IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza sul ricorso n. 236/1990 reg.
 sez. II proposto da Becattini Marisa, nella sua qualita' di vedova di
 Gennai Otello,  rappresentata  e  difesa  dal  dott.  proc.  Patrizia
 Bernasconi  nello  studio della quale e' elettivamente domiciliata in
 Firenze,  alla  via Rondinelli n. 5; contro l'unita' sanitaria locale
 n. 10/G di Sesto Fiorentino (Firenze), in persona del presidente pro-
 tempore, non costituita in giudizio; per la declaratoria del  diritto
 patrimoniale della ricorrente alla corresponsione dell'indennita' per
 cessazione  dal  servizio ex art. 9 del d.l.C.p.S.  4 aprile 1947, n.
 207 e art. 16 della legge n. 152/1968 per il periodo di servizio  non
 di  ruolo prestato da Gennai Otello negli anni dal 1965 al 1968 e per
 la condanna della U.S.L. convenuta al pagamento delle relative somme,
 con rivalutazione monetaria e interessi;
    Visto il ricorso con i relativi allegati notificato e  depositato,
 rispettivamente il 2 settembre e 14 febbraio 1990;
    Vista  la memoria prodotta dalla parte ricorrente a sostegno delle
 proprie difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito, altresi', l'avv. P. Bernasconi alla pubblica udienza del 19
 febbraio 1992;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con  il  ricorso  in   trattazione   Becattini   Marisa   chiedeva
 l'accertamento  del  proprio diritto, e la conseguente condanna della
 U.S.L. intimata, alla corresponsione dell'indennita'  per  cessazione
 dal  servizio  ex  artt.  9 del d.l.C.p.S. 4 aprile 1937, n. 207 e 16
 della legge 8 marzo 1968, n. 152, in relazione  al  servizio  non  di
 ruolo  prestato  dal defunto marito Gennai Otello negli anni dal 1965
 al 1968, da calcolarsi sull'ultimo stipendio in godimento  all'aprile
 del  1968, rivalutato alla data del decesso (21 settembre 1987) oltre
 gli interessi e la rivalutazione monetaria.
    La ricorrente  esponeva  che  il  defunto  marito  all'atto  della
 cessazione  del  rapporto  di  impiego,  avvenuta  per decesso, aveva
 maturato un'anzianita' di servizio di ventidue anni, di cui tre fuori
 ruolo (dal 26 gennaio 1965 al 30 settembre 1968) ed i rimanenti  (dal
 1½  ottobre  1968  al  21  settembre  1987)  in ruolo. Rappresentava,
 altresi',  che  l'Inadel  ha  liquidato  alla  medesima  la  relativa
 indennita'  premio  di  servizio  per il servizio di ruolo, dolendosi
 pero' che la  U.S.L.  intimata  non  aveva  provveduto  al  pagamento
 dell'indennita'  di  liquidazione  per  il  predetto  servizio non di
 ruolo, a suo  tempo  non  riscattato  dal  Gennai,  neanche  dopo  la
 presentazione di una esplicita istanza.
    Nel  corso  del  giudizio la ricorrente depositava documenti ed in
 particolare la deliberazione n. 181 del 1½ marzo 1990 del comitato di
 gestione  della  U.S.L.  n.  10/G,  nonche'  i  relativi  titoli   di
 pagamento, comprovanti l'avvenuta liquidazione e corresponsione della
 indennita' in questione con rivalutazione ed interessi legali.
    Con  successiva  memoria  la  Becattini,  preso  atto del predetto
 pagamento, evidenziava che l'oggetto del ricorso era  ormai  limitato
 esclusivamente   alle   modalita'  di  calcolo  della  indennita'  in
 questione, avendo  l'amministrazione  preso  a  base  di  calcolo  la
 retribuzione  in  godimento  al  2  aprile 1968 senza provvedere alla
 rivalutazione della stessa alla data del collocamento a riposo.
