritenersi incise da un intervento suppletivo e complementare operante, piuttosto, sul piano dei diritti della personalita'. In particolare, cio' vale per le competenze in materia di formazione professionale, le quali non sono affatto disciplinate dalla legge impugnata. Quanto alle censure rivolte all'art. 12, l'Avvocatura dello Stato contesta l'interpretazione proposta dalle ricorrenti, secondo la quale regioni e province autonome sarebbero obbligate ad assumere le iniziative di supporto ivi descritte. Si tratterebbe, al contrario, di interventi meramente facoltativi, nei confronti dei quali non avrebbero conseguentemente ragion d'essere i dubbi di legittimita' costituzionale formulati con riferimento all'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Ne', ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, possono ritenersi fondate le censure sotto il profilo della lesione dell'autonomia organizzativa. Premesso, infatti, che il vincolo nella scelta dei soggetti con i quali stipulare convenzioni che abbiano il requisito della presenza nell'intero territorio regionale (e non nazionale, come affermato dalle ricorrenti) riguarderebbe le sole regioni a statuto ordinario, la difesa dello Stato ritiene che tale previsione sia giustificata dallo scopo di assicurare un'uniforme copertura dell'attivita' di supporto, in maniera che la promozione dell'imprenditoria femminile ne resti ugualmente coadiuvata sul territorio di ciascuna regione. 4. - In prossimita' dell'udienza, le ricorrenti hanno presentato memorie con le quali insistono per l'accoglimento delle sollevate questioni di legittimita' costituzionale. Replicando alle deduzioni dell'Avvocatura dello Stato, le ricorrenti osservano che il perseguimento di finalita' di eguaglianza sostanziale non e' di per se' ragione sufficiente per giustificare deroghe al riparto costituzionale delle competenze tra Stato e regioni (o province autonome). In realta', il legislatore statale potrebbe legittimamente intervenire nelle materie assegnate alle regioni (o alle province autonome) ai fini perseguiti dalla legge impugnata soltanto dettando principi fondamentali o norme fondamentali di riforma economico-sociale ovvero erogando finanziamenti a destinazione vincolata. Del resto, poiche' l'art. 3, secondo comma, della Costituzione assegna tale compito alla Repubblica, deve ritenersi che quest'ultimo debba essere svolto dallo Stato, dalle regioni o dalle province autonome nell'ambito delle rispettive competenze, individuate in base a criteri oggettivi, non in base a criteri teleologici. Le ricorrenti contestano, quindi, l'assunto della difesa dello Stato in base al quale la legge impugnata nulla aggiungerebbe all'assetto normativo dei vari settori di attivita', osservando che, al contrario, gli strumenti individuati dalla legge impugnata (incentivazioni finanziarie di investimenti aziendali o di acquisto di servizi da parte delle imprese; finanziamenti di corsi di formazione imprenditoriale) sono di per se' oggettivamente attinenti all'ambito della disciplina dei singoli settori interessati. In ogni caso, proseguono le ricorrenti, quand'anche si volesse ritenere non preclusa allo Stato la disciplina specifica e di immediata applicazione degli interventi previsti dalla legge impugnata, dovrebbe ritenersi ingiustificata l'attribuzione agli organi ministeriali centrali dell'attivita' amministrativa di erogazione dei finanziamenti. Nessuna finalita' di eguaglianza sostanziale, infatti, potrebbe giustificare l'avocazione allo Stato delle competenze amministrative di spesa in materie rientranti tra le attribuzioni regionali o provinciali. Quanto all'art. 12, le ricorrenti prendono atto delle deduzioni dell'Avvocatura dello Stato, secondo le quali le iniziative regionali o provinciali ivi previste sarebbero facoltative e non obbligatorie. La Regione Lombardia, in particolare, osserva, in ogni caso, che anche l'accertata facoltativita' delle convenzioni non farebbe venir meno la dedotta lesione della propria autonomia organizzativa, dal momento che le attivita' previste dall'art. 12 vanno comunque realizzate nell'ambito regionale mediante strumenti organizzativi disciplinati dalla legge