IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   Riunito in camera di consiglio per deliberare in merito al  reclamo
 avverso l'applicazione del regime detentivo, di cui all'art. 41- bis,
 secondo  comma,  della  legge  26  luglio 1975, n. 354, e succ. mod.,
 presentato dal condannato Soru Antonio nato il  27  dicembre  1955  a
 Paulilatino   (Oristano)   attualmente   ristretto   presso  la  casa
 circondariale di Ancona, in espiazione della pena detentiva  di  anni
 trenta  di  reclusione  determinata con provvedimento di cumulo della
 procura della Repubblica di Terni del 24 settembre 1991 in  relazione
 a fattispecie di sequestro di persona a scopo di estorsione, omicidio
 aggravato, rapina ed altro.
                           RITENUTO IN FATTO
    Il  detenuto  reclamante,  ristretto  nella  casa circondariale di
 Ancona, con provvedimento 9 dicembre 1992 del direttore dell'istituto
 operativo sino al 25 novembre 1993, e' stato sottoposto alle seguenti
 restrizioni custodiali  in  deroga  al  trattamento  esecutivo  quale
 disciplinato   dal   vigente   ordinamento  penitenziario  (legge  n.
 354/1975)  e  quale  sospeso  ex  art.  41-   bis,   secondo   comma,
 dell'ordinamento stesso:
      a) esclusione delle varie occasioni di socialita' interna;
      b) limitazioni di colloqui;
      c) sottoposizione della corrispondenza al visto di controllo;
      d) limitazione massima di permanenza all'aria aperta;
      e) sospensione dei colloqui premiali;
      f)  limitazione  di  ricezione pacchi, di peculio e di eventuale
 attivita' lavorativa.
    Il provvedimento, comune anche ad  altri  condannati  per  delitti
 ipotizzanti  l'appartenenza alla criminalita' organizzata di maggiore
 pericolosita', risulta infatti adottato in applicazione  di  apposito
 intervento   ministeriale   (D.A.P.   25  novembre  1992)  sospensivo
 dell'applicazione delle  regole  del  trattamento  e  degli  istituti
 previsti  dalla  legge  26  luglio  1975,  n.  354,  nei  punti sopra
 elencati.
    Con tempestivo reclamo a questo tribunale  il  Soru  ha  impugnato
 tale  provvedimento,  di  cui  ha chiesto la revoca, negando trovarsi
 nella previsione normativa applicata.
    Instauratosi il presente giudizio secondo  lo  schema  procedurale
 previsto  dall'art.  14-  ter  dell'ord.  pen. in tema di reclamo del
 detenuto  al  tribunale  di  sorveglianza  avverso   il   regime   di
 sorveglianza   particolare,   questo   nella   specie  analogicamente
 ravvisabile, l'amministrazione penitenziaria  (e,  conformemente,  il
 p.g.)  ha concluso per l'inammissibilita' della doglianza per difetto
 di giurisdizione, sul rilievo che non e' previsto in  materia  alcuna
 forma  di impugnativa davanti alla magistratura di sorveglianza, solo
 residuando  al detenuto la possibilita' "di adire il t.a.r. secondo i
 principi che regolano la giustizia amministrativa".
    La difesa ha sollecitato intervento della Corte costituzionale.
    A scioglimento della riserva di udienza, il collegio  ha  adottato
 la presente decisione.
                          RILEVATO IN DIRITTO
    Sono  emerse,  in merito, numerose e fondate questioni di sospetta
 incostituzionalita' della norma in contestazione -  l'art.  41-  bis,
 secondo  comma,  della o.p. - comportanti la sospensione del presente
 giudizio  e  la  contestuale  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
 costituzionale per il separato responso.
    Viene   in   essenziale   e  pregiudiziale  rilievo  la  questione
 dell'ammissibilita' o meno, davanti a questo tribunale,  del  reclamo
 in esame.