    Nel ribadire con la citata memoria le argomentazioni  dedotte  nel
 ricorso  introduttivo  a  sostegno della pretesa rivalutabilita' alla
 data  del  collocamento  a  riposo,  ai  fini  della   determinazione
 dell'indennita' di liquidazione de qua,
  della   retribuzione   in  godimento  all'aprile  del  1968,  ha  in
 subordine, proposto, con la citata memoria, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 16, secondo comma, della legge  n.  152/1968
 in  relazione  all'art.  9 del d.l.C.p.S. n. 207/1947, nella parte in
 cui non prevede la rivalutazione della  indennita'  in  parola  dalla
 data  del  passaggio  in ruolo (recte dalla data di entrata in vigore
 della  legge  n.  152/1968)  per  contrasto  con  l'art.   36   della
 Costituzione.
    La causa e' stata quindi chiamata e posta in decisione all'udienza
 pubblica del 19 febbraio 1992.
                             D I R I T T O
    Come  e'  dato  rilevare dall'esposizione in fatto, nelle more del
 giudizio,  l'amministrazione  ha  provveduto  a  corrispondere   alla
 ricorrente  l'indennita'  una  tantum  di  fine  servizio,  di cui al
 combinato disposto degli artt. 9 del d.l.C.p.S.  4  aprile  1947,  n.
 207, nel testo emendato dalla sentenza della Corte costituzionale del
 9-24  luglio  1986,  n. 208, e 16/2 della legge 8 marzo 1968, n. 152,
 per i tre anni di servizio non di ruolo prestato dal defunto  marito,
 Gennai  Otello e da questi non riscattato, ivi compresi rivalutazione
 monetaria e interessi legali dalla data del collocamento a  riposo  e
 fino al soddisfo del credito.
    Sulla  domanda  volta ad ottenere l'accertamento del diritto della
 medesima al pagamento della predetta  indennita',  con  rivalutazione
 monetaria  ed  interessi  legali,  dalla  data  della  cessazione dal
 servizio del menzionato Gennai e fino al soddisfo e' pertanto cessata
 la materia del contendere.
    Cio' precisato e come riconosciuto  dalla  stessa  ricorrente,  la
 questione  sottoposta  al collegio rimane circoscritta esclusivamente
 alle modalita' di calcolo dell'indennita' in questione.
    Si sostiene, al  riguardo,  che  detta  indennita',  computata  in
 applicazione  dell'art.  16/2  della  legge  n.  152/1968 sull'ultimo
 stipendio in godimento alla data di entrata in vigore della  medesima
 legge   (2  aprile  1968),  attesa  la  sua  natura  di  retribuzione
 differita, andrebbe rivalutata secondo  i  coefficienti  Istata  alla
 data  del collocamento a riposo (21 settembre 1987) sulla base di una
 interpretazione  della  norma  in  esame  che  adempia  ai   precetti
 costituzionali  contenuti nell'art. 36 della Costituzione e alla luce
 del principio di cui all'art. 429 c.p.c.
    L'assunto con e condiviso dal collegio.
    Giova al  riguardo  rilevare  che  la  individuazione  della  base
 quantitativa,   da  utilizzare  per  il  calcolo  dell'indennita'  in
 questione, e' espressamente  disciplinato  dal  richiamato  art.  16,
 secondo comma, della legge 8 marzo 1968, n. 152, il quale dispone che
 "l'indennita'   e'   computata,   secondo  le  disposizioni  vigenti,
 sull'ultimo stipendio o salario in godimento alla data di entrata  in
 vigore della presente legge".
    Come  si  e' gia' piu' volte pronunciato questo tribunale (cfr. da
 ultimo sez. I, 27 febbraio 1990, n. 105; id.  21  febbraio  1990,  n.
 82),  trattasi di un criterio di riferimento legalmente tipizzato che
 non consente alcun richiamo a schemi diversi, con la conseguenza  che
 non  vi  e' spazio per estendere in via interpretativa - nemmeno alla
 luce dell'art. 36 della Costituzione - sistemi di rivalutazione della
 base quantitativa che sono propri di altre indennita' di  anzianita',
 ovvero  trovano  il  proprio  fondamento  su  principi  giuridici non
 applicabili nella specie.