statale e attraverso soggetti aventi le caratteristiche individuate dalla stessa legge. Considerato in diritto 1. - Le questioni di legittimita' costituzionale sottoposte al giudizio di questa Corte, le quali investono varie disposizioni contenute nella legge 25 febbraio 1992, n. 215 (Azioni positive per l'imprenditoria femminile), sono state sollevate da due distinti ricorsi regolarmene notificati e depositati dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Regione Lombardia. Con il primo dei menzionati ricorsi la Provincia ricorrente contesta la legittimita' costituzionale degli artt. 2, 3, 4, 6 e 8 della legge n. 215 del 1992, ritenendo che le disposizioni ivi contenute si pongano in contrasto con: a) le competenze di tipo esclusivo attribuite alla stessa Provincia dall'art. 8, nn. 9 (artigianato), 18 (comunicazioni e trasporti d'interesse provinciale), 20 (turismo e industria alberghiera), 21 (agricoltura e foreste) e 29 (addestramento e formazione professionale) dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e relative norme di attuazione; b) le competenze di tipo concorrente assicurate alla Provincia medesima dall'art. 9, nn. 3 (commercio), 7 (esercizi pubblici) e 8 (incremento della produzione industriale) del citato Statuto speciale e relative norme di attuazione; c) le competenze di natura amministrativa attribuite alla ricorrente sulle materie indicate nelle lettere precedenti in virtu' dell'art. 16 del ricordato Statuto speciale; d) la speciale attribuzione assegnata alla Provincia dall'art. 15 del citato Statuto speciale in ordine alle quote degli stanziamenti annuali iscritti nel bilancio dello Stato per l'attuazione di leggi statali che prevedono interventi finanziari a favore dell'incremento delle attivita' industriali. Con il medesimo ricorso, la Provincia autonoma di Trento contesta altresi' la legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge n. 215 del 1992, deducendone il contrasto con la propria autonomia organizzativa e con il principio posto dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione, in base al quale ogni legge che comporti nuove spese deve contestualmente prevedere i mezzi finanziari per farvi fronte. Con il secondo ricorso la Regione Lombardia ha contestato la legittimita' costituzionale degli artt. 2, 3, 4, 6 e 8 della legge n. 215 del 1992, deducendo la violazione degli artt. 117 e 118 (competenze legislative e amministrative in materia di turismo e industria alberghiera, trasporti d'interesse regionale, istruzione artigiana e professionale, agricoltura e foreste, artigianato) e dell'art. 119 (autonomia finanziaria). Anche la Regione Lombardia contesta la legittimita' costituzionale dell'art. 12, deducendo la violazione della propria autonomia organizzativa e dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, in connessione con l'art. 109 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, l'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468 e l'art. 3, sesto comma, della legge 14 giugno 1990, n. 158. Poiche' i predetti ricorsi prospettano questioni di legittimita' costituzionale identiche o connesse, i relativi giudizi vanno decisi con un'unica sentenza. 2. - Una prima censura riguarda gli artt. 2, 4 e 8 della legge n. 215 del 1992, i quali determinano, rispettivamente, i soggetti che possono accedere ai benefici disposti dalla predetta legge (art. 2) e le agevolazioni previste al fine di incentivare la promozione di nuove imprenditorialita' femminili e di permettere l'acquisizione di servizi reali da parte dei soggetti precedentemente indicati (artt. 4 e 8). Ad avviso delle ricorrenti, le disposizioni contenute nei predetti articoli sembrano contrastare con le norme costituzionali ricordate nel precedente punto della motivazione, dal momento che individuerebbero le agevolazioni finanziarie e i relativi possibili beneficiari in relazione ad attivita' economiche e imprenditoriali svolgentisi in ambiti (agricoltura, turismo, etc.) affidati alle competenze delle province autonome e delle regioni. Le questioni non sono fondate. Al fine di decidere i dubbi di costituzionalita' sollevati nei confronti degli artt. 2, 4 e 8 della legge impugnata, occorre prima precisare in cosa consistono le "azioni positive" a favore delle donne nel campo imprenditoriale. 