IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letti gli atti del procedimento penale nei confronti di: 1) Giacchetti Giacomo, nato a Torino il 7 maggio 1962, residente in Torino, via Luini n. 95; 2) Specchio Angela, nata in Cerignola (Foggia), il 6 ottobre 1961, residente in Torino, via Luini n. 95; 3) Vignani Giuseppe, nato a Catania, il 1½ gennaio 1945, residente in Torino, corso Emilia n. 30; 4) Malmusi Marina, nata a San Damiano d'Asti il 12 novembre 1943, residente in Torino, corso Emilia n. 30; in ordine al reato p. e p. dall'art. 378 c.p., commesso in Torino, il 2 marzo 1992; O S S E R V A In conseguenza di alcune intercettazioni telefoniche disposte in altro procedimento penale al fine di facilitare la cattura di Stramondo Mario, che avrebbe dovuto espiare la pena dell'ergastolo e si era reso irreperibile, i carabinieri del nucleo operativo di Torino, in data 19 marzo 1992, facevano irruzione presso l'abitazione del Giacchetti e traevano in arresto lo Stramondo, dando esecuzione all'ordine di carcerazione esistente a suo carico. I militi, conseguentemente, trasmettevano alla procura della Repubblica presso questa pretura la comunicazione di notizia di reato in atti, ipotizzando nei confronti degli indagati il delitto di favoreggiamento personale, anche sulla base delle comunicazioni telefoniche intercettate. Iscritta la notizia di reato, il pubblico ministero, senza svolgere alcun atto di indagine, chiedeva a questo ufficio, l'archiviazione del procedimento, sul presupposto dell'inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche eseguite. Questo giudice respingeva la richiesta, rilevando anche l'oggettiva circostanza della presenza dello Stramondo presso l'abitazione degli indagati al momento dell'irruzione dei carabinieri e fissava il termine per il compimento delle indagini indicate nel provvedimento in atti. L'organo dell'accusa impugnava tale provvedimento, ricorrendo per Cassazione e lamentava la violazione delle disposizioni contenute negli artt. 409 e 127 del c.p.p. La Corte di cassazione accoglieva il ricorso ed annullava l'ordinanza emessa da questo ufficio in mancanza dell'udienza in cam- era di consiglio rinviando a questo giudice per il nuovo giudizio. La questione relativa alla necessita' di fissare l'udienza in cam- era di consiglio prevista dall'art. 409 del c.p.p. nel procedimento pretorile e' sorta a seguito della sentenza n. 445 del 12 ottobre 1990, della Corte costituzionale, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 157 delle disposizioni di attuazione ed e' stata estesa, anche nel rito pretorile, al giudice per le indagini preliminari la possibilita' di indicare ulteriori indagini al pubblico ministero che avesse fatto richiesta di archiviazione, fissando il termine per il relativo compimento. Piu' volte la Corte di cassazione e' stata successivamente investita per decidere se, nella pratica applicazione del principio fissato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza, il giudice per le indagini preliminari potesse adottare il relativo provvedimento de plano, senza bisogno di fissare preventivamente udienza in camera di consiglio ovvero esso dovesse essere adottato anche in pretura nel pieno rispetto delle regole previste per i procedimenti di competenza del tribunale dall'art. 409 del c.p.p. In seno alla suprema Corte si e' andato cosi' delineando un duplice orientamento interpretativo, piu' o meno di pari rilevanza, se si ha riguardo al numero delle decisioni adottate. Proprio alla luce del menzionato contrasto giurisprudenziale, la questione e' stata rimessa alla sezioni unite che, con sentenza n. 10 del 29 maggio 1992, depositata in data 3 luglio 1992, hanno deciso in senso favorevole all'ammissibilita' del provvedimento del giudice per le indagini preliminari in pretura adottato de plano, senza la necessita' dell'applicazione della disciplina prevista dall'art. 409 del c.p.p. Tale decisione delle sezioni unite, come si legge nella motivazione, e' stata determinata da due fondamentali considerazioni. Da una parte, quella relativa alla declaratoria di illegittimita' pronunciata dalla Corte costituzionale. Essa e' limitata unicamente alla mancata attribuzione al giudice per le indagini preliminari di pretura