ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge 9
 dicembre 1977, n. 903 (Parita' di trattamento tra uomini e  donne  in
 materia di lavoro), promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1992
 dalla  Corte  di  cassazione  sul  ricorso  proposto da Longo Adriano
 contro la s.p.a. Wabco Westinghouse Compagnia Freni, iscritta  al  n.
 683 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 24 febbraio 1993 il Giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
                           Ritenuto in fatto
    1. - La Corte di cassazione, con ordinanza emessa il  20  febbraio
 1992,  ha  sollevato,  in riferimento agli artt. 3, 29 secondo comma,
 30,  31  secondo  comma  e  37  della  Costituzione,   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977
 n. 903 nella parte  in  cui  non  estende  al  padre  lavoratore,  in
 alternativa alla madre, rinunciante, il diritto ai riposi giornalieri
 previsti dall'art. 10 della legge 30 dicembre 1971 n. 1204.
    Nell'ordinanza di rinvio si premette che Adriano Longo, dipendente
 della  "Wabco  Westinghouse Compagnia Freni" s.p.a., ha instaurato un
 procedimento civile, chiedendo la condanna della predetta societa' al
 pagamento della retribuzione per le due  ore  di  riposo  giornaliero
 usufruite  - in alternativa alla moglie, lavoratrice subordinata, che
 vi aveva  rinunciato  -  per  l'allattamento  della  figlia  di  eta'
 inferiore ad un anno. La domanda, fondata sull'art. 10 della legge 30
 dicembre  1971,  n.  1204  e' stata rigettata dai magistrati aditi in
 sede di merito.
    Il giudice rimettente sostiene, poi, che la disciplina legislativa
 attuale  riconosce  senza  limiti  al  lavoratore  subordinato  -  in
 alternativa  alla  madre  lavoratrice,  che  vi abbia rinunciato - il
 diritto all'astensione  facoltativa  dal  lavoro  post  partum  e  ad
 assentarsi  dal  lavoro  durante  le  malattie  del  bambino  di eta'
 inferiore a tre anni (art. 7 della legge 9  dicembre  1977  n.  903),
 mentre  la  sentenza n. 1 del 1987 di questa Corte ha esteso al padre
 lavoratore, nel rispetto delle condizioni su indicate,  la  fruizione
 dei  riposi  giornalieri  retribuiti  solo  nell'ipotesi di specifici
 impedimenti (morte  o  grave  infermita')  della  madre  lavoratrice,
 sicche'   non   sarebbe   possibile   emettere  alcuna  pronuncia  di
 accoglimento della domanda proposta.
    La Corte di  cassazione  rileva,  inoltre,  che  la  questione  di
 legittimita' costituzionale non e' manifestamente infondata.
    Infatti,  ad  avviso  del  giudice a quo, i riposi giornalieri non
 sono connessi strettamente alle esigenze  dell'allattamento  naturale
 ma  agli  interessi  della  prole e sono fondati sulla stessa "ratio"
 sottesa  all'astensione  facoltativa  post  partum,  secondo   quanto
 rilevato da questa Corte con la sentenza n. 1 del 1987.
    Del  resto,  a parere del giudice rimettente, l'attribuzione senza
 limiti al padre lavoratore del diritto di assistere il bambino malato
 - anche nel primo anno di vita (periodo in cui e'  riconosciuto  pure
 il  diritto  ai  riposi  giornalieri)  -  in  alternativa  alla madre
 lavoratrice rinunciante, prescinde dalle condizioni  personali  della
 madre  e  si  basa  sulla  parificazione dei ruoli nell'assistenza al
 bambino  in   momenti   di   estrema   importanza,   sicche'   appare
 ingiustificata   l'omessa   previsione  di  una  identica  disciplina
 legislativa per i riposi giornalieri contemplati dall'art.  10  della
 legge n. 1204 del 1971.
    In  realta'  - ritiene il giudice a quo - il principio di parita',
 sancito dalla Costituzione, come e' stato sostenuto da  questa  Corte
 nella  sentenza  n. 341 del 1991, ha determinato il superamento della
 separatezza dei ruoli della donna e dell'uomo, nella famiglia e fuori
 di essa ed una piu' paritetica partecipazione di entrambi ai  compiti
 di cura, di assistenza e di educazione dei minori.
