IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  sentenza-ordinanza  sul  ricorso n.
 244/1992 proposto da Carmine de Giacomo, rappresentato e  difeso  dal
 dott. proc. P. Montobbio, ed elettivamente domiciliato presso di lui,
 in  Genova,  via  Roma,  5/2,  ricorrente,  contro il Ministero delle
 finanze, in persona del Ministro p.t., resistente, per l'annullamento
 del provvedimento emesso il 3 dicembre 1991, n. 4/7076 - div. IV e di
 ogni altro eventuale atto connesso, presupposto, conseguenziale;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Udita alla pubblica udienza del giorno 8 gennaio 1993 la relazione
 del  primo  referendario  Alessandro Botto e udito altresi' l'avv. P.
 Montobbio per il ricorrente;
    Ritenuto e considerato quanto segue;
                         ESPOSIZIONE DEL FATTO
    Con  ricorso  notificato  il  7  febbraio  1992 Carmine de Giacomo
 impugnava, chiedendone l'annullamento, il provvedimento con  cui  era
 stata  respinta  la  sua  richiesta  tesa ad ottenere l'equiparazione
 stipendiale con colleghi di pari o minore anzianita' nella  qualifica
 di  primo  dirigente  ed instava per la condanna dell'amministrazione
 resistente al pagamento delle  somme  dovute  a  tale  titolo,  oltre
 rivalutazione e interessi.
    Affermava  il  ricorrente,  primo  dirigente  dell'amministrazione
 periferica  delle  imposte  dirette  (Ministero  delle  finanze),  in
 servizio  presso  l'ispettorato compartimentale delle imposte dirette
 della regione Liguria, di aver constatato che alcuni colleghi, aventi
 minore anzianita' della propria nel ruolo  della  carriera  di  primo
 dirigente, percepivano uno stipendio superiore al suo.
    Pertanto,  egli  aveva inoltrato richiesta alla direzione generale
 delle imposte dirette al fine di ottenere l'allineamento del  proprio
 stipendio  a  quello  di  detti  colleghi, ai sensi dell'art. 4 della
 legge n. 869/1982.
    L'amministrazione finanziaria, peraltro, con l'atto  impugnato  in
 questa  sede,  aveva respinto la richiesta, ritenendo ostativa a cio'
 la maggiore anzianita' nella carriera direttiva dei colleghi presi  a
 raffronto.
    Secondo   il   ricorrente   cio'   sarebbe   illegittimo,  poiche'
 l'amministrazione avrebbe  dovuto  considerare,  ai  fini  in  esame,
 l'anzianita'  nella  carriera  dirigenziale  e non anche il pregresso
 periodo di servizio nella carriera direttiva, trattandosi di  termini
 di raffronto non comparabili tra di loro.
    Il   meccanismo   dell'allineamento  stipendiale,  definito  dalla
 giurisprudenza  rimedio  di  carattere  generale,  dovrebbe   infatti
 servire ad evitare ingiusti scavalcamenti stipendiali da parte di chi
 si   trova   in  posizione  deteriore  di  ruolo,  in  quanto  giunto
 successivamente alla qualifica dirigenziale.
    La motivazione adottata nel caso di specie dalla p.a.  per  negare
 il  richiesto  beneficio  sarebbe comunque indeterminata, perplessa e
 quindi illegittima.
    All'odierna udienza, sentito il difensore del ricorrente, la causa
 veniva trattenuta in decisione dal Collegio.
                        MOTIVI DELLA DECISIONE
    Rileva  in  via  preliminare   il   collegio   come   il   ricorso
 introduttivo,    nell'atto    originale,    risulti   carente   della
 sottoscrizione del difensore.
