IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sui ricorsi nn. 605/1992,
 767/1992  e  917/1992,  proposti,   rispettivamente,   dall'Auser   -
 Associazione  autogestione  servizi  e  solidarieta' nazionale, dalla
 Cariplo e dal Codacons,  rappresentati  e  difesi,  la  prima,  dagli
 avv.ti  Massimo  D'Antona  e  Antonio  Fontana  e presso quest'ultimo
 elettivamente domiciliata, in Roma,  via  Cassia,  701;  la  seconda,
 dagli  avv.ti  Umberto  Potoschnig,  Giuseppe  Franco Ferrari e Mario
 Sanino e presso  quest'ultimo  elettivamente  domiciliata,  in  Roma,
 viale Parioli, 180; il terzo, dagli avv.ti Carlo Rienzi e Giuseppe Lo
 Mastro,  ed elettivamente domiciliato presso il primo, in Roma, viale
 delle Milizie, 9; contro il Ministero del tesoro  e  il  Dipartimento
 degli  affari  sociali,  costituitisi  in  giudizio,  rappresentati e
 difesi dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  e  presso  la  stessa
 domiciliati ex lege, in Roma, via dei Portoghesi, 12; e nei confronti
 della regione Lazio (ricorsi n. 605/92 e n. 917/92), non costituitasi
 in  giudizio; del comune di Roma (ricorso n. 605/92), costituitosi in
 giudizio; del Codacons, costituitosi in giudizio  in  tale  specifica
 qualita',  rappresentato  e difeso dall'avv. Carlo Rienzi e presso la
 stesso elettivamente domiciliato, in Roma, viale  delle  Milizie,  9;
 per  l'annullamento  del  decreto  del Ministro del tesoro in data 21
 novembre 1991, relativo alle modalita' per la costituzione dei  fondi
 speciali  per  il  volontariato presso le regioni, nonche' degli atti
 connessi;
    Visti i ricorsi con i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio  delle  amministrazioni
 intimate;
    Viste  le  memorie  prodotte  dalle parti a sostegno delle proprie
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito, alla pubblica udienza del 12 novembre 1992, il  consigliere
 Eugenio Mele;
    Uditi,  altresi', gli avv.ti Fontana, Potoschnig, Ferrari, Sanino,
 Montaldo, Lo Mastro per i ricorrenti, l'avv.  Puca,  in  sostituzione
 dell'avv.  Brigato,  per  il  comune  di Roma e l'avv. dello Stato De
 Giovanni per le amministrazioni statali;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con il primo ricorso, contraddistinto con il n. 605/92, l'Auser  -
 Associazione   per  l'autogestione  dei  servizi  e  la  solidarieta'
 nazionale, impugna il decreto ministeriale specificato  in  epigrafe,
 in  quanto questo si e' posto contro le specifiche disposizioni della
 legge n. 266/91 e, in particolare, contro l'art. 15 della stessa.
   Le  violazioni  vengono  individuate  all'art.  1  del  d.m.,   che
 illegittimamente sottrae il 50% delle contribuzioni ai fondi speciali
 per  attribuirli  ad  altri  fondi  speciali, "scelti liberamente dai
 suddetti enti e casse"; all'art. 2 dello stesso decreto ministeriale,
 dove si prevede che il comitato costituito per la  gestione  del  50%
 dei  fondi  sia composto con la maggioranza dei componenti attribuita
 agli enti e casse che contribuiscono ex lege al fondo stesso; ancora,
 allo stesso art. 2, punti 5 e 6, per la  totale  arbitrarieta'  delle
 scelte di amministrazione; all'art. 3, comma terzo, in cui si prevede
 la  possibilita' dell'iscrizione nell'elenco regionale di una entita'
 non individuata dalla  legge,  e  precisamente  un  soggetto  il  cui
 statuto  preveda  comunque attivita' a favore delle organizzazioni di
 volontariato.
    Con  due  successive  memorie,  l'avvocatura generale dello Stato,
 costituitasi in giudizio per  le  amministrazioni  statali  intimate,
 rileva  che  non  vi  e'  sottrazione  di  fondi  nella  ripartizione
 territoriale degli stessi, che  la  ricorrente  non  ha  interesse  a
 censurare  direttamente  la composizione del comitato che gestisce il
 fondo regionale, in cui comunque la maggioranza dei  componenti  agli
 enti  e  casse  di  risparmio  e' conseguenza diretta del fatto che i
 contributi  da  questi  versati  ai  fondi  regionali  sono  un  loro
 patrimonio  separato  e,  infine,  che vi e' differenza tra centri di
 servizi e associazioni di volontariato, le quali ultime possono  solo
 pretendere  che  i  centri funzionino, senza poter vantare un diritto
 esclusivo negli elenchi regionali.
