IL PRETORE
    A scioglimento della riserva ha emesso la  seguente  ordinanza  di
 rimessione degli atti alla Corte costituzionale nella causa r.g.l. n.
 3259/92  promossa  da  Fabbri  Marco (dott. proc. Paolo Naldi) contro
 l'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale  (I.N.P.S.)   (avv.
 Giordano Coco), oggetto: indennita' di malattia.
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    1.  -  Con  ricorso  depositato il 21 ottobre 1992 Marco Fabbri ha
 dedotto che l'I.N.P.S., con provvedimento  del  15  marzo  1991,  gli
 aveva  comunicato  la  decadenza  dall'indennita'  di malattia per il
 periodo dal 31 luglio al 9 agosto  1990,  incolpandolo  di  non  aver
 consentito il 5 agosto 1990 la visita medica di controllo dello stato
 di malattia, senza averne giustificato motivo.
    Il  ricorrente, ritenendo illegittimo tale provvedimento, lo aveva
 impugnato con ricorso del 28  maggio  1991  al  comitato  provinciale
 dell'I.N.P.S. di Bologna.
    Con  provvedimento  del 19 dicembre 1991, comunicato al ricorrente
 il 7 gennaio 1992, l'I.N.P.S. aveva respinto tale ricorso.
    Tutto  questo  ed  altro  premesso  e  dedotto  Marco  Fabbri   ha
 presentato  le seguenti conclusioni: "voglia l'ill.mo sig. pretore di
 Bologna, magistrato del lavoro, accertare e dichiarare il diritto  di
 Fabbri  Marco a percepire l'indennita' di malattia per il periodo dal
 31 luglio  1990  al  9  agosto  1990  e  conseguentemente  condannare
 l'I.N.P.S.  in  persona  del suo presidente e legale rappresentante a
 corrispondere a Fabbri Marco la indennita' di malattia per il periodo
 suddetto con inoltre interessi e rivalutazione monetaria".
    2. - L'I.N.P.S. si e' opposto alla domanda.
    L'Istituto ha eccepito preliminarmente la decadenza del ricorrente
 dall'azione, ai sensi dell'art. 4, primo comma,  parte  seconda,  del
 d.l. 19 settembre 1992, n. 384, cosi' come convertito dalla legge 14
 novembre 1992, n. 438.
    Tale  disposizione stabilisce che nelle controversie in materia di
 prestazioni temporanee di cui all'art. 24  della  legge  n.  88/1989,
 l'azione  e'  sottoposta  al  termine di decadenza di un anno. Per la
 decorrenza del termine la  disposizione  richiama  quanto  prescritto
 nella  prima  parte  dello stesso comma nella materia dei trattamenti
 pensionistici.
    Tale disposizione distingue tre ipotesi differenti  di  inizio  di
 decorrenza   del   termine   di  decadenza  che,  secondo  la  difesa
 dell'I.N.P.S., devono  essere  interpretati  nel  seguente  modo,  in
 collegamento tra loro:
      1)  decorrenza  dalla  data di decisione del ricorso pronunziata
 dai competenti organi dell'I.N.P.S. Tale ipotesi presuppone che siano
 stati  osservati  i  termini  per   la   proposizione   del   ricorso
 amministrativo  all'I.N.P.S.,  di  novanta  giorni  dalla notizia del
 provvedimento: (art. 46, quinto comma, della  legge  n.  88/1989),  e
 quello  di  novanta  giorni dalla presentazione del ricorso (art. 46,
 sesto comma, della legge n. 88/1989) per la decisione del ricorso;
      2) decorrenza dalla data di scadenza del termine  stabilito  per
 la pronunzia della decisione sul ricorso amministrativo. Tale ipotesi
 presuppone il rispetto del solo termine di presentazione del ricorso;
 non anche di quello per la decisione da parte dell'I.N.P.S.;
      3)  decorrenza dalla data di scadenza dei termini prescritti per
 l'esaurimento del procedimento amministrativo computati  a  decorrere
 dalla  data  di  presentazione  della  richiesta di prestazione. Tale
 ipotesi si applica nel caso di mancata presentazione del ricorso  nei
 termini  di  legge.  Il  termine  per proporre l'azione decorre dalla
 scadenza del termine complessivo di centottanta giorni assegnato  per
 la procedura amministrativa.