    2.  -  Pertanto,  ad  avviso del giudice rimettente, essendo scopo
 attuale dell'istituto dei riposi  giornalieri  quello  di  consentire
 alla   madre   i   "compiti   delicati  e  impegnativi  connessi  con
 l'assistenza del bambino nel primo anno di vita", se anche  il  padre
 "e'  idoneo  a  prestare assistenza materiale e supporto affettivo al
 minore" e non sussistono serie concorrenti ragioni  di  tutela  della
 salute  della  madre,  appare  irrazionale  che non sia assicurata al
 bambino, nel primo anno di vita, la  presenza  del  padre  durante  i
 riposi giornalieri, qualora la madre lavoratrice vi rinunci.
    La  disciplina legislativa vigente, oltre a contrastare con l'art.
 3 della Costituzione, violerebbe, secondo il giudice  a  quo,  l'art.
 29,  secondo  comma, della Costituzione, in relazione al principio di
 eguaglianza tra i coniugi, l'art. 30 della Costituzione in ordine  ai
 compiti di mantenere, istruire ed educare i figli, l'art. 31, secondo
 comma,  della  Costituzione,  che  pone  la  tutela  del minore quale
 compito fondamentale dell'ordinamento, e l'art. 37 della Costituzione
 sotto un duplice profilo: uno relativo alla  parita'  di  trattamento
 tra  uomini  e  donne  in  materia di lavoro e l'altro concernente la
 speciale adeguata protezione del bambino.
    3. -  Nel  giudizio  dinanzi  a  questa  Corte  non  vi  e'  stata
 costituzione   di  parti  private,  ne'  ha  spiegato  intervento  il
 Presidente del Consiglio dei ministri.
                        Considerato in diritto
    1. - La questione sottoposta dalla Corte di  cassazione  all'esame
 del  giudice  delle leggi - con ordinanza pervenuta a questa Corte il
 12 ottobre 1992 -  concerne  la  legittimita'  costituzionale  -  con
 riferimento  agli  articoli  3,  29,  30  e  31  della Costituzione -
 dell'art.  7  della  legge  9  dicembre  1977,  n.  903  (Parita'  di
 trattamento  tra uomini e donne in materia di lavoro), nella parte in
 cui non estende, in  via  generale  ed  in  ogni  ipotesi,  al  padre
 lavoratore,  in  alternativa  alla madre lavoratrice consenziente, il
 diritto ai riposi giornalieri previsti dall'art. 10  della  legge  30
 dicembre   1971,  n.  1204  (Tutela  delle  lavoratrici  madri),  per
 l'assistenza al figlio nel suo primo anno di vita.
    La  rilevanza  della  questione  risulta   evidente   e   motivata
 dall'ordinanza  di  rimessione, poiche' l'oggetto della domanda della
 parte era appunto il pagamento  della  retribuzione  per  le  ore  di
 riposo  giornaliero usufruite - in alternativa alla moglie, anch'essa
 lavoratrice subordinata e che vi aveva rinunziato - per  l'assistenza
 alla figlia non maggiore di un anno.
    2. - La questione e' fondata.
    La  giurisprudenza  di  questa  Corte (piu' avanti citata) ha gia'
 avuto diverse occasioni per sottolineare come la normativa degli anni
 '70   abbia   dato   sempre   maggiore   realizzazione   ai    valori
 costituzionalmente  garantiti della parita' fra uomini e donne, della
 funzione sociale della maternita', dell'inserimento della  donna  nel
 lavoro,  e quindi della necessita' di interventi della societa' volti
 a tutelare la maternita' stessa.
    E' stato anche rilevato che, assieme alla tutela  della  salute  e
 della  condizione  della  madre, la nuova normativa ha preso anche in
 considerazione i superiori interessi  del  bambino  come  oggetto  di
 tutela diretta, quando non prevalente ed esclusiva.