    Il secondo ricorso (rubricato con  il  n.  767/1992)  e'  proposto
 dalla  Cariplo  fondamentalmente  per  denunciare  la  illegittimita'
 costituzionale  delle  disposizioni  che  vincolano  la   stessa   al
 versamento di 1/15 dei propri utili ai fondi regionali prima indicati
 (art. 15 della legge 11 agosto 1991, n. 266), sulla base dei seguenti
 motivi di diritto:
      1)  violazione e falsa applicazione del d.lgs. 20 novembre 1990,
 n. 356, anche per contrasto del d.m. 21 novembre 1991 e dell'art.  15
 della  legge 11 agosto 1991, n. 266, con l'art. 3 della Costituzione,
 e  cio'  in  quanto,  privando  il  soggetto  pubblico  azionista  di
 maggioranza  della  cassa  di risparmio di un quindicesimo dei propri
 proventi, si priva lo stesso della  possibilita'  di  individuare  le
 migliori  utilizzazioni  per il mantenimento di una adeguata presenza
 pubblica nel settore creditizio;
      2) nuova violazione del decreto  legislativo  prima  citato  per
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto il vincolo della
 contribuzione   e'  stato  previsto  soltanto  a  carico  degli  enti
 componenti l'azienda bancaria, oltre al fatto  che  sono  esclusi  da
 tale  contribuzione  alcuni  istituti  di credito che hanno le stesse
 caratteristiche delle Casse di risparmio;
      3) illegittimita' costituzionale dell'art.  15  della  legge  n.
 266/1991,  per  contrasto  con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, e
 cio' perche' la  norma  stessa  non  pare  correli  adeguatamente  la
 contribuzione coattiva alla capacita' contributiva;
      4)  illegittimita'  costituzionale  del  suddetto  art.  15  per
 contrasto con gli artt. 81  e  97  della  Costituzione,  per  essersi
 violati i principi in materia di finanza pubblica;
      5)  nuova illegittimita' costituzionale della medesima norma per
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per non essere individuato
 alcun concreto obiettivo di operativita' del volontariato, per cui, a
 differenza degli enti pubblici, le Casse di  risparmio,  pur  essendo
 tenute   alla  contribuzione,  non  possono  essere  garantite  della
 effettiva  utilizzazione  dei  relativi  fondi   per   attivita'   di
 volontariato;
      6)  nuova  violazione dello stesso art. 15 per contrasto con gli
 artt. 24 e 113  della  Costituzione,  in  quanto  la  norma  pretende
 l'inserimento  del meccanismo ivi previsto nello statuto della Cassa,
 andando cosi' a violare l'autonomia della stessa;
      7) ancora illegittimita' della medesima norma, per contrasto con
 gli artt. 117 e  118  della  Costituzione,  per  essersi  violate  le
 competenze regionali nella materia.
    Anche relativamente al secondo ricorso le amministrazioni intimate
 presentano  una  doppia  memoria nella quale rilevano la infondatezza
 del ricorso della Cariplo,  in  quanto  la  recente  riforma  che  ha
 interessato   il  sistema  bancario  non  ha  modificato  il  vincolo
 solidaristico che da sempre certi tipi di istituti di credito  hanno,
 mentre  la  legge  n.  266/1991,  cosi'  come  integrata  dal decreto
 ministeriale  indicato  in  epigrafe,  non  espropria  le  casse   di
 risparmio   di  alcunche',  in  quanto  si  limita  a  costituire  un
 patrimonio  separato  degli  enti  creditizi,  con  possibilita'   di
 parziale  scelta  territoriale  e  con amministrazione confidata agli
 stessi.
    Con il terzo ricorso (n.  917/1992),  il  Codacons  (Coordinamento
 delle  associazioni  per  la difesa dell'ambiente e dei diritti degli
 utenti e consumatori) impugna lo stesso  decreto  ministeriale  sopra
 indicato,  riproducendo le stesse censure che caratterizzano il primo
 ricorso.
     Anche contro tale ricorso le amministrazioni intimate  presentano
 due  memorie  illustrative,  opponendosi  al ricorso e chiedendone la
 reiezione.
    Il ricorrente presenta, infine,  una  memoria  illustrativa  nella
 quale  ribadisce le illegittimita' del d.m. gia' indicate nel ricorso
 introduttivo.
