ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge
 12 luglio 1988, n. 270 (Attuazione del contratto collettivo nazionale
 di lavoro del personale autoferrotranviario ed internavigatore per il
 triennio 1985-1987, agevolazioni dell'esodo del personale inidoneo ed
 altre misure), promosso con ordinanza emessa il  2  luglio  1992  dal
 Pretore  di Roma nel procedimento civile vertente tra Biancone Davide
 e l'A.T.A.C., iscritta al  n.  563  del  registro  ordinanze  1992  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 42, prima
 serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 24 febbraio 1993 il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio civile avente ad oggetto la  domanda
 di  annullamento  del  provvedimento di esonero disposto dall'Azienda
 Tramvie ed Autobus del Comune di Roma (ATAC), ai  sensi  dell'art.  3
 della  legge 12 luglio 1988, n. 270 nei confronti di Davide Biancone,
 autista di linea fino al 1981  e  successivamente  adibito  ad  altre
 mansioni  per  sopravvenuta  inidoneita' determinata da un infortunio
 sul lavoro, il  Pretore  di  Roma,  quale  giudice  del  lavoro,  con
 ordinanza  del  2 luglio 1992 (r.o. n. 563 del 1992), ha ritenuto che
 l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi  1  e
 4,  della  legge  12 luglio 1988, n. 270, sollevata dal ricorrente in
 riferimento agli artt. 2, 3, 4, 35, 36, 38, e 41 della  Costituzione,
 fosse rilevante e non manifestamente infondata e ne ha quindi rimesso
 l'esame a questa Corte.
    Il  giudice  a  quo  ricorda che la norma in oggetto e' stata gia'
 denunziata per illegittimita' costituzionale e che  la  Corte,  nella
 sentenza  n.  60  del  1991,  ha ritenuto che essa rappresentasse una
 scelta non irrazionale e non arbitraria del legislatore. Ma, in  tale
 occasione, non era stato sottoposto al vaglio di costituzionalita' il
 particolare  profilo  riguardante  i  lavoratori  che  erano divenuti
 inidonei alle mansioni proprie della loro qualifica  a  causa  di  un
 infortunio  sul  lavoro.  Proprio la mancata considerazione, da parte
 del  legislatore,  di  tale  specifica  causa  di   inidoneita'   (in
 contraddizione  con  le peculiari tutele che l'ordinamento riserva al
 lavoratore infortunato)  legittima  -  secondo  il  remittente  -  il
 sospetto  di  violazione  della  Costituzione ed in particolare degli
 artt.  2  e  3,  con  riferimento  a  quei  doveri  inderogabili   di
 solidarieta'  politica,  economica e sociale, di cui la Repubblica ha
 il compito di garantire l'adempimento, cosi' come ha  il  compito  di
 rimuovere  gli  ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando
 di fatto la liberta' e l'uguaglianza dei  cittadini,  impediscono  il
 pieno  sviluppo  della  persona umana e l'effettiva partecipazione di
 tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica  e  sociale
 del Paese.
   Si  assume  inoltre,  nell'ordinanza,  la lesione dell'art. 4 della
 Costituzione  "sia  con  riferimento  alla   normativa   speciale   a
 protezione del lavoratore infortunato (art. 37 della legge 29 ottobre
 1971,  n. 889), sia con riferimento al suo diritto alla conservazione
 del posto (art. 27 - allegato b - regio decreto n.  148  del  1931)".
 Nella  specie - si osserva - l'arbitrarieta' e l'irrazionalita' della
 norma non  puo'  essere  esclusa  facendo  valere  l'antieconomicita'
 dell'utilizzazione del lavoratore inidoneo per infortunio, atteso che
 la   permanenza   del   trattamento   economico  in  godimento  prima
 dell'infortunio  stesso  e'  sancita  da   una   legge   diversa,   e
 precisamente  dall'art.  37  della  legge n. 889 del 1971, al fine di
 "impedire che l'evento della contratta inidoneita' possa incidere sul
 regolare svolgimento del rapporto". Deve  invece  ritenersi  che  sia
 arbitraria  ed  irragionevole una disciplina che espelle i lavoratori
 inidonei indipendentemente dalle cause della loro inidoneita', tenuto
 conto che l'infortunato, se permanentemente invalido,  ha  diritto  a
 chiedere  il  pensionamento  privilegiato,  senza che sia posto a suo
 carico il contributo mensile  di  cui  al  comma  4  dell'art.  3  in
 discussione,  laddove  per  effetto  di  quest'ultima  norma  egli e'
 assoggettato ad un esonero anticipato e ad un prepensionamento il cui
 costo in parte ricade su di lui.