2.1. - Ai sensi dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 215 del 1992, le disposizioni contenute nell'atto contestato perseguono le seguenti finalita': a) favorire la creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa; b) promuovere la formazione imprenditoriale e qualificare la professionalita' delle donne imprenditrici; c) agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile; d) favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari da parte delle donne; e) promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile nei comparti piu' innovativi dei diversi settori produttivi. In vista della realizzazione di tali fini, l'impugnato art. 2 individua, quali soggetti che possono accedere ai benefici indicati in altre disposizioni della stessa legge, le societa' cooperative e di persone costituite in misura non inferiore al sessanta per cento da donne, le societa' di capitali le cui quote di partecipazione appartengano in misura non inferiore ai due terzi a donne e i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno i due terzi da donne, le imprese individuali gestite da donne operanti nei settori dell'industria, dell'artigianato, dell'agricoltura, del commercio, del turismo e dei servizi (lettera a). Lo stesso articolo, alla lettera b), aggiunge che ai medesimi benefici possono accedere le imprese o i loro consorzi, le associazioni, gli enti, le societa' di promozione imprenditoriale, anche a capitale misto pubblico e privato, i centri di formazione imprenditoriale o eroganti servizi di consulenza e di assistenza tecnica e manageriale riservati, per una quota non inferiore al settanta per cento, a donne. In relazione alle distinte categorie di soggetti indicati nelle due lettere dell'art. 2, l'art. 4 determina, poi, le agevolazioni di cui quei soggetti possono beneficiare. Le societa' e le imprese indicati nella lettera a), sempreche' siano costituite dopo l'entrata in vigore della legge n. 215 del 1992, possono usufruire di contributi in conto capitale fino al cinquanta per cento delle spese per impianti e attrezzature sostenute per l'avvio dell'impresa ovvero per l'acquisto di attivita' commerciali e turistiche o di attivita' nel settore dell'industria, dell'artigianato, del commercio o dei servizi, nonche' per i progetti aziendali connessi all'introduzione di qualificazione e di innovazione attinenti ai prodotti, alle tecnologie o all'organizzazione. Inoltre, gli stessi soggetti ora considerati possono beneficiare di contributi fino al trenta per cento delle spese sostenute per l'acquisizione di servizi destinati all'aumento della produttivita', all'innovazione organizzativa, al trasferimento delle tecnologie, alla ricerca di nuovi mercati per il collocamento dei prodotti, all'acquisizione di nuove tecniche di produzione, di gestione e di commercializzazione, nonche' per lo sviluppo di sistemi di qualita'. I soggetti indicati nell'art. 2, lettera b), possono usufruire, a norma dell'art. 4, terzo comma, di contributi fino al cinquanta per cento delle spese sostenute per le attivita' descritte dallo stesso art. 2. Infine, l'art. 8 dispone che ai soggetti indicati nell'art. 2, lettera a), possono essere concessi finanziamenti agevolati, di importo non superiore a trecento milioni e di durata non superiore a cinque anni, ad un tasso di interesse pari al cinquanta per cento del tasso di riferimento in vigore per il settore cui appartiene l'impresa beneficiaria. 