    All'udienza pubblica,  le  cause  vengono  discusse  dalle  parti,
 ognuna  delle  quali  insiste  per  la  propria tesi. Le cause stesse
 vengono, successivamente, spedite in decisione.
                             D I R I T T O
    I tre ricorsi, pur impugnando il decreto ministeriale 21  novembre
 1991  da  due  distinti  (e,  per molti aspetti, contrapposti) angoli
 visuali, possono considerarsi sicuramente connessi sia da un punto di
 vista soggettivo (stesse amministrazioni intimate e, in parte,  anche
 medesimezza  tra  controinteressati  in un ricorso e ricorrenti in un
 altro)  che  da  un  punto  di   vista   oggettivo   (la   duplicita'
 antagonistica  delle censure tende in ogni caso alla eliminazione del
 regolamento  che   si   ritiene,   direttamente   o   indirettamente,
 illegittimo),  per  cui  gli stessi possono essere in via preliminare
 riuniti per essere decisi con un unico provvedimento giurisdizionale.
    Il  Collegio,  peraltro,  ancora  in  via   preliminare   rispetto
 all'esame  del  merito del ricorso, ritiene di sollevare questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 15 della legge n. 266 del 1991,
 per  contrasto  dello  stesso  con  gli  artt.  3,  41  e  53   della
 Costituzione,  e  cio',  in  parte,  in  adesione alle prospettazioni
 svolte dalla Cariplo nel ricorso n. 767/1992, e, in parte, d'ufficio.
    La questione di  costituzionalita',  mettendo  in  discussione  la
 scaturigine   legislativa  su  cui  poggia  l'impugnato  decreto  del
 Ministro  del  tesoro,  relativo  appunto  alle  modalita'   per   la
 costituzione  dei  fondi  speciali  per  il  volontariato  presso  le
 regioni, e' evidentemente rilevante nei giudizi sottoposti  all'esame
 del   collegio,   in   quanto   la   declaratoria  di  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 15 della legge suddetta farebbe  venir  meno
 o,  quanto  meno,  renderebbe  necessaria una profonda modifica dello
 stesso decreto ministeriale 21 novembre 1991.
    Per le ragioni appena evidenziate, non puo'  trovare  accoglimento
 l'istanza,  avanzata  in  udienza dall'Auser, di decidere comunque il
 ricorso dalla stessa proposto, anche nel caso di rilevanza e  di  non
 manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 15 della legge n. 266/1991.
    La questione e' non manifestamente infondata.
    E cio' per le seguenti considerazioni.
    Gli  enti  creditizi  istituiti in enti pubblici, tra i quali sono
 appunto ricomprese anche le Casse di  risparmio,  per  una  sorta  di
 emenda  all'attivita' di settore, sempre considerata nell'iconografia
 classica non molto commendevole dal punto di vista  morale,  sono  da
 tempo  obbligati  a devolvere una parte dei propri utili ad attivita'
 di beneficenza o comunque di  pubblica  utilita'  (cosi'  l'art.  35,
 comma terzo, del r.d. 25 aprile 1929, n. 967).
    Tale   vicenda   e'   stata   sempre   piu'  o  meno  pacifica  in
 considerazione del fatto che l'utile di un ente  pubblico,  anche  se
 determinatosi  nell'ambito  di  una  serie  di operazioni di mercato,
 meglio non poteva essere adoperato,  salva  quella  parte  necessaria
 all'autofinanziamento,  che  a  partecipare  comunque  agli  oneri di
 carattere pubblico; e cio' in presenza di una situazione del  settore
 bancario  che mai aveva messo in discussione la posizione di piu' che
 stabile sicurezza degli istituti di credito  enti  pubblici  rispetto
 alla concorrenza interna ed internazionale.
    Non  solo, ma l'esistenza di una norma generale che imponeva, si',
 agli enti pubblici creditizi di destinare una parte dei propri  utili
 alla  beneficenza  e alle attivita' di utilita' pubblica, ma lasciava
 liberi gli stessi di scegliere in concreto come impegnare tali fondi,
 aveva determinato  uno  studio  attento  per  l'indirizzo  di  questi
 contributi,  con  scelta  per quelli fra essi che potessero garantire
 all'istituto  di  credito  un  ritorno  in  immagine  in  gran  parte
 remunerativo del denaro speso.
    Questa  imprenditorialita' nella utilizzazione dei fondi destinati
 alla beneficenza e all'attivita'  pubblica  in  genere  era  divenuta
 cosi'  importante,  se ben gestita, che si era persino assistito a un
 non  qualche  raro  episodio  di  inserimento  in  statuti  di   enti
 creditizi,  non  tenuti  a  questo  obbligo,  di  una  normativa  che
 individuava, quanto meno una facolta' del genere.