    La violazione degli artt. 35, 36, 38 e 41 della Costituzione viene
 infine prospettata sulla base del rilievo che la normativa  impugnata
 da'  esclusiva  rilevanza  agli  interessi  del  datore di lavoro, al
 soddisfacimento  dei  quali  vengono  sacrificati   i   diritti   del
 lavoratore  infortunato. In particolare, sarebbe leso l'art. 38 della
 Costituzione da una disciplina - quale quella disposta  dal  comma  4
 dell'art. 3 - che, nel prevedere un prepensionamento coattivo, impone
 al   lavoratore  l'obbligo  di  contribuire  al  proprio  non  voluto
 pensionamento, con una quota che incide sulla pensione,  unico  mezzo
 di sostentamento.
    2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 chiedendo  che la questione sia dichiarata infondata e sostenendo che
 la stessa non presenta  profili  particolari  e  diversi  rispetto  a
 quelli gia' esaminati dalla Corte con la sentenza n. 60 del 1991.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Pretore  di Roma ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 3, punti 1 e 4, della legge 12 luglio  1988,
 n.  270  con  riferimento  agli  artt. 2, 3, 4, 35, 36, 38 e 41 della
 Costituzione.
    La norma predetta consente alle aziende esercenti pubblici servizi
 di trasporto di predisporre un programma quinquennale  di  esodo  dei
 lavoratori  iscritti  al  Fondo di previdenza dichiarati, entro il 20
 giugno 1986, inidonei rispetto alle mansioni proprie della  qualifica
 di  provenienza  e  che  abbiano  maturato  o  maturino nel corso del
 quinquennio, almeno quindici anni di effettiva contribuzione al Fondo
 di previdenza del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto.
    Secondo  il  giudice  remittente  la  norma  impugnata  imporrebbe
 l'esodo   obbligatorio   in   relazione  a  qualunque  condizione  di
 inidoneita', senza alcuna considerazione  delle  cause  che  siffatta
 inidoneita' hanno prodotto, e neppure della situazione particolare di
 chi   sia   divenuto   inidoneo   per   infortunio   sul  lavoro,  in
 contraddizione con la particolare tutela che l'ordinamento  riconosce
 al  lavoratore  infortunato sul lavoro. Di qui - ed in relazione alla
 specifica situazione di lavoratore  infortunato  -  la  questione  di
 costituzionalita'  sollevata  dal  Pretore  di  Roma  in relazione ai
 parametri sopraindicati.
    2.  -  Ai  fini  di  definire  il  quadro legislativo nel quale si
 colloca la legge n. 270 del 1988 ed in particolare il suo art.  3  si
 deve  ricordare  che  l'art.  27  del Regolamento Allegato A al regio
 decreto 8 gennaio 1931, n. 148, che regola il rapporto di lavoro  del
 personale  addetto  ai  pubblici servizi di trasporto, prevede, tra i
 casi in cui l'azienda  puo'  far  luogo  all'esonero  definitivo  dal
 servizio  degli  agenti stabili, anche l'ipotesi della "inabilita' al
 servizio nelle funzioni proprie della qualifica di cui  e'  rivestito
 l'agente,  quando  non accetti altre mansioni, compatibili con le sue
 attitudini o condizioni, in posti disponibili" nonche'  quella  della
 "palese  insufficienza  nell'adempimento  delle  funzioni del proprio
 grado non imputabile a colpa dell'agente, quando questi  non  accetti
 il grado inferiore che gli puo' essere assegnato".
