Ricorso della regione  autonoma  della  Sardegna,  in  persona  del
 presidente  della  giunta  regionale pro-tempore on.le ing. Antonello
 Cabras, giusta deliberazione della  giunta  regionale  del  17  marzo
 1993,  n.  11/1,  rappresentata  e  difesa  -  in virtu' di procura a
 margine del presente atto -  dall'avv.  prof.    Sergio  Panunzio,  e
 presso   quest'ultimo   elettivamente  domiciliato  in  Roma,  piazza
 Borghese n. 3; contro la Presidenza del Consiglio  dei  Ministri,  in
 persona  del Presidente del Consiglio in carica; per la dichiarazione
 di incostituzionalita' dell'art. 1, commi primo,  secondo  e  quarto-
 ter, del d.l. 19 dicembre 1992, n. 485, convertito con modificazioni
 in  legge  17 febbraio 1993, n. 32, recante "Contributo straordinario
 per la parziale copertura dei disavanzi delle  aziende  di  trasporto
 pubblico locale".
                               F A T T O
    Nella  Gazzetta Ufficiale del 17 febbraio u.s. e' stata pubblicata
 la legge 17 febbraio 1993, n. 32, che ha  convertito  in  legge,  con
 modificazioni,  il  d.l.  n.  485/1992,  indicato  in epigrafe. Tale
 decreto-legge - come e' detto nel preambolo -  e'  stato  emanato  in
 considerazione  del  "grave  stato  di  tensione  esistente  tra  gli
 operatori del trasporto pubblico locale nelle aree metropolitane, con
 possibili riflessi anche sull'ordine pubblico"; e,  quindi  "ritenuta
 la  straordinaria necessita' ed urgenza di disporre la concessione di
 un contributo straordinario, finalizzato alla parziale copertura  dei
 disavanzi  di  esercizio del trasporto pubblico locale, relativi agli
 anni 1987-1991".
    Ai fini del presente ricorso vengono  soprattutto  in  evidenza  i
 primi  due  commi  dell'art.  1  del  decreto-legge. Il primo di essi
 stabilisce  che  "Lo  Stato  concorre  alla  parziale  copertura  dei
 disavanzi  di  esercizio  relativi agli anni 1987-1991 dei servizi di
 trasporto pubblico locale di cui all'articolo 1 della legge 10 aprile
 1981, n. 151, con un contributo straordinario di lire  380  miliardi.
 Le  regioni  e gli enti locali sono autorizzati a contrarre mutui con
 istituti diversi dalla Cassa depositi e prestiti  e  dalla  Direzione
 generale degli istituti di previdenza del Ministero del tesoro per la
 coperatura  di  disavanzi  di  esercizio di trasporto locale relativi
 all'anno 1991; l'onere di ammortamento dei  mutui  e'  a  carico  dei
 bilanci  degli  enti  locali e delle regioni. Ai fini dell'assunzione
 dei predetti mutui si applicano le disposizioni di cui agli artt.  2,
 terzo  comma,  e  2-bis, secondo comma, del d.l. 31 ottobre 1990, n.
 310, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 1990,  n.
 403".
    Tuttavia  la  regione  Sardegna  e'  esclusa  dalla erogazione del
 contributo straordinario di cui al suddetto primo comma.  Infatti  il
 successivo secondo comma dell'art. 1 stabilisce che "Il contributo di
 cui  al  primo  comma  e'  attributo,  con  decreto del Ministero del
 tesoro, sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato,
 le regioni e le province autonome di cui all'art. 12 della  legge  23
 agosto  1988,  n. 400, alle regioni a statuto ordinario sulla base di
 quanto assegnato in sede  di  riparto  del  Fondo  nazionale  per  il
 ripiano  dei  disavanzi di esercizio di cui all'art. 9 della legge 10
 aprile 1981, alle singole regioni relativamente agli anni 1987-1991".
    La surriferita disciplina legislativa, nella parte in cui  esclude
 dai   finanziamenti   la   regione   autonoma   della   Sardegna,  e'
 incostituzionale e lesiva  delle  sue  competenze  costituzionalmente
 garantite, onde essa le impugna per i seguenti motivi di
                             D I R I T T O
    Violazione delle attribuzioni regionali di cui agli artt. 3, lett.
 g),  4,  lett. g), 6, al titolo terzo (art. 7-14); agli artt. 54 e 56
 dello  statuto  speciale  della  Sardegna  (legge  costituzionale  26
 febbraio  1948,  n.  3)  e delle relative norme d'attuazione; nonche'
 degli artt. 3, 81, 116 e 119 della Costituzione.
