IL PRETORE A scioglimento della riserva ha emesso la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale nella causa r.g.l. n. 3259/92 promossa da Fabbri Marco (dott. proc. Paolo Naldi) contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale (I.N.P.S.) (avv. Giordano Coco), oggetto: indennita' di malattia. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. - Con ricorso depositato il 21 ottobre 1992 Marco Fabbri ha dedotto che l'I.N.P.S., con provvedimento del 15 marzo 1991, gli aveva comunicato la decadenza dall'indennita' di malattia per il periodo dal 31 luglio al 9 agosto 1990, incolpandolo di non aver consentito il 5 agosto 1990 la visita medica di controllo dello stato di malattia, senza averne giustificato motivo. Il ricorrente, ritenendo illegittimo tale provvedimento, lo aveva impugnato con ricorso del 28 maggio 1991 al comitato provinciale dell'I.N.P.S. di Bologna. Con provvedimento del 19 dicembre 1991, comunicato al ricorrente il 7 gennaio 1992, l'I.N.P.S. aveva respinto tale ricorso. Tutto questo ed altro premesso e dedotto Marco Fabbri ha presentato le seguenti conclusioni: "voglia l'ill.mo sig. pretore di Bologna, magistrato del lavoro, accertare e dichiarare il diritto di Fabbri Marco a percepire l'indennita' di malattia per il periodo dal 31 luglio 1990 al 9 agosto 1990 e conseguentemente condannare l'I.N.P.S. in persona del suo presidente e legale rappresentante a corrispondere a Fabbri Marco la indennita' di malattia per il periodo suddetto con inoltre interessi e rivalutazione monetaria". 2. - L'I.N.P.S. si e' opposto alla domanda. L'Istituto ha eccepito preliminarmente la decadenza del ricorrente dall'azione, ai sensi dell'art. 4, primo comma, parte seconda, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, cosi' come convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438. Tale disposizione stabilisce che nelle controversie in materia di prestazioni temporanee di cui all'art. 24 della legge n. 88/1989, l'azione e' sottoposta al termine di decadenza di un anno. Per la decorrenza del termine la disposizione richiama quanto prescritto nella prima parte dello stesso comma nella materia dei trattamenti pensionistici. Tale disposizione distingue tre ipotesi differenti di inizio di decorrenza del termine di decadenza che, secondo la difesa dell'I.N.P.S., devono essere interpretati nel seguente modo, in collegamento tra loro: 1) decorrenza dalla data di decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'I.N.P.S. Tale ipotesi presuppone che siano stati osservati i termini per la proposizione del ricorso amministrativo all'I.N.P.S., di novanta giorni dalla notizia del provvedimento: (art. 46, quinto comma, della legge n. 88/1989), e quello di novanta giorni dalla presentazione del ricorso (art. 46, sesto comma, della legge n. 88/1989) per la decisione del ricorso; 2) decorrenza dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della decisione sul ricorso amministrativo. Tale ipotesi presuppone il rispetto del solo termine di presentazione del ricorso; non anche di quello per la decisione da parte dell'I.N.P.S.; 3) decorrenza dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione. Tale ipotesi si applica nel caso di mancata presentazione del ricorso nei termini di legge. Il termine per proporre l'azione decorre dalla scadenza del termine complessivo di centottanta giorni assegnato per la procedura amministrativa. La difesa dell'I.N.P.S. ha notato come il caso della controversia rientri nella ipotesi di cui al punto sub 2. Infatti contro il provvedimento dell'I.N.P.S. emesso in data 15 marzo 1991 il ricorrente aveva proposto reclamo tempestivamente, il 28 maggio 1991. La decisione di rigetto era stata resa il 19 dicembre 1991 ed era stata comunicata al ricorrente il 7 gennaio 1992, percio' oltre il termine. Conseguentemente, secondo l'ordine sopra descritto, la data cui fare riferimento per l'inizio del termine di decadenza annuale per proporre la domanda giudiziale era quella del 26 agosto 1991, ossia quella della formazione del c.d. silenzio-rifiuto, trascorsi novanta giorni dalla presentazione del ricorso amministrativo. Ragionando in tale modo la difesa dell'I.N.P.S. ha eccepito la intervenuta decadenza dell'azione al momento della presentazione del ricorso giudiziario, essendo trascorso piu' di un anno dalla formazione del silenzio rifiuto. La difesa dell'I.N.P.S. ha sollevato anche eccezioni di merito, riguardanti l'obbligo di reperibilita' dell'assistito, ed ha dedotto la mancata osservanza di quelle misure, minime e necessarie, per consentire al medico di controllo di rintracciarlo per eseguire la visita. La difesa dell'istituto, tutto questo premesso, ha concluso per il rigetto del ricorso. 