ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 3, primo e
 secondo comma, della legge 30 luglio 1990, n.  127  (recte:  n.  217)
 (Istituzione  del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti),
 promosso con ordinanza emessa il 18  maggio  1992  dal  Tribunale  di
 Savona  sul ricorso proposto da Gioia Salvatorica, iscritta al n. 435
 del registro ordinanze 1992 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 27  gennaio  1993  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Tribunale  di  Savona - adito da Gioia Salvatorica, con
 ricorso ai sensi dell'art. 6, comma quarto, legge 30 luglio  1990  n.
 127 (recte: n. 217) avverso il provvedimento di revoca del beneficio,
 inizialmente  concesso,  di  ammissione  al  patrocinio a spese dello
 Stato al fine di costituirsi parte civile in un procedimento  penale,
 revoca  fondata  sulla  circostanza  che  il  reddito del padre della
 stessa, con lei convivente, superava il limite dell'importo di cui al
 primo comma dell'art. 3  della  citata  legge  -  ha  sollevato,  con
 ordinanza   del   18   maggio   1992,   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art.  3,  commi  1  e  2,  legge  n.  217/90,  in
 riferimento  agli artt. 24 e 3 della Costituzione, nella parte in cui
 impone di tener conto, al fine dell'ammissibilita' del  patrocinio  a
 spese dello Stato, anche dei redditi dei familiari conviventi con chi
 fa istanza per conseguire tale beneficio.
    Il  tribunale  rimettente ritiene che la previsione di tale limite
 reddituale riferito ai familiari conviventi confligga  con  l'art.  3
 della   Costituzione  sussistendo  una  irragionevole  disparita'  di
 trattamento tra coloro che intendono agire per  la  tutela  dei  loro
 diritti  promuovendo  azione  civile nel processo penale e coloro che
 quegli stessi diritti intendono  far  valere  autonomamente  in  sede
 civile,  atteso  che per l'ammissione al gratuito patrocinio ai sensi
 dell'art. 15 R.D. 30 dicembre 1923 n. 3282 nessuna  rilevanza  assume
 il reddito percepito dai familiari conviventi.
    Il  giudice  rimettente  ritiene poi violato anche l'art. 24 della
 Costituzione sotto il profilo che il soggetto il quale - pur versando
 in "stato di poverta'" (agli effetti del R.D.  n.  3282/23)  -  abbia
 pero'  parenti  conviventi, i cui redditi superino il limite previsto
 dal comma primo dell'art. 3 della legge n. 217/90, si trova ad  esser
 impedito  di  agire  per le restituzioni ed il risarcimento del danno
 nel processo penale.
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 concludendo per l'infondatezza della questione sollevata.
    Ad avviso dell'Avvocatura la legge n. 217 del 1990 non puo' essere
 assunta come  parametro  di  comparazione  per  dedurre  un  presunto
 trattamento  di  sfavore nei confronti di coloro che, in sede penale,
 possono godere di tale diritto ove ricorrano i presupposti reddituali
 previsti dalla legge medesima attesa  la  diversita'  strutturale  di
 tale  nuova  normativa rispetto a quella precedente; e' solo la legge
 n. 217/90 infatti che ha posto  a  carico  dello  Stato  l'onere  del
 patrocinio  dei  "non  abbienti", superando il diverso principio (che
 sta alla base del  R.D.  n.  3282/23)  dell'obbligo  della  gratuita'
 dell'attivita' di chi tale patrocinio presta.
                        Considerato in diritto
    1.  -  E'  stata  sollevata  questione incidentale di legittimita'
 costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 24 della  Costituzione
 -  dell'art.  3,  primo  e secondo comma, legge 30 luglio 1990 n. 217
 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non  abbienti),
 nella  parte  in cui impone di tener conto, al fine del riscontro del
 requisito   reddituale   quale   presupposto   di  ammissibilita'  al
 patrocinio a spese dello Stato, dei redditi dei familiari  conviventi
 con  chi  fa  istanza  per  ottenere  tale  beneficio,  per  sospetta
 violazione sia del principio di parita' di trattamento  (perche'  per
 conseguire  il  beneficio  del gratuito patrocinio, di cui al R.D. 30
 dicembre 1923 n. 3282, nei giudizi civili e' sufficiente lo stato  di
 poverta'  dell'istante  senza  che  rilevino  i redditi dei familiari
 conviventi), sia del diritto di difesa (perche' - essendo precluso il
 beneficio del patrocinio a spese dello Stato - e' di  fatto  impedito
 l'accesso  alla  tutela  giurisdizionale  a  chi  versa  in  stato di
 poverta', ma convive con familiari percettori  di  redditi  superiori
 alla soglia prevista dall'art. 3 legge n. 217/90 cit.).