    1. - Come si e' visto, la disciplina legislativa impugnata esclude
 la  regione  ricorrente (e le altre regioni a statuto speciale) dalla
 assegnazione dei contributi straordinari dello Stato per la copertura
 dei disavanzi di esercizio relativi agli anni 1987-91  delle  aziende
 esercenti  servizi  di  trasporto pubblico locale, previsti dal primo
 comma dell'art. 1 del d.l. n. 485/1992. Ma se questo e' il  primo  e
 piu' evidente effetto della disciplina legislativa impugnativa, ve ne
 e'  in  realta'  anche  un  altro  (che ne costituisce anzi il logico
 presupposto).  Quella  disciplina,  cioe',  conferma  e  perpetua  le
 esclusione  della  regione  Sardegna (e delle altre regioni a statuto
 speciale)  dal  riparto  del  Fondo  nazionale  per  il  ripiano  dei
 disavanzi di esercizio di cui all'art. 9 della legge n. 151/1981, che
 era  stato  provvisoriamente  disposto dall'art. 18, primo comma, del
 d.l. 28 dicembre 1989, n. 415.
    Al riguardo occorre ricordare brevemente  la  vicenda  legislativa
 che  ha  portato  alla disciplina oggi impugnata (vicenda, del resto,
 ben nota a codesta ecc.ma Corte).
    La legge 10 aprile  1981,  n.  151  (legge  quadro  sui  trasporti
 pubblici  locali),  istitui'  con l'art. 9, il Fondo nazionale per il
 ripiano di esercizio delle aziende di trasporto pubbliche  e  private
 che  esercitano  i  servizi  di  trasporto pubblico locale: Fondo che
 veniva ripartito fra tutte le regioni, a statuto  sia  ordinario  che
 speciale  (ed  alle  province  autonome).  Peraltro il citato decreto
 legge n. 415/1989 dispone, all'art. 18, la esclusione dal riparto  di
 tale  Fondo  delle  regioni, a statuto speciale (e delle due province
 autonome).
    Quest'ultima disposizione venne impugnata innanzi a codesta ecc.ma
 Corte da tutte  le  regioni  a  statuto  speciale  e  dalle  province
 autonome  di  Trento  e  Bolzano,  insieme  ad altre disposizioni del
 decreto legge n. 415/1989 che analogamente escludevano  o  riducevano
 la  partecipazione  delle  sole  regioni  ad  autonomia  speciale  da
 finanziamenti dello Stato relativi a materie di loro competenza (spe-
 cie l'art. 19 relativo al Fondo sanitario nazionale). Nel ricorso  si
 dedusse  allora  la  illegittimita'  di quella disciplina legislativa
 perche' essa, operando a carico delle sole regioni a statuto speciale
 ricorrenti dei tagli assai consistenti ai  trasferimenti  finanziari,
 in relazione ad attivita' e spese che peraltro la Regione stessa deve
 comunque  effettuare  (per  vincolo  costituzionale  o di legge dello
 Stato), ne violava gravemente l'autonomia:  sia  quella  finanziaria,
 sia quella "funzionale" (costringendola in ogni caso a coprire quelle
 spese  sottraendo proprie risorse finanziarie ad altre destinazioni e
 comprimendo e pregiudicando il livello e la  qualita'  dell'esercizio
 delle funzioni e dei servizi).
    Ma,  com'e' noto, con la sentenza n. 381/1990 codesta ecc.ma Corte
 dichiaro' con fondata la suddetta questione.
    In realta' codesta ecc.ma, in quella sentenza, non nego'  che,  in
 effetti,  le  disposizioni  del  decreto  legge  n.  415/1989  allora
 impugnato (fra cui appunto l'art. 18, primo comma) determinassero  un
 grave  squilibro  nella  finanza  delle  provincie  autonome  e delle
 regioni a statuto speciale; ed  affermo'  anche  che  la  specialita'
 della  loro  autonomia "deve riflettersi anche sul piano finanziario,
 nel senso che le regioni e le province autonome cui la Costituzione e
 gli statuti assegnano piu' ampie e significative  competenze  debbono
 esser  messe  in  grado  di  avere a disposizione risorse finanziarie
 maggiori e, comunque, adeguate alla piu' elevata quantita' e qualita'
 delle attribuzioni loro spettanti".
    Ma  cio'  che,  secondo  la motivazione della sentenza n. 381/1990
 (spec. n. 5 della motivazione "in diritto"), valse ad  escludere  una
 dichiarazione  di  incostituzionalita'  dell'art.  19  del  d.l.  n.
