ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 426, lett. c), del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 13 giugno 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia nel procedimento penale a carico di Colli Antonio, iscritta al n. 536 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1991; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 10 marzo 1993 il Giudice relatore Giuliano Vassalli; Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza del 13 giugno 1991, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia, all'esito della udienza preliminare celebrata a carico di persona imputata di parricidio, riconosciuta totalmente incapace di intendere e di volere e giudicata socialmente pericolosa, ha sollevato questione di legittimita', in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 426, lett. c) del codice di procedura penale, nella parte in cui tale norma - in caso di sentenza di non luogo a procedere per infermita' psichica - preclude al giudice per le indagini preliminari di tener conto delle circostanze attenuanti e di effettuare il giudizio di comparazione di cui all'art. 69 del codice penale tra queste e le circostanze aggravanti, ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o della determinazione della sua durata minima ai sensi dell'art. 222 del codice penale; L'ordinanza di rimessione si fonda sulla sentenza di questa Corte n. 233 del 1984, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 384, n. 2, del codice abrogato - che si as- sume essere corrispondente alla norma del nuovo codice impugnata dal rimettente - negli stessi termini che costituiscono oggetto della questione ora sottoposta all'esame della Corte. Rileva in proposito il rimettente che il giudice della udienza preliminare non ha il potere di interloquire sulle circostanze, come e' dimostrato da quelle disposizioni che eccezionalmente conferiscono un simile potere a fini particolari (cfr. art. 4 d.P.R. 12 aprile 1990 n. 75 in tema di amnistia). Da qui l'integrale rinvio alle considerazioni svolte dalla Corte nella richiamata sentenza n. 233/1984, del cui dispositivo, dunque, si domanda la estensione alla pertinente norma del nuovo codice di rito; 2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Ha osservato in proposito l'Avvocatura che la sentenza di questa Corte n. 233/1984 fu determinata dalla giurisprudenza dell'epoca, secondo la quale era inibita la valutazione delle circostanze attenuanti e il relativo giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti. Tuttavia, afferma la difesa dello Stato, anche se il nuovo codice non ha risolto espressamente tale aspetto, e' da ritenere che la norma impugnata non precluda al Giudice per le indagini preliminari di tener conto delle circostanze attenuanti ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza, tanto piu' che la norma non potrebbe essere diversamente interpretata alla luce della citata sentenza della Corte; 3. - Con ordinanza n. 378 emessa il 9 luglio 1992 e depositata il 27 luglio 1992, la Corte, nel disporre la sospensione del giudizio introdotto con l'ordinanza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Reggio Emilia, ha sollevato davanti a se', in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 425, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere quando risulta evidente che l'imputato e' persona non imputabile; Definendo il giudizio sulla questione pregiudiziale, questa Corte, con sentenza n. 41 del 1993, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 425, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere quando risulta evidente che l'imputato e' persona non imputabile. Considerato in diritto 1. - Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia impugna, per "contrasto con i principi' costituzionali del diritto di difesa e dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge", la disposizione dettata dall'art. 426, lett. c), del codice di procedura penale, nella parte in cui preclude al giudice, nell'ipotesi di sentenza di non luogo a procedere "per infermita' psichica", di valutare le circostanze attenuanti e di effettuare il giudizio di comparazione con le eventuali circostanze aggravanti, ai fini della applicazione o della determinazione della durata minima della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario a norma dell'art. 222 del codice penale. L'assunto del rimettente si ispira ai principi' ed alle considerazioni, cui integralmente rinvia, posti a fondamento della sentenza n. 233/1984, con la quale questa Corte ebbe a dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 384, n. 2, del codice abrogato, proprio nella parte in cui tale norma, secondo l'orientamento giurisprudenziale dell'epoca, precludeva al giudice istruttore di tener conto, in caso di sentenza di proscioglimento per infermita' psichica, delle circostanze attenuanti e di effettuare il giudizio di "bilanciamento" ai fini di quanto previsto dall'art. 222 del codice penale. Postulando, dunque, l'equivalenza tra la norma del codice abrogato gia' dichiarata costituzionalmente illegittima e quella del nuovo codice di rito oggetto di impugnativa, e sul rilievo che identica preclusione sussisterebbe per il giudice chiamato a pronunciare sentenza di non luogo a procedere per evidente difetto di imputabilita', il rimettente non vede quindi altra via che quella di sollecitare una pronuncia additiva che nella sostanza riproduca il dispositivo della declaratoria di illegittimita' adottato, con riferimento al previgente codice, nella richiamata sentenza n. 233/1984; 2. - La questione non e' fondata. Come innanzi ricordato, infatti, nel delibare l'oggetto del presente giudizio, questa Corte ha ritenuto di dover pregiudizialmente sottoporre a verifica di costituzionalita' l'art. 425 del codice di procedura penale, in quanto, essendo ivi stabilito il potere del giudice di definire l'udienza preliminare con sentenza di non luogo a procedere nell'ipotesi in cui l'imputato fosse risultato in modo evidente persona non imputabile, rappresentava la previsione che fungeva da necessario presupposto della norma impugnata dal giudice a quo, avuto riguardo al petitum che questi mostrava di perseguire. La questione sollevata da questa Corte ha cosi' condotto alla pronuncia della sentenza n. 41/1993, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 425, primo comma, del codice di procedura penale, proprio nella parte in cui tale norma consentiva la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere per evidente difetto di imputabilita', essendosi ritenuto che la relativa disciplina fosse in contrasto con gli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, quest'ultimo in riferimento all'art. 2, n. 52), sesto periodo, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81; Caducata, dunque, la possibilita' per il giudice a quo di adottare la sentenza di non luogo a procedere "per infermita' psichica", e venuto quindi meno il corrispondente potere di applicare in via definitiva la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, i dedotti profili di violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa si rivelano privi di fondamento, in quanto carenti del presupposto normativo sul quale le censure stesse si sono alimentate.