3. - All'udienza del 7 gennaio 1993 il ricorrente, col replicare all'eccezione di decadenza sollevata dall'I.N.P.S., ha affermato la non applicabilita' dell'art. 4 del d.l. n. 384/1992 alla fattispecie; ha precisato che comunque la domanda era stata proposta entro l'anno dalla decisione dell'I.N.P.S. sul ricorso amministrativo. MOTIVI DELLA DECISIONE Il pretore intende sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 4, primo e quarto comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, per le ragioni che vengono esposte di seguito. La rilevanza della questione. 1.1. - Come si rileva da quanto premesso la difesa dell'I.N.P.S., in questo processo, instaurato dopo l'emanazione e l'entrata in vigore del d.l. n. 438/1992, eccepisce la decadenza del ricorrente dall'azione giudiziaria promossa in base alle disposizioni di tale decreto legge, dandone per scontata la loro applicazione alle situazioni dei diritti e dei ricorsi amministrativi in corso nel periodo antecedente alla entrata in vigore della norma. Di fatto, come si ricava dalla narrativa del processo, l'I.N.P.S. eccepisce che, con l'entrata in vigore delle nuove norme, il ricorrente e' decaduto dall'azione per l'avvenuto decorso del termine previsto da tale normativa. 1.2. - In effetti l'art. 4 citato abroga espressamente e sostituisce il secondo e terzo comma del d.P.R. n. 639/1970. Con tali nuove norme il legislatore ha stabilito, tra le altre cose, di ridurre il precedente termine decennale (decorrente dalla data di comunicazione del provvedimento) per proporre domanda giurisdizionale nei confronti delle decisioni amministrative di reiezione di ricorsi in materia di trattamenti pensionistici (il termine e' ridotto a tre anni) e in materia di prestazioni temporanee (il termine e' ridotto ad un anno). Tale nuova normativa assume rilevanza generale. Per effetto di quanto esplicitamente disposto al terzo comma, vanno sottratti alla sua disciplina solo i procedimenti gia' instaurati alla data di entrata in vigore del decreto-legge e ancora in corso alla stessa data. L'art. 14 dello stesso decreto legge stabilisce quale giorno per la propria entrata in vigore quella della pubblicazione, avvenuta il 19 settembre 1992. 1.3. - L'interpretazione letterale di tale normativa proposta dalla difesa dell'I.N.P.S. appare formalmente rispondere al testo delle disposizioni; i risultati che ne conseguono sono coerenti con l'intendimento del legislatore di ridurre drasticamente i termini per la difesa giudiziale dei diritti in tali materie. In base a tale interpretazione il termine iniziale di decorrenza della decadenza va comunque posto all'interno di un periodo che, al massimo, puo' arrivare ai centottanta giorni dalla emanazione del provvedimento assunto come lesivo. Cio' si verifica peraltro soltanto nella ipotesi di mancata presentazione del ricorso entro il termine di legge. Nelle altre ipotesi il termine puo' comunque essere inferiore a centottanta giorni. Non e' invece possibile, secondo le nuove norme, individuare quale data iniziale da cui far decorrere il termine di decadenza quella della comunicazione della decisione tardiva di rigetto; comunicazione che, come spesso accade, viene fatta a distanza di tempo dall'effettivo inoltro del ricorso amministrativo. Una tale interpretazione, oltre ad essere in palese contrasto con le ragioni di fondo espresse dalla nuova legge, renderebbe vana la previsione da parte del legislatore nello stesso primo comma dell'art. 4 di ben tre ipotesi differenti della data di inizio del decorso del termine di decadenza. 1.4. - A questo punto, in coerenza con la interpretazione che la lettera e le ragioni della nuova normativa suggeriscono, si dovrebbe trarre la conseguenza per cui il diritto di adire l'autorita' giudiziaria del ricorrente sarebbe venuto meno. Infatti, poiche' nel caso in questione si e' avuta una decisione tardiva di rigetto, comunicata il 7 gennaio 1992, non e' con riferimento a questa che si individua la data iniziale di decorso del termine di decadenza. Invece si dovrebbe far rientrare la fattispecie in quella disciplinata nell'ipotesi sub 2 sopra menzionata, per cui il termine annuale dovrebbe ritenersi iniziato con la formazione del silenzio- rifiuto sul ricorso amministrativo; cioe' dalla data 26 agosto 1991. Conseguentemente il deposito del ricorso giudiziale avvenuto il 21 ottobre 1992 andrebbe riferito ad un diritto che sarebbe venuto meno. Cio' comporterebbe il conseguente accoglimento della eccezione ed il rigetto della domanda. Quanto si e' esposto fin qui e' sufficiente a dimostrare la rilevanza ai fini del giudizio della questione che si intende sollevare. La questione di legittimita' costituzionale. 