    Il dettato puntuale della menzionata norma non consente,  infatti,
 di  estendere  il  sistema  di rivalutazione di cui all'art. 2120 del
 codice civile: cio' in applicazione anche  dell'antico  brocardo  ubi
 lex  voluit  dixit.  La stessa ricorrente, peraltro, non fa specifico
 richiamo a detto sistema rivalutativo.
    Ne' puo' trovare applicazione nella specie  il  principio  di  cui
 all'art. 429 del c.p.c., al quale, la medesima ricorrente fa espresso
 riferimento.
    E'  pur vero che la giurisprudenza (cfr. tra le tante C.d.S., a.p.
 15 marzo 1989,  n.  7)  ha  ritenuto  che  l'eccezione  al  principio
 nominalistico  dei  crediti  pecuniari  introdotta  dall'art. 429 del
 c.p.c. abbia ormai assunto valore di principio per  tutti  i  crediti
 geneticamente collegati al rapporto di lavoro dipendente"; di talche'
 anche  l'indennita'  di  anzianita'  e' stata riconosciuta soggetta a
 rivalutazione monetaria, nella considerazione che anche essa trova la
 sua genesi nel rapporto di lavoro ed  e'  sensibile  al  danno  della
 svalutazione  monetaria,  in  quanto normalmente destinata ai bisogni
 primari del lavoratore e della propria famiglia, ma e' anche vero che
 tale  principio  garantistico  e'  stato   fissato   dalla   predetta
 giurisprudenza  allo  specifico  fine  di salvaguardare il lavoratore
 dagli  effetti  dell'inflazione   nell'ipotesi   di   ritardo   nella
 corresponsione   della   predetta   indennita'.  Ne'  e'  riprova  la
 circostanza che detta rivalutazione monetaria viene riconosciuta  con
 decorrenza dalla data in cui essa doveva essere corrisposta.
    Nel  caso  dell'indennita'  di  anzianita' in questione, per poter
 riconoscere   il   diritto   della   ricorrente   alla    sostanziale
 rivalutazione  monetaria della stessa, con decorrenza dall'aprile del
 1968 data di entrata in vigore della legge  8  marzo  1968,  n.  152,
 equivarrebbe  a  riconoscere il diritto della medesima all'indennita'
 con  decorrenza  da  tale  data  ed  il  conseguente  ritardo   nella
 liquidazione della stessa.
    Ritiene  invece  il Collegio, come gia' affermato nella precedente
 decisione di questo tribunale (cfr. sentenza, II sez, 21 marzo  1989,
 n.  101),  che  il diritto del pubblico dipendente (come in qualsiasi
 altro  rapporto  di  lavoro),  sorge  con   l'avverarsi   dell'evento
 costituito  dalla cessazione del rapporto, al quale solo si ricollega
 il momento di crisi economica che giustifica  il  pagamento  di  ogni
 indennita' di fine lavoro.
    Tale  conclusione  trova conforto non solo nella ratio delle norme
 relative alle indennita' di  fine  rapporto,  ma  anche  nel  dettato
 normativo,  laddove  il  legislatore  fa  sempre  riferimento  a tale
 momento. E' sufficiente al riguardo richiamare, per la  normativa  di
 cui  all'indennita'  premio  di servizio in questione, l'art. 9/1 del
 d.l.C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, l'art.  2/1  della  legge  8  marzo
 1968,  n.  152  e  l'art.  22/10  del  d.l.  31 agosto 1987, n. 359,
 convertito con modificazioni nella legge 29 ottobre 1987, n.  440,  i
 quali   fanno,   rispettivamente,   riferimento   al   momento  della
 "cessazione del rapporto" o del "servizio", ovvero della "risoluzione
 del rapporto".