    Per  quanto  particolarmente riguarda la fase successiva al parto,
 il rapporto madre-bambino, visto  sotto  il  profilo  dell'attiva  ed
 assidua  partecipazione  della  prima allo sviluppo fisico e psichico
 del figlio, e' stato protetto attraverso una serie di istituti:
       a) astensione obbligatoria della madre dal lavoro per  i  primi
 tre  mesi  successivi  al  parto  (art.  4 legge 30 dicembre 1971, n.
 1204), col  diritto  a  percepire  una  indennita'  giornaliera  pari
 all'80% della retribuzione (art. 15 legge citata);
       b)  diritto  della  lavoratrice  di  assentarsi  per  sei mesi,
 trascorso il periodo di astensione obbligatoria  ma  entro  il  primo
 anno di vita del bambino, con conservazione del posto di lavoro (art.
 7,  primo  comma,  legge  citata); e corresponsione di una indennita'
 pari al 30% della retribuzione (art. 15, secondo comma);
       c)  diritto  della lavoratrice di assentarsi, altresi', durante
 le malattie  del  bambino  di  eta'  inferiore  a  tre  anni,  dietro
 presentazione  di  certificato  medico  (art. 7, secondo comma, legge
 citata);
       d) diritto della lavoratrice ad  uscire  dall'azienda  per  due
 periodi  di  riposo,  anche cumulabili durante la giornata, di un'ora
 ciascuno, durante il primo anno  di  vita  del  bambino;  periodi  di
 riposo  considerati come ore lavorative anche agli effetti economici;
 ma ridotti ad uno solo quando l'orario di lavoro e' inferiore  a  sei
 ore (art. 10 legge citata);
       e)  l'esercizio  di  questi diritti e delle modalita' di lavoro
 riservati alle lavoratrici  madri,  nonche'  l'organizzazione  ed  il
 finanziamento  degli  asili-nido  sono ulteriormente disciplinati dal
 d.P.R. 25 novembre 1976, n. 1026 e dalla legge 29 novembre  1977,  n.
 891.
    3.  - Nell'ambito della coeva normativa (legge 9 dicembre 1977, n.
 903) intesa a realizzare la "parita'  di  trattamento  tra  uomini  e
 donne   in   materia   di  lavoro",  vengono  riconosciuti  al  padre
 lavoratore, anche se  adottivo  o  affidatario,  i  diritti  -  sopra
 elencati  sub b) e c) - di assentarsi dal lavoro ed il corrispondente
 trattamento  economico  (previsti  dal  primo  e  dal  secondo  comma
 dell'art.  7  e dell'art. 15 della citata legge n. 1204 del 1971) "in
 alternativa  alla  madre  lavoratrice  ovvero  quando  i  figli  sono
 affidati al solo padre". L'esercizio di questi diritti e' subordinato
 alla rinunzia dell'altro genitore, con relativa dichiarazione del suo
 datore di lavoro.
    Da  tale  disposizione  di  legge  traeva origine una piu' moderna
 evoluzione di questo aspetto del diritto di famiglia, nel senso  che,
 pur  permanendo la coscienza della funzione sociale della maternita',
 si e' andato sempre piu' valorizzando  il  prevalente  interesse  del
 bambino  e  -  superandosi una rigida concezione della diversita' dei
 ruoli dei due genitori e dell'assoluta priorita'  della  madre  -  si
 sono  riconosciuti  paritetici diritti-doveri di entrambi i coniugi e
 la reciproca integrazione di essi alla cura dello sviluppo  fisico  e
 psichico del loro figlio.
    La  svolta  veniva  avvertita  e  favorita  da questa Corte con la
 sentenza 14 gennaio 1987, n. 1, 10 marzo 1988, n. 276, 11 marzo 1988,
 n. 332, 19 ottobre 1988, n. 972, 8 febbraio 1991, n. 61 e  15  luglio
 1991, n. 341.
