ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge
 della Regione Sicilia 1› febbraio 1991, n. 8 (Interventi  per  l'Ente
 minerario  siciliano  per  la ripresa produttiva del settore dei sali
 alcalini), promosso con ordinanza emessa il 14 marzo 1992 dal Pretore
 di  Enna  nel  procedimento penale a carico di Tamburrini Domenico ed
 altri, iscritta al n. 490 del registro ordinanze  1992  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  39,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1992;
    Visti gli atti di costituzione di Tamburrini Domenico ed  altro  e
 di Sorci Carlo, nonche' l'atto di intervento della Regione Sicilia;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  1993  il  Giudice
 relatore Francesco Greco;
    Uditi l'avv. Michele Giorgianni per Tamburrini Domenico ed altro e
 l'avv. Francesco Castaldi per la Regione Sicilia;
                           Ritenuto in fatto
   1. - Il Pretore di Enna, nel corso del procedimento penale a carico
 di Tamburrini Domenico ed altri, imputati dei reati di  cui  all'art.
 21 della legge n. 319 del 1976, per avere riversato nel fiume Morello
 solidi  sedimentabili,  cloruri e solfati, senza autorizzazione ed in
 misura macroscopicamente superiore ai valori massimi stabiliti  dalla
 tabella  A  all. alla citata legge n. 319 del 1976, con ordinanza del
 14 marzo 1992 (R.O. n. 490 del 1992)  ha  sollevato,  in  riferimento
 agli  artt.    117 e 25 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 3 della legge regionale della Sicilia del 1›
 febbraio 1991, n. 8.
    Ha osservato che detta legge, dopo avere, all'art. 2, primo comma,
 autorizzato l'Assessorato Regionale  per  l'Industria  a  realizzare,
 tramite gli uffici del genio civile competenti per territorio, ovvero
 i  consorzi  per  le  aree di sviluppo industriale, le infrastrutture
 occorrenti al funzionamento del settore dei  sali  alcalini  relative
 agli impianti idrici fognari e di smaltimento dei rifiuti, all'art. 3
 sancisce,  che  per gli insediamenti produttivi di cui al citato art.
 2, primo comma, in  atto  esistenti,  nonche'  per  gli  impianti  di
 potabilizzazione  realizzati  con finanziamento regionale, il termine
 di adeguamento previsto dall'art. 33 della legge regionale n. 27  del
 1986  si  intende  prorogato  sino all'attivazione delle opere di cui
 allo stesso articolo e comunque sino al 31 dicembre 1992.
    Il giudice remittente ritiene che tale  disposizione  non  rientri
 nelle  competenze  legislative  riservate  alle Regioni dall'art. 117
 della Costituzione perche' contrasta con l'art. 2 della legge n.  650
 del  1979,  che detta una disciplina uniforme per tutto il territorio
 nazionale  per  l'adeguamento  degli  scarichi  ai  limiti  tabellari
 fissati  dalla  legge  dello  Stato,  e  fissa  per  l'attuazione dei
 prescritti programmi il termine massimo del 1› settembre 1981.  Esso,
 peraltro,  e' stato gia' prorogato una prima volta dall'art. 33 della
 legge  regionale  n.  27  del  1986.  Inoltre,  la  legge   regionale
 interferirebbe  in materia sanzionata penalmente e, quindi, riservata
 allo Stato.
    2. - Nel  giudizio  e'  intervenuto  il  Presidente  della  Giunta
 regionale della Sicilia, che ha concluso per la inammissibilita' o la
 infondatezza della questione.
    Sotto il primo profilo, ha eccepito la manifesta irrilevanza della
 questione  perche'  nel giudizio a quo andrebbe comunque applicata la
 disposizione impugnata, siccome piu' favorevole all'imputato.
    Nel merito, ha rilevato che il legislatore regionale ha  prorogato
 il  termine  di  adeguamento  degli scarichi alla disciplina prevista
 dalla legge n. 319 del 1976 in via eccezionale solo  per  il  settore
 dei sali alcalini, nell'intento di agevolare la soluzione della grave
 crisi della loro produzione localizzata esclusivamente nel territorio
 siciliano.
    Non sussisterebbe violazione ne' dell'art. 117 della Costituzione,
 poiche'  i  limiti  alla competenza legislativa della Regione Sicilia
 non sono fissati da tale disposizione costituzionale, ma dal  proprio
 statuto (artt. 14 e 17), ne' dell'art. 25 della Costituzione, perche'
 le  leggi  regionali  possono concorrere a precisare i presupposti di
 applicazione di norme penali statali e ad  attuare  le  stesse  norme
 (sent. n. 487 del 1989).