    La  difesa dell'I.N.P.S. ha notato come il caso della controversia
 rientri nella ipotesi di cui  al  punto  sub  2.  Infatti  contro  il
 provvedimento   dell'I.N.P.S.   emesso  in  data  15  marzo  1991  il
 ricorrente aveva proposto reclamo tempestivamente, il 28 maggio 1991.
    La decisione di rigetto era stata resa il 19 dicembre 1991 ed  era
 stata  comunicata  al  ricorrente il 7 gennaio 1992, percio' oltre il
 termine.
    Conseguentemente, secondo l'ordine sopra descritto,  la  data  cui
 fare  riferimento  per  l'inizio del termine di decadenza annuale per
 proporre la domanda giudiziale era quella del 26 agosto  1991,  ossia
 quella  della formazione del c.d. silenzio-rifiuto, trascorsi novanta
 giorni dalla presentazione del ricorso amministrativo.
    Ragionando in tale modo la difesa  dell'I.N.P.S.  ha  eccepito  la
 intervenuta  decadenza dell'azione al momento della presentazione del
 ricorso  giudiziario,  essendo  trascorso  piu'  di  un  anno   dalla
 formazione del silenzio rifiuto.
    La  difesa  dell'I.N.P.S.  ha sollevato anche eccezioni di merito,
 riguardanti l'obbligo di reperibilita' dell'assistito, ed ha  dedotto
 la  mancata  osservanza  di  quelle  misure, minime e necessarie, per
 consentire al medico di controllo di rintracciarlo  per  eseguire  la
 visita.
    La difesa dell'istituto, tutto questo premesso, ha concluso per il
 rigetto del ricorso.
    3.  -  All'udienza del 7 gennaio 1993 il ricorrente, col replicare
 all'eccezione di decadenza sollevata dall'I.N.P.S., ha  affermato  la
 non   applicabilita'   dell'art.   4   del  d.l.  n.  384/1992  alla
 fattispecie; ha precisato che comunque la domanda era stata  proposta
 entro    l'anno    dalla    decisione   dell'I.N.P.S.   sul   ricorso
 amministrativo.
                        MOTIVI DELLA DECISIONE
    Il  pretore  intende   sollevare   d'ufficio   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale degli artt. 4, primo e quarto comma, del
 d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito dalla legge  14  novembre
 1992, n. 438, per le ragioni che vengono esposte di seguito.
 La rilevanza della questione.
    1.1.  - Come si rileva da quanto premesso la difesa dell'I.N.P.S.,
 in questo processo,  instaurato  dopo  l'emanazione  e  l'entrata  in
 vigore  del  d.l. n. 438/1992, eccepisce la decadenza del ricorrente
 dall'azione giudiziaria promossa in base alle  disposizioni  di  tale
 decreto  legge,  dandone  per  scontata  la  loro  applicazione  alle
 situazioni dei diritti e dei  ricorsi  amministrativi  in  corso  nel
 periodo  antecedente  alla  entrata  in vigore della norma. Di fatto,
 come si ricava dalla narrativa  del  processo,  l'I.N.P.S.  eccepisce
 che,  con  l'entrata  in  vigore  delle nuove norme, il ricorrente e'
 decaduto dall'azione per l'avvenuto decorso del termine  previsto  da
 tale normativa.
    1.2.   -  In  effetti  l'art.  4  citato  abroga  espressamente  e
 sostituisce il secondo e terzo comma del d.P.R. n. 639/1970.
