ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 21  del  d.P.R.
 29 settembre 1973, n. 601 (Disciplina delle agevolazioni tributarie),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il 20 maggio 1992 dalla Commissione
 tributaria di primo grado di Gorizia sul ricorso proposto dalla Cassa
 di risparmio di Gorizia contro l'Intendenza di  Finanza  di  Gorizia,
 iscritta  al  n.  401  del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  35,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1992;
    Visti  l'atto di costituzione della Cassa di risparmio di Gorizia,
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 30 marzo 1993 il Giudice relatore
 Fernando Santosuosso;
    Udito l'avv.  Giuseppe  Tinelli  per  la  Cassa  di  risparmio  di
 Gorizia;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel corso di un giudizio tributario promosso dalla Cassa di
 risparmio di Gorizia per ottenere il  rimborso  di  parte  di  quanto
 versato   per   ILOR   in  riferimento  all'esercizio  del  1980,  la
 Commissione  tributaria  di  primo  grado  di  Gorizia  ha  sollevato
 d'ufficio  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 21
 d.P.R.  29  settembre  1973  n.  601;   norma   che,   "pur   essendo
 manifestazione del diritto di scelta discrezionale del legislatore in
 tema  di  agevolazioni  fiscali, deve comunque attenersi a criteri di
 logicita', criteri  non  osservati  in  quanto  l'applicazione  delle
 agevolazioni  di  cui  trattasi porta un aggravio per il contribuente
 anziche' un vantaggio (difetto di razionalita' rispetto allo scopo)".
    2. -  Nella  specie,  la  Cassa  di  risparmio  di  Gorizia  aveva
 presentato  (il  23  aprile 1981) una prima dichiarazione dei redditi
 con determinate misure di imponibili;  ma,  nel  termine  dei  trenta
 giorni   successivi,   aveva   presentato   il  20  maggio  1981  una
 dichiarazione sostitutiva, correggendo l'entita' di detti imponibili,
 senza tener piu' conto  dell'agevolazione  di  cui  all'art.  21.  In
 relazione  a  questa  diversa  dichiarazione, l'istituto contribuente
 richiedeva, nei termini di legge, il rimborso di  quanto  versato  in
 eccedenza rispetto al dovuto.
    A  seguito  del  rifiuto  dell'Intendenza  di Finanza a rimborsare
 quanto  richiesto,  la  Cassa  di  risparmio  adiva  la   Commissione
 tributaria  di primo grado di Gorizia. Questa, con l'ordinanza emessa
 il   20   maggio   1992   sollevava   d'ufficio   la   questione   di
 costituzionalita' delle norme da applicare.
    3.  -  La  Cassa  di risparmio si e' costituita in questa sede con
 atto depositato il 17 luglio 1992,  in  cui,  dopo  avere  ampiamente
 esposto  le  circostanze  di  fatto  ed  il  fenomeno  tributario  in
 questione, nonche' i motivi relativi al  legittimo  dubbio  circa  la
 rinunziabilita'   dell'agevolazione,   ha  aderito  all'ordinanza  di
 rimessione  circa  l'incoerenza  di   una   agevolazione   tributaria
 finalizzata ad aggravare la situazione patrimoniale dell'interessato,
 determinando  quindi  la violazione sia del principio di eguaglianza,
 sia del  principio  che  vuole  l'imposizione  tributaria  rapportata
 all'effettiva capacita' economica del contribuente.
    4.  -  Il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  con
 atto  depositato  il  9  settembre  1992.  Le  parti hanno presentato
 memorie.
    All'odierna udienza e' intervenuto il  difensore  della  Cassa  di
 risparmio,  che  ha  illustrato  i  motivi  per  i  quali insiste per
 l'accoglimento dell'eccezione di incostituzionalita' sollevata  dalla
 Commissione tributaria.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Con  ordinanza  emessa  il  20  maggio  1992 la Commissione
 tributaria di  primo  grado  di  Gorizia  dubita  della  legittimita'
 costituzionale,  in  relazione  agli artt. 3 e 53 della Costituzione,
 dell'art. 21 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, nella parte in cui
 il trattamento agevolativo ivi previsto finisca  col  determinare  un
 aggravio  d'imposta, per difetto di razionalita' della norma rispetto
 allo scopo dichiarato di concedere un beneficio fiscale.
    Con atto depositato il  9  settembre  1992  si  e'  costituito  il
 Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura generale dello Stato ed  ha  presentato  memorie.  Ma
 tale  intervento  e'  inammissibile  in  quanto  risulta tardivamente
 spiegato   oltre   il   termine  di  20  giorni  dalla  pubblicazione
 dell'ordinanza nella  Gazzetta  Ufficiale.  Ne'  e'  applicabile,  al
 termine  perentorio  stabilito  per  la  costituzione delle parti nel
 giudizio davanti questa Corte, la sospensione dei termini processuali
 nel periodo feriale, secondo la giurisprudenza consolidata (da ultimo
 sentenza n. 215 del 1986).