2.2. - Dalla descrizione ora compiuta si desume che le disposizioni impugnate prevedono incentivazioni finanziarie a favore di imprese a prevalente partecipazione femminile ovvero a favore di istituzioni vo'lte a promuovere l'imprenditorialita' femminile, al chiaro scopo di agevolarne lo sviluppo, con riferimento ai momenti piu' importanti del ciclo produttivo, nei vari settori merceologici in cui operano. Si tratta, piu' precisamente, di interventi di carattere positivo diretti a colmare o, comunque, ad attenuare un evidente squilibrio a sfavore delle donne, che, a causa di discriminazioni accumulatesi nel corso della storia passata per il dominio di determinati comportamenti sociali e modelli culturali, ha portato a favorire le persone di sesso maschile nell'occupazione delle posizioni di imprenditore o di dirigente d'azienda. In altri termini, le finalita' perseguite dalle disposizioni impugnate sono svolgimento immediato del dovere fondamentale - che l'art. 3, secondo comma, della Costituzione assegna alla Repubblica - di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Le "azioni positive", infatti, sono il piu' potente strumento a disposizione del legislatore, che, nel rispetto della liberta' e dell'autonomia dei singoli individui, tende a innalzare la soglia di partenza per le singole categorie di persone socialmente svantaggiate - fondamentalmente quelle riconducibili ai divieti di discriminazione espressi nel primo comma dello stesso art. 3 (sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali) - al fine di assicurare alle categorie medesime uno statuto effettivo di pari opportunita' di inserimento sociale, economico e politico. Nel caso di specie, le "azioni positive" disciplinate dalle disposizioni impugnate sono dirette a superare il rischio che diversita' di carattere naturale o biologico si trasformino arbitrariamente in discriminazioni di destino sociale. A tal fine e' prevista, in relazione a un settore di attivita' caratterizzato da una composizione personale che rivela un manifesto squilibrio a danno dei soggetti di sesso femminile, l'adozione di un trattamento di favore nei confronti di una categoria di persone, le donne, che, sulla base di una non irragionevole valutazione operata dal legislatore, hanno subi'to in passato discriminazioni di ordine sociale e culturale e, tuttora, sono soggette al pericolo di analoghe discriminazioni. Trattandosi di misure dirette a trasformare una situazione di effettiva disparita' di condizioni in una connotata da una sostanziale parita' di opportunita', le "azioni positive" comportano l'adozione di discipline giuridiche differenziate a favore delle categorie sociali svantaggiate, anche in deroga al generale principio di formale parita' di trattamento, stabilito nell'art. 3, primo comma, della Costituzione. Ma tali differenziazioni, proprio perche' presuppongono l'esistenza storica di discriminazioni attinenti al ruolo sociale di determinate categorie di persone e proprio perche' sono dirette a superare discriminazioni afferenti a condizioni personali (sesso) in ragione della garanzia effettiva del valore costituzionale primario della "pari dignita' sociale", esigono che la loro attuazione non possa subire difformita' o deroghe in relazione alle diverse aree geografiche e politiche del Paese. Infatti, se ne fosse messa in pericolo l'applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale, il rischio che le "azioni positive" si trasformino in fattori (aggiuntivi) di disparita' di trattamento, non piu' giustificate dall'imperativo costituzionale di riequilibrare posizioni di svantaggio sociale legate alla condizione personale dell'essere donna, sarebbe di tutta evidenza. Cio' non toglie che nel programma di "azioni positive" previsto, in conformita' alla precisa indicazione costituzionale che ne affida il compito alla "Repubblica", siano coinvolti anche soggetti pubblici diversi dallo Stato (regioni e province autonome). Ma un coinvolgimento del genere, come la Corte non ha mai mancato di affermare (v., da ultimo, sent. n. 281 del 1992), e' costituzionalmente possibile soltanto all'interno di un quadro diretto a garantire un'effettiva coerenza di obiettivi e di comportamenti. 