    3.  -  Si  sono  costituiti Tamburrini Domenico, Gambazza Renato e
 Sorci Carlo, imputati nel giudizio a quo.
    A loro parere, la questione sollevata sarebbe irrilevante  perche'
 il  Pretore, avendo enunciato un giudizio di merito relativo alla non
 applicabilita' alla fattispecie sottoposta al suo esame dell'art.  4,
 lett.  e),  della  legge  n.  319  del  1976,  che  escludeva la loro
 responsabilita'  penale,  avrebbe  dovuto  procedere  alla  fase   di
 decisione  del  processo. Ed, inoltre, perche' gli imputati avrebbero
 osservato un dettato normativo  solo  successivamente  sospettato  di
 incostituzionalita'.
    Nel  merito  la  questione  sarebbe infondata in quanto la Regione
 avrebbe legiferato nell'ambito della normativa di  attuazione  e  non
 avrebbe  inciso  sul  precetto  penale, muovendosi esclusivamente nel
 quadro dei presupposti della  fattispecie  di  reato,  senza  toccare
 l'elemento   materiale   o   quello   psicologico   del   reato,  ne'
 l'antigiuridicita' della condotta.
                        Considerato in diritto
    La Corte e' chiamata a verificare se l'art. 3  della  legge  della
 Regione  Sicilia  1› febbraio 1991, n. 8, il quale proroga il termine
 gia' fissato dall'art. 2 della legge n. 650 del 1979 al 1›  settembre
 1981 e dall'art. 33 della legge regionale n. 27 del 1986 al 17 maggio
 1988, sino all'attuazione delle opere ivi previste e comunque fino al
 31  dicembre  1992,  violi  gli  artt.  117  e 25 della Costituzione,
 perche' la disciplina apprestata riguarda  materia  che  non  rientra
 nella  competenza  regionale ma e' riservata alla competenza statale,
 siccome penalmente sanzionata.
    2.  -  Si  esamina  per  prima  l'eccezione  di  inammissibilita',
 sollevata dalle difese delle parti private e della Regione.
    Esse  hanno  osservato che la questione sollevata non e' rilevante
 perche' il giudice remittente dovrebbe applicare la  norma  impugnata
 in   quanto   piu'   favorevole   all'imputato,  anche  nel  caso  di
 declaratoria di illegittimita' costituzionale.
    L'eccezione non e' fondata.
    Come piu' volte affermato da questa  Corte  (sentt.  nn.  148  del
 1983;  826  del  1988;  124  del  1990),  le  pronunce concernenti la
 legittimita' delle norme penali di favore o comunque piu'  favorevoli
 all'imputato   possono   influire  sul  conseguente  esercizio  della
 funzione   giurisdizionale.    Invero,    l'eventuale    accoglimento
 dell'impugnativa viene ad incidere sulle formule di proscioglimento o
 quanto meno sul dispositivo della sentenza penale.
    La   pronuncia  della  Corte  potrebbe  riflettersi  sullo  schema
 argomentativo della sentenza penale assolutoria modificandone la  ra-
 tio  decidendi.  In  tal  caso ne risulterebbe alterato il fondamento
 normativo. L'eventuale sentenza  interpretativa  di  rigetto  che  la
 Corte  puo'  emettere oltre le sentenze di accoglimento o di rigetto,
 influirebbe certamente sugli esiti del giudizio penale. Il  che  puo'
 avvenire  nella  specie  in  quanto  la  norma impugnata non e' stata
 finora oggetto di interpretazione da parte del giudice ordinario.
    3. - Nel merito la questione non e' fondata per quanto si dira'.
    L'art. 13 della legge  n.  319  del  1976,  per  gli  scarichi  da
 insediamenti  produttivi  che  recapitano  in  corsi  di  acqua  o in
 pubbliche  fognature,  ha  prescritto  opere   dirette   ad   evitare
 inquinamenti,  da  effettuarsi  entro  tre  anni dalla sua entrata in
 vigore (15 giugno 1976), sia a carico dei titolari degli insediamenti
 che della Regione, dei Comuni o dei consorzi tra enti pubblici o  tra
 privati  ed  enti  pubblici.  Sono  stati  fissati  anche dei termini
 particolari: 31 dicembre 1981 per quelli che recapitano in  corso  di
 acqua  e  31  dicembre  1980  per  quelli che recapitano in pubbliche
 fognature.
