IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento chiamato all'udienza del 16 dicembre 1992 nei confronti di Ulargiu Ruggero, nato a Segariu (Cagliari) il 3 gennaio 1956, attualmente agli arresti domiciliari in Sigariu, via Umberto I n. 14. Sull'appello avverso l'ordinanza 23 aprile 1992 con la quale il magistrato di sorveglianza di Roma sostituiva la misura di sicurezza della liberta' vigilata, applicata al predetto con ordinanza 13 aprile 1991 del magistrato di sorveglianza di Modena, con quella detentiva della casa di lavoro per la durata di anni uno. FATTO E DIRITTO Con ordinanza del 27 aprile 1992 il magistrato di sorveglianza di Roma sostituiva la misura di sicurezza della liberta' vigilata con quella detentiva della casa di lavoro per un periodo di anni uno, in quanto nel corso della esecuzione della liberta' vigilata l'Ulargiu era stato arrestato in flagranza per detenzione di sostanza stupefacente e successivamente condannato in primo grado per tale reato. Avverso tale ordinanza, emessa ai sensi dell'art. 231 del c.p., la difesa dell'Ulargiu proponeva appello in ragione delle gravi condizioni di salute del predetto il quale, essendo affetto da AIDS conclamato, necessita' di costanti e continuativi contatti con presidi sanitari specializzati, inattuabili nel contesto della esecuzione della misura di sicurezza detentiva allo stesso inflitta. Merita di essere preliminarmente osservato che, nel caso per cui si procede, con il provvedimento impugnato si e' esattamente considerato che il grave reato commesso dall'Ulargiu e' univocamente sintomatico dell'aggravarsi della pericolosita' sociale del soggetto. Per altri versi la stessa condotta criminosa rende evidente l'inidoneita' della liberta' vigilata anche semplicemente ad impedire all'Ulargiu la commissione di reati. Peraltro egli, a cui gia' era stata imposta la cauzione di buona condotta a seguito di altre violazioni alle prescrizioni, si era sottratto anche a tale obbligo. Pertanto l'aggravamento della misura di sicurezza con la conseguente irrogazione di quella detentiva appare determinazione necessaria ai sensi dell'art. 231 del c.p. Il provvedimento impugnato dunque deve essere confermato essendosi con esso esattamente valutato l'aggravarsi della pericolosita' sociale dalla quale poi il magistrato ha fatto discendere le conseguenze previste dall'ordinamento. Per effetto dell'art. 680 del c.p.p., alla conferma dell'impugnata ordinanza, a cui il tribunale per quanto sopra considerato dovrebbe pervenire, seguirebbe l'esecuzione della misura di sicurezza detentiva congruamente gia' individuata dal magistrato con ordinanza del 27 aprile 1992. Da tanto, tuttavia, nasce pure la necessita' di valutare l'incidenza dell'esecuzione della misura di sicurezza detentiva sulle condizioni di salute dell'appellante. Per questo motivo il procedimento - previa sospensione provvisoria della misura di sicurezza oggetto del gravame - veniva rinviato al fine di accertare le attuali condizioni di salute dell'Ulargiu. La documentazione sanitaria acquisita agli atti, proveniente anche dall'ospedale Spallanzani di Roma, dove l'Ulargiu e' stato piu' volte ricoverato, confermava la patologia riscontrata allo stesso, attestando l'AIDS conclamata con conseguente necessita' di continuativi controlli medici tanto che, proprio a causa di tale affezione l'Ulargiu otteneva ai sensi dell'art. 3 del d.l. 12 novembre 1992, n. 431, la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato di detenzione di sostanze stupefacenti che ha originato l'aggravamento della misura di sicurezza non detentiva. Il decreto citato contempla, peraltro, i casi di incompatibilita' con il regime detentivo, quando ricorre una ipotesi di AIDS conclamato o di "grave deficienza immunitaria", soltanto nei confronti di imputati o di detenuti in espiazione di pena definitiva, nulla prevedendo invece per gli internati a seguito di misura di sicurezza detentiva. Per questi ultimi, l'art. 5 del predetto decreto prevede solo che nella ipotesi di ricovero con piantonamento, attuato ex art. 11 della legge n. 354/1975, gli internati siano inviati in appositi ospedali specializzati indicati con decreto emanato dai Ministri della sanita' e di grazia e giustizia. Per quanto detto preliminare alla declaratoria di aggravamento di una misura di sicurezza in misura detentiva appare