    Queste  sentenze,  infatti,  oltre  a  riconfermare e potenziare i
 diritti della madre-lavoratrice, elevano ancor piu' la posizione  del
 bambino   quale  autonomo  titolare  di  interessi  da  salvaguardare
 nell'ambito della legislazione  protettiva,  e  sottolineano  che  il
 figlio  va  tutelato,  "non solo per cio' che attiene ai bisogni piu'
 propriamente fisiologici, ma anche in riferimento  alle  esigenze  di
 carattere  relazionale  ed affettivo che sono collegate allo sviluppo
 della sua personalita'". In  questo  contesto,  "anche  il  padre  e'
 idoneo - e quindi tenuto - a prestare assistenza materiale e supporto
 affettivo  al  minore"; e lo stesso dicasi riguardo alla paternita' e
 maternita' legali.
    4. - Nella delineata ottica della "nuova  visione  del  ruolo  dei
 genitori nella vita familiare, ed in particolare del modo in cui essi
 debbono  con  eguali  diritti e doveri concorrere all'assistenza alla
 prole", la citata sentenza n. 1 del 1987 di questa Corte ha esteso il
 principio previsto dall'art. 7 della legge 903 del 1977 sulla parita'
 di  trattamento  fra  uomini  e  donne  anche  ai  riposi giornalieri
 retribuiti, ritenendo che  tale  diritto  va  riconosciuto  al  padre
 lavoratore,  ove  l'assistenza  della  madre  al  minore sia divenuta
 impossibile per decesso o grave infermita'.
    In quella occasione la Corte non pote' prendere in  considerazione
 -  in  aggiunta ai casi predetti - impedimenti dovuti ad altre cause,
 in quanto "non meglio definite ed emerse in via di mera  ipotesi  nei
 giudizi  principali". Nella presente occasione, invece, a distanza di
 oltre cinque anni, la  questione  viene  dalla  Corte  di  cassazione
 prospettata  in  questa sede in termini piu' generali in relazione ai
 cosiddetti "permessi di paternita'", ritenendosi "irrazionale che non
 sia assicurata al bambino la presenza nel primo anno di vita, durante
 i riposi giornalieri, anche del padre, in sostanza  -  con  l'assenso
 della  madre  - di quello dei genitori che a loro giudizio sia meglio
 in grado via via di assisterlo, per un'atmosfera il piu' possibile di
 serenita'". Cio' - soggiunge l'ordinanza - "potrebbe garantire meglio
 l'interesse superiore  del  bambino,  ora  anche  riconosciuto  nella
 Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia 20 novembre 1989
 dell'O.N.U.,  ratificata  in  Italia  con la legge 27 maggio 1991, n.
 176". Ma soprattutto, l'ulteriore passo verso  questo  riconoscimento
 dei  diritti-doveri  del  padre  e  della migliore tutela del bambino
 renderebbe la norma denunziata conforme ai principi  contenuti  negli
 artt. 3, 29, 30, 31 e 37 della Costituzione.
    5.  -  La  questione  trova,  invero,  la sua soluzione nel giusto
 equilibrio fra i diversi principi costituzionali  -  contenuti  nelle
 ora  citate  norme  di  riferimento  -  e  cioe'  della  tutela della
 maternita', dell'autonomo interesse  del  minore,  della  parita'  di
 diritti  doveri  dei  coniugi,  nonche'  della parita' degli uomini e
 delle donne in materia di  lavoro,  tenendosi  altresi'  conto  della
 moderna  evoluzione della legislazione e della giurisprudenza in tema
 di rapporti sociali nell'ambito della famiglia.
    In effetti, la natura e  la  finalita'  dell'istituto  dei  riposi
 giornalieri,  previsti  dall'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n.
 1204, per le lavoratrici madri, nonostante il testuale riferimento al
 "riposo   della   "madre",   non    corrispondono    piu'    soltanto
 all'allattamento del neonato e ad altre sue esigenze biologiche, come
 si  e' sopra esposto, ma a qualsiasi forma di assistenza del bambino.