2.1. - Dopo la emissione del d.l. n. 384/1992 questo giudice (ed i magistrati di questa sezione delle controversie del lavoro e della previdenza) hanno potuto constatare come la difesa dell'I.N.P.S. abbia sollevato l'eccezione di decadenza dall'azione ai sensi di quanto disposto dall'art. 4, in modi e per ragioni identiche a quelle svolte in questo processo, in tutte le controversie promosse nei confronti dell'Istituto per pensioni o per prestazioni temporanee, dopo l'entrata in vigore della norma citata. In base al dato di esperienza che si desume dal sistema e dalle sperimentate tecniche di difesa in giudizio dell'I.N.P.S. nelle controversie che presentino questioni di interpretazione di norme, si puo' ritenere che l'I.N.P.S., ente beneficiario della nuova normativa, intenda farne valere l'interpretazione e la applicazione nel senso piu' letterale e formale possibile, quali sostenute in questo processo e nei molti altri esaminati ed in corso. Poiche' la difesa dell'I.N.P.S. in questo processo rispecchia una realta' che si puo' pensare estesa in tutto il territorio nazionale, ed anche il comportamento di ordinaria amministrazione dell'ente nei confronti delle posizioni analoghe di altri cittadini, appare necessario che il giudice, cui e' sottoposta la interpretazione e l'applicazione della nuova norma, ne sollevi la questione di legittimita' costituzionale perche' l'intervento e la decisione della Corte costituzionale valgano ad eliminare, nei limiti del ragionevole e del possibile, oggi, una situazione di obiettiva incertezza del diritto vigente, in un numero molto esteso di casi, nel contesto di una conflittualita' giudiziale sul tema, che si annuncia tanto abbondante quanto sterile di risultati, ove si escluda quello del ritardo nel soddisfacimento dei diritti previdenziali e quello dell'induzione cosi' cagionata dall'Istituto nei cittadini a non promuovere giudizi che sembrano destinati ad essere coltivati dall'I.N.P.S. in tutti i gradi. 2.2. - E' gia' stato riportato il contenuto del primo comma dell'art. 4 del d.l. n. 384/1992, che riduce ad un anno il termine per la proposizione dell'azione giudiziaria in materia di prestazioni temporanee, "a pena di decadenza". L'art. 4, terzo comma, dello stesso testo cosi' prevede: "Le disposizioni di cui al primo e secondo comma, non si applicano ai procedimenti instaurati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto ancora in corso alla medesima data". La difesa dell'I.N.P.S. interpreta tale disposizione con il criterio della argomentazione a contrario; ritiene cioe' che le nuove disposizioni, che abbreviano considerevolmente rispetto al passato il termine di decadenza per la proposizione di domande giudiziali, e che indicano per la decorrenza di tali termini nuovi criteri e punti di riferimento, disciplinino tutta la materia della decadenza delle azioni giudiziarie, con la sola esclusione per i giudizi gia' promossi. 2.3. - La difesa dell'I.N.P.S. non si e' posta il problema, che balza evidente agli occhi nel caso in esame e che mette in risalto la grave incongruenza sia della normativa come della interpretazione datane rispetto a norme e a principi costituzionali: il fatto, cioe', che a stare al testo del decreto e alla interpretazione letterale e formale il diritto del ricorrente alla indennita' dovrebbe considerarsi non piu' agibile dal giorno stesso della emanazione del d.l. n. 384/1992 e dalla sua pubblicazione per la decorrenza del termine previsto per il suo esercizio. Il ricorrente, prima del decreto legge, aveva tempo in base alle norme vigenti fino al 7 gennaio 2002 per adire l'autorita' giudiziaria; cioe' fino a dieci anni dalla comunicazione del provvedimento di rigetto del ricorso amministrativo presentato. Con l'entrata in vigore del decreto-legge, secondo la interpretazione e la applicazione dell'I.N.P.S., egli ha perduto ogni possibilita' di far valere in giudizio il diritto all'indennita' di malattia, per il solo fatto della nuova regolamentazione dei termini previsti a pena di decadenza per la proposizione delle domande giudiziali. Le nuove norme non consentono al ricorrente di fare alcunche' per il mantenimento e la tutela del diritto all'indennita' di malattia, negata dall'I.N.P.S. Con l'entrata in vigore delle norme il ricorrente viene considerato decaduto, automaticamente e definitivamente, dalla possibilita' di far valere in giudizio tale diritto, come conseguenza della interpretazione della norma. Infatti il decreto-legge e la legge di conversione non hanno previsto alcuna disciplina per i diritti - e le domande giudiziali relative - che avrebbero potuto essere legittimamente fatti valere in giudizio nell'ambio dei termini di decadenza stabiliti dalla legge vigente applicabile fino alla sua sostituzione. 