Ricorre  la  regione  Calabria,  in  persona  del presidente della
 giunta regionale, on. Guido Rhodio, in forza  di  delibera  29  marzo
 1993,  n.  964,  della  giunta  regionale  immediatamente  esecutiva,
 rappresentato  e  difeso,  giusta  procura  speciale  a  margine  del
 presente  atto,  dall'avv.  Federico  Sorrentino  e nel suo studio in
 Roma, lungotevere delle Navi, 30, elettivamente  domiciliato,  contro
 lo  Stato e per esso il Presidente del Consiglio dei Ministri, per la
 dichiarazione d'illegittimita'  costituzionale  del  d.l.  19  marzo
 1993,   n.   69,  recante  "Disciplina  della  proroga  degli  organi
 amministrativi", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 italiana n. 66 del 20 marzo 1993.
                               F A T T O
    1.  -  La  Corte  con la sentenza 4 maggio 1992, n. 208, affermava
 importanti e, sotto certi aspetti, innovativi principi in materia  di
 prorogatio   di   organi   amministrativi.  In  particolare,  esclusa
 l'esistenza di norme dalle quali possa trarsi la generalita' di  tale
 istituto,  essa  concludeva che "ogni proroga, in virtu' dei principi
 desumibili  dal  citato  art.  97  della  Costituzione,  puo'  aversi
 soltanto se prevista espressamente dalla legge e nei limiti da questa
 indicati".
    "Un'organizzazione  caratterizzata  da  un  abituale  ricorso alla
 prorogatio - proseguiva la Corte - sarebbe difatti  ben  lontana  dal
 modello  costituzionale.  Se  e'  previsto  per  legge che gli organi
 amministrativi  abbiano  una  certa  durata  e  che  quindi  la  loro
 competenza sia temporalmente circoscritta, un'eventuale prorogatio di
 fatto sine die - demandando all'arbitrio di chi debba provvedere alla
 sostituzione  di  determinarne  la  durata pur prevista a termine dal
 legislatore ordinario - violerebbe  il  principio  della  riserva  di
 legge  in  materia  di  organizzazione amministrativa, nonche' quelli
 dell'imparzialita' e del buon andamento".
    Per  la  realizzazione  di  tali  principi  -  invero  non  sempre
 esplicitati  nella  legislazione  statale  ne' tampoco applicati - il
 Governo ha adottato una serie di decreti-legge (nn.  381  e  439  del
 1992,  7  e 69 del 1993): i primi tre decaduti e l'ultimo oggetto del
 presente giudizio.
    In  tutti  e  quattro  i   provvedimenti   viene   dichiarata   la
 perentorieta'  della  scadenza  legislativamente fissata degli organi
 amministrativi dello Stato e  degli  enti  pubblici  (esclusi  quelli
 elettivi  e quelli a rilevanza costituzionale), stabilendosi peraltro
 un periodo di proroga non superiore a quarantacinque giorni durante i
 quali gli organi scaduti possono adottare soltanto gli atti urgenti e
 indifferibili.
    Si  prevede,   infine,   che,   allorche'   la   competenza   alla
 ricostituzione  spetti  ad organi collegiali, questa venga trasferita
 al presidente del Collegio, qualora essa  non  sia  stata  esercitata
 sino a tre giorni prima del suddetto periodo di proroga.
    Relativamente  alle  nomine  di  competenza  delle regioni e delle
 province autonome di Trento e di Bolzano i primi  tre  decreti  legge
 (poi  decaduti)  stabilivano che "entro un anno dalla data di entrata
 in vigore della legge di conversione del presente decreto, le regioni
 a statuto ordinario, nonche' le regioni a statuto speciale e le prov-
 ince autonome di Trento  e  di  Bolzano,  provvedono  ad  adeguare  i
 rispettivi ordinamenti alle disposizioni del presente decreto".
    Tale  formulazione  lasciava intendere un dovere di adeguamento da
 parte  degli  ordinamenti  regionali  a  tutte  le  disposizioni  del
 decreto-legge   ed   intanto  la  loro  immediata  vincolativita'  in
 violazione della competenza legislativa e  statutaria  delle  regioni
 interessate.