    Il sistema poteva considerarsi, pertanto, pienamente legittimo, in
 quanto, in fondo, la forzata utilizzazione in alcuni campi  di  parte
 degli  utili  non si tramutava in un prelievo coattivo ma soltanto in
 un indirizzo  di  campo  operativo,  per  cui,  libera  la  Cassa  di
 risparmio su come operare, vi era soltanto un vincolo di indirizzo ad
 operare  nel  settore  della beneficenza e delle attivita' pubbliche,
 cosa perfettamente in linea, come si e' detto, con la natura pubblica
 degli enti a cui era imposta una tale limitazione.
    Con l'intervento, peraltro, dell'art. 15 della legge  n.  266  del
 1991, le cose cambiano radicalmente.
    Quest'articolo, infatti, cosi' recita:
    Art. 15. - Fondi speciali presso le regioni. - "1. Gli enti di cui
 all'art.  12,  primo comma, del decreto legislativo 20 novembre 1990,
 n. 356, devono  prevedere  nei  propri  statuti  che  una  quota  non
 inferiore  ad  un  quindicesimo  dei  propri proventi, al netto delle
 spese di funzionamento e dell'accantonamento di cui alla lett. d) del
 primo comma dello stesso art. 12, venga destinata  alla  costituzione
 di  fondi  speciali  presso  le  regioni al fine di istituire, per il
 tramite degli enti locali, centri di servizio  a  disposizione  delle
 organizzazioni  di volontariato, e da queste gestiti, con la funzione
 di sostenerne e qualificarne l'attivita'.
    2. Le casse di risparmio, fino a quando non abbiano proceduto alle
 operazioni  di  ristrutturazione di cui all'art. 1 del citato decreto
 legislativo n. 356 del 1990, devono destinare alle medesime finalita'
 di cui al primo comma del presente articolo  una  quota  pari  ad  un
 decimo  delle  somme  destinate ad opere di beneficenza e di pubblica
 utilita' ai sensi dell'art. 35, terzo comma,  del  regio  decreto  25
 aprile 1929, n. 967, e successive modificazioni.
    3.  Le  modalita' di attuazione delle norme di cui ai commi 1 e 2,
 saranno stabilite con decreto del Ministro del  tesoro,  di  concerto
 con  il Ministro per gli affari sociali, entro tre mesi dalla data di
 pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale".
    Pare, quindi, evidente, che questa norma ha  travolto  quello  che
 era  il  principio-cardine  del precedente sistema, e cioe' la scelta
 delle iniziative da parte dei soggetti che erogavano concretamente le
 contribuzioni. Qui, invece, l'iniziativa e' sparita:  le  somme  sono
 destinate  alle  Regioni  per  l'operativita' dei centri di servizio,
 gestiti dalle associazioni di volontariato, per cui l'ente di credito
 di diritto pubblico non si trova piu' nella posizione di un  soggetto
 a  cui  e'  indicata  una  specifica  politica  di operativita' ma in
 quella, molto piu' fastidiosa, di un soggetto a cui e' prelevata  una
 parte  dei  propri guadagni per essere consegnata ad altri soggetti e
 da questi gestita.
    La differenza e' enorme, poiche' nel  primo  caso  l'ente  avrebbe
 potuto scegliere quelle iniziative che piu' delle altre apprestassero
 un ritorno per lo stesso (soprattutto in termini di immagine), mentre
 nel  secondo il medesimo gioca un ruolo meramente passivo di soggetto
 espropriato di una certa somma.
    E che il Ministero del tesoro si sia reso conto di cio'  e'  segno
 evidente  proprio  nel decreto ministeriale in questa sede impugnato,
 dove si e' cercato di mitigare il rigore legislativo in piu' punti:
      dando la facolta'  agli  enti  creditizi  di  scegliere  per  il
 cinquanta  per  cento le regioni a cui assegnare le contribuzioni (il
 che, pero', non elimina il problema, ma lo riduce solo da un punto di
 vista quantitativo);
      attribuendo a questi prelevamenti la strana figura di patrimonio
 separato degli enti creditizi, al fine di evitare la questione  della
 mera  espropriazione (ma il patrimonio separato di carattere coattivo
 assomiglia nella specie ad una confisca);
      attribuendo agli enti  erogatori  la  maggioranza  assoluta  nei
 comitati  tenuti  a gestire la utilizzazione dei fondi (il che ancora
 non risolve il problema, che non e' quello della gestione, ma  quello
 della scelta delle iniziative).