 415/1989 fu essenzialmente il  carattere  di  "provvisorieta'"  e  di
 "urgenza"   che   a   quella   disciplina  legislativa  venne  allora
 riconosciuta. Una disciplina che - come allora fu  detto  da  codesta
 ecc.ma Corte - si giustificava in quanto "propedeutica" rispetto agli
 imminenti   "futuri   aggiustamenti   che   verranno  definitivamente
 apportati a seguito di trattative del Governo con le singole  regioni
 (o   province)  ad  autonomia  differenziata  e  nell'ambito  di  una
 riconsiderazione globale della materia, basata su  piu'  approfondite
 analisi del rapporto tra i flussi finanziari esistenti fra lo Stato e
 le  regioni  (e  le  province  autonome)  e le funzioni esercitate da
 queste ultime". E la sentenza n. 381/1990  non  manco'  di  precisare
 anche   che   gli   strumenti  normativi  appropriati  per  stabilire
 finalmente una  disciplina  che  realizzasse  un  equilibrio  tra  le
 risorse  finanziarie  assegnate  alle  regioni  (e  alle province) ad
 autonomia differenziata e i piu'  complessi  compiti  assegnati  alle
 medesime  sono  costituiti  non  gia'  da  provvedimenti  legislativi
 contingenti, episodici e  frammentari,  ma  invece  "dalle  norme  di
 attuazione  e  dalle  leggi  previste  dagli statuti per la revisione
 delle proprie norme finanziarie".
    Ma  quattro  anni  dopo  il  d.l.  n.   415/1989,   anziche'   la
 preannunciata   revisione  globale  della  vigente  disciplina  della
 finanza regionale e del rapporto fra entrate e spese, sulla  base  di
 apposite  trattative  fra  Governo  e regione e mediante lo strumento
 normativo costituzionalmente corretto, si e' avuto invece in  materia
 un  ennesimo  intervento "contingente": prova ulteriore, se mai ce ne
 fosse stato bisogno, che troppe volte il legislatore rende definitivo
 cio' che invece doveva essere provvisorio.
    Infatti, come si e' visto, il d.l. n. 485/1992,  oggi  impugnato,
 con   il  secondo  comma  dell'art.  1,  da  un  lato  ha  confermato
 l'esclusione della regione ricorrente dalla  ripartizione  del  Fondo
 nazionale  per il ripiano dei disavanzi di esercizio, ex art. 9 della
 legge n. 151/1981; dall'altro ha escluso l'attribuzione ad essa anche
 del contributo straordinario di cui al primo comma dello stesso  art.
 1.
    2.  -  Dunque, in primo luogo, la disciplina legislativa impugnata
 e' incostituzionale (per violazione delle norme costituzionali  sopra
 indicate)  nella  parte  in  cui, ad un tempo, conferma la esclusione
 della regione ricorrente - e delle altre  (sole)  regioni  a  statuto
 speciale - dal riparto del Fondo ex art. 9 della legge n. 151/1981, e
 la  esclude anche dalla attribuzione del contributo straordinario, di
 cui al primo comma dell'art. 1 del d.l. n. 485/1992.
    La regione ricorrente, infatti, allo stesso modo delle  regioni  a
 statuto  ordinario,  deve  ripianare  i  disavanzi di esercizio delle
 aziende di trasporto pubblico locale  operanti  nel  suo  territorio,
 anche  in  applicazione  dei principi stabiliti dalla legge n. 151/81
 (artt. 6 e 9) e dallo stesso art.  18,  primo  comma,  del  d.l.  n.
 415/1989.  Ma  allora  la confermata esclusione dai trasferimenti del
 Fondo, ed ora  anche  la  esclusione  del  contributo  straordinario,
 disposti  dal  d.l.  n.  485/1992, violano i principi costituzionali
 dell'autonomia finanziaria della regione  nelle  materie  di  propria
 competenza  (nella specie trasporti locali, ed anche servizi pubblici
 di interesse regionale). in quanto addossano alla medesima  un  onere
 finanziario  senza  pero'  dotarla,  come  la  legge invece fa per le
 regioni a statuto ordinario, delle risorse per farvi fronte.