    Infine,  tutti  i  decreti-legge successivi al primo, tra le norme
 finali e transitorie, hanno  inserito  una  disposizione  secondo  la
 quale  "restano  confermati  gli  atti  di  ricostituzione  di organi
 scaduti anteriormente alla data di entrata  in  vigore  del  presente
 decreto,  che  siano  stati  adottati,  in  sostituzione degli organi
 collegiali competenti, dai rispettivi presidenti, in conformita' alle
 disposizioni  vigenti  alla  data  di  compimento  degli atti stessi"
 (cioe': in conformita' alle disposizioni dei decreti-legge decaduti).
    La regione Calabria ha impugnato sotto diversi profili il d.l. n.
 7/1993 con ricorso che verra' discusso dinanzi a codesta ecc.ma Corte
 all'udienza del 25 maggio 1993.
    2.  -  Il  d.l.  n.  69/1993,  qui  impugnato,  rappresentata  la
 riproduzione   e  gli  stessi  sostanziali  termini  dei  precedenti,
 fuorche' nella formulazione dell'art. 9, che mostra di aver almeno in
 parte tenuto conto delle osservazioni critiche rivolte dalle regioni.
    L'articolo,  sotto  la  rubrica   "Adeguamento   della   normativa
 regionale", stabilisce, al primo comma, che "entro un anno dalla data
 di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto,
 le  regioni  a statuto ordinario regolano le materie disciplinate dal
 decreto stesso nel rispetto dei  principi  fondamentali  posti  dalle
 disposizioni   in   esso   contenute.   Tali   disposizioni   operano
 direttamente nei riguardi  delle  regioni  fino  a  quando  esse  non
 abbiano legiferato in materia".
    Tale  articolo,  se  per  un  verso  attenua l'impatto sul sistema
 regionale delle nuove disposizioni legislative, non elimina  tuttavia
 la  lesione  della  competenza  regionale  denunciata  col precedente
 ricorso;  sicche'  la  regione  Calabria   deve   ancora   rivolgersi
 all'ecc.ma  Corte  per denunciare l'illegittimita' del d.l. 19 marzo
 1993, n. 69, sotto i seguenti profili di
                             D I R I T T O
   Violazione degli artt. 117, 118, 122 e 123,  anche  in  riferimento
 all'art.  77,  ultimo  comma,  della  Costituzione.  Invasione  della
 competenza regionale.
   3. - Preliminarmente deve sottolinearsi che la regione  ricorrente,
 ancor prima che il Governo intervenisse con i decreti-legge di cui in
 narrativa,  a  precisare  e  a  specificare i principi costituzionali
 richiamati dalla Corte, ha adottato una propria  disciplina,  passata
 indenne  al  controllo governativo, del fenomeno della prorogatio con
 l.r. 5 agosto 1992,  n.  13,  recante  "Disciplina  delle  nomine  di
 competenza  della  regione" (B.U.R. 10 agosto 1992, n. 104). L'art. 8
 di questa legge, in particolare,  stabilisce,  al  primo  comma,  che
 tutte le nomine e le designazioni di competenza della regione cessano
 con  la  scadenza  della  legislatura  nel  corso  della  quale si e'
 proceduto alle nomine o alle designazioni e sono rinnovabili per  una
 sola  volta"; al secondo comma dispone che, "trascorsi novanta giorni
 dall'insediamento del consiglio regionale neo eletto, le persone nom-
 inate  o  designate  negli  oranismi  indicati  nell'art.  1  (organi
 regionali,  enti  dipendenti  dalla  regione,  u.s.l.  eccettuati gli
 organi elettivi e i pubblici dipendenti) non  possono  continuare  ad
 esercitare  la funzione istituzionale e, nel caso in cui il consiglio
 regionale non effettua le nomine o le designazioni entro il  predetto
 termine  ai sensi dell'art. 5 della presente legge (che disciplina il
 relativo  procedimento),  provvede  la  giunta  regionale  ai   sensi
 dell'art.  28 dello statuto" (cioe' in via d'urgenza e con obbligo di
 ratifica entro trenta giorni).