    Successivamente si e' disposto (art. 2  della  legge  n.  650  del
 1979)  che  i titolari di insediamenti produttivi esistenti alla data
 di entrata in vigore della precedente legge n. 319 del 1976, che  non
 avessero  provveduto  ad  adeguare gli scarichi ai limiti prescritti,
 entro due mesi dall'entrata in vigore della  citata  norma,  dovevano
 presentare,   un  programma  dettagliato  di  cui  le  Regioni  erano
 obbligate  ad  autorizzare  l'attuazione   entro   tre   mesi   dalla
 presentazione, dettando particolari prescrizioni in ordine all'inizio
 dei  lavori e del funzionamento dell'impianto di depurazione, nonche'
 allo smaltimento dei fanghi e al risparmio energetico.
    L'attuazione dei detti  programmi  doveva  avvenire  entro  il  1›
 settembre 1981. Ma, siccome la loro esecuzione era collegata ad opere
 che  dovevano effettuare le Regioni, i Comuni o i consorzi, a seconda
 delle situazioni locali (art. 4 e 13 della legge n.  319  del  1976),
 detto  termine  non  poteva  che  avere natura ordinatoria e, quindi,
 poteva subire proroghe, come e' avvenuto.
    4. - La Regione Sicilia,  la  quale  ha  competenza  esclusiva  in
 materia  di  lavori  pubblici  di  interesse  regionale  e  di  acque
 pubbliche nonche' di igiene e sanita' entro i limiti dei  principi  e
 degli interessi generali cui si informa la legislazione statale (art.
 14, lett. g ed i, e art. 17, lett. b ed i, dello Statuto), ha emanato
 varie  leggi. Per quello che interessa, ha previsto un piano generale
 per la  tutela  dell'ambiente  e  una  disciplina  particolare  degli
 scarichi anche da insediamenti produttivi (artt. 5, 13, 14 e 15 della
 legge regionale n. 39 del 1977 e relative modificazioni approvate con
 la legge n. 78 del 1980).
    E  specificamente,  con  la  legge n. 181 del 29 dicembre 1981, ha
 disposto la proroga dei termini di cui agli artt. 2, 15  e  16  della
 legge  n.  650 del 1979, al 31 dicembre 1983, in attesa di provvedere
 con una apposita legge regionale.
    Detta legge non risulta essere stata impugnata.
    5. - La stessa Regione ha apprestato  una  disciplina  particolare
 per  alcune  industrie  di  carattere  esclusivamente locale, tra cui
 quella dei sali di potassio.
    Con l'art. 33 della legge n. 27 del 1986, gli scarichi delle acque
 di eduzione delle dette industrie che  non  recapitano  in  pubbliche
 fognature  sono  stati  assoggettati  alla  stessa  disciplina  degli
 scarichi provenienti da insediamenti produttivi e si e' fissato, come
 termine  per  il loro adeguamento, quello di due anni dall'entrata in
 vigore della legge (17 maggio 1986).
    Detto termine, con la successiva legge regionale  n.  8  del  1991
 (artt.  3), e' stato prorogato fino all'attuazione delle opere che si
 sono rese necessarie o, comunque, fino al 31 dicembre 1992.
    E' dovuta intervenire la Regione, tramite l'Ente minerario per  la
 ricerca,  la  coltivazione  dei  sali alcalini semplici, complessi ed
 associati, ed in particolare si e' demandato all'Assessore  regionale
 per  l'industria,  tramite gli uffici del genio civile competente per
 territorio  ovvero  tramite  i  consorzi  per  le  aree  di  sviluppo
 industriale,  la  realizzazione  delle  infrastrutture  relative agli
 impianti idrici, fognari e di smaltimento dei rifiuti.
    I suddetti interventi sono diretti ad incentivare la produzione  e
 a   far  superare  la  crisi  in  cui  versano  le  dette  industrie,
 prettamente locali, ma di importanza nazionale.
    6. - Va, infine, rilevato che erroneamente il  giudice  remittente
 ha posto come parametro di riferimento l'art. 117 della Costituzione,
 in quanto, trattandosi di Regione a statuto speciale, dovevano essere
 indicate le norme dello Statuto speciale che si assumevano violate.