    Con tali nuove norme il legislatore ha  stabilito,  tra  le  altre
 cose,  di  ridurre  il precedente termine decennale (decorrente dalla
 data  di  comunicazione  del  provvedimento)  per  proporre   domanda
 giurisdizionale  nei  confronti  delle  decisioni  amministrative  di
 reiezione di ricorsi in  materia  di  trattamenti  pensionistici  (il
 termine e' ridotto a tre anni) e in materia di prestazioni temporanee
 (il termine e' ridotto ad un anno).
 Tale  nuova  normativa  assume  rilevanza  generale.   Per effetto di
 quanto esplicitamente disposto al terzo comma, vanno  sottratti  alla
 sua  disciplina  solo  i  procedimenti  gia'  instaurati alla data di
 entrata in vigore del decreto-legge e ancora  in  corso  alla  stessa
 data.    L'art. 14 dello stesso decreto legge stabilisce quale giorno
 per la propria entrata in vigore quella della pubblicazione, avvenuta
 il 19 settembre 1992.
    1.3. - L'interpretazione  letterale  di  tale  normativa  proposta
 dalla  difesa  dell'I.N.P.S.  appare  formalmente rispondere al testo
 delle disposizioni; i risultati che ne conseguono sono  coerenti  con
 l'intendimento del legislatore di ridurre drasticamente i termini per
 la difesa giudiziale dei diritti in tali materie.
    In  base  a tale interpretazione il termine iniziale di decorrenza
 della decadenza va comunque posto all'interno di un periodo  che,  al
 massimo,  puo'  arrivare  ai  centottanta giorni dalla emanazione del
 provvedimento assunto come lesivo.
    Cio' si  verifica  peraltro  soltanto  nella  ipotesi  di  mancata
 presentazione del ricorso entro il termine di legge.
    Nelle  altre  ipotesi  il termine puo' comunque essere inferiore a
 centottanta giorni.
    Non e' invece possibile, secondo le nuove norme, individuare quale
 data iniziale da cui far decorrere il  termine  di  decadenza  quella
 della comunicazione della decisione tardiva di rigetto; comunicazione
 che,   come   spesso   accade,   viene  fatta  a  distanza  di  tempo
 dall'effettivo  inoltro  del  ricorso  amministrativo.     Una   tale
 interpretazione,  oltre  ad essere in palese contrasto con le ragioni
 di fondo espresse dalla nuova legge, renderebbe vana la previsione da
 parte del legislatore nello stesso primo comma dell'art. 4 di ben tre
 ipotesi differenti della data di inizio del decorso  del  termine  di
 decadenza.  1.4. - A questo punto, in coerenza con la interpretazione
 che  la  lettera  e le ragioni della nuova normativa suggeriscono, si
 dovrebbe  trarre  la  conseguenza  per  cui  il  diritto   di   adire
 l'autorita'  giudiziaria del ricorrente sarebbe venuto meno. Infatti,
 poiche' nel caso in questione si e' avuta una  decisione  tardiva  di
 rigetto,  comunicata  il  7  gennaio  1992,  non e' con riferimento a
 questa che si individua la data iniziale di decorso  del  termine  di
 decadenza.  Invece si dovrebbe far rientrare la fattispecie in quella
 disciplinata  nell'ipotesi sub 2 sopra menzionata, per cui il termine
 annuale dovrebbe ritenersi iniziato con la formazione  del  silenzio-
 rifiuto sul ricorso amministrativo; cioe' dalla data 26 agosto 1991.
    Conseguentemente il deposito del ricorso giudiziale avvenuto il 21
 ottobre 1992 andrebbe riferito ad un diritto che sarebbe venuto meno.
 Cio'  comporterebbe il conseguente accoglimento della eccezione ed il
 rigetto della domanda.
    Quanto si e' esposto  fin  qui  e'  sufficiente  a  dimostrare  la
 rilevanza  ai  fini  del  giudizio  della  questione  che  si intende
 sollevare.
 La questione di legittimita' costituzionale.