    Lesione che risulta tanto  piu'  evidente  se  si  considerano  le
 potesta'  statali  in ordine sia alla determinazione delle tariffe di
 trasporto, sia in ordine agli oneri  di  esercizio  come  quelli  del
 personale  (contratto  nazionale  autoferrotranvieri  per il triennio
 1990-92, alla cui formazione ha partecipato il  Governo,  ma  non  la
 regione) che impediscono alla regione di avere un effettivo controllo
 della  spesa;  ed  inoltre  se  si  considera  che  il legislatore e'
 recentemente intervenuto (art. 3 della legge 23 gennaio 1992, n. 500)
 sulla disciplina del Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi  di
 esercizio,  facendola  confluire,  nel  1993, nel fondo comune di cui
 all'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, ed in  conseguenza  di
 cio'  ha anche stabilito, con il comma 4- ter dello stesso art. 1 del
 d.l. n. 485/1992 oggi impugnato, la  istituzione  di  un  "fondo  di
 riequilibrio  per consentire alle regioni che abbiano subito rispetto
 all'anno 1992 una consistente riduzione della loro  assegnazione,  di
 rientrare  progressivamente, a partire dall'anno 1993, nella quota di
 riparto ordinario". Ma la Regione ricorrente,  essendo  gia'  esclusa
 dal  riparto  del  Fondo  ex art. 9 della legge n. 151/1981, e' stata
 esclusa  anche  dalla   ripartizione   di   quest'ultimo   fondo   di
 riequilibrio.  Onde  anche  il  comma 4- ter dell'art. 1 del d.l. n.
 485/1992  e'  incostituzionale  per  gli  stessi  motivi  dei   commi
 precedenti.
    Sembra  evidente  che  la incostituzionalita' della disciplina del
 decreto legge n. 485/1992, oggi impugnato,  non  puo'  essere  negata
 sulla  base  degli  argomenti  a  suo tempo addotti da codesta ecc.ma
 Corte, nella sentenza  n.  381/1990,  a  proposito  della  disciplina
 dell'art.  18,  primo  comma,  del  d.l.  n.  415/1989  (e poi nella
 sentenza  n.  356/1992,  in  relazione  agli  ulteriori  tagli  delle
 assegnazioni  del  fondo sanitario nazionale stabiliti dalla legge 30
 dicembre 1991, n. 412).
    La  disciplina  stabilita  dal  d.l.  n.  485/1992,  infatti,  e'
 certamente  priva  di  quel  carattere di "provvisorieta'" (in attesa
 della definitiva legge di riordino della materia) che  era  valsa  ad
 evitare  l'annullamento  dell'art.  18, primo comma, del del d.l. n.
 415/1989. Non vi e' nessun elemento nella disciplina legislativa oggi
 impugnata  che   possa   farla   ragionevolmente   considerare   come
 necessariamente  "propedeutica" rispetto ad una disciplina in itinere
 che costituisca una revisione organica della  materia.  Piuttosto  si
 potrebbe  osservare,  al  riguardo,  che  e' lo stesso persistere del
 legislatore statale in un medesimo tipo di  intervento,  di  per  se'
 inadeguato  a  regolare  la materia nel rispetto dell'autonomia delle
 regioni a statuto speciale, a fare  dubitare  retrospettivamente  del
 carattere  di "provvisorieta'" e di "propedeuticita'" precedentemente
 riconosciuto all'art. 18 del d.l. n. 415/1z989.
    Del resto la disciplina impugnata del decreto  legge  n.  485/1992
 non  puo'  neppure  considerarsi  come un provvedimento fondato sulla
 "urgenza" di porre in essere una prima parte  di  una  piu'  "globale
 manovra  finanziaria"  (come, sempre secondo la sentenza n. 381/1990,
 era il d.l. n. 415/1989). Come infatti si e'  detto  all'inizio,  lo
 stesso  preambolo  del  decreto  legge  oggi impugnato afferma che la
 urgenza  di  provvedere era collegata (anziche' alla indifferibilita'
 di un primo intervento di riodino finanziario) a problemi di  "ordine
 pubblico" (conseguenti ad un situazione di tensione esistente tra gli
 operatori del trasporto pubblico locale nelle aree metropolitane).
    Quanto  poi  al fine "perequativo" (cioe' il fine di riequilibrare
 il rapporto fra i flussi finanziari tra Stato  e  regioni  a  statuto
 speciale  e  province  autonome,  rispetto a quello intercorrente fra
 Stato e  regioni  ad  autonomia  ordinaria)  che  nella  sentenza  n.
 381/1990  si  riconobbe  alla  disciplina  dell'art.  18  (e ad altre
 disposizioni del decreto legge n. 415/1989), se tale fine deve essere
 ancora oggi realizzato, la strada non e' certo  quella  percorsa  dal
 legislatore  con  la  disciplina  qui impugnata. Come proprio codesta
 ecc.ma Corte aveva  chiaramente  affermato  nella  motivazione  della
 sentenza n. 318/1990, la strada non puo' che essere quella delle pre-
 vie  "trattative  del  Governo con le singole regioni (o province) ad
 autonomia differenziata" e, quindi della emanazione delle particolari
 "leggi previste dagli statuti per la revisione  delle  proprie  norme
 finanziarie"  (nel  caso della regione ricorrente si tratta dell'art.