il rilievo della mancata previsione del medesimo trattamento legislativo tra condannati e sottoposti a misura di sicurezza detentiva colpiti dalle patologia di cui al decreto legge citato, o comunque da patologie gravi, con disparita' di trattamento a parita' di situazioni sostanziali, senza ragionevoli giustificazioni. La disparita' e' evidente nel caso in esame considerando che l'Ulargiu, pur inizialmente indagato in stato di custodia cautelare in carcere, beneficia attualmente degli aresti domiciliari proprio in applicazione della normativa citata che preclude al giudice ogni valutazione concernente l'idoneita' dei presidi terapeutici praticabili ai sensi e con le forme di cui all'art. 11 della legge 26 luglio 1975, n. 354. La questione e' pure rilevante ove si consideri che non si rinviene nell'ordinamento norma alcuna che parifichi la condizione dell'internato o di colui che deve essere internato a quella del detenuto o di colui che deve essere detenuto in espiazione di pena, che siano colpiti da infermita' grave, potendosi applicare il disposto del rinvio dell'esecuzione di cui all'art. 147 del c.p. soltanto nel secondo caso e non allo stato detentivo costituito dall'internamento. Tanto, in particolare, gia' motivo di questione di costituzionalita' sollevata dal magistrato di sorveglianza del Tribunale di Modena con ordinanza del 12 marzo 1991, impedisce a questo tribunale di far applicazione del disposto del citato art. 147 del c.p., pur essendo la comminatoria di una misura di sicurezza detentiva immediatamente esecutiva e pur sussistendo uno stato di infermita' grave. Tale sensibile lacuna, non colmabile in via interpretativa, attesa la tipicita' sia dei casi di sospensione o trasformazione (art. 212 del c.p.) sia di revoca (art. 207 del c.p.) delle misure di sicurezza, risulta ora ancor piu' approfondita e manifesta alla luce della legislazione in materia specificatamente disciplinante la incompatibilita' della patologia fisica derivante da affezioni prodotte dal virus HIV con la contenzione dei soggetti in istituti destinati all'espiazione di pene detentive. L'evidente disparita' di trattamento tra internati per misura di sicurezza detentiva e condannati pure colpiti in pari grado dalla stessa patologia non puo' trovare valido e ragionevole fondamento ne' in una sostanziale diversita' di trattamento sanitario registrabile nei diversi istituti rispettivamente destinati all'esecuzione delle misure di sicurezza e delle pene, ne' in una sostanziale diversita' del momento custodiale che, connaturato pure all'esecuzione delle misure di sicurezza per definizione detentive (art. 215 del c.p.), costituisce di esse portato caratterizzante. Gli istituti per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive infatti (art. 216 e 55 del c.p.) si specificano in ragione della forma peculiare di pericolosita' sociale, o della causa di essa, ma in nessun modo determinano un regime custodiale che si differenzia in ragione della particolare patologia o della sua gravita' rispetto a quello riservato ai condannati a pene detentive. Se dunque il momento custodiale in istituto di pena e' ritenuto oggettivamente non compatibile con determinate patologie di cui il condannato sia portatore, cosicche' la pretesa punitiva e' destinata ad essere subordinata alla tutela della salute e al senso di umanita', e cosi' si individua una precisa gerarchia di valori etici, ma, per cio' che qui importa anche costituzionali, non puo' non riconoscersi che, in applicazione della medesima gerarchia di valori anche la pretesa di eseguire misure di sicurezza detentive debba subordinarsi alla tutela della salute, fondamentale diritto dell'individuo in quanto tale (art. 32 Cost.) e a qual senso d'umanita' che deve informare ogni forma di esecuzione restrittiva, prescindendo dall'esser sottoposto a pena o misura di sicurezza detentiva. Le norme di cui agli artt. 212, 147 e 146 del c.p. cosi' come modificato dal decreto-legge 12 novembre 1992, n. 431, si pongono dunque in contrasto con l'art. 3 della costituzione nella parte in cui non prevedono il differimento, obbligatorio o facoltativo della esecuzione della misura di sicurezza detentiva nei confronti dei soggetti affetti da AIDS conclamato o da grave "deficienze immunitarie" o comunque da grave infermita' che renda incompatibile un regime detentivo.