    La questione incidentale di costituzionalita' sollevata  d'ufficio
 dalla  Commissione  tributaria  di  primo  grado  di  Gorizia  appare
 ammissibile, benche' sorretta da una motivazione molto concisa e  pur
 essendo  stata  la  norma in esame abrogata con decreto legge 2 marzo
 1993 n. 43 (art. 66); abrogazione che non ha  effetto  retroattivo  e
 che,  fino alla data odierna, non e' stata definitivamente sanzionata
 con  legge  di  conversione.  Va  inoltre  precisato   che,   sebbene
 l'ordinanza  di  rimessione  dichiari non manifestamente infondata la
 questione di legittimita' costituzionale del citato  art.  21,  senza
 alcuna  distinzione,  l'impugnativa riguarda in realta' la sola norma
 destinata ad applicarsi nel giudizio a quo, e cioe' il secondo  comma
 di    detto   articolo,   che   prevede   l'agevolazione   tributaria
 relativamente ai mutui concessi a  determinati  enti  pubblici.  Deve
 quindi passarsi all'esame nel merito della questione.
    2.  -  Sulla base della motivazione dell'ordinanza di rimessione e
 dell'illustrazione scritta ed orale fattane dalla difesa della  Cassa
 di  risparmio costituita, i motivi di incostituzionalita' del secondo
 comma dell'art. 21, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601  possono  essere
 cosi'  enunciati:  a)  violazione  dell'art. 3 della Costituzione per
 l'incoerenza di una norma che, rubricata come "agevolazioni  relative
 alle  imposte  sui  redditi",  nel  quadro  della  "disciplina  delle
 agevolazioni tributarie" cui e' dedicato il d.P.R. 601 del  1973,  si
 traduce  -  per  i  combinati  meccanismi di calcolo degli imponibili
 dell'IRPEG e dell'ILOR - in un maggiore onere fiscale; b)  violazione
 dello  stesso  art.  3  sotto l'ulteriore profilo della disparita' di
 trattamento  di  soggetti  della  stessa  categoria,  a  seconda  che
 concedano o meno quel tipo di mutui; c) violazione dell'art. 53 della
 Costituzione in quanto, applicandosi la norma denunziata, si eleva la
 misura  della pretesa tributaria nei confronti di un soggetto che non
 ha avuto una corrispondente maggiore capacita' contributiva.
    3. - La questione,  che  puo'  essere  valutata  con  un  discorso
 unitario  relativamente  ai  tre  profili  ora  esposti,  si appalesa
 fondata.
    L'art. 21, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 dispone
 che "Gli interessi derivanti da mutui fatti da aziende e istituti  di
 credito  a  regioni,  province,  comuni,  enti  ospedalieri  ed  enti
 pubblici  di  beneficenza,  assistenza  e  istruzione   sono   esenti
 dall'imposta  sul reddito delle persone giuridiche per meta' del loro
 ammontare".
    Indubbiamente, ai sensi del sistema vigente, puo'  verificarsi  il
 distorto fenomeno fiscale lamentato dal contribuente e che ha indotto
 la  Commissione  tributaria  a  sollevare  d'ufficio  la questione di
 costituzionalita'. Se, invero, l'agevolazione tributaria prevista  da
 detta  norma  giova all'istituto di credito riducendo i suoi proventi
 imponibili  ai  fini  dell'IRPEG,  ove   pero'   si   consideri   che
 l'operativita'  della  norma  agevolativa  va  collegata con le altre
 norme (in particolare gli artt. 58-61 d.P.R. 597 del  1973),  secondo
 cui   i   costi  detraibili  ai  fini  dell'ILOR  si  determinano  in
 corrispondenza dei predetti proventi imponibili IRPEG, ne deriva che,
 riducendo  (per  la  concessa  agevolazione)  questo  imponibile,  si
 riducono proporzionalmente anche i costi detraibili, col risultato di
 un  aumento  dell'ILOR  in  misura  tale  da superare notevolmente il
 vantaggio concesso nel calcolo dell'altra imposta. Il che  certo  non
 e'  ragionevole,  in  quanto contrario all'intento del legislatore di
 volere favorire e non aggravare gli istituti di credito che concedono
 mutui agli enti pubblici sopraindicati.
    4. - Le distorte e illogiche conseguenze  ora  cennate  potrebbero
 essere   evitate   se   l'agevolazione   fiscale   fosse  chiaramente
 disponibile dall'istituto contribuente,  nel  senso  che  essa  fosse
 concessa  solo  se richiesta o, una volta richiesta o concessa, fosse
 rinunziabile.
    Senonche'  la  lettera  del   citato   art.   21   ("sono   esenti
 dall'imposta")   induce   piuttosto   a   ritenere  che  la  prevista
 agevolazione, in quanto connessa  alla  natura  di  quei  determinati
 mutui,  discenda  in qualche modo automaticamente dalla dichiarazione
 fatta dal contribuente. Ed  in  ogni  caso,  anche  se  la  norma  si
 interpretasse   nel  senso  di  presupporre  una  domanda,  sia  pure
 implicita,  da  parte  dell'istituto  contribuente,   sarebbe   arduo
 ritenere che tale implicita richiesta possa essere ritrattata in sede
 di  quella  dichiarazione  integrativa  prevista  dalla legge (art. 9
 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 e successive modificazioni) solo per
 correggere errori o omissioni,  dal  momento  che  queste  correzioni
 vanno  riferite ad errori materiali o di calcolo, ovvero ad errori di
 diritto nella determinazione della base imponibile,  e  non  anche  a
 pentimenti nelle scelte fatte nella dichiarazione di base.
    5.  -  Ad  evitare, pertanto, le conseguenze distorte di una norma
 che  determina  irrazionalmente   l'effetto   contrario   di   quello
 risultante  dall'espresso  intento  del  legislatore,  non  resta che
 dichiararla   illegittima,   in   quanto   contraria   ai    principi
 costituzionali sanciti negli artt. 3 e 53 della Costituzione.