    A tale proposito osserva peraltro il  collegio  come  possa  farsi
 adesione  a  quella  interpretazione  meno rigoristica, fornita dalla
 giurisprudenza amministrativa e della corte  di  cassazione,  secondo
 cui  la  sottoscrizione  del procuratore, apposta per autentica della
 procura rilasciata a margine dell'atto, vale come  sottoscrizione  ed
 assunzione  di  paternita'  dell'atto  stesso  (cfr. Cass. 3370/1979;
 746/1978; 3279/1977;  2861/1074;  2852/1974;  t.a.r.  Lazio,  Latina,
 89/1988; t.a.r. Emilia Romagna 8/1980 ecc.).
      Poiche'  nel  caso  di  specie  il  dott.  proc. Paolo Montobbio
 risulta aver  autenticato  la  firma  del  ricorrente  apposta  sulla
 procura  ad  litem  rilasciata a margine del ricorso introduttivo, ne
 discende, in applicazione del suesposto  principio,  che  irrilevante
 deve  ritenersi  la  mancata sottoscrizione del ricorso in calce allo
 stesso.
    Nessuna  invalidita'  puo'  altresi'  individuarsi   nell'anomalia
 insita  nella  notifica del ricorso introduttivo, effettuata peraltro
 correttamente   presso   l'Avvocatura   distrettuale   dello   Stato,
 risultando  la  relativa relazione dell'ufficiale giudiziario apposta
 non in calce al solo ricorso, ma alla copia  dei  documenti  allegati
 allo  stesso,  in  quanto  con  cio'  si  e'  soltanto  provveduto ad
 inoltrare direttamente all'avvocatura  erariale,  oltre  al  ricorso,
 anche la relativa documentazione.
    Quanto  al  merito,  occorre rilevare come nelle more del giudizio
 sia intervenuta una norma ostativa  all'accoglimento  del  ricorso  e
 precisamente l'art. 7, settimo comma, del d.l. 19 settembre 1992, n.
 384,  convertito  in  legge 14 novembre 1992, n. 438, norma che vieta
 l'emanazione di atti di allineamento stipendiale, ancorche'  riferiti
 a  periodi  anteriori  all'11  luglio  1992.  (Tale  norma,  infatti,
 interpreta l'art. 2, quarto comma, del d.l. 11 luglio 1992, n.  333,
 convertito con modifiche nella legge 8 agosto 1992, n. 359, che aveva
 abolito  l'istituto  dell'allineamento stipendiale mediante esplicita
 soppressione delle norme che lo prevedevano, nel  senso  di  ritenere
 non   piu'  adottabili  provvedimenti  di  allineamento  stipendiale,
 ancorche' aventi  effetti  anteriori  all'11  luglio  1992,  data  di
 entrata in vigore del suddetto decreto-legge).
    Orbene,  ritiene  il  collegio che tale norma risulti in conflitto
 con diverse  disposizioni  contenute  nella  Carta  costituzionale  e
 pertanto  si  configuri come non manifestamente infondata l'eccezione
 di legittimita' costituzionale di tale norma,  che  con  la  presente
 decisione si rimette al giudizio della Corte costituzionale.
    Prima  di  affrontare tale tematica, peraltro, osserva il collegio
 come la questione di legittimita' costituzionale si palesi  rilevante
 nella fattispecie oggetto del presente giudizio.
    Infatti,  non  puo' condividersi l'assunto dell'amministrazione in
 forza del quale e' stato negato il beneficio economico richiesto  dal
 ricorrente,  secondo  cui  cioe'  la  maggiore anzianita' di servizio
 nella carriera direttiva, di cui sono in possesso i colleghi  il  cui
 stipendio e' stato preso a raffronto dal De Giacomo, sarebbe ostativa
 all'operativita'  del  meccanismo  dell'allinemaneto stipendiale, dal
 momento  che  la  carriera  dirigenziale,  al  contrario  di   quanto
 sostenuto   di   recente   dalla   giurisprudenza   contabile,   deve
 configurarsi  come  autonoma  rispetto  a  quella  direttiva  (contra
 C.d.C., 26 aprile 1991, n. 44).