    2.1. - Dopo la emissione del d.l. n. 384/1992 questo giudice  (ed
 i  magistrati di questa sezione delle controversie del lavoro e della
 previdenza) hanno potuto  constatare  come  la  difesa  dell'I.N.P.S.
 abbia  sollevato  l'eccezione  di  decadenza  dall'azione ai sensi di
 quanto disposto dall'art. 4, in modi e per ragioni identiche a quelle
 svolte in questo processo, in  tutte  le  controversie  promosse  nei
 confronti  dell'Istituto  per  pensioni o per prestazioni temporanee,
 dopo l'entrata in vigore della norma citata.
    In base al dato di esperienza che si desume dal  sistema  e  dalle
 sperimentate  tecniche  di  difesa  in  giudizio  dell'I.N.P.S. nelle
 controversie che presentino questioni di interpretazione di norme, si
 puo'  ritenere  che  l'I.N.P.S.,  ente   beneficiario   della   nuova
 normativa,  intenda  farne valere l'interpretazione e la applicazione
 nel senso piu' letterale e  formale  possibile,  quali  sostenute  in
 questo  processo e nei molti altri esaminati ed in corso.  Poiche' la
 difesa dell'I.N.P.S. in questo processo rispecchia una realta' che si
 puo' pensare estesa in tutto il territorio  nazionale,  ed  anche  il
 comportamento  di  ordinaria  amministrazione dell'ente nei confronti
 delle posizioni analoghe di altri cittadini, appare necessario che il
 giudice, cui e' sottoposta la interpretazione e l'applicazione  della
 nuova  norma,  ne sollevi la questione di legittimita' costituzionale
 perche'  l'intervento  e  la  decisione  della  Corte  costituzionale
 valgano  ad  eliminare,  nei  limiti del ragionevole e del possibile,
 oggi, una situazione di obiettiva incertezza del diritto vigente,  in
 un  numero  molto esteso di casi, nel contesto di una conflittualita'
 giudiziale sul tema, che si annuncia tanto abbondante quanto  sterile
 di  risultati,  ove si escluda quello del ritardo nel soddisfacimento
 dei diritti previdenziali e  quello  dell'induzione  cosi'  cagionata
 dall'Istituto  nei  cittadini  a  non promuovere giudizi che sembrano
 destinati ad essere coltivati dall'I.N.P.S. in tutti i gradi.  2.2. -
 E' gia' stato riportato il contenuto del primo comma dell'art. 4  del
 d.l.  n.  384/1992,  che  riduce  ad  un  anno  il  termine  per  la
 proposizione  dell'azione  giudiziaria  in  materia  di   prestazioni
 temporanee, "a pena di decadenza".
    L'art.  4,  terzo  comma,  dello  stesso  testo cosi' prevede: "Le
 disposizioni di cui al primo e secondo comma,  non  si  applicano  ai
 procedimenti  instaurati anteriormente alla data di entrata in vigore
 del presente decreto ancora in corso alla medesima data".
    La  difesa  dell'I.N.P.S.  interpreta  tale  disposizione  con  il
 criterio della argomentazione a contrario; ritiene cioe' che le nuove
 disposizioni, che abbreviano considerevolmente rispetto al passato il
 termine di decadenza per la proposizione di domande giudiziali, e che
 indicano  per  la decorrenza di tali termini nuovi criteri e punti di
 riferimento, disciplinino tutta  la  materia  della  decadenza  delle
 azioni  giudiziarie,  con  la  sola  esclusione  per  i  giudizi gia'
 promossi.
    2.3. - La difesa dell'I.N.P.S. non si e' posta  il  problema,  che
 balza evidente agli occhi nel caso in esame e che mette in risalto la
 grave  incongruenza  sia  della  normativa come della interpretazione
 datane rispetto a norme e a principi costituzionali: il fatto, cioe',
 che a stare al testo del decreto e alla interpretazione  letterale  e
 formale   il   diritto   del   ricorrente  alla  indennita'  dovrebbe
 considerarsi non piu' agibile dal giorno stesso della emanazione  del
 d.l.  n.  384/1992  e  dalla sua pubblicazione per la decorrenza del
 termine previsto per il suo esercizio.