    La  norma  non  prevede  che l'agente divenuto inabile al servizio
 possa mantenere la stessa retribuzione percepita prima del  mutamento
 di  mansioni  e  tanto  meno  quella  collegata  alla qualifica prima
 rivestita ed alle relative variazioni. Una tale previsione e'  invece
 espressamente  contemplata  per il personale divenuto inabile in modo
 permanente a causa di infortunio sul lavoro, dapprima - con l'art. 28
 del citato Regolamento Allegato A al decreto n. 148 del 1931  -  come
 mera  possibilita',  e  poi  come  vero e proprio diritto per effetto
 dell'art. 7 della legge 28 marzo 1968, n. 376 e  dell'art.  37  della
 legge  29  ottobre  1971,  n.  889. Quest'ultima norma in particolare
 dispone che "all'agente inabile permanentemente  per  infortunio  sul
 lavoro  occorso  successivamente  al  30  giugno 1969, che rimanga in
 servizio, anche se adibito ad altre mansioni, spetta lo  stipendio  o
 paga relativo alla qualifica che rivestiva prima dell'infortunio".
    3.  -  Come  risulta dai lavori preparatori della legge n. 270 del
 1988,  patti  aziendali  e  prassi  applicative  dell'art.   27   del
 Regolamento  del  1931  avevano  consentito  anche  al  personale dei
 trasporti  pubblici  addetti  al   cosiddetto   movimento   (autisti,
 conduttori, ecc.) divenuto inidoneo a tali mansioni in conseguenza di
 fattori diversi dall'infortunio sul lavoro (ad es., in conseguenza di
 logoramento    nervoso    determinato    dallo   stesso   svolgimento
 dell'attivita'  lavorativa),  di  poter  continuare   ad   usufruire,
 nonostante   lo   spostamento  a  mansioni  inferiori,  della  stessa
 retribuzione corrisposta agli appartenenti  alla  qualifica  da  essi
 prima rivestita.
    Il  fenomeno,  protrattosi  per  diversi  anni,  aveva  finito per
 assumere proporzioni  assai  rilevanti,  tali  da  incidere  in  modo
 sensibilmente  negativo nella gestione degli organici aziendali, e da
 comportare costi elevati.
    La norma impugnata - recependo gli accordi sindacali stipulati nel
 1985-87  -  venne  approvata  dal  Parlamento,  proprio  al  fine  di
 affrontare   e   risolvere  l'anomala  situazione  determinata  dalle
 richiamate prassi, e da regolamentazioni aziendali o pattizie: e cio'
 sia  attraverso  l'esodo  obbligatorio  dei   dipendenti   dichiarati
 inidonei all'espletamento delle mansioni di provenienza e che avevano
 maturato  almeno  quindici  anni di anzianita' contributiva (art. 3),
 sia facendo cessare l'efficacia  di  tutti  i  regolamenti  aziendali
 concernenti  la  disciplina  del  personale  inidoneo  e le eventuali
 contrattazioni aziendali e/o individuali adottati sulla materia.
    La ratio della norma impugnata appare pertanto con tutta chiarezza
 diretta ad eliminare gli effetti determinati da  iniziative  anomale,
 che   avevano  creato  situazioni  vantaggiose  non  legislativamente
 previste anche se socialmente comprensibili.
    Appare  del  tutto  estraneo a tale intento del legislatore e alle
 finalita' dallo stesso  perseguite,  che  l'esodo  coattivo  previsto
 dalla  legge impugnata possa riferirsi anche a quei lavoratori la cui
 inidoneita' sia stata determinata da infortuni sul lavoro  e  il  cui
 diritto  a  continuare  a  percepire  la  retribuzione collegata alla
 qualifica di provenienza discende non gia' da prassi applicative o da
 patti individuali  o  da  regolamenti  aziendali,  ma  da  specifiche
 disposizioni  legislative  che nel tempo hanno definito ed ampliato i
 diritti attribuiti ai lavoratori divenuti inabili  (e  inidonei  alle
 mansioni di origine) per infortunio sul lavoro.
    Il  fatto che la legge n. 270 del 1988, non abbia affatto abrogato
 l'art. 37 della legge n. 889  del  1971  ne'  a  questa  norma  abbia
 derogato   neppure   temporaneamente,   sta   a  significare  che  il
 legislatore non ha inteso incidere nella peculiare situazione che  la
 legge  ha  attribuito  al lavoratore che ha subi'to un infortunio sul
 lavoro, e che tanto meno abbia inteso penalizzarlo con la perdita del
 posto di  lavoro,  solo  per  il  fatto  di  essersi  necessariamente
 avvalso,  a  causa  di  una  diminuzione  permanente  della capacita'
 lavorativa, di un diritto riconosciuto per legge.