2.4. - La mancanza di ogni disciplina transitoria che regoli il passaggio dai vecchi ai nuovi, piu' restrittivi criteri di decorrenza del termine per poter far valere in giudizio i propri diritti, produce questi effetti. Tale conseguenza non potrebbe essere eliminata, nella concreta realta' dei rapporti giuridici regolati dalle norme (se non, in ipotesi, al termine di una estenuante e prolungata conflittualita' giudiziaria, prevedibile secondo il sistema di difesa legale dell'I.N.P.S., in migliaia e migliaia di casi) nemmeno in base alla pur ragionevole obiezione che si puo' muovere all'interpretazione data, in base alla affermazione ed alla regola dell'art. 11 delle "Disposizioni sulla legge in generale" del c.c. per cui "la legge non dispone che per l'avvenire: essa non puo' avere effetto retroattivo". Per quanto possa sostenersi che tale criterio legale di interpretazione delle leggi potrebbe essere adottato anche nel caso delle norme in esame (a maggior ragione ove si consideri che la decadenza dal diritto per la mancata promozione della domanda giudiziale entro un termine predeterminato e' istituto che regola i diritti ed il comportamento dei soggetti) e' facile prevedere la rep- lica difensiva dell'I.N.P.S., imperniata sul dato formale che il precetto dell'art. 11 delle "Disposizioni sulla legge" e' portato da una legge ordinaria, e, di per se', non puo' avere efficacia superiore rispetto ai precetti di altre norme ordinarie che diversamente dispongano. Pertanto l'efficacia come regola di interpretazione della norma potrebbe riguardare solo i casi in cui sussistano dubbi sulla interpretazione da dare alla efficacia delle norme della legge nel tempo. E' facile constatare (o prevedere) che l'I.N.P.S., come del resto il legislatore "storico", non si pongano affatto il dubbio che i precetti del d.l. n. 438/1992 sulla decadenza dal diritto all'azione giudiziaria in materia di pensione, possano essere interpretati diversamente rispetto alla soluzione fornita in questo giudizio dal servizio legale dell'I.N.P.S., in modo del tutto congeniale agli interessi economici dell'Istituto, e alla valutazione datane dal governo legislatore. 2.5. - A mostrare tutti gli effetti di tale interpretazione in ordine alle situazioni di diritto preesistenti all'entrata in vigore del decreto-legge si sottolinea il fatto significativo che la entrata in applicazione della norma e' coincisa con la pubblicazione dello stesso decreto nella Gazzetta Ufficiale. Tra la emanazione della norma che prevede - con efficacia retroattiva - l'entrata in vigore di nuovi criteri che determinano il venir meno di diritti, sotto il profilo giuridico-formale della decadenza del diritto di azione per l'avvenuto decorso del tempo stabilito per la proposizione della domanda, e la conoscenza della norma da parte dei possibili destinatari, non e' decorso alcun intervallo di tempo, cosicche' ai titolari dei diritti sostanziali e dei diritti di azione non e' stata consentita la benche' minima possibilita' legale di farli valere in giudizio e di salvarne in tale modo l'efficacia. In altri termini la legge, cosi' interpretata, determina la soppressione legale, ipso iure, di diritti economici pensionistici e previdenziali, adottata sotto l'aspetto giuridico formale di una ordinaria decadenza per decorso del tempo dal diritto di azione; soppressione nei cui confronti al soggetto non e' possibile alcun rimedio ed alcuna attivita', che non sia quello della negazione della legittimita' costituzionale della normativa, per il richiamato effetto di retroattivita' nella applicazione delle norme. 3.1. - Dalle constatazioni che si sono fatte sulle norme - secondo l'interpretazione testuale datane dall'I.N.P.S., che risponde al manifestato intento del legislatore di introdurre norme di maggior rigore per l'esercizio in giudizio dei diritti previdenziali - deriva la considerazione della necessita' che la legittimita' costituzionale delle norme in applicazione sia sottoposta al giudizio della Corte costituzionale, in quanto la questione non appare manifestamente infondata. 