IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Riunito in camera di consiglio per deliberare su istanza di reclamo ex art. 41- bis, nei confronti di Castaldo Giulio, nato il 12 giugno 1948 ad Afragola (Napoli), attualmente detenuto nella casa di reclusione di Fossombrone, in espiazione di pena per il seguente titolo: provvedimento cumulo emesso in data 14 novembre 1988 dalla procura generale presso corte d'appello di Napoli che determina la pena residua espianda in anni ventotto, mesi sette e giorni 15 di cui anni uno condonati, anni due e mesi uno amnistiati; decorrenza pena: 27 febbraio 1983; fine pena: 20 maggio 2007. F A T T O Con provvedimento in data 25 novembre 1992, il vice direttore generale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, su delega del Ministero di grazia e giustizia, sospendeva, in attuazione dell'art. 41- bis, secondo comma, dell'o.p., cosi' come introdotto dall'art. 19 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, nei confronti del detenuto Castaldo Giulio (condannato tra l'altro per associazione a delinquere di stampo mafioso) l'applicazione di alcune regole di trattamento contemplate dall'attuale normativa penitenziaria. Detto provvedimento veniva notificato in data 3 dicembre 1992 all'interessato il quale, con atto in data 14 dicembre 1992, proponeva impugnazione avverso l'applicazione nei suoi confronti del c.d. "regime speciale" previsto dall'art. 41- bis, secondo comma, dell'o.p. Fissata l'udienza avanti a questo tribunale di sorveglianza ai sensi dell'art. 14- ter dell'o.p., l'amministrazione penitenziaria presentava articolata memoria difensiva. All'esito della discussione del reclamo, le parti concludevano come da verbale d'udienza. Il tribunale si riservava. D I R I T T O A scioglimento della riserva di cui al separato verbale, il collegio ritiene che sia non manifestamente infondata e rilevante l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 41- bis, secondo comma, dell'o.p. per contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione sollevata dalla difesa del Castaldo e che ulteriore censura di costituzionalita' della norma citata, con riferimento all'art. 13 della Costituzione, debba rilevarsi d'ufficio, con conseguente, quindi, sospensione del giudizio e rimessione degli atti alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87: A) preliminarmente all'esame delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale, occorre, tuttavia, sgombrare il terreno dai dubbi, adombrati dall'amministrazione penitenziaria, circa la titolarita' in capo all'a.g.o. di giurisdizione in materia. Con la predetta memoria l'amministrazione penitenziaria eccepiva, infatti che, l'art. 41- bis dell'o.p., cosi' come recentemente integrato dall'art. 19 del d.l. 8 giugno 1992 convertito in legge n. 386/1992 non prevede per il detenuto alcun potere di impugnazione dinanzi alla magistratura di sorveglianza del provvedimento ministeriale, emesso in forza della medesima norma; che, non puo' ritenersi neppure, applicabile analogicamente, nel caso in questione, il procedimento per reclamo contemplato dall'art. 14- ter dell'o.p. relativo all'istituto della sorveglianza particolare, attesi i diversi presupposti di quest'ultimo; che, pertanto, ferma restando la facolta' per il detenuto di adire il t.a.r. secondo i principi generali che regolano la giustizia amministrativa, l'a.g.o. difetta di giurisdizione nella specifica materia. Ritiene questo collegio che la sollevata eccezione di difetto di giurisdizione della magistratura di sorveglianza sia priva di fondamento. Il provvedimento ministeriale impugnato, in applicazione della previsione di cui al secondo comma dell'art. 41- bis dell'o.p., sospende, nei confronti dell'istante, alcune regole del trattamento penitenziario, introducendo una sorta di regime speciale, in particolare, per quanto riguarda la possibilita' di partecipazione del detenuto al sorteggio mensile per la designazione dei distretti incaricati al controllo delle tabelle e della preparazione del vitto, della gestione del servizio di biblioteca, nonche' dell'organizzazione delle attivita' interne volte alla realizzazione della personalita' dei detenuti e degli internati che viene esclusa; i colloqui che, con frequenza ridotta, vengono consentiti solo nei confronti di