    Ove  si  dovesse  condividere la tesi del difetto di giurisdizione
 dell'a.g.o. (id est, della magistratura di sorveglianza), cosi'  come
 dedotto  dall'amministrazione penitenziaria, per inesistente facolta'
 di reclamo da parte del detenuto, con la sola salvezza  per  lui  del
 ricorso  amministrativo  al  t.a.r.,  per cio' stesso non sembrerebbe
 infondato al collegio deliberare il presente reclamo al precipuo fine
 di sollevare di ufficio la questione di costituzionalita' del  citato
 art.  41- bis, secondo comma, dell'o.p., perche' in contrasto con gli
 artt. 102 e 113  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  non  e'
 prevista   tale   possibilita'   del   detenuto  davanti  l'autorita'
 giudiziaria ordinaria.
    Si e' del parere invero che nella specie si esuli dal settore  del
 mero interesse legittimo tutelabile in via amministrativa per entrare
 in  quello  di  alcuni  diritti ordinari della persona, anzi dei c.d.
 diritti essenziali (e, in primis, della stessa liberta'  individuale)
 i  quali,  per  compressi  che  siano  in  vinculis, non soltanto non
 possono ritenersi sottratti al controllo dell'a.g.o., ma ne postulano
 viceversa l'intervento  di  garanzia  di  legalita'  proprio  perche'
 coinvolti nelle necessarie limitazioni della espiazione carceraria.
    Si  pensi  alla  natura  dei  beni  coattivamente amministrati: la
 liberta' di movimento, la liberta' di espressione e di comunicazione,
 l'interesse stesso  alla  conservazione  della  integrita'  fisica  e
 psichica della persona.
    Il  c.d.  principio  di  giurisdizionalizzazione  della espiazione
 penale,  tipicamente  demandato  alle  cure  della  magistratura   di
 sorveglianza  sin dal 1975 con l'introduzione del vigente ordinamento
 penitenziario, non puo'  soggiacere  ad  alcun  vulnuv  per  il  solo
 intervento, come di specie, del potere esecutivo.
    Non  si  vuol negare con cio' aprioristicamente la possibilita' di
 sottoporre alcuni detenuti, per motivare esigenze di sicurezza  e  di
 ordine  intra  ed extra moenia, a trattamenti di particolare rigore e
 di speciale vigilanza.
    Si vuole semplicemente affermare che, secondo i  vigenti  principi
 di  legalita'  vuoi  della Carta costituzionale vuoi dell'ordinamento
 penitenziario, non puo' essere precluso a tali detenuti di  adire  il
 loro   giudice   naturale,   questo   nel  caso  rappresentato  dalla
 magistratura di sorveglianza. Ne', del pari, puo' essere  impedito  a
 tale  giudice  l'esercizio del suo potere istituzionale affermativo o
 meno   della   legittimita'   del   comportamento   della   p.a.   e,
 preliminarmente,  di deliberazione della fondatezza e della rilevanza
 delle questioni di costituzionalita' delle norme applicate.
    Per tali considerazioni, dunque, il collegio disattende l'eccepito
 difetto   di   giurisdizione  ed  afferma  la  propria  competenza  a
 provvedere sul reclamo in analogia - come accennato in fatto  -  alla
 normativa  dell'art.  14-  ter  dell'o.p.  in  tema  di  sorveglianza
 particolare, con cio' superando la stessa rilevanza  della  possibile
 questione  di  costituzionalita' dell'art. 41- bis, secondo comma, in
 raffronto degli artt. 102, 113 della Costituzione sopra ipotizzati.
    Tale richiamo  analogico  e'  di  intuitiva  evidenza.  Il  potere
 ministeriale  infatti qui esercitato in virtu' di detto secondo comma
 dell'art. 41- bis della legge n. 354/1975, sospensivo delle regole di
 trattamento e degli istituti "che possano porsi in concreto contrasto
 con le esigenze di ordine e di sicurezza", non e' fine a  se  stesso,
 ma  serve a consentire alla amministrazione penitenziaria di adottare
 - come di specie - particolari trattamenti di vigilanza custodiale di
 taluni  detenuti,  cosi'   come   previsto   per   la   "sorveglianza
 particolare"  ex art. 14- bis dell'o.p. e cosi' come in precedenza di
 fatto attuato  a  questo  titolo  dall'amministrazione  penitenziaria
 medesima.