    Il ricorrente, prima del decreto legge, aveva tempo in  base  alle
 norme   vigenti   fino  al  7  gennaio  2002  per  adire  l'autorita'
 giudiziaria;  cioe'  fino  a  dieci  anni  dalla  comunicazione   del
 provvedimento di rigetto del ricorso amministrativo presentato.
    Con   l'entrata   in   vigore   del   decreto-legge,   secondo  la
 interpretazione e la applicazione dell'I.N.P.S., egli ha perduto ogni
 possibilita' di far valere in giudizio il diritto  all'indennita'  di
 malattia,  per il solo fatto della nuova regolamentazione dei termini
 previsti a pena  di  decadenza  per  la  proposizione  delle  domande
 giudiziali.    Le  nuove  norme  non consentono al ricorrente di fare
 alcunche' per il mantenimento e la tutela del diritto  all'indennita'
 di  malattia,  negata  dall'I.N.P.S.    Con l'entrata in vigore delle
 norme il ricorrente viene  considerato  decaduto,  automaticamente  e
 definitivamente,  dalla  possibilita'  di far valere in giudizio tale
 diritto, come conseguenza della interpretazione della norma.  Infatti
 il decreto-legge e la legge di conversione non hanno previsto  alcuna
 disciplina  per  i  diritti  - e le domande giudiziali relative - che
 avrebbero potuto  essere  legittimamente  fatti  valere  in  giudizio
 nell'ambio  dei  termini  di  decadenza stabiliti dalla legge vigente
 applicabile fino alla sua sostituzione.  2.4. - La mancanza  di  ogni
 disciplina  transitoria  che regoli il passaggio dai vecchi ai nuovi,
 piu' restrittivi criteri di decorrenza  del  termine  per  poter  far
 valere in giudizio i propri diritti, produce questi effetti.
    Tale  conseguenza  non  potrebbe  essere eliminata, nella concreta
 realta' dei rapporti giuridici  regolati  dalle  norme  (se  non,  in
 ipotesi,  al  termine  di una estenuante e prolungata conflittualita'
 giudiziaria,  prevedibile  secondo  il  sistema  di   difesa   legale
 dell'I.N.P.S.,  in  migliaia e migliaia di casi) nemmeno in base alla
 pur ragionevole obiezione che  si  puo'  muovere  all'interpretazione
 data,  in  base  alla  affermazione ed alla regola dell'art. 11 delle
 "Disposizioni sulla legge in generale" del c.c. per cui "la legge non
 dispone che per l'avvenire: essa non puo' avere effetto retroattivo".
    Per  quanto  possa  sostenersi  che  tale   criterio   legale   di
 interpretazione  delle  leggi potrebbe essere adottato anche nel caso
 delle norme in esame (a maggior  ragione  ove  si  consideri  che  la
 decadenza  dal  diritto  per  la  mancata  promozione  della  domanda
 giudiziale entro un termine predeterminato e' istituto che  regola  i
 diritti ed il comportamento dei soggetti) e' facile prevedere la rep-
 lica  difensiva  dell'I.N.P.S.,  imperniata  sul  dato formale che il
 precetto dell'art. 11 delle "Disposizioni sulla legge" e' portato  da
 una  legge  ordinaria,  e,  di  per  se',  non  puo'  avere efficacia
 superiore  rispetto  ai  precetti  di  altre  norme   ordinarie   che
 diversamente dispongano.
    Pertanto  l'efficacia  come  regola di interpretazione della norma
 potrebbe riguardare  solo  i  casi  in  cui  sussistano  dubbi  sulla
 interpretazione  da  dare  alla efficacia delle norme della legge nel
 tempo.  E' facile constatare (o prevedere) che l'I.N.P.S.,  come  del
 resto  il legislatore "storico", non si pongano affatto il dubbio che
 i  precetti  del  d.l.  n.  438/1992  sulla  decadenza  dal  diritto
 all'azione   giudiziaria  in  materia  di  pensione,  possano  essere
 interpretati diversamente rispetto alla soluzione fornita  in  questo
 giudizio  dal  servizio  legale  dell'I.N.P.S.,  in  modo  del  tutto
 congeniale agli interessi economici dell'Istituto, e alla valutazione
 datane dal governo legislatore.