2.3. - Sulla base delle suesposte motivazioni vanno rigettati i dubbi di legittimita' costituzionale sollevati dalle ricorrenti nei confronti degli artt. 2, 4 e 8 della legge n. 215 del 1992. Analogamente a quanto si riscontra nella piu' recente legislazione sociale (sulla quale questa Corte si e' gia' pronunziata: v. sentt. nn. 75, 202, 281 e 406 del 1992), le disposizioni impugnate pongono una disciplina positivamente differenziata in dipendenza di fattori direttamente attinenti a qualita' soggettive delle categorie di persone considerate, e non gia' in ragione delle attivita' da esse svolte. Questo carattere della disciplina impugnata testimonia la portata generale della stessa, nel senso che contiene misure concernenti le imprese condotte da donne o a prevalente partecipazione femminile, senza riguardo ai particolari settori materiali nei quali queste operano. Tali settori, infatti, sono presi in considerazione dal legislatore unicamente al fine di specificare la natura imprenditoriale delle attivita' e non gia' a quello di privilegiare taluni settori materiali e di riservare ad essi soltanto il superamento delle discriminazioni che si intendono eliminare. Quanto affermato non porta ad escludere che l'attuazione delle "azioni positive" a favore dell'imprenditoria femminile possa in concreto interferire con le politiche di incentivazione che le regioni o le province autonome promuovono nei settori materiali affidati alle loro competenze. Tale incidenza indiretta, secondo il costante orientamento di questa Corte (v., da ultimo, sentt. nn. 281, 366 e 406 del 1992), non puo' tuttavia costituire motivo di illegittimita' costituzionale, ma esige, piuttosto, la previsione di adeguati strumenti di cooperazione fra lo Stato e le regioni (o le province autonome). 3. - Le considerazioni appena svolte conducono all'accoglimento parziale delle questioni di legittimita' costituzionale che le ricorrenti hanno sollevato nei confronti dell'art. 6 della legge n. 215 del 1992. Tale articolo, al primo comma, demanda a un decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, di concerto con il Ministro del tesoro, la determinazione dei criteri e delle modalita' per la presentazione delle domande e per la concessione delle agevolazioni previste dal gia' ricordato art. 4. Per questo aspetto le censure mosse dalle ricorrenti vanno rigettate, dal momento che l'attribuzione allo Stato del potere di stabilire programmi di "azioni positive" riguardo all'imprenditoria femminile fa consequenzialmente cadere la pretesa lesivita' dell'intervento di un decreto ministeriale diretto a fissare i criteri e le modalita' per l'attuazione di quei programmi legislativi. Al contrario, vanno parzialmente accolte le censure che le stesse ricorrenti muovono al secondo comma dell'art. 6, per il quale le agevolazioni sono concesse con decreto del Ministro dell'industria, di concerto con i Ministri competenti per i settori cui appartengono i soggetti beneficiari, ma senza alcuno strumento di cooperazione con le regioni o le province autonome, le cui materie di propria competenza siano interessate dal suddetto decreto. Le censure delle ricorrenti vanno accolte su quest'ultimo punto, poiche' l'esercizio del potere statale di concedere agevolazioni alle imprese a prevalente partecipazione femminile o condotte da donne, giustificato dalla necessita' di assicurare condizioni di uniformita' su tutto il territorio nazionale in ordine all'attuazione di un valore costituzionale primario, come la realizzazione dell'eguaglianzaeffettiva delle donne e degli uomini nel campo dell'imprenditoria, produce indubbie interferenze sullo svolgimento delle competenze regionali (o provinciali), allorche' le agevolazioni da concedere riguardino imprese operanti in settori materiali sottoposti alla disciplina dei poteri regionali (o provinciali) medesimi. In relazione a tali interferenze, il principio costituzionale di leale cooperazione esige che la decisione statale di concessione delle predette agevolazioni sia preceduta da forme di raccordo con le regioni (o le province autonome) nel cui ambito di competenza ricadono le attivita' delle imprese destinatarie dei benefici previsti dalla legge n. 215 del 1992. Tale esigenza di cooperazione, che peraltro la disposizione impugnata soddisfa unicamente nei rapporti con gli altri ministeri (mediante il "concerto"), si impone tanto piu' nei rapporti con le regioni e le province autonome, dal momento che l'art. 12 della legge impugnata prevede che queste ultime concorrano - attraverso la predisposizione di propri programmi di "azioni positive" coerenti con quelli nazionali - al raggiungimento degli obiettivi di eguaglianza sostanziale perseguiti dalla legge stessa. Per le ragioni ora esposte, quando la concessione delle agevolazioni da parte del Ministro dell'industria interferisce con competenze attribuite alle regioni a statuto ordinario e alle prov- ince autonome, il relativo potere non puo' essere esercitato senza che sia previsto un adeguato strumento di collaborazione tra Stato e regioni (o province autonome). 