    Ne' puo' ritenersi che il diritto al pagamento dell'indennita' per
 il servizio non  di  ruolo,  nell'ipotesi  di  specie  di  successivo
 passaggio   in   ruolo,   sorga  nel  momento  di  tale  passaggio  e
 considerare, quindi,  quest'ultimo  come  evento  di  cessazione  dal
 servizio  o  di  risoluzione  del rapporto. In tale ipotesi, infatti,
 cio' che muta e' soltanto la natura del rapporto, ma questi  continua
 a  sussistere  nella  sua  continuita'  e  nella  sua  identita'  dei
 soggetti. Ne consegue che, non essendo  rinvenibile  nell'ordinamento
 una  norma  specifica  che  stabilisca  il diritto al pagamento della
 indennita' in questione ad un momento diverso da quello di cessazione
 definitiva del rapporto, e' al principio generale di  cui  sopra  che
 occorre  fare  riferimento  e,  quindi, anche il diritto al pagamento
 dell'indennita' per il servizio non di  ruolo  deve  ricollegarsi  al
 momento della vera e concreta definitiva cessazione del rapporto.
    Per  quanto  sopra argomentato, alla luce della normativa vigente,
 risulta pertanto destituita di fondamento la pretesa della ricorrente
 ad ottenere il riconoscimento del diritto  alla  rivalutazione  della
 indennita'  premio  di servizio dalla data di entrata in vigore della
 legge n. 152/1968 alla data di cessazione dal  servizio  del  defunto
 marito.
    L'infondatezza  della pretesa, sulla base della normativa vigente,
 pertanto, rende rilevante la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 16/2 della legge n. 152/1968, sollevata in via  subordinata
 dalla ricorrente sotto il profilo della violazione dell'art. 36 della
 Costituzione,  nella  parte  in  cui,  nel  disporre che l'indennita'
 premio di servizio debba essere computata  "sull'ultimo  stipendio  o
 salario in godimento alla data di entrata in vigore della legge", non
 prevede  che  la  stessa  debba  essere  rivalutata  al momento della
 cessazione del rapporto di impiego.
    La questione, oltre  che  rilevante,  risulta  non  manifestamente
 infondata nei termini e sotto i profili di cui appresso.
    Giova  in  primo  luogo  premettere,  al  riguardo, che il diritto
 all'indennita' premio di servizio non di ruolo di  cui  all'art.  9/1
 del  d.l.C.p.S.  4  aprile 1947, n. 207, originariamente precluso dal
 successivo quarto comma nell'ipotesi, come nella specie, di passaggio
 in ruolo, e' stato poi riconosciuto dalla Corte  costituzionale  che,
 con  sentenza  n.  208 del 9-24 luglio 1986, ha invalidato ed espunto
 dall'ordinamento detta preclusione.
    Nella citata decisione  la  Corte  rammentava,  tra  l'altro,  che
 l'indennita'  per  cessazione  dal  servizio  di  cui  all'art. 9 del
 d.l.C.p.S. n. 207/1947 "rientra, con la sua natura retributiva  e  la
 concorrente  sua  funzione previdenziale, nel complessivo trattamento
 economico spettante al dipendente non di ruolo" e che  proprio  sulla
 base  di  tale considerazione erano state dichiarate in contrasto con
 l'art.  36  della  Costituzione  quelle   "disposizioni   comportanti
 l'eslcusione  o  la  riduzione,  per  le  piu'  varie  cause, di tali
 trattamenti",  appunto  perche'   l'indennita'   di   fine   rapporto
 costituisce "parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui
 corresponsione  viene differita" nel tempo allo scopo di agevolare il
 lavoratore al superamento del momento di  crisi  economica  possibile
 all'atto  della  cessazione  dal  servizio  per  il  venir meno della
 retribuzione. E' stato altresi' ribadito che, per assolvere  a  detta
 funzione,  l'indennita'  deve  necessariamente essere "determinata in
 proporzione alla  durata  del  lavoro  prestato  e  alla  complessiva
 retribuzione di carattere continuativo".
    Alla  luce  dei  suesposti  principi  deve  ritenersi pertanto non
 manifestamente  infondata  la  dedotta  questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  16/2 della legge n. 152/1968 per contrasto
 con l'art. 36 della Costituzione.
    Cio' nella considerazione  che,  come  precedentemente  precisato,
 spettando l'indennita' premio di servizio non di ruolo, come le altre
 analoghe  indennita'  di  fine  rapporto, al momento della cessazione
 dello stesso, e' evidente che, allorche' questo  venga  a  cessare  a
 distanza  di  molti  anni  dalla  entrata  in  vigore  della legge n.