congiunti, conviventi e difensori e sono per il compimento di atti giuridici con altre persone; la corrispondenza telefonica, ugualmente limitata; quella epistolare e telegrafica che viene, consentita solo se sottoposta a visto di controllo; la permanenza all'aria aperta, ridotta a sole due ore al giorno, la possibilita' di ricevere dall'esterno pacchi e somme di denaro, pure limitata; lo svolgimento di determinate attivita' artigianali che viene escluso. Risulta di tutta evidenza che il predetto atto amministrativo incide in modo immediato e diretto su posizioni giuridiche soggettive qualificabili alla stregua di diritti soggettivi strettamente inerenti alla persona umana, che trovano riconoscimento e tutela a livello costituzionale (diritto alla liberta' personale, art. 13, primo e secondo comma, della Costituzione; diritto alla corrispondenza, art. 15, della Costituzione; divieto di trattamenti penali disumani e non ispirati a finalita' rieducative, art. 27, terzo comma, della Costituzione). Tali liberta' costituzionalmente garantite, sono protette anzitutto, proprio nei confronti dell'autorita' amministrativa, con la previsione di riserva giurisdizionale per cui soltanto per atto dell'autorita' giudiziaria, nei casi e con le forme previsti dalla legge, sono suscettibili di compressione. In nessun caso, pertanto, tali situazioni giuridiche soggettive possono degradare ad interessi legittimi, difettando la p.a. in modo assoluto di poteri ablatori. Alla luce di quanto appena esposto, vertendosi in materia di atto amministrativo eventualmente lesivo di diritti soggettivi, in ossequio al tradizionale criterio di riparto della giurisdizione tra giustizia ordinaria ed amministrativa, va affermato la ius dicendi nella materia de qua dell'a.g.o. Occorre, peraltro ricordare che gia' sotto il regime dell'abrogato art. 90 dell'o.p., il t.a.r. del Lazio, al vaglio del quale era stata sottoposta la legittimita' di provvedimento ministeriale applicativo del c.d. regime differenziato introdotto con la citata norma nel contenuto del tutto analogo al provvedimento oggetto dell'odierno giudizio (v. d.m. 22 aprile 1982; cfr. inoltre: d.m. 28 aprile 1983) aveva escluso la propria giurisdizione in favore dell'a.g.o. e specificamente della magistratura di sorveglianza sul presupposto che: "i provvedimenti ministeriali che dispongono la sospensione temporanea delle regole di trattamento carcerario, ai sensi dell'art. 90 della legge 26 luglio 1975, n. 354, incidono in via immediata e diretta su posizioni giuridiche soggettive qualificabili come diritti di liberta' costituzionalmente garantiti e come tali non degradabili ad interessi legittimi, .. la distinzione tra carenza del potere e scorretto esercizio dello stesso puo' costituire un valido criterio di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario ed amministrativo nei casi in cui si controverte in ordine a situazioni soggettive degradabili per effetto di poteri ablatori di cui l'amministrazione risulta titolare, ma non puo' essere utilizzata quando la posizione oggettiva incisa dalla determinazione autoritativa si configura come un diritto di liberta' che per la sua assolutezza ed attinenza alla persona umana non e' suscettibile di affievolimento" (sentenza 13 settembre 1984, n. 771). Va, da ultimo, considerato che l'attribuzione all'a.g.o. del sindaco giurisdizionale sui provvedimenti applicativi di regime carcerario "speciale" risponde, altresi', a criteri di opportunita' e logica del sistema, atteso che la magistratura di sorveglianza, e in virtu' della titolarita' di una sorta di giurisdizione esclusiva su tutta la materia penitenziaria e in considerazione della specifica competenza ed esperienza professionali appare come l'autorita' giudiziaria meglio indicata a conoscere dei provvedimenti che abbiano a destinatari i ristretti negli istituti di pena; B) risulta positivamente la questione della giurisdizione, occorre esaminare quella della competenza, ossia individuare quale organo della magistratura di sorveglianza se quello monocratico o quello collegiale sia, in concreto, competente a decidere sul reclamo in questione. Ritiene questo collegio di dover affermare al riguardo la propria competenza. A favore della competenza nella materia di cui trattasi del tribunale di