3.2. - Non si pone in dubbio che appartenga alla potesta' del legislatore di dare una diversa, piu' restrittiva e piu' rigorosa disciplina rispetto ai termini gia' esistenti nel nostro ordinamento, per la proposizione in giudizio di domande riguardanti i diritti alla pensione o alle prestazioni previdenziali, dopo i provvedimenti amministrativi dell'I.N.P.S. sulle domande degli interessati. 3.3. - Appare invece contestabile la legittimita' costituzionale della normativa in applicazione, la quale, pur nel prevalente scopo di disciplinare diversamente con termini piu' restrittivi la possibilita' di proporre domande giudiziali in ordine alle pensioni e alle prestazioni previdenziali, non ha dettato una espressa disciplina transitoria sulle possibilita' di azione giudiziaria determinata da decisioni di rigetto precedenti all'entrata in vigore delle nuove norme, per le quali non fossero decorsi i termini stabiliti dalla normativa previgente. La mancata emanazione di tale disciplina transitoria consente all'I.N.P.S. (e al diritto vivente rappresentato dalla prassi amministrativa e dalla difesa legale istituzionale dell'I.N.P.S.), di sostenere l'interpretazione delle normative, anche alla luce del terzo comma dell'art. 4, nel senso della applicazione con effetto retroattivo in tutte le fattispecie, con la sola eccezione per i procedimenti giudiziari gia' instaurati ed in corso alla data di emanazione e di entrata in vigore delle nuove e piu' restrittive norme. 3.4. - Il parametro normativo cui far riferimento per il dubbio di legittimita' costituzionale della normativa citata e' innanzitutto l'art. 24, primo comma, della Costituzione, che afferma l'inderogabilita' del diritto di tutti all'azione giudiziaria per la tutela dei diritti. La normativa in esame, al contrario, come si e' constatato, rende materialmente e giuridicamente impossibile ad una vasta fascia di interessati di far valere in giudizio i diritti rivendicati in materia di pensioni e di prestazioni temporanee nei confronti dell'I.N.P.S., per la coincidenza tra l'entrata in vigore delle nuove norme, la efficacia retroattiva e l'effetto della decadenza rispetto a diritti di azione fino a quel momento esistenti ed esercitabili. Il pretore ritiene superfluo richiamare la giurisprudenza della Corte costituzionale sul tema. Nel caso non si tratta di termini, piu' o meno brevi, piu' o meno adeguati rispetto alle possibilita' concrete di esercitare il diritto di azione per la tutela dei diritti. Ci si trova di fronte ad una soppressione normativa del diritto di azione, che viene introdotta con l'immediata applicazione dei nuovi criteri e dei nuovi termini, anche a situazioni in atto di termini ancora in corso secondo le norme vigenti. Pertanto l'aspetto della lesione del diritto costituzionale di azione appare macroscopicamente radicale, tale da richiedere l'intervento della Corte costituzionale. 3.5. - La questione deve essere sollevata anche in relazione all'art. 3, primo comma, della Costituzione. Infatti le constatazioni espresse sugli effetti della normativa mettono in risalto una irragionevole disparita' di trattamento legislativo tra i titolari di diritti sostanziali in materia previdenziale e pensionistica da far valere nei confronti dell'I.N.P.S. Poiche' la violazione del diritto costituzionale di azione si ripercuote anche sul diritto sostanziale che si sarebbe potuto far valere, non si ravvisa una apprezzabile ragionevolezza nella scelta del legislatore, che ha stabilito la salvezza solamente delle domande giudiziali gia' proposte alla data del decreto-legge, con una norma urgente ed immediata di chiusura, che potrebbe avere senso solo con riferimento a regole di natura strettamente processuali, quale potrebbe essere considerata, ad es., quella del secondo comma dell'art. 4. La decadenza dal diritto di azione non puo' essere ritenuta solo un istituto di carattere strettamente o meramente processuale o ordinario. La decadenza attiene a diritti sostanziali, a partire dal diritto costituzionale all'azione; pertanto la differenziazione meramente temporanea tra tali diritti, in base al fatto accidentale dell'aver il singolo promosso o meno un giudizio, non appare essere un sufficiente ed adeguato criterio di distinzione, al fine di una disciplina normativa che giunge anche alla sostanziale soppressioine normativa dello stesso diritto di azione. Anche tale profilo di lesione di principi costituzionali non appare infondato, con la conseguente sottoposizione della questione al giudizio della Corte costituzionale.