    2. - La questione non e' fondata.
    Il secondo comma dell'art. 1 della citata legge n. 217 del 1990 ha
 esteso  il  beneficio  del  patrocinio  a  spese dello Stato anche ai
 procedimenti civili per il risarcimento del danno e  le  restituzioni
 derivanti da reato (sempre che ricorra l'ulteriore presupposto che le
 ragioni  del  non  abbiente  risultino non manifestamente infondate).
 Pertanto il presupposto reddituale per l'accesso al beneficio  e'  lo
 stesso  sia  che  il danneggiato intenda costituirsi parte civile nel
 processo penale, sia che preferisca agire autonomamente nel  giudizio
 civile; sicche', ove questo sia il tertium comparationis invocato dal
 giudice  rimettente,  non  sussiste,  all'evidenza, alcuna disciplina
 differenziata che possa far sospettare la violazione del principio di
 eguaglianza.
    3. - Ma, se  il  confronto  e'  istituito  in  genere  rispetto  a
 qualsivoglia  azione esperibile nel giudizio civile (cosi' intendendo
 in termini piu'  ampi  la  censura  del  giudice  rimettente),  altre
 considerazioni  soccorrono  per  ritenere  egualmente  non fondata la
 questione di costituzionalita'.
    Il precetto costituzionale del  terzo  comma  dell'art.  24  della
 Costituzione,  che  prescrive  che ai non abbienti siano assicurati i
 mezzi per agire e difendersi in giudizio, ha trovato attuazione  "con
 varia  gradualita'  ed  intensita'  secondo  scelte discrezionali del
 legislatore" (sent. n. 194 del  1992);  scelte  di  cui  una  recente
 testimonianza  e'  l'art.  13  d.l.vo  31  dicembre 1992 n. 546 che -
 nell'istituire  l'assistenza  tecnica  gratuita  nel  nuovo  processo
 tributario  - fa riferimento all'istituto del R.D. n. 3282 del 1923 e
 non gia' a quello della legge n. 217 del 1990. Va quindi ribadito che
 la garanzia costituzionale non  implica  un'assoluta  uniformita'  di
 disciplina  davanti  ad ogni giurisdizione, anche se indubbiamente vi
 e' "una linea di tendenza - maggiormente aderente al citato  precetto
 costituzionale - che privilegia l'anticipazione delle spese afferenti
 al  patrocinio  dei  non  abbienti rispetto alla mera gratuita' delle
 prestazioni ad esso connesse" (sent. n. 194/92  cit.).  Pertanto  non
 offende  il  principio  di eguaglianza la diversita' della disciplina
 vigente per il processo penale e per i  giudizi  civili,  sempre  che
 tale  diversita'  sia  compatibile  con  la  evidenziata  tendenziale
 unificazione dei presupposti e della regolamentazione  del  beneficio
 in  questione.  Nella  specie  sia  il  R.D. n. 3282 del 1923 (per il
 giudizio civile) che la legge  n.  217  del  1990  (per  il  processo
 penale)   prevedono   un  presupposto  reddituale  per  l'accesso  al
 beneficio (rispettivamente lo stato di poverta' e la percezione di un
 reddito non superiore ad un  determinato  limite  massimo),  ma  solo
 questa seconda normativa contempla che la percezione di un reddito da
 parte  del  familiare  convivente incida, sempre e comunque, e quindi
 con una valutazione legale tipicizzata, al  fine  del  riscontro  del
 requisito   reddituale   per   l'accesso  al  beneficio.  Pero'  tale
 omogeneita' del requisito  (reddituale)  rende  la  diversita'  della
 disciplina  di  dettaglio  compatibile con il precetto costituzionale
 del  terzo  comma   dell'art.   24   della   Costituzione   e   trova
 giustificazione  nella  diversita' delle situazioni comparate (da una
 parte gli interessi civili, dall'altra  le  situazioni  tutelate  che
 sorgono  per  effetto  dell'esercizio  dell'azione  penale),  che non
 illegittimamente il legislatore ha apprezzato in modo differenziato.