sorveglianza, depone il fatto che l'ordinamento penitenziario gia' prevede il sindacato dell'organo collegiale sui reclami avverso i provvedimenti di sottoposizione dei detenuti a sorveglianza particolare (artt. 14- bis e segg. dell'o.p.). Detto ultimo istituto della sorveglianza particolare, pur affatto diverso quanto a presupposti rispetto a quello di cui all'art. 41- bis, secondo comma, dell'o.p., viene, nella sua concreta applicazione, ad assumere un contenuto largamente coincidente con il regime differenziato introdotto con il provvedimento di sospensione parziale del trattamento penitenziario, oggetto di doglianza. Puo', pertanto, argomentarsi in via analogica, che, se il legislatore ha ritenuto preferibile che il controllo giurisdizionale, in sede di reclamo, su provvedimenti, gravemente incidenti sulla vita del detenuto, come quelli di sottoposizione a sorveglianza speciale, fosse attribuito all'organo collegiale a maggior ragione il tribunale, e non il magistrato di sorveglianza, dovra' ritenersi competente ad esaminare le impugnazioni dei provvedimenti di sospensione delle regole di trattamento ex art. 41- bis, secondo comma, dell'o.p., nella parte prescrittiva assimilabile ai primi in pejus; C) nella gradata disamina delle questioni pregiudiziali qui condotta, va ora affrontata quella dell'ammissibilita' del reclamo. All'affermazione della competenza nella materia de qua agitur del tribunale di sorveglianza in applicazione analogica del disposto degli artt. 14- bis e segg. dell'o.p., consegue anche l'adattabilita', sempre in via analogica, per l'impugnazione di cui trattasi, delle forme procedurali in previse. A parere di questo collegio il reclamo proposto dal detenuto Castaldo deve senz'altro ritenersi ammissibile. Non osta, infatti, a tale conclusione la considerazione che la suddetta impugnazione - come evidenziata nella parte narrativa - sia stata proposta oltre il termine di giorni dieci dalla comunicazione del provvedimento, oggetto di gravame, previsto dall'art. 14- ter, primo comma dell'o.p. che, diversamente ritenendo, si infrangerebbe il divieto di applicazione analogica in malam partem della norna penale, cui quella penitenziaria e' senz'altro assimilabile; D) ritenuta l'ammissibilita' del reclamo, il collegio ritiene non poter allo stato procedere all'esame nel merito del gravame dovendosi previa sospensione del giudizio, sottoporre al vaglio della Corte costituzionale le agitate questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 41- bis, secondo comma, dell'o.p. Quanto alla rilevanza di tali questioni ai fini della decisione, essa risulta di tutta evidenza. La norma della cui legittimita' costituzionale si discute, e', infatti, la fonte normativa del provvedimento ministeriale oggetto di reclamo ed e', pertanto di applicazione indispensabile per la definizione dell'odierno giudizio. La soluzione della questione di legittimita' costituzionale appare pregiudiziale alla decisione al reclamo proposto in quanto l'eventuale pronuncia di illegittimita' costituzionale dell'art. 41- bis, secondo comma, dell'o.p. comporterebbe la decadenza del provvedimento impugnato e, quindi, la cessazione della materia del contendere. Sulla non manifesta infondatezza delle sopraccennate questioni di legittimita' costituzionale, valgano le considerazioni che seguono. L'art. 41- bis, secondo comma, dell'o.p. appare illegittimo costituzionalmente per contrasto con l'art. 13, primo e secondo comma, della Costituzione nella parte in cui attribuisce al Ministro di grazia e giustizia (e non all'autorita' giudiziaria) in potere, mediante la sospensione totale o parziale dell'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall'ordinamento penitenziario, di introdurre nei confronti dei detenuti ulteriori restrizioni della liberta' personale. Secondo l'insegnamento ormai consolidato della piu' autorevole dottrina costituzionalistica (Vassalli, Pace, Basile) il concetto di liberta' personale deve intendersi in senso lato come, peraltro si desume dalla locuzione "qualsiasi altra restrizione della liberta' personale" usata dal costituente, non soltanto come liberta' fisica, ma anche come liberta' morale si' che il singolo individuo non ha solo un diritto alla liberta' da ogni costrizione fisica, ma anche da ogni pressione tendente a ridurre