 Secondo l'id quod plerumque accidit puo'  presumersi  che  nel  primo
 anno  di  vita  l'interesse del figlio esiga maggiormente il rapporto
 fisico e psicologico con la madre. Ma gia' la originaria formulazione
 dell'art. 7 della legge 9 dicembre  1977,  n.  903,  riconoscendo  al
 padre  lavoratore,  in  alternativa alla madre (sia pure a seguito di
 rinunzia della stessa), il diritto di assentarsi  per  sei  mesi  dal
 lavoro  per  assistere  il figlio nel primo anno di vita e durante le
 malattie del bambino di eta' inferiore a tre anni,  ha  ribadito  non
 solo il diritto-dovere di entrambi i genitori ad assistere il figlio,
 pur se di tenera eta', ma soprattutto il superamento della concezione
 di  una  rigida  distinzione  dei ruoli e che un equilibrato sviluppo
 della personalita' del bambino esige spesso la assistenza da parte di
 entrambe  le  figure  genitoriali  anche  per  aspetti  di  carattere
 affettivo  e  relazionale.  Il  che  e'  stato  confermato dai citati
 precedenti giurisprudenziali di questa Corte,  che  hanno  esteso  ad
 altre ipotesi gli stessi criteri.
    In  coerenza  con  la  ratio  di  questa  evoluzione  normativa  e
 giurisprudenziale, ed  in  conformita'  dei  principi  costituzionali
 sopracennati,  puo',  pertanto,  ritenersi che l'art. 7 della legge 9
 dicembre 1977, n. 903, sulla parita'  di  trattamento  tra  uomini  e
 donne  in  materia  di  lavoro  va  inteso  nel  senso  che  anche al
 lavoratore padre spetta, in alternativa alla madre lavoratrice e  col
 suo  consenso,  il  diritto  ai  periodi  di  riposo giornaliero alle
 condizioni previste dall'art. 10 della legge  30  dicembre  1971,  n.
 1204, per assistere il figlio nel suo primo anno di vita.
    La  delicata  scelta di quel genitore che, assentandosi dal lavoro
 per assistere il bambino, possa meglio provvedere  a  tali  esigenze,
 non  puo'  che  restare affidata all'accordo degli stessi coniugi, in
 spirito di leale collaborazione e nell'esclusivo interesse  del  loro
 figlio (artt. 143 e 144 del codice civile).
    6.  -  Nel  ritenere  opportuno,  a  questo  punto,  fare  qualche
 precisazione  relativamente  all'esercizio   dei   predetti   diritti
 riconosciuti  dalla presente pronuncia, la Corte rileva anzitutto che
 anche per i periodi di riposo previsti dall'art. 10  della  legge  n.
 1204  del  1971  valgono  alcuni  criteri stabiliti dall'art. 7 della
 legge sulla parita' (n. 903 del 1977), nel senso che il  diritto  del
 padre  lavoratore  viene  riconosciuto  sempre che anche la madre sia
 lavoratrice, e previa presentazione al proprio datore di  lavoro  sia
 della  dichiarazione  di assenso della madre, sia della dichiarazione
 del  datore  di  lavoro  dell'altro  genitore,  da  cui  risulti   la
 comunicazione della rinunzia della madre.
    Inoltre,  il  diritto  ai  riposi  giornalieri retribuiti non puo'
 esercitarsi durante i periodi in cui il padre lavoratore o  la  madre
 lavoratrice  godano gia' dei periodi di astensione obbligatoria (art.
 4 della legge 1204 del 1971), o di assenza facoltativa (art. 7 stessa
 legge), o  quando,  per  altre  cause,  l'obbligo  della  prestazione
 lavorativa sia interamente sospeso.
    Poiche', infine, il rapporto di lavoro deve svolgersi col rispetto
 da  entrambe le parti dei principi di correttezza e buona fede, anche
 con riguardo ai riposi giornalieri, mentre il datore di  lavoro  deve
 considerare la prevalente rilevanza del dovere di assistenza ai figli
 dei  lavoratori, pure questi ultimi devono esercitare il loro diritto
 compatibilmente  con  le  specifiche   esigenze   dell'organizzazione
 aziendale,  anche  preavvertendo il datore di lavoro, specie nel caso
 di successive modifiche della  scelta  del  genitore  designato  alla
 predetta assistenza.