 152/1968, si traduce  sostanzialmente,  per  effetto  della  continua
 perdita  di  potere  di  acquisto  della  moneta,  in  una indennita'
 puramente simbolica e comunque ridotta notevolmente.
    In  tale  ipotesi,  infatti,  dovendo  detta   indennita'   essere
 computata  sull'ultimo  stipendio o salario in godimento alla data di
 entrata  in  vigore  della  legge  e  non  essendo  previsti  sistemi
 rivalutativi  o  comunque  non  esistendone  di  applicabili  in  via
 analogica, ne consegue che la stessa non  appare  piu'  proporzionata
 alla  complessiva  retribuzione di carattere continuativo, cosi' come
 invece e' previsto dall'art. 36 della Costituzione.
    La stessa norma, poi, ad avviso del Collegio, appare  altresi'  in
 contrasto  con  il principio di uguaglianza fissato dall'art. 3 della
 Costituzione, in quanto consente che a parita'  di  servizio  non  di
 ruolo   corrisponda   una  indennita'  premio  di  servizio,  seppure
 nominalmente  uguale,  sostanzialmente  diversa   in   relazione   al
 differente  momento  di  cessazione  dal  servizio  per effetto della
 inflazione monetaria.
    Come ha evidenziato la Corte costituzionale sin  dalle  sue  prime
 pronunce  (cfr.  sentenze  n. 3 e n. 28 del 1957), la disposizione di
 cui all'art. 3 della Costituzione richiede e comporta che  situazioni
 uguali  siano  regolate  in  modo  eguale  e che eventuali differenze
 possano sussistere allorche'  sia  riconosciuta  al  legislatore  una
 certa  discrezionalita',  con  il limite, pero', della ragionevolezza
 delle stesse.
    Nella specie invece, non e'  riscontrabile  alcuna  ragionevolezza
 nella previsione del sostanziale diverso trattamento, anzi, la stessa
 appare  ancora  piu'  irragionevole allorche' si consideri che l'art.
 16/2 della  legge  n.  152/1968  nella  parte  come  sopra  censurata
 consente  che  a  pari  anzianita'  di  servizio  non  di ruolo, ma a
 maggiore anzianita' di servizio complessivo (di ruolo e non di ruolo)
 corrisponda una indennita', per la parte relativa al servizio non  di
 ruolo  e quindi nel suo complesso, sostanzialmente inferiore rispetto
 al dipendente con meno anzianita' (di ruolo  e  quindi  complessiva).
 Quest'ultimo,  infatti,  essendo  stato collocato a riposo - e quindi
 sorgendo il suo diritto all'indennita' - in un periodo piu' vicino al
 momento dell'entrata in vigore della legge, ha  potuto  risentire  in
 misura  inferiore  degli effetti dell'inflazione monetaria rispetto a
 chi viene collocato a riposo con una anzianita' complessiva  maggiore
 e quindi ad una data successiva rispetto al primo.
    In   conclusione,  per  le  considerazioni  che  precedono  ed  in
 applicazione dei principi sopra richiamati,  va  pertanto  sottoposta
 alla  Corte la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16,
 secondo comma, della legge 8 marzo 1968 n.  152,  in  relazione  agli
 artt.  3 e 36 della Costituzione, nella parte in cui nel disporre che
 l'indennita' premio di servizio - di cui all'art. 9 del d.l.C.p.S.  4
 aprile  1947,  n.  207, nel testo emendato dalla Corte costituzionale
 con  la gia' richiamata sentenza n. 208/1986 - debba essere computata
 "sull'ultimo stipendio o salario in godimento alla data di entrata in
 vigore della presente legge",  non  prevede  che  detta  retribuzione
 debba  essere  rivalutata  al momento della cessazione definitiva dal
 rapporto di impiego secondo adeguati indici di rivalutazione.
    Va percio' disposta la sospensione  del  presente  giudizio  e  la
 trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione
 delle sopra prospettate questioni di legittimita' costituzionale.