    2.5. - A mostrare tutti gli effetti  di  tale  interpretazione  in
 ordine  alle situazioni di diritto preesistenti all'entrata in vigore
 del decreto-legge si sottolinea il fatto significativo che la entrata
 in applicazione della norma e' coincisa con  la  pubblicazione  dello
 stesso decreto nella Gazzetta Ufficiale.
    Tra  la  emanazione  della  norma  che  prevede  -  con  efficacia
 retroattiva - l'entrata in vigore di nuovi criteri che determinano il
 venir meno di  diritti,  sotto  il  profilo  giuridico-formale  della
 decadenza  del  diritto  di  azione  per l'avvenuto decorso del tempo
 stabilito per la proposizione della domanda, e  la  conoscenza  della
 norma  da  parte  dei  possibili  destinatari,  non  e' decorso alcun
 intervallo di tempo, cosicche' ai titolari dei diritti sostanziali  e
 dei  diritti  di  azione  non  e'  stata consentita la benche' minima
 possibilita' legale di farli valere in giudizio e di salvarne in tale
 modo l'efficacia.   In altri termini la  legge,  cosi'  interpretata,
 determina  la  soppressione  legale,  ipso iure, di diritti economici
 pensionistici e previdenziali,  adottata  sotto  l'aspetto  giuridico
 formale  di una ordinaria decadenza per decorso del tempo dal diritto
 di  azione;  soppressione  nei  cui  confronti  al  soggetto  non  e'
 possibile alcun rimedio ed alcuna attivita', che non sia quello della
 negazione  della  legittimita' costituzionale della normativa, per il
 richiamato effetto di retroattivita' nella applicazione delle norme.
    3.1. - Dalle constatazioni che si sono fatte sulle norme - secondo
 l'interpretazione testuale  datane  dall'I.N.P.S.,  che  risponde  al
 manifestato  intento  del  legislatore di introdurre norme di maggior
 rigore per l'esercizio in giudizio dei diritti previdenziali - deriva
 la considerazione della necessita' che la legittimita' costituzionale
 delle norme in applicazione sia sottoposta al  giudizio  della  Corte
 costituzionale,  in  quanto  la  questione  non appare manifestamente
 infondata.  3.2. - Non si pone in dubbio che appartenga alla potesta'
 del legislatore di dare una diversa, piu' restrittiva e piu' rigorosa
 disciplina rispetto ai termini gia' esistenti nel nostro ordinamento,
 per la proposizione in giudizio di domande riguardanti i diritti alla
 pensione o  alle  prestazioni  previdenziali,  dopo  i  provvedimenti
 amministrativi dell'I.N.P.S. sulle domande degli interessati.  3.3. -
 Appare  invece  contestabile  la  legittimita'  costituzionale  della
 normativa in applicazione, la quale,  pur  nel  prevalente  scopo  di
 disciplinare   diversamente   con   termini   piu'   restrittivi   la
 possibilita' di proporre domande giudiziali in ordine alle pensioni e
 alle  prestazioni  previdenziali,  non  ha   dettato   una   espressa
 disciplina  transitoria  sulle  possibilita'  di  azione  giudiziaria
 determinata da decisioni di rigetto precedenti all'entrata in  vigore
 delle  nuove  norme,  per  le  quali  non  fossero  decorsi i termini
 stabiliti dalla normativa previgente.