    Ricorre  anche  una  notevole  identita'  di  presupposti,  stante
 l'ampia estensione  di  applicabilita'  del  regime  di  sorveglianza
 particolare   a   qualsiasi   detenuto   sulla   base  di  precedenti
 comportamenti penitenziari "o di altri concreti comportamenti  tenuti
 nello  stato  di  liberta'"  (art.  14-  bis  cit.,  penultimo  comma
 dell'o.p.).
    Ed e'  proprio  in  tale  estrinsecazione  amministrativa  che  il
 summenzionato  intervento  sospensivo del Ministro ex art. 41- bis si
 colora di incostituzionalita', vuoi perche' attribuisce all'esecutivo
 poteri propri dell'autorita' giudiziaria, vuoi perche' confligge  con
 altri numerosi principi della nostra Costituzione.
    Sintetizziamo le singole questioni di rilevanza al decidere:
      1)  ritenuta  incostituzionalita'  dell'art.  41-  bis,  secondo
 comma, dell'o.p. nella parte in cui,  sospendendo  la  vigenza  delle
 norme dell'ordinamento penitenziario in materia di corrispondenza dei
 detenuti  (art.  18,  settimo  comma, dell'o.p.), esclude il motivato
 provvedimento del magistrato di sorveglianza. Cio' in  contrasto  con
 l'art. 15, secondo comma, della Costituzione.
    Il  decreto  impugnato prevede infatti, tra le altre disposizioni,
 anche la sottoposizione della corrispondenza epistolare e telegrafica
 del  detenuto  direttamente  al  visto  di  controllo  da  parte  del
 direttore   dell'istituto   penitenziario   o   di  un  suo  delegato
 appartenente alla stessa amministrazione.
    Il contrasto con l'art. 15, secondo comma, della  Costituzione  e'
 evidente,  trattandosi  della  limitazione  della  liberta'  e  della
 segretezza della corrispondenza che "puo' avvenire soltanto per  atto
 motivato  dell'autorita'  giudiziaria con le garanzie stabilite dalla
 legge". Tale atto,  durante  l'espiazione,  custodiale,  e'  soltanto
 quello riservato al magistrato di sorveglianza;
      2)  ritenuta  incostituzionalita'  dell'art.  41-  bis,  secondo
 comma, dell'o.p. nella parte in cui,  sospendendo  la  vigenza  delle
 norme  dell'ordinamento  penitenziario  in materia di trattamento dei
 condannati (artt.  1,  13,  15  e  succ.,  dell'o.p.),  non  consente
 interventi  finalizzati  alla sua rieducazione. Cio' in contrasto con
 l'art. 27, terzo comma, della Costituzione).
    Dal  complessivo  esame  delle  restrizioni  imposte si deduce che
 l'amministrazione penitenziaria, su delega del ministro in attuazione
 dell'art.  41-  bis,  secondo  comma,  ha  sottoposto   il   detenuto
 ricorrente,  al  pari  di altri condannati individuati in ragione del
 solo titolo di pena (i delitti di cui al primo  comma  dell'art.  41-
 bis della legge n. 354/1975 quale aggiornato dall'art. 15 del d.l. 8
 giugno  1992,  n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356),
 ad una specie  di  isolamento  della  durata  iniziale  di  un  anno:
 riduzione  delle  ore  d'aria  al  minimo  vitale,  esclusione  dalla
 socialita' interna, limitatissimi colloqui soltanto con  familiari  e
 conviventi, ecc.
    In precedenza, cioe' sino al giugno 1992 epoca di introduzione del
 secondo  comma  dell'art.  41-  bis  dell'o.p.  tramite  il  d.l. n.