    Cio'  reso  tra  l'altro  evidente  dal  fatto  che l'accesso alla
 dirigenza non e' riservato esclusivamente al  personale  appartenente
 alla   carriera   direttiva   e   cio'  rende  palesemente  infondata
 l'argomentazione adottata dal Ministero delle finanze per  respingere
 la  richiesta  del  ricorrente,  poiche'  la  presenza  nel ruolo dei
 dirigenti di dipendenti provenienti  dalla  carriera  direttiva,  pur
 essendo   situazione   frequente,   non  si  configura  quale  regola
 necessitata (si veda, a tale proposito, il disposto di cui all'art. 8
 della legge 10 luglio 1984, n. 301,  che  disciplina  l'accesso  alla
 dirigenza mediante pubblico concorso cui possono partecipare, tra gli
 altri,  professori e ricercatori universitari, liberi professionisti,
 dirigenti di imprese private).
    Evidente  e'  pertanto l'impossibilita' di utilizzare la pregressa
 anzianita' di servizio nella carriera direttiva per impedire nel caso
 di   specie   l'applicazione   del    meccanismo    dell'allineamento
 stipendiale,   delineato   dall'art.   4   della  legge  n.  869/1982
 (conversione in legge del d.l. 27 settembre 1982, n. 681) e definito
 dalla  giurisprudenza  amministrativa  come  rimedio   di   carattere
 generale  per  ovviare  ad  indebiti  scavalcamenti  di stipendio tra
 dipendenti appartenenti allo stesso ruolo.
    D'altronde, essendo  proprio  questa  la  ratio  dell'istituto  in
 esame,  non  puo'  ritenersi  che  l'anzianita' di servizio rilevante
 possa   essere   anche   quella   maturata   in   servizi   pregressi
 all'immissione  nel  ruolo  all'interno del quale si e' verificato lo
 scavalcamento,  retributivo  da  parte  di   chi   occupi   posizione
 deteriore.
    Ne'  puo' ritenersi ostativo al riconoscimento di quanto richiesto
 dal ricorrente il disposto di cui all'art. 1  della  legge  8  agosto
 1991,  n.  265,  non  trattandosi  di  valutare  elementi retributivi
 derivanti da posizioni personali di stato o spettanti per effetto  di
 incarichi  o  funzioni  non aventi carattere di generalita', operando
 l'invocato  allineamento  stipendiale  solo  sul  piano  della   mera
 anzianita' di servizio nel ruolo della dirigenza.
    Ostativo   al  predetto  accoglimento  deve  invece  ritenersi  il
 disposto di cui all'art. 7, settimo comma, della  legge  14  novembre
 1992,  n.  438  (di  conversione del d.l. 19 settembre 1992, n. 384)
 che, come sopra esposto, impedisce  l'adozione  di  provvedimenti  di
 allineamento stipendiale, ancorche' riferiti a periodi pregressi.
    Di conseguenza rilevante si configura la questione di legittimita'
 costituzionale  della  predetta  norma, poiche' in caso di espunzione
 dall'ordinamento giuridico della stessa, dovrebbe  riconoscersi  come
 fondata la domanda proposta dal ricorrente.
    Non   manifestamente   infondata   deve  altresi'  valutarsi  tale
 questione di legittimita' costituzionale, poiche' l'impossibilita' di
 adottare  ulteriori  provvedimenti   di   allineamento   stipendiale,
 ancorche'  riferiti  a  diritti  maturati  in  periodi  pregressi, si
 configura,   mediante   l'utilizzo    improprio    dello    strumento
 interpretativo,  quale  norma  in  effetti  retroattiva, che viene ad
 incidere negativamente su posizioni giuridiche gia' perfezionatesi ed
 aventi la consistenza di diritti soggettivi perfetti.