della analoga facolta', prevista invece per il giudice per le indagini preliminari di tribunale, della possibilita' di indicare al pubblico ministero, che avesse fatto richiesta di archiviazione, la necessita' di altre indagini, ma non ha coinvolto anche il relativo procedimento. Poiche' pertanto, il provvedimento de plano appartiene nel nostro ordinamento processuale alle forme legittime degli atti del giudice, non vi e' ragione di ricorrere al principio generale di rinvio contenuto nell'art. 549 del c.p.p. in forza del quale anche nel procedimento pretorile dovrebbe trovare necessariamente applicazione l'intera disciplina prescritta dall'art. 409 del c.p.p. La seconda considerazione e' relativa al diverso criterio cui si e' ispirato il legislatore nella diversificazione dei due tipi di procedimento. Il rito pretorile e' improntato al principio della massima semplificazione e, in tale ottica, l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari, emessa de plano, piu' adeguatamente risponde a tale esigenza. Questo giudice, che condivide pienamente la menzionata decisione delle sezioni unite, con le ordinanze del 12 maggio 1992, che si richiamano, ha gia' due volte, in passato, proposto alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale in ordine alla opposta interpretazione, secondo la quale sarebbe necessario per il giudice per le indagini preliminari fissare l'udienza anche nel procedimento pretorile prima di poter pronunciare l'ordinanza con cui si indica al pubblico ministero la necessita' di altre indagini. In sintonia con quanto affermato dalle sezioni unite, questo giudice aveva rilevato come la Corte costituzionale, che con la sentenza n. 445/1990 aveva esteso al giudice per le indagini preliminari di pretura la potesta' di imporre nuove indagini, non avrebbe potuto non intervenire anche sul relativo procedimento, se avesse ritenuto di dovere colmare un'altra lacuna. La citata sentenza, infatti, e' un provvedimento cosi' detto additivo, per cui la Corte ben avrebbe potuto indicare i relativi criteri per evitare un vuoto normativo. Il silenzio della Corte, relativamente alle formalita' di adozione del provvedimento del giudice per le indagini preliminari, puo' essere interpretato, percio', solo nel senso che tale provvedimento deve essere adottato con le forme previste, per il procedimento pretorile, dallo stesso art. 554 del c.p.p., che e' stato integrato dalla decisione in parola della Corte costituzionale. Si era, inoltre, messo in evidenza come nessuna differenza per i diritti delle parti derivi dalla diversita' dei procedimenti adottati, neppure relativamente alla possibilita' di impugnazione dei relativi provvedimenti, se e' vero - come si ritiene - che anche l'impugnabilita' dei provvedimenti adottati dal giudice per le indagini preliminari in tribunale a seguito dell'udienza tenuta a norma dell'art. 409 del c.p.p. e' ammissibile solo per i vizi di procedura, ma non e' riferita ai vizi formali o sostanziali dell'atto medesimo. Si era pure osservato, pertanto, che il vero problema non era tanto quello tecnico di individuare le eventuali diverse conseguenze derivanti dalla procedura adottata nel rito di tribunale e in quello pretorile, bensi' quello di stabilire se la scelta operata dal legislatore di diversificazione dei due procedimenti fosse conforme e compatibile con i principi costituzionali. A tale questione, pero', la risposta puo' essere data soltanto dalla Corte costituzionale, la quale - sia pure non specificatamente sul punto in discussione - si e' gia' pronunciata a tal riguardo (sentenza n. 94 del 9 marzo 1992), dichiarando non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 156, secondo comma, delle disposizioni di attuazione "nella parte in cui non prevede, nel procedimento pretorile, in caso di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, l'audizione delle parti in camera di consiglio", giustificando la diversita' di procedura adottata dal legislatore, proprio con la scelta della massima semplificazione per il rito pretorile, ritenuta legittima dalla Corte. Senonche', nel caso di specie, la decisione della Corte di cassazione in atti, obbliga questo ufficio alla fissazione dell'udienza in camera di consiglio e rende