 306/1992 sopra  richiamato,  tutta  la  normativa  di  emergenza  era
 disciplinata  in  funzione  di deroghe al trattamento rieducativo per
 periodi limitatissimi e  per  il  tempo  strettamente  necessario  al
 ristabilimento  dell'ordine  e  della  sicurezza.  Vedasi al riguardo
 l'esplicita formulazione degli artt. 14- bis e 41- bis dell'o.p.,  un
 41- bis a comma unico.
    In  tal  senso  era  anche  l'originario  art.  90  della legge n.
 354/1975, opportunamente abrogato nel 1986 dalla c.d. riforma Gozzini
 (legge   n.   633/1986)   proprio   per    le    preoccupazioni    di
 incostituzionalita' che la dottrina andava sempre piu' manifestando.
    L'intento  del  legislatore  era  ed  e'  palese: approntare mezzi
 coercitivi straordinari nello stretto necessario al ripristino  delle
 primarie  condizioni  di ordine e di sicurezza, per non compromettere
 le esigenze  espiatorie  costituzionalmente  garantite  dall'art.  27
 della  Costituzione circa il divieto di trattamenti punitivi contrari
 al senso di umanita' e circa il contestuale "obbligo"  di  approntare
 mezzi rieducativi.
    Con  l'introduzione  pero'  del contestato secondo comma al citato
 art. 41- bis dell'o.p. si e' sconvolto il sistema,  vuoi  perche'  si
 prescinde dalle singole situazioni del soggetto colpito, vuoi perche'
 la  facolta'  dell'intervento ministeriale non e' piu' ricollegata al
 perdurare delle turbative ma  e'  genericamente  riferibile  al  solo
 titolo  di condanna e non ha altro limite temporale se non quello del
 triennio dall'entrata in vigore della legge  di  conversione,  quindi
 sino al 7 agosto 1995.
    Ritiene il collegio che questa mera e cosi' ampia discrezionalita'
 dell'esecutivo, pur apprezzabile per le professate finalita' di lotta
 alla  criminalita'  organizzata, contrasti con gli indicati parametri
 dell'art. 27 della Costituzione.
    L'attuale  iniziale  sospensione  del   preesistente   trattamento
 detentivo  per la considerevole durata, allo stato, di un anno (forse
 reiterabile)  e  la  correlata  esclusione   del   condannato   dalla
 partecipazione  alle  attivita'  rieducative  per cosi' lungo periodo
 indipendentemente da ogni verifica circa il perdurare o meno dei suoi
 collegamenti malavitosi, realizzano infatti una forma  di  espiazione
 in innegabile contrasto con il dettato costituzionale.
    Si  noti  che  il  provvedimento reclamato, in quanto applicato ex
 abrupto in ragione del titolo di condanna, viene  a  vanificare  -  o
 comunque  a  pregiudicare  sensibilmente  -  il progresso rieducativo
 raggiunto da molti detenuti dopo anni di lusinghiera  rispondenza  al
 trattamento  custodiale,  progresso  talora  gia'  riconosciuto dallo
 stesso  tribunale  di sorveglianza nel concedere loro abbuoni di pena
 ex art. 54 dell'o.p.
    Il trattamento punitivo non puo' che essere  individuale,  secondo
 un programma via via modificabile ma sempre soggetto al controllo del
 magistrato di sorveglianza, il quale non avrebbe certamente motivo di
 censura    delle    restrizioni    predisposte   dall'amministrazione
 penitenziaria se rapportate in concreto ad esigenze di  ordine  e  di
 sicurezza, caso per caso.
