IL PRETORE Sciogliendo la riserva, rileva il diritto che a seguito della emanazione della legge n. 412/1991, nella prospettiva di una tendenziale "rivoluzione copernichiana" del servizio sanitario nazionale, si e' introdotto (art. 4, n. 7) il nuovo principio dell'"esclusivita'" di ogni rapporto di lavoro con detto servizio e della sua incompatibilita' con ogni altro rapporto di lavoro dipendente e di natura convenzionale, nonche' con l'esercizio e la titolarita' o compartecipazione delle quote di imprese in potenziale conflitto di interesse con il medesimo servizio. Non interessano a questo pretore le considerazioni di opportunita' ma esclusivamente quelle di natura giuridica: i ricorrenti invocano la violazione di una serie di precetti costituzionali (art. 97 e 3) che si sostanziano nella "irragionevolezza" della recente normativa soprattutto rispetto ai "diritti quesiti", ed il dubbio prospettato e' senza meno fondato. In primo luogo il legislatore ha "separato" la posizione del personale medico con rapporto di lavoro a tempo definito (per il quale l'unicita' decorre dal 1 gennaio 1993) dal personale convenzionato e "pluriconvenzionato" (la cui sorte e' rimessa ai futuri accordi di esecuzione dell'art. 48 della legge n. 833/1978). Non appare francamente giustificata questa scelta ne' tantomeno ragionevole (pur condivisa dal Ministero della sanita' con la circolare 24 novembre 1992): e' infatti prevedibile che i tempi di elaborazione dei suddetti accordi consentano a parecchi operatori sanitari di sottrarsi al termine e alle incompatibilita' della normativa de quo e, cio' che e' piu' grave, in dipendenza degli "umori" della relativa gestione contrattuale e sindacale (con i risvolti amministrativi) e in danno di chi si trova "immediatamente" azzerato. Per quanto concerne i ricorrenti (con doppio rapporto di dipendenza e convenzione) la stessa circolare 24 novembre 1992 ha previsto la non applicazione "immediata" dell'art. 4, n. 7, precisando che la sua efficacia non si estende agli operatori provenienti da altre strutture sanitarie pubbliche (ad esempio gli ex medici condotti e i medici scolastici) dovendo agli stessi applicarsi il regime "ad esaurimento" di cui alla legge n. 58/1991. Francamente anche questa differenziazione appare priva di ragionevole giustificazione e lesiva del principio di uguaglianza alla luce anche delle innovazioni portate dalla legge n. 833/1978 che aveva dato luogo, com'e' noto, alla nascita di uno status giuridico "unico" sia per i sanitari "di provenienza" che per quelli di "nuova nomina". Sotto il diverso profilo dell'art. 97 della Costituzione non puo' qui non rilevarsi come, in sede di legge finanziaria, si sia addivenuti a questo nuovo status degli operatori sanitari senza il previo parere del dipartimento della funzione pubblica (art. 27 della legge 29 marzo 1983, n. 92). Ancora una violazione dell'art. 3 della Costituzione e' ipotizzabile poi rispetto alla posizione del sanitario con doppio rapporto "al di fuori della U.S.L.". Ed invero le lodevoli ragioni di limitazione della spesa pubblica dovrebbero valere anche (per fare un esempio) per i medici fiscalisti o per quelli dell'amministrazione militare). Beninteso vi e' l'opzione: ma "azzerando" il rapporto di dipendenza, il sanitario (e' il nostro caso) verrebbe a perdere il minimo della pensione, non avendolo ancora maturato, o si troverebbe nell'altrettanto poco edificante prospettiva di dovere fare i conti con la recente normativa finanziaria che condiziona detto godimento, per il dipendente pubblico che si licenzia, al sessantacinquesimo anno di eta'. Non solo ma la legge n. 421/1992 prevede che nessun trattamento pensionistico possa essere erogato al medico che si pensiona e che chiede il collocamento a riposo quale forma "opzionale" prima del 1994. Senza tenere conto poi della ulteriore "nefasta" prospettiva di un azzeramento della "convenzione" nell'auspicato (dagli interessi politico-ideologici ispiratori della legge n. 412) passaggio al "libero mercato" nel settore sanitario. Uscire dai seri dubbi di incostituzionalita' esposti con un generico richiamo alla giurisprudenza della Corte costituzionale che ritiene legittima ogni differenziazione ove i dati relativi siano "pertinenti ai fini dell'esigenza che la legge si propone di soddisfare" (Corte costituzionale n. 61/1965) costituirebbe sono una ipotesi di "negata giustizia". Queste esigenze hanno condotto, in sede legislativa alla proposta di un rinvio al 31 dicembre 1993 dell'applicazione delle norme sulla cosiddetta "incompatibilita' medica", presentata alla commissione sanita' del Senato, sotto forma di emendamento nel disegno di legge di conversione del decreto sulla proroga degli amministratori straordinari delle u.s.l. riproposto il 30 dicembre 1992 dal Governo. Secondo questa proposta il medico che ha rinunciato al rapporto di lavoro dipendente e che ha maturato il diritto alla pensione di anzianita' potrebbe appunto rimanere in servizio per un altro anno al fine di ovviare al blocco delle pensioni di anzianita'. Questa proposta, e l'altra che prevede poi una deroga al blocco delle pensioni di anzianita', sono indice evidente della consapevolezza che la maggior parte delle forze politiche ha dei seri dubbi di legittimita' costituzionale della norma tanto piu' che, il decreto delegato e' stato pubblicato il 30 dicembre mentre l'opzione andava esercitata entro il 31, con la conseguenza che i medici hanno avuto solo 24 ore di tempo per esercitare la scelta|