    La mancata emanazione  di  tale  disciplina  transitoria  consente
 all'I.N.P.S.   (e  al  diritto  vivente  rappresentato  dalla  prassi
 amministrativa e dalla difesa legale istituzionale dell'I.N.P.S.), di
 sostenere l'interpretazione delle  normative,  anche  alla  luce  del
 terzo  comma  dell'art.  4,  nel senso della applicazione con effetto
 retroattivo in tutte le fattispecie, con  la  sola  eccezione  per  i
 procedimenti  giudiziari  gia'  instaurati  ed  in corso alla data di
 emanazione e di entrata in vigore  delle  nuove  e  piu'  restrittive
 norme.
    3.4. - Il parametro normativo cui far riferimento per il dubbio di
 legittimita'  costituzionale  della  normativa citata e' innanzitutto
 l'art.   24,   primo   comma,   della   Costituzione,   che   afferma
 l'inderogabilita'  del diritto di tutti all'azione giudiziaria per la
 tutela dei diritti.
    La normativa in esame, al contrario, come si e' constatato,  rende
 materialmente  e  giuridicamente  impossibile  ad una vasta fascia di
 interessati di far  valere  in  giudizio  i  diritti  rivendicati  in
 materia  di  pensioni  e  di  prestazioni  temporanee  nei  confronti
 dell'I.N.P.S., per la coincidenza tra l'entrata in vigore delle nuove
 norme, la efficacia retroattiva e l'effetto della decadenza  rispetto
 a diritti di azione fino a quel momento esistenti ed esercitabili.
    Il  pretore  ritiene  superfluo richiamare la giurisprudenza della
 Corte costituzionale sul tema.
    Nel caso non si tratta di termini, piu' o meno brevi, piu' o  meno
 adeguati rispetto alle possibilita' concrete di esercitare il diritto
 di  azione  per  la tutela dei diritti.  Ci si trova di fronte ad una
 soppressione normativa del diritto di azione,  che  viene  introdotta
 con  l'immediata  applicazione dei nuovi criteri e dei nuovi termini,
 anche a situazioni in atto di termini  ancora  in  corso  secondo  le
 norme   vigenti.    Pertanto  l'aspetto  della  lesione  del  diritto
 costituzionale di azione appare macroscopicamente radicale,  tale  da
 richiedere  l'intervento  della  Corte  costituzionale.    3.5.  - La
 questione deve essere sollevata anche in relazione all'art. 3,  primo
 comma,  della Costituzione.   Infatti le constatazioni espresse sugli
 effetti  della  normativa  mettono  in  risalto   una   irragionevole
 disparita'  di  trattamento  legislativo  tra  i  titolari di diritti
 sostanziali in materia previdenziale e pensionistica  da  far  valere
 nei confronti dell'I.N.P.S.
    Poiche'  la  violazione  del  diritto  costituzionale di azione si
 ripercuote anche sul diritto sostanziale che si  sarebbe  potuto  far
 valere,  non  si ravvisa una apprezzabile ragionevolezza nella scelta
 del legislatore, che ha stabilito la salvezza solamente delle domande
 giudiziali gia' proposte alla data del decreto-legge, con  una  norma
 urgente  ed  immediata di chiusura, che potrebbe avere senso solo con
 riferimento  a  regole  di  natura  strettamente  processuali,  quale
 potrebbe  essere  considerata,  ad  es.,  quella  del  secondo  comma
 dell'art. 4.
    La decadenza dal diritto di azione non puo' essere  ritenuta  solo
 un  istituto  di  carattere  strettamente  o  meramente processuale o
 ordinario. La decadenza attiene a diritti sostanziali, a partire  dal
 diritto   costituzionale  all'azione;  pertanto  la  differenziazione
 meramente  temporanea  tra tali diritti, in base al fatto accidentale
 dell'aver il singolo promosso o meno un giudizio, non  appare  essere
 un  sufficiente  ed  adeguato criterio di distinzione, al fine di una
 disciplina normativa che giunge anche alla sostanziale  soppressioine
 normativa dello stesso diritto di azione.
    Anche  tale  profilo  di  lesione  di  principi costituzionali non
 appare infondato, con la conseguente sottoposizione  della  questione
 al giudizio della Corte costituzionale.