    Soltanto  in  questa  visione  espiatoria,  del resto, si realizza
 anche  il   concorrente   ulteriore   principio   costituzionale   di
 eguaglianza   delle   persone   davanti  alla  legge  (art.  3  della
 Costituzione), che meriterebbe approfondita disamina anche in  questa
 sede.  Quale  che  sia  invero  il  titolo  della  pena, l'espiazione
 carceraria, sopraggiungendo  uniformemente  ad  ogni  detenuto  quale
 effetto  delle  definitivita'  della  condanna  inflitta, deve essere
 uguale per tutti, almeno nel senso che  a  tutti  deve  offrire  pari
 opportunita' di ravvedimento e di risocializzazione;
     3) ritenuta incostituzionalita' dell'art. 41- bis, secondo comma,
 dell'o.p.  nella  parte  in  cui,  sospendendo la vigenza delle norme
 dell'Ordinamento stesso  in  materia  di  trattamento  dei  detenuti,
 consente  all'amministrazione  penitenziaria  di  adottare  forme  di
 inasprimento custodiale senza darne adeguata motivazione  ai  singoli
 interessati.  Cio' in contrasto con gli artt. 97, primo comma, e 113,
 primo e secondo comma, della Costituzione.
    Questo diverso e piu' afflittivo regime carcerario  viene  imposto
 al  detenuto  semplicemente  informandolo che "nei suoi confronti, in
 applicazione dell'art. 41- bis, secondo comma, della legge 26  luglio
 1975,  n. 354, inserito nell'art. 19 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306,
 con  provvedimento  D.A.P.  del  25   novembre   1992,   e'   sospesa
 l'applicazione  delle  regole del trattamento ecc.  .." (vedi nota in
 atti 9 dicembre 1992 del direttore dell'istituto di pena di  generale
 impostazione).
    Il  combinato  disposto  del  primo  comma  dell'art. 97 sul buono
 andamento e sulla  imparzialita'  dell'Amministrazione  e  di  quello
 dell'art.   113   della   nostra  Carta  costituzionale  postula  una
 esauriente, ancorche' succinta, motivazione dell'atto  amministrativo
 quanto  meno  per  consentire  al suo destinatario la possibilita' di
 tutelare diritti ed interessi in via giurisdizionale.
    Detto principio costituzionale non puo' ritenersi compatibile  con
 il   mero   riferimento  legislativo  di  premessa  al  provvedimento
 applicato, come di specie. Non  viene  invero  indicato  al  detenuto
 perche'  ed in quali termini egli rientra nella incidenza legislativa
 di maggior rigore.
    Non si dimentichi che la fascia di previsione operativa  dell'art.
 41-  bis,  secondo  comma, dell'o.p. e' assai ampia, sotto un duplice
 aspetto:
       a) essa e' graduabile, atteso  che  l'intervento  del  Ministro
 puo'  esercitarsi "in tutto o in parte" sull'ordinamento vigente, per
 esplicita previsione della legge;
       b) convolge una eterogenea e vasta categoria di detenuti, quali
 ricompresi dal primo comma dell'art. 41- bis dell'o.p., di non facile
 ricognizione. Sia sufficiente osservare che  esso  riguarda  anche  i
 responsabili  di  delitti  comuni,  ma  "commessi  avvalendosi  delle
 condizioni previste dall'art. 416- bis del c.p.".
    Piu'  si dilata la discrezionalita' amministrativa, piu' si impone
 la necessita' di motivazione per la p.a. del  provvedimento  adottato
 nei  confronti  di  colui  contro  il  quale  e' esercitato un potere
 coattivo, soprattutto in un ambito - come gia' rilevato in precedenza
 - di compressione dei diritti attinenti  alla  liberta'  individuale.
 Una   siffatta   motivazione  presuppone  l'esplicita  e  dettagliata
 descrizione delle ragioni di fatto e di diritto in  base  alle  quali
 essa e' stata esercitata avverso il singolo detenuto;
      4) rilevanza delle suddette questioni.
    Non occorre particolare indugio al riguardo, risultando evidente -
 come  affermato  in  premessa  -  la pregiudizialita' di ogni singola
 questione  ai  fini  del  decidere.   L'eventuale   declaratoria   di
 incostituzionalita'   dell'impugnata  normativa  dell'art.  41-  bis,
 secondo  comma,  dell'o.p.  paralizzerebbe  infatti  -  ipso  iure  -
 l'efficacia dell'atto ministeriale contestato, con connessa decadenza
 del provvedimento esecutivo disposto dalla direzione dell'istituto di
 pena e consequenziale cessazione della materia del contendere.