rilevante la questione di legittimita' costituzionale che sembra potersi ravvisare nell'attuale situazione processuale e che si intende proporre al vaglio della Corte costituzionale. La Corte di cassazione, con la sentenza in atti, d'altra parte, non ha esaminato le motivazioni proposte dalle sezioni unite, ne' ha adottato, a tal riguardo, argomenti nuovi e sembra, anzi, abbia voluto estendere il principio della necessita' dell'udienza anche nel rito pretorile, pure per quanto riguarda la cosi' detta imputazione coatta, dal momento che nella citata sentenza si esamina il caso di rifiuto dell'archiviazione e di obbligo per il giudice per le indagini preliminari, al termine dell'udienza in camera di consiglio, di pronunciare ordinanza motivata che "deve contenere la specifica indicazione in concreto degli elementi di fatto e delle ragioni giuridiche in base alle quali egli ritiene che l'azione penale debba essere iniziata con riferimento a determinate fattispecie criminose". In tale situazione, non pare manifestamente infondato ritenere che il richiamo dell'art. 409 nell'art. 554 del c.p.p., cosi' come nel caso di specie risulta stabilito in modo vincolante dalla decisione della Corte di cassazione, sia illegittimo per violazione dei principi contenuti negli artt. 3 e 77 della Costituzione. Pare, invero, di poter rilevare che l'adottata interpretazione della suprema Corte comporterebbe irragionevoli ed incoerenti conseguenze sul piano normativo, con l'effetto di un'ingiustificata disparita' di trattamento anche nell'ambito del medesimo procedimento pretorile, pur in presenza di situazioni processuali sostanzialmente analoghe, per quanto gia' osservato in ordine alla eventuale opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero. Altrettanto incoerente ed ingiustificata puo' apparire la conseguenza di dover tenere solo l'udienza camerale prima di adottare le relative decisioni in caso di non accoglimento della richiesta di archiviazione e non anche l'udienza preliminare, ben piu' importante e rilevante, prima dell'eventuale rinvio a giudizio dell'imputato. Come ben si puo' rilevare dal testuale dettato delle direttive nn. 50, 51 e 52 della legge delega, le udienze che occorre fissare quando il giudice non ritenga di accogliere la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, quando venga presentata dalla persona offesa opposizione alla richiesta di archiviazione ovvero quando vi sia richiesta di rinvio a giudizio dell'imputato da parte del pubblico ministero, sono tutte udienze che, per il legislatore delegante, hanno analoga natura, tanto che tutte indistintamente sono definite "udienza preliminare". E' vero che il legislatore delegato, nel prevedere l'udienza nell'ambito della procedura disciplinata dall'art. 409 del c.p.p., non l'ha definita preliminare, discostandosi, in tal modo, dalla testuale terminologia usata dal legislatore delegante. Ma e' altrettanto vero che, proprio in ragione della natura di essa, il legislatore non ha previsto la fissazione di analoga udienza nel procedimento pretorile, cosi' dimostrando di non voler tradire il contenuto della direttiva n. 103 con la quale e' stata espressamente esclusa l'udienza preliminare in tale tipo di procedimento, improntato a criteri di massima semplificazione. Questa la ragione principale per la quale il legislatore ha ritenuto di dover disciplinare autonomamente l'istituto dell'archiviazione nel rito pretorile. Ogni tentativo di introdurre o di estendere a tale tipo di procedimento l'udienza di cui si tratta, pare percio' contrastare anche con il principio sancito dall'art. 77 della Costituzione comportando, di fatto, una violazione della legge delega. Per le esposte ragioni, si ritiene che gli artt. 554, secondo comma, e 409 del codice di procedura penale, non consentendo al giudice per le indagini preliminari di indicare le ulteriori indagini ritenute necessarie al pubblico ministero che abbia fatto richiesta di archiviazione, senza la fissazione dell'udienza prevista per i procedimenti di competenza del tribunale, possano essere ritenuti illegittimi per contrasto con gli artt. 3 e 77 della Costituzione, per cui gli atti devono essere trasmessi alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimita'.