    Che si tratti di norma effettivamente non interpretativa  e'  reso
 evidente  dal  fatto  che  a  nessun dubbio interpretativo dava adito
 l'art. 2 del d.l. n. 333/1992, norma che si limitava  a  sopprimere,
 dalla   sua   entrata   in   vigore,   l'istituto   dell'allineamento
 stipendiale,  mentre,  come  correttamente  evidenziato  dalla  Corte
 costituzionale,  soltanto  una effettiva oscurita' e ambiguita' della
 legge, tale  da  creare  contrasti  dottrinali  e  giurisprudenziali,
 potrebbe  giustificare una legge interpretativa (Corte costituzionale
 n.  187/1981)  e  comunque,  anche  in  tali  casi  l'interpretazione
 autentica   dovrebbe   valere  per  il  futuro,  onde  non  incidere,
 vanificandole, su eventuali pronunce  giurisdizionali,  di  contrario
 avviso, nel frattempo divenute definitive.
    L'aver comunque previsto nella norma in esame, in assenza di detti
 presupposti,  la  non  adottabilita'  di  ulteriori  provvedimenti di
 allineamento, ancorche' riferiti  a  periodi  anteriori  l'11  luglio
 1992,  non  puo'  dunque  non  configurarsi quale introduzione di una
 nuova  norma,  di  carattere  retroattivo, soppressiva delle relative
 situazioni soggettive gia' maturate.
    Orbene, il  principio  della  irretroattivita'  della  legge  (non
 penale),   pur   non  essendo  espressamente  sancito  da  una  norma
 costituzionale,  e'  senza  dubbio  principio  cardine   del   nostro
 ordinamento  giuridico,  definito  dalla  stessa Corte costituzionale
 antica   conquista   della   nostra   civilta'    giuridica    (Corte
 costituzionale nn. 118/1957; 133/1975 e 91/1982).
    Tale   principio  soddisfa  infatti  numerosi  principi  di  rango
 costituzionale, quali la ragionevolezza, la logicita',  la  giustizia
 manifesta, l'equo contemperamento ecc.
    Cio'  trova  puntuale  riscontro  nel  caso di specie, ove infatti
 appare evidente che l'art. 7, settimo comma, della legge n.  384/1992
 comporta  una ingiustificata disparita' di trattamento tra dipendenti
 pubblici in analoghe situazioni,  in  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione, solo che si pensi al differente trattamento riservato a
 chi  abbia gia' ottenuto un provvedimento di allineamento stipendiale
 prima dell'entrata in vigore della norma in  esame  rispetto  a  chi,
 invece,  magari  solo  a  causa  di ritardi burocratici, ancorche' in
 relazione allo stesso periodo di  maturazione  del  diritto,  si  sia
 visto negare il beneficio in questione.
    Una   tale   situazione   di   sperequazione   potrebbe   altresi'
 riverberarsi     negativamente      sulla      stessa      efficienza
 dell'amministrazione  poiche'  il  pubblico  dipendente non allineato
 vedrebbe conservato un maggiore trattamento  economico  a  favore  di
 colleghi  casualmente gia' raggiunti da provvedimenti di allineamento
 e cio' non potrebbe che influire  negativamente  sul  rendimento  dei
 primi,  con  conseguente  violazione del principio di buon andamento,
 oltre che di imparzialita', sancito dall'art. 97 della Costituzione.
    In altre parole, il legittimo affidamento  riposto  dal  cittadino
 nell'applicazione   di  una  determinata  disposizione  normativa  in
 relazione  a  diritti  soggettivi  gia'  maturati  non  puo'   venire
 frustrato, in assenza di particolari situazioni di eccezionalita' che
 giustifichino    una    normativa    straordinaria,   dall'intervento
 retroattivo del legislatore, che venga ad incidere  (irrazionalmente)
 su situazioni omogenee.
    Poiche'  nel  caso  che  ci  occupa non si ravvisa, e comunque non
 risulta   normativamente   evidenziata,    alcuna    situazione    di
 straordinarieta'   che  possa  giustificare  tale  comportamento  del
 legislatore, ne consegue che, ad avviso del  collegio,  si  configura
 come  non  manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 7, settimo comma, della  legge  14  novembre
 1992, n. 438, di conversione del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, per
 violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.