la liberta' di pensiero e di espressione, a condizionarne la volonta', ad incidere sul suo stato psichico. Alla luce di quanto appena detto non puo' dubitarsi che anche il detenuto, sebbene privato della liberta' fisica a cagione della sua condizione detentiva, conservi pur sempre un diritto, pur se compresso, ad ogni altra espressione della liberta' personale, la cui inviolabilita' resta garantita dalla riserva di legge e da quella giurisdizionale previste dall'art. 13 della Costituzione. Viziata da illegittimita' costituzionale appare pertanto, la norma in esame che attribuisce all'autorita' amministrativa, con proprio atto e al di fuori di qualsiasi controllo giurisdizionale, il potere di ulteriormente aggravare, l'ordinario regime detentivo previsto dalla legge ed in concreto applicato con l'ordine di esecuzione della condanna emesso dal giudice, comprimendo i residui spazi di liberta' personale del recluso. Ulteriore censura di illegittimita' costituzionale della norma in esame va mossa con riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione che contempla il divieto di trattamenti penali contrari al senso di umanita' e non ispirati a finalita' rieducativa. L'obiettivo della rieducazione puo' essere perseguito soltanto attraverso un'attivita' trattamentale che sia veramente tale, che non si sostanzi, cioe', soltanto nella mera custodia del detenuto. Nel momento in cui il legislatore, con la norma in esame, prevede la possibilita' di sospensione, addirittura integrale, nei confronti di alcuni detenuti, delle regole di trattamento e degli istituti dell'ordinamento penitenziario rinuncia rispetto a questi ultimi al perseguimento della finalita' rieducativa, in una inammissibile deroga al precetto costituzionale. Ma anche sotto altro riguardo la normativa oggetto di esame risulta in contrasto con il parametro costituzionale di cui all'art. 27, terzo comma, della Costituzione. Il c.d. regime speciale, maggiormente restrittivo rispetto a quello ordinario, la cui possibilita' di applicazione a determinati detenuti viene introdotta dall'art. 41- bis, secondo comma, dell'o.p., seppure puo' essere giustificato da specifiche esigenze di ordine e di sicurezza dettate dalla considerazione della particolare pericolosita' sociale espressa dai destinatari, confligge insanabilmente con il principio della finalita' rieducativa della pena, ed, in particolare, con quello della c.d. "individualizzazione" del trattamento, imprescindibile corollario del primo, (v. artt. 1, primo comma, e 13 dell'o.p., diretta emanazione dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione) laddove se ne consente un'attuazione indiscriminata nei confronti di reclusi individuati unicamente in base al titolo detentivo. L'art. 41- bis, secondo comma, della Costituzione individua, quali presupposti per farsi luogo a sospensione parziale o totale del trattamento, la ricorrenza di gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica e la sussistenza di titolo detentivo per taluno dei reati di cui al primo comma dell'art. 4- bis dell'o.p. Va osservato, quanto al primo presupposto, indicato nella norma del tutto genericamente, che i gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica possano anche addursi - come di fatto e' avvenuto nel caso di specie - in relazione a situazioni di emergenza e di particolare allarme sociale esterne alla realta' carceraria ed a questa estranee o, quanto meno, non necessariamente collegate. Il legislatore, inoltre, non indica alcun criterio per l'esercizio della facolta' di sospensione di regole trattamentali ed istituti penitenziari. Viene cosi' legittimata, in violazione del precetto costituzionale, un'applicazione del regime speciale nei confronti di detenuti selezionati esclusivamente con riferimento al titolo detentivo, a prescindere, quindi, da qualsiasi valutazione delle condizioni e bisogni soggettivi, del grado di pericolosita' sociale esplicitato, dell'evoluzione della personalita', nonche' dell'eventuale percorso rieducativo compiuto che verrebbe, in ipotesi, vanificato. Per quanto sin qui esposto, risultano, pertanto, fondate le censure di legittimita' costituzionale dell'art. 41- bis, secondo comma, dell'o.p. per contrasto con gli artt. 13, primo e secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.