    La legge regionale, dunque, per un verso e'  rispettosa  dell'art.
 97  della  Costituzione  sotto  i  profili indicati dalla sentenza n.
 208/1992  della  Corte:  esclude  la  proroga  di   fatto   a   tempo
 indeterminato  e  provvede  a  interventi sostitutivi e di urgenza in
 caso  di   inadempimento   dell'organo   competente   (il   consiglio
 regionale); per altro verso essa anticipa mediante il sopra descritto
 meccanismo le disposizioni dei decreti legge adottati dal Governo.
    Di  qui  la conclusione che il decreto oggi impugnato, che obbliga
 le regioni al solo rispetto dei principi fondamentali da esso  posti,
 non  dovrebbe  incidere  sull'art.  8 della l.r. n. 13/1992, il quale
 contiene disposizioni di dettaglio, bensi'  diverse,  ma  sicuramente
 rispettose  dei medesimi principi. Invero, fermo restando il rispetto
 dell'art. 97 della Costituzione, i decreti governativi stabiliscono:
      la cessazione delle funzioni con la scadenza del mandato;
      la previsione di un periodo massimo di proroga di quarantacinque
 giorni;
      la  sostituzione  da  parte  del  presidente  del  collegio  nei
 confronti del collegio inadempiente.
    Queste disposizioni corrispondono ad un principio fondamentale che
 vuole  la  cessazione  delle  funzioni  dell'organo alla sua scadenza
 naturale e prevede meccanismi sostitutivi rigidamente  articolati  in
 caso di inerzia dell'organo competente alla ricostituzione.
    Non  par  dubbio  quindi  che  la  legge  regionale n. 13/92 debba
 rimanere in vigore non ostante l'intervento  del  d.l.  n.  69/1993,
 mentre  le altre disposizioni del d.l. relative al regime degli atti
 ed alla  responsabilita'  per  mancata  ricostituzione  nei  termini,
 varranno  anche  per  la  regione  ricorrente  come riferimento per i
 principi fondamentali della materia.
    Qualora pero' il primo comma dell'art.  9  dovesse  essere  inteso
 come   abrogativo  della  disciplina  regionale  gia'  adottata  e  i
 meccanismi  di  ricostituzione  degli  organi  scaduti   direttamente
 applicabili     alla     regione,     non    puo'    che    dedursene
 l'incostituzionalita' per le ragioni accennate in rubrica.
    4. - Per tale ipotesi viene immediatamente  in  considerazione  il
 secondo  comma  dell'art.  4,  a termini del quale "Nei casi in cui i
 titolari della competenza alla ricostituzione siano organi collegiali
 e questi non procedano alle nomine o designazioni ad  essi  spettanti
 almeno  tre  giorni  prima  della scadenza della proroga, la relativa
 competenza e' trasferita ai rispettivi presidenti,  i  quali  debbono
 comunque esercitarla entro la scadenza del termine medesimo".
    Questa disposizione viola tanto la competenza regionale in materia
 di  "ordinamento  degli uffici e degli enti dipendenti dalle regioni"
 (art. 117) quanto la competenza statutaria delle regioni  di  diritto
 comune   (art.   123),  incidendo  essa  sulle  norme  legislative  e
 statutarie  che  assegnano  competenze  di  organi   collegiali.   La
 disposizione  impugnata, invero, crea una competenza nuova in capo ai
 presidenti di organi  collegiali,  sottraendo  ai  collegi  stessi  i
 corrispondenti  poteri.  Ed  e' evidente che una statuizione siffatta
 potrebbe provenire, per  gli  uffici  e  gli  enti  dipendenti  dalla
 regione  e  per  gli  stessi  organi  regionali,  dalla legge o dallo
 statuto regionale.
    Di piu' la disposizione in esame viola, insieme  con  la  potesta'
 statutaria  delle  regioni,  gli  artt. 121 e 122 della Costituzione,
 allorche' essa venga riferita a nomine di  competenza  del  consiglio
 regionale. Infatti, secondo la norma
 costituzionale,  il  presidente  del  consiglio  regionale non ha una
 posizione per cosi' dire autonoma dal consiglio stesso  al  quale  e'
 eletto  per  dirigerne  i lavori (122, terzo comma), ne' a differenza
 del consiglio, della giunta e del suo  presidente  (art.  124,  primo
 comma), possiede una propria ed autonoma rilevanza esterna.