 54, terzo comma, dello statuto), e dalla emanazione di nuove  "enorme
 di attuazione" dello statuto (art. 56 dello statuto).
    Ma  nulla  di  tutto  cio'  si  e'  avuto, appunto, nel caso della
 disciplina oggi impugnata, che non e' certamente il frutto ne'  delle
 procedure  statutariamente  previste,  ne'  -  comunque  -  di quelle
 "trattative" che erano state previste nella sentenza n. 381/1990.
    3. - Con particolare riferimento  alla  esclusione  della  regione
 ricorrente  dal  contributo  straordinario  di  cui  al  primo  comma
 dell'art. 1 del d.l. n. 485/1992, si deve a questo punto dedurre, in
 via subordinata, un ulteriore profilo  di  incostituzionalita'  della
 disciplina impugnata.
    Questa,  infatti,  gia'  e'  stata  impugnata per avere escluso la
 regione Sardegna dal contributo per tutti gli anni di esercizio per i
 quali il contributo e' previsto: cioe' gli anni 1987-1991.
    Comer si e' detto, la regione ricorrente e'  stata  esclusa  dalla
 ripartizione  del  Fondo  ex art. 9 della legge n. 151/1981 a partire
 dall'anno 1990 (art. 18, primo comma, del d.l. n. 415/1989). Orbene,
 ammettiamo - in denegata ipotesi - che  codesta  ecc.ma  Corte  possa
 ritenere  costituzionalmente  legittima  l'esclusione  della  regione
 ricorrente dalla attribuzione del contributo di cui  al  primo  comma
 dell'art.  1  del  d.l.  n.  485/1992 in quanto corollario del fatto
 (pure ritenuto costituzionalmente legittimo) che la stessa regione e'
 stata esclusa per legge dalla ripartizione del Fondo nazionale per il
 ripiano di disavanzi. Ammettiamo cioe' che -  ai  sensi  del  secondo
 comma dell'art. 1 del decreto legge impugnato - vi sia una necessaria
 interdipendenza  fra diritto al contributo straordinario e diritto al
 riparto del Fondo.
    Orbene, anche in questa ipotesi la  disciplina  impugnata  sarebbe
 comunque  incostituzionale  nella  parte  in  cui  nega  alla regione
 ricorrente  il  contributo  straordinario  anche  per  gli  anni   di
 esercizio  nei  quali  la  regione  stessa ha invece partecipato alla
 ripartizione del Fondo: cioe' per gli anni 1987, 1988 e 1989.
    Se per il triennio 1987/1989 la regione Sardegna  ha  partecipato,
 come   tutte  le  altre  regione  anche  a  statuto  ordinario,  alla
 ripartizione del Fondo, anch'essa, allora, assieme  a  queste  ultime
 regioni deve potere ancora beneficiare per quello stesso triennio dei
 contributi  straordinari previsti dal primo comma dell'impugnato art.
 1. Il secondo comma dell'art.  1  stabilisce  che  il  contributo  e'
 commisurato  sulla  base  di  quanto  assegnato "alle singole regioni
 relativamente agli anni 1987-1991"  in  sede  di  riparto  del  Fondo
 nazionale  ex  art.  9  della legge n. 151/1981; ma, poiche' anche la
 regione Sardegna negli anni 1987, 1988 e  1989  ha  partecipato  alle
 assegnazioni  del  Fondo,  non  vi  e'  ragione di escludere per quel
 triennio dalla assegnazione del contributo straordinario,  che  serve
 proprio  ad  integrare  le  assegnazioni  da  parte del Fondo di quel
 triennio, rivelatesi insufficienti a coprire i disavanzi.
    Almeno per questa  parte,  dunque,  la  esclusione  della  regione
 Sardegna   dai  contributi  straordinari  disposta  dalla  disciplina
 legislativa impugnata si risolve in  una  palese  lesione  delle  sue
 competenze  costituzionali  e  della  relativa autonomia finanziaria,
 secondo  quanto  gia'  detto  in  precedenza;   ed   anche   in   una
 discriminazione  irragionevole  (e  percio'  lesiva anche dell'art. 3
 della Costituzione) della regione ricorrente rispetto alle regioni  a
 statuto ordinario.