4. - Non fondate sono le questioni di legittimita' costituzionale sollevate da entrambe le ricorrenti nei confronti dell'art. 12 della legge n. 215 del 1992. Nel prevedere che le regioni e le province autonome, in vista di finalita' coerenti con la stessa legge, attuino, in accordo con le associazioni di categoria, programmi che prevedano la diffusione di informazioni mirate, nonche' la realizzazione di servizi di consulenza e di assistenza tecnica, di progettazione organizzativa, di supporto alle attivita' agevolate dalla legge medesima, l'art. 12 violerebbe l'autonomia organizzativa garantita alle regioni e alle province autonome la' dove stabilisce, secondo la prospettazione delle ricorrenti, la necessita' dell'accordo con le associazioni di categoria. La stessa sfera di competenze sarebbe violata, sempre secondo le ricorrenti, anche dal secondo comma dello stesso articolo, che prevede, per la realizzazione dei predetti programmi, la stipulazione di convenzioni con enti pubblici e privati, presenti nel territorio, aventi esperienza in materia. Infine, anche il terzo comma dell'art. 12 sarebbe costituzionalmente illegittimo, in quanto violerebbe l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, per aver limitato la possibilita' per le regioni e le province autonome di attingere al Fondo nazionale ad un ammontare non superiore al trenta per cento della spesa prevista, di modo che sarebbero stabiliti oneri finanziari sprovvisti di adeguati mezzi di copertura. Le censure ora considerate muovono tutte dal presupposto erroneo che le regioni e le province autonome siano obbligate a predisporre i programmi indicati nell'art. 12, con il conseguente vincolo a stipulare le convenzioni e gli accordi previsti e a finanziare le suddette attivita', per il settanta per cento, con risorse proprie. In realta', sia se interpretato nella sua stretta letteralita', sia se collocato in una visione sistematica dell'intera legge, l'art. 12 porta a configurare la predisposizione e la realizzazione dei programmi di "azioni positive" come una facolta' delle regioni e delle province autonome. Sotto il profilo letterale, occorre considerare che l'articolo in esame mira a predisporre un quadro di coordinamento fra le iniziative a favore dell'imprenditoria femminile poste in essere dallo Stato e quelle concorrenti autonomamente decise dalle regioni e dalle province autonome. L'art. 12, sotto quest'ultimo aspetto, si limita a prevedere la necessita' della coerenza dei programmi liberamente determinati dalle regioni (e dalle province autonome) con le finalita' d'interesse generale perseguite dalla legge n. 215 del 1992 e a stabilire, anche in relazione al contributo finanziario statale del trenta per cento della spesa prevista per i suddetti programmi, la via preferenziale dell'accordo con le associazioni di categoria (per la predisposizione dei programmi medesimi) e quella della convenzione con enti pubblici e privati aventi particolare esperienza in materia (per la realizzazione dei programmi stessi). Si tratta, com'e' evidente, di vincoli e di disposizioni che non possono in alcun modo esser considerati lesivi dell'autonomia costituzionale spettante alle ricorrenti. 5. - Deve, infine, dichiararsi la non fondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Regione Lombardia nei confronti dell'art. 3 della legge n. 215 del 1992, il quale prevede l'istituzione presso il Ministero dell'industria del Fondo nazionale per lo sviluppo dell'imprenditoria femminile. Infatti, poiche' per le ragioni precedentemente illustrate la materia regolata dalla legge in questione sfugge alle competenze regionali o provinciali, vengono conseguentemente a cadere le censure delle ricorrenti in ordine a una presunta violazione della autonomia ad esse assicurata dalle disposizioni statutarie e costituzionali ricordate al punto 1 della presente motivazione.