    Naturalmente  cio'  potrebbe  non  escludere che al presidente del
 consiglio regionale vengano conferite funzioni di rilevanza  esterna,
 purche'  non incompatibili con il suo compito di direzione dei lavori
 del  consiglio,  ma  tale  attribuzione,   innovando   specificamente
 all'organizzazione  regionale  non  puo'  che  competere  alla  fonte
 statutaria (art.  123)  e,  sulla  base  di  questa,  al  regolamento
 consiliare.
    Ne discende allora l'incostituzionalita', in riferimento ai citati
 parametri,  di  una  norma  statale  che  trasferisce  una competenza
 attribuita al consiglio regionale al  suo  presidente  e  che  fa  di
 questo un'organo titolare di poteri amministrativi esterni.
    5.  -  Ugualmente  sulla  competenza  delle  regioni in materia di
 organizzazione dei loro  uffici  e  degli  enti  da  esse  dipendenti
 incidono  le  disposizioni relative al regime di proroga degli organi
 amministrativi scaduti e degli atti da questi emanati (art. 3).  Tali
 disposizioni,  limitando  la  competenza  degli organi prorogati agli
 atti urgenti e indifferibili e sanzionando come illegittimi tutti gli
 altri, incidono sulla competenza regionale in materia, in  violazione
 quindi dell'art. 117 della Costituzione.
    Tale  censura  va  estesa  al  successivo  art.  6 che sancisce la
 nullita' di diritto degli atti compiuti dagli organi scaduti.
    6. - Da ultimo deve denunciarsi l'art. 8  del  decreto  impugnato,
 nella   parte   in  cui  convalida  e  mantiene  fermi  gli  atti  di
 ricostituzione  adottati  da   presidenti   di   organi   collegiali,
 anteriormente  all'entrata in vigore del decreto, in sostituzione dei
 competenti collegi (secondo comma).
    Questa disposizione viola, non solo l'art. 77, ultimo comma, della
 Costituzione, in relazione anche all'art. 15, secondo comma,  lettera
 d),  della  legge  n.  400/1988,  ma  anche,  ed inscindibilmente, le
 competenze regionali in materia di organizzazione di uffici  ed  enti
 regionali.
    Invero,  ove anche potesse sostenersi che il d.l. impugnato possa
 comprimere, nei sensi che si sono appena  contestati,  le  competenze
 regionali  in materia, esso sicuramente non puo' convalidare cio' che
 in base alla Costituzione e' invalido e quindi non puo' sottrarre  al
 legislatore   ne'   all'amministrazione   regionale   il   potere  di
 qualificare come  invalidi  atti  applicativi  di  decreti-legge  non
 convertiti.
    In  altre  parole  la disposizione impugnata non solo incide sulla
 potesta' legislativa regionale e su quella statutaria al  di  la'  di
 quanto  consentirebbero gli artt. 117 e 123, ma incide altresi' sulla
 competenza degli organi collegiali, ai quali sarebbe  cosi'  impedito
 di  revocare gli illegittimi atti dei loro presidenti e di provvedere
 diversamente in ordine agli organi scaduti.
    Va poi aggiunto che la convalida  degli  atti  compiuti  sotto  il
 vigore  dei  precedenti  decreti, i quali, a differenza di quello qui
 impugnato, obbligavano le regioni ad adeguarsi alla  totalita'  delle
 loro disposizioni e non ai relativi principi fondamentali, fa si' che
 atti  costituzionalmente  illegittimi  -  quali  quelli  adottati  in
 esecuzione dei precedenti decreti  legge  invasivi  della  competenza
 regionale  garantita  dall'art.  117  -  vengano  ritenuti  validi ed
 efficaci, senza che la regione  possa  porvi  rimedio,  ripristinando
 l'ordine naturale delle competenze.