ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 566, ottavo
 comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza  emessa
 il  18  settembre  1992 dal Pretore di Gela nel procedimento penale a
 carico di La Bella Angelo ed altri, iscritta al n. 790  del  registro
 ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio  del  31  marzo  1993  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Ritenuto  che,  con l'ordinanza in epigrafe, il Pretore di Gela ha
 sollevato, in riferimento agli  artt.  3  e  24  della  Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 566, ottavo comma,
 del  codice  di  procedura  penale "nella parte in cui dispone che la
 formulazione della richiesta di applicazione  della  pena  sia  fatta
 subito  dopo  l'udienza  di  convalida  e  non,  invece,  prima della
 dichiarazione di apertura del dibattimento";
      che il giudice a quo  premette  che  "secondo  l'interpretazione
 dell'art.  566,  sesto,  settimo  ed  ottavo  comma,  del  codice  di
 procedura penale generalmente accolta" l'imputato, dopo la  convalida
 dell'arresto, deve subito scegliere tra due facolta': la formulazione
 della  richiesta  di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della
 pena, oppure la richiesta di un  termine  per  preparare  la  difesa.
 Mentre  l'esercizio  della  prima  facolta'  non preclude, in caso di
 dissenso  del  pubblico  ministero,  l'esercizio  della  seconda,  la
 richiesta    del    "termine   a   difesa"   precluderebbe,   invece,
 definitivamente, la possibilita' di chiedere il giudizio abbreviato o
 l'applicazione  della  pena  allorche'  ha  inizio  il   dibattimento
 "all'udienza   preliminare  successiva  alla  scadenza  del  termine"
 concesso;
      che sulla base di tale interpretazione il remittente rileva  che
 la   norma  impugnata,  oltre  a  contrastare  con  il  principio  di
 eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, non  consente  il
 pieno  esercizio  della difesa, posto che, da un lato, attribuisce la
 facolta' di chiedere un termine  per  preparare  la  difesa  tecnica,
 dall'altro  rende  parzialmente  inutile questa facolta' impedendo al
 difensore di studiare il caso e le sue  conseguenze  e  di  valutare,
 assieme all'imputato, l'opportunita' di chiedere l'applicazione della
 pena  evitando  il  pubblico  dibattimento  e l'eventuale sentenza di
 condanna;
      che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio  dei
 ministri,   rappresentato   dall'Avvocatura   generale  dello  Stato,
 concludendo per l'infondatezza della questione.
    Considerato che il presupposto interpretativo sulla base del quale
 e'  sollevata  la  questione  di   legittimita'   costituzionale   e'
 manifestamente errato in quanto, ai sensi degli artt. 449 e segg. del
 codice   di   procedura  penale,  il  Pretore,  prima  della  formale
 dichiarazione di apertura del dibattimento, deve informare l'imputato
 della facolta' di chiedere un termine per preparare la difesa, con la
 conseguenza  che,  nel  caso  di  esercizio  di  detta  facolta',  il
 dibattimento,   non   ancora  aperto,  e'  sospeso  fino  all'udienza
 immediatamente  successiva alla scadenza del termine (art. 451, sesto
 comma);
      che, quindi, secondo il chiaro  disposto  dell'art.  446,  primo
 comma,  la  richiesta  di  applicazione della pena e' tempestivamente
 formulata fino alla dichiarazione di  apertura  del  dibattimento  di
 primo grado;
      che  nessuna  eccezione  a  tale  regola  reca  la  disposizione
 impugnata dal giudice a quo nella quale le  richieste  di  termine  a
 difesa  o  di  applicazione  di  uno dei riti speciali previsti dagli
 artt. 444 e 438 del codice di procedura penale vengono  semplicemente
 riconosciute  come  facolta' che il giudicabile "puo'" (e non "deve")
 formulare subito dopo l'udienza di convalida, e cioe'  a  partire  da
 quel  momento processuale, sicche' la richiesta di applicazione della
 pena puo' ben intervenire fino al normale termine previsto nel citato
 art. 446, primo comma, del codice di procedura penale;
      che nello stesso senso si e'  gia'  espressa  la  giurisprudenza
 della Corte di Cassazione;
      che  pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente
 infondata;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87,  e  n.  9,  secondo  comma, delle norme integrative per i giudizi
 davanti alla Corte costituzionale;