IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa del lavoro promossa dalla A.S.M. di Pavia, con atto d'appello depositato in data 22 ottobre 1992, avverso Forlini Pietro ed altri. Con ricorso presentato in data 9 marzo 1989 Forlini Pietro e ventitre litisconsorti, premesso che quali conducenti di linea dell'A.S.N. sostenevano turni tali da comportare, all'inizio o alla fine di ogni corsa, trasferimenti dal deposito al posto di cambio e viceversa, e/o da un posto di cambio all'altro, e che i tempi necessari per i trasferimenti in questione dovessero essere conteggiati al 50% ai fini retributivi, ai sensi dell'art. 17, lett. c) del r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328, ritenuta la vigenza della citata norma per la disciplina transitoria prevista dal combinato disposto degli artt. 1, 104, 103 e 100, n. 5, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 753, hanno chiesto al pretore di Pavia la condanna dell'A.S.M. al pagamento delle somme loro dovute, per i cinque anni anteriori alla proposizione del reclamo gerarchico. In corso di causa sono intervenuti, con titolo e petitum identici a quelli dei ricorrenti, Rinarello Vincenzo, Comizzoli Mario e Bozzini Adello. Instauratosi il contraddittorio, l'A.S.M. ha contestato l'ammissibilita' dell'intervento di questi ultimi e comunque il fondamento della domanda degli attori. Il pretore, con sentenza emessa in data 12 dicembre 1991 e depositata il 19 febbraio 1992, ha sostanzialmente disatteso l'eccezione di inammissibilita' dell'intervento e condannato la convenuta al pagamento in favore dei ricorrenti della complessiva somma di L. 7.744.997, oltre a rivalutazione e interessi di legge. Avverso la sentenza ha proposto appello l'A.S.M. di Pavia, con ricorso presentato in data 22 ottobre 1992, chiedendo, in totale riforma della sentenza di primo grado, il rigetto delle domande proposte dagli appellanti. Questi ultimi si sono costituiti con atto depositato il 18 gennaio 1993, deducendo l'infondatezza dell'appello e chiedendone quindi il rigetto, sollevando inoltre, per il caso in cui il tribunale non avesse condiviso l'interpretazione della normativa in questione in senso conforme a quella da loro sostenuta, eccezione di illegittimita' costituzionale della normativa stessa. Hanno inoltre proposto appello incidentale, chiedendo la condanna dell'A.S.M. alla maggiore somma, rispetto a quella considerata dal pretore nella sua sentenza, corrispondente a quanto indicato dal c.t.u. in base ad un calcolo avulso dal regime retributivo applicato per le prestazioni di guida e per i tempi accessori, o quanto meno al 100% dei tempi di trasferimento. Hanno infine chiesto declaratoria di inammissibilita' dell'appello nei confronti di Mario Comizzoli, nei cui confronti non risultava condanna alcuna da parte del pretore. All'udienza odierna, udito il giudice relatore ed all'esito della discussione delle parti, il tribunale osserva quanto segue. Gli appellati eccepiscono l'illegittimita' costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 104, 103 e 100 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 753, in quanto da esso discenda l'abrogazione dell'art. 17 del r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328 (la cui applicabilita' alla categoria degli autoferrotranvieri e' sancita dal doppio rinvio dell'art. 1 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148 e della legge 24 maggio 1952, n. 628), cosi' come deve ritenersi in ossequio alla chiara lettera della norma e alla giudisprudenza della suprema Corte (cfr. Cass., sez. lav., n. 6089/91). La questione non appare manifestamente infondata. L'art. 76 della Costituzione sancisce che il Governo non possa legiferare su delega del Parlamento se non nell'ambito dei principi e dei criteri direttivi indicati nella legge delega e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti. Nel caso in esame si profila una possibile violazione del principio costituzionale in discorso per tre ordini di motivi. Il primo prende le mosse del rilievo che la legge delega (legge 6 dicembre 1978, n. 835), all'art. 1, lett. c), demanda al Governo di provvedere al riordinamento ed aggiornamento delle disposizioni normative per la polizia, la sicurezza, regolarita' dei servizi di trasporto diversi dalle ferrovie in concessione che siano rimasti di competenza degli organi dello Stato, ai servizi trasferiti alla competenza delle regioni. Di qui l'osservazione che, se le aziende municipalizzate non rientrano nella categoria degli enti statali come di quelli regionali, il decreto delegato, abrogando il r.d.l. 2328/1923 senza far salva la sua vigenza per le municipalizzate, ha superato i limiti della delega. Il secondo profilo si fonda sul rilievo che la legge delega gia' citata, all'art. 1, lett. a), manda al Governo l'aggiornamento ed il riordino delle norme contenute nel "Regolamento circa la polizia sicurezza e regolarita' dell'esercizio delle strade ferrate" approvato con r.d. 31 ottobre 1873, n. 1787. Quest'ultima normativga riguardava esclcusivamente la sicurezza e regolarita' dell'esercizio, non gia' i tempi della prestazione lavorativa dei lavoratori, tanto meno la materia dei parametri retributivi disciplinata dall'art. 17 della legge n. 2328/1923 (l'art. 10 del regio decreto citato, unica norma in materia di orario di lavoro, si limita a prescrivere che "le societa' devono fissare l'orario di servizio del personale in modo da lasciare a questo le ore necessarie di riposo continuato); donde un'ulteriore prospettazione di superamento dei limiti della delega. V'e' infine da considerare che l'art. 1, lett. e), della legge delega demanda all'esecutivo di abrogare tutte le disposizioni che risultino in contrasto con la futura normativa. Se dagli artt. 104, 103, 100 del d.P.R., n. 753/1980 discende l'abrogazione secca del r.d.l. n. 2328/1923 per la categoria degli autoferrotranvieri dipendenti dalle municipalizzate (a differenza delle altre categorie destinatarie della norma, per le quali si applica il regime transitorio previsto dell'art. 103 del d.P.R. n. 753/1980), ne consegue un'avvenuta abrogazione in assenza ed a prescindere dalla emananda normativa, con riferimento alla quale, deve concludersi, non e' stato possibile accertare il contrasto della disposizione abrogata. La questione e' altresi' rilevante per la causa in esame, essendo la normativa della cui legittimita' costituzionale si dubita il fondamento del proposto appello e non potendosi ritenere che dagli accordi aziendali cui rinvia il C.C.N.L. 23 luglio 1976 discenda una disciplina convenzionale del rapporto di lavoro degli appellati con l'A.S.M. di Pavia assorbente del diritto alla retribuzione prevista dall'art. 17 del r.d.l. n. 2328/1923. Gli accordi in parola disciplinano infatti i c.d. tempi accessori, istituto ben diverso da quello previsto dal menzionato art. 17.