    Sicche' - ad avviso di questa Corte - una puntuale  individuazione
 della  ratio-legis e una corretta applicazione di criteri ermeneutici
 inducono ad escludere, in  sede  interpretativa  -  a  differenza  di
 quanto  sostiene il giudice a quo - che l'esodo riguardi il personale
 non idoneo alle mansioni originariamente  attribuitegli  a  causa  di
 inabilita' permanente per infortunio sul lavoro.
    4.  -  A tali conclusioni occorre comunque pervenire interpretando
 la norma impugnata alla luce dei principi costituzionali.
    Va invero a  tal  proposito  ricordato  che  questa  Corte,  nella
 sentenza   n.   60   del   1991,  ha  affermato  che  l'anticipazione
 obbligatoria  del  pensionamento  attuata  dalla   legge   in   esame
 comportava  ripercussioni  economicamente e socialmente rilevanti nei
 confronti dei lavoratori da essa colpiti, i quali si trovavano  nella
 condizione  di non poter piu' svolgere le originarie mansioni a causa
 dell'impegno particolarmente  gravoso  che  quelle  comportavano.  La
 Corte  ha  quindi ritenuto che tale disciplina rientrasse nell'ambito
 della  discrezionalita'  legislativa,  ma  che  le   scelte   operate
 nell'esercizio  di tale discrezionalita' dovevano essere attentamente
 scrutinate onde vagliarne la razionalita' e la non arbitrarieta';  ed
 ha  infine  ritenuto  che  tali  requisiti sussistessero in relazione
 all'anomalia di una  situazione  determinata  da  prassi  applicative
 estranee  alla  previsione  legislativa e dal proliferare delle fonti
 dei benefici, con conseguente accrescimento abnorme dei costi e delle
 disfunzioni organizzative.
    Ma cosi'  come  con  la  stessa  sentenza  la  Corte  ha  ritenuto
 arbitrario  l'esodo  obbligatorio  nei  confronti  di lavoratori gia'
 ritenuti  inidonei  alle  mansioni  originarie,  ma   successivamente
 destinati  a  svolgere  mansioni  equivalenti  o  superiori  a quelle
 precedentemente rivestite,  altrettanto  arbitraria  dovrebbe  essere
 considerata   una   disposizione   che   prevedesse  l'espulsione  di
 lavoratori   infortunati   sul   lavoro,   l'antieconomicita'   della
 retribuzione  dei quali e' prevista non da prassi o accordi ma da una
 legge che attua i principi contenuti nel secondo comma  dell'art.  38
 della Costituzione.
    In   questo   caso   l'interesse   all'efficienza  dell'impresa  e
 all'economicita' dei suoi costi, se dovesse imporre al lavoratore  la
 perdita del posto di lavoro (sostanzialmente irrimediabile, stante il
 deficit   permanente   che   deriva  dall'infortunio  subi'to)  e  la
 conseguente forzosa contribuzione del proprio  prepensionamento,  non
 potrebbe  non  entrare  in  conflitto  con  valori costituzionalmente
 protetti.
    Una  corretta  interpretazione  non  puo'  non  scegliere,  tra  i
 significati  possibili della disposizione, quello che non si ponga in
 contrasto con i principi costituzionali. Alla luce  dei  rilievi  che
 precedono,  deve  pertanto  essere  disattesa l'interpretazione della
 norma impugnata che il giudice a quo ha presupposto nel formulare  la
 denunzia  di  incostituzionalita'  in esame. Deve cioe' ritenersi che
 l'art. 3, comma 1, della  legge  n.  270  del  1988  non  riguarda  i
 lavoratori  che siano stati dichiarati inidonei alle mansioni proprie
 della loro qualifica per effetto di inabilita'  permanente  derivante
 da infortunio sul lavoro (ovvero di malattie professionali, per legge
 equiparate agli infortuni).
    La questione sollevata dal Pretore di Roma deve pertanto ritenersi
 infondata nei sensi di cui in motivazione.