    Ma  tale  mitigazione, da un lato, e' solo superficiale, in quanto
 non modifica (ne' avrebbe potuto farlo) il sistema di  mero  prelievo
 previsto dall'art. 15 della legge n. 266 del 1991, e, dall'altro, pur
 quando una tale modifica avesse potuto determinarsi nell'ordinamento,
 si  tratterebbe di una modifica contra legem, destinata prima o poi a
 cadere e comunque sempre soggetta ad annullamento giurisdizionale  (e
 la  presentazione  dei  ricorsi  dell'Auser  e  del  Codacons ne sono
 l'indice piu' evidente).
    Dalle argomentazioni  suesposte,  traluce,  percio',  la  profonda
 illegittimita'  della norma di cui all'art. 15 della legge n. 266 del
 1991,   nei   confronti   di   alcune   norme   dell'attuale    carta
 costituzionale.
    E precisamente:
      relativamente  all'art.  3,  per  la  disparita'  di trattamento
 evidente che  si  determina  tra  istituti  di  credito  tenuti  alla
 contribuzione  de  qua  e istituti di credito non tenuti alla stessa,
 con la conseguenza di una posizione  deteriore  dei  primi,  che  non
 possono,  a parita' di condizioni, apprestare un autofinanziamento in
 ugual misura  rispetto  a  quello  che  puo'  essere  apprestato  dai
 secondi,  e cio' senza neppure la possibilita', esistente nel vecchio
 sistema  giuridico,  di  dare  luogo  a  possibili  scelte  circa  la
 utilizzazione  dei  fondi  vincolati,  in  modo  da poterne trarre un
 beneficio alternativo, idoneo a  non  mettere  l'ente  creditizio  in
 posizione  di  maggiore  difficolta'  rispetto  agli  altri  enti non
 gravati dallo stesso obbligo giuridico;
      relativamente all'art. 41, in quanto, se pure  e'  vero  che  le
 casse  di  risparmio  e  gli  altri enti creditizi similari sono enti
 pubblici, e' pur vero che gli stessi operano per  intero  all'interno
 di  un sistema di mercato, nell'ambito del quale hanno a che fare con
 una concorrenza interna, comunitaria e internazionale particolarmente
 agguerrita. Cosi' stando le cose, non puo' ignorarsi che l'iniziativa
 economica di cui anche tali enti sono fondamentalmente  portatori  e'
 essenzialmente  libera,  mentre  l'aver istituito un cosi' pesante (e
 soprattutto cosi' insuperabilmente chiuso) vincolo di destinazione di
 utili soltanto ad una categoria di operatori  del  settore  determina
 una  inammissibile intrusione dei poteri pubblici nelle scelte opera-
 tive dell'imprenditore, che si pone in  aperta  violazione  dell'art.
 41, soprattutto nella parte di esso in cui impone una destinazione di
 utili senza lasciare al soggetto inciso alcuna possibilita' di scelta
 circa la loro concreta destinazione ed utilizzazione;
      relativamente  all'art.  53,  in  quanto  la  normativa  di  cui
 all'art. 15 della legge n. 266 del 1991 opera un prelievo sugli utili
 di esercizio senza avere individuato un meccanismo per verificare  se
 tali  utili di esercizio siano o meno un reddito effettivo ovvero non
 siano un  reddito  fittizio,  destinato  alla  copertura  di  perdite
 pregresse,  alla predisposizione di fondi per colmare perdite future,
 o, soprattutto, destinato ad una  politica  di  autofinanziamento  al
 fine  di  poter competere nel migliore dei modi con la concorrenza in
 atto.  Oltre  a  cio',  deve  rilevarsi   che,   nella   fattispecie,
 trattandosi  di  un  prelievo  non  generalizzato,  ma specificamente
 limitato ad alcuni contribuenti, esso  non  puo'  essere  considerato
 alla  stregua  di un'imposta, ma molto piu' correttamente deve essere
 classificato come un contributo, per il quale pero'  occorrerebbe  la
 individuazione  di  quale utilita' ne viene ai contribuenti e qual'e'
 il meccanismo  relazionale  tra  l'attivita'  pubblica  e  i  singoli
 contributi.
    Per  quanto  sopra  rappresentato,  il  Collegio  ritiene di dover
 sospendere l'esame dei tre giudizi qui riuniti  e  di  sollevare,  in
 parte d'ufficio e in parte in accoglimento di specifica censura della
 ricorrente Cariplo, questione di costituzionalita' dell'art. 15 della
 legge   11   agosto   1991,   n.   266,  in  riferimento  alle  norme
 costituzionali prima indicate.