IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunziato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n. 859/1992
 proposto  da  Massimo  Fabiani,  Carlo  Citterio,  Mariano   Alviggi,
 Alessandro Severi, Michele Bianchi, Carmelo Sigillo, Isabella Cesari,
 Valeria Ardito, Marzio Bruno Guidorizzi, Maria Grazia Omboni, Valeria
 Sanzari,  Elisabetta  Meyer,  Maria  Ignazia  D'Arpa,  Paola Cameran,
 Marcello  Colasanto,  Pasquale  D'Ascola,  Francesco  Lamagna,  Laura
 Donati,  Luciano  Mario  Butti, Eugenio Polcari, Giuseppe Caracciolo,
 Mauro Bellano, Bruno Castagnoli, rappresentati e difesi dagli  avv.ti
 Cesare  Janna  e Franco Zambelli, con elezione di domicilio presso lo
 studio del secondo in Venezia Mestre,  via  Ospedale  9/12,  come  da
 mandato  in  calce  al  ricorso;  contro  il  Ministero  di  grazia e
 giustizia, in  persona  del  Ministro  pro-tempore,  rappresentato  e
 difeso   dall'avvocatura   distrettuale   dello   Stato  di  Venezia,
 domiciliataria  per  legge,  per  l'accertamento  del   diritto   dei
 ricorrenti,   magistrati  dell'ordine  giudiziario,  all'allineamento
 stipendiale sulla posizione retributiva del collega Antonio Francesco
 Esposito ex art. 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982, n. 681,
 convertito nella legge 20 novembre 1982, n. 869;
    Visto il ricorso, notificato il 19 marzo 1992 e depositato  presso
 la segreteria il 24 marzo 1992 con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio della amministrazione
 intimata;
    Viste le memorie prodotte;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Uditi alla  pubblica  udienza  dell'11  marzo  1993  (relatore  il
 consigliere Lorenzo Stevanato) l'avv. Janna per i ricorrenti e l'avv.
 dello Stato Muscarello per l'amministrazione statale resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    I   ricorrenti,   magistrati   dell'ordine  giudiziario,  invocano
 l'applicazione  del   c.d.   "allineamento   stipendiale",   istituto
 introdotto  dall'art. 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982, n.
 681, convertito in legge 20 novembre 1982,  n.  869,  successivamente
 confermato per il personale di magistratura dall'art. 1 della legge 8
 agosto 1991, n. 265.
    Deducono  a  sostegno del ricorso che l'istituto dell'allineamento
 stipendiale, rimedio di carattere generale del pubblico impiego volto
 ad evitare  situazioni  di  squilibrio  retributivo,  e'  conforme  a
 principi  costituzionali  (artt.  3, 36, 97 e 107 della Costituzione)
 secondo cui a  parita'  di  funzione  deve  corrispondere  lo  stesso
 trattamento economico.
    L'applicabilita'  di  tale  istituto  ai  magistrati  ordinari  e'
 espressamente riconosciuta dal primo comma dell'art. 1 della legge  8
 agosto  1991,  n. 265, col limite che sono valutabili soltanto i piu'
 favorevoli   trattamenti   economici   conseguiti   nelle    carriere
 dirigenziali   dell'amministrazione  dello  Stato  o  equiparate.  Le
 ulteriori limitazioni a tale principio recate dai commi primo e terzo
 si applicano per il futuro, ma non possono comprimere il diritto gia'
 maturato dai ricorrenti prima dell'entrata in vigore della  legge  n.
 265 del 1991.
    Cio' premesso, i ricorrenti espongono di avere tutti un'anzianita'
 di  carriera  superiore  a  quella del loro collega Antonio Francesco
 Esposito  il  quale,  nominato  uditore  giudiziario  nel  1989,   ha
 conservato  il  piu'  favorevole trattamento economico maturato nella
 precedente carriera (equiparata a quella dirigenziale dello Stato) di
 referendario parlamentare presso il Senato della Repubblica.
    Chiedono pertanto che sia riconosciuto il loro diritto a percepire
 un  trattamento  retributivo  non  inferiore  a quello dell'anzidetto
 magistrato, con la condanna dell'amministrazione alla  corresponsione
 delle  relative  differenze retributive con interessi e rivalutazione
 monetaria.
    L'amministrazione statale intimata, costituitasi in  giudizio,  ha
 controdedotto  puntualmente instando per la reiezione del ricorso. La
 difesa  erariale  in  particolare   ha   osservato   che   l'istituto
 dell'allineamento    stipendiale,    disciplinato    retroattivamente
 dall'art. 1 della legge n. 265 del 1991 che ha natura interpretativa,
 sarebbe escluso dal terzo comma per i concorsi di primo grado (com'e'
 quello di accesso alla magistratura ordinaria) e  che  esso  comunque
 non  sarebbe stato applicabile al caso, poiche' il dott. Esposito non
 proviene da una carriera dirigenziale dello Stato o equiparata,  come
 prescritto  dal  primo  comma.  Infine, ha eccepito che l'abrogazione
 dell'allineamento stipendiale, recata dall'art. 2, quarto comma,  del
 d.l.  11  luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992,
 n. 359, e dalla relativa interpretazione autentica di cui all'art.  7
 del  d.l.  18  settembre  1992,  n.  384,  convertito nella legge 14
 novembre 1992, n. 438, ha eliminato  in  radice  la  possibilita'  di
 accoglimento del ricorso.
    Nell'ampia    memoria    prodotta   in   giudizio   nell'imminenza
 dell'udienza di discussione, i ricorrenti  hanno  poi  osservato  che
 l'abrogazione  dell'allineamento  stipendiale,  recata  dall'art.  2,
 quarto comma, del d.l. 11 luglio  1992,  n.  333,  convertito  nella
 legge  8 agosto 1992, n. 359, e la relativa interpretazione autentica
 di cui all'art. 7 del d.l. 18 settembre  1992,  n.  384,  convertito
 nella legge 14 novembre 1992, n. 438, non incide sul diritto maturato
 dai   ricorrenti   all'allineamento   stipendiale  del  personale  di
 magistratura.
    Infatti  si  tratterebbe  di  disposizioni  prive   di   efficacia
 retroattiva,  inapplicabili  al  caso  dei  ricorrenti che hanno gia'
 acquisito il diritto in questione: cio' riguarderebbe anche l'art.  7
 del d.l. n. 384 del 1992, la cui natura di interpretazione autentica
 sarebbe solo apparente, avendo contenuto innovativo.
    Una   diversa  impostazione,  ad  avviso  degli  interessati,  non
 potrebbe  non  ingenerare   sospetti   di   incostituzionalita'   per
 violazione   degli  artt.  3  e  97  della  Costituzione,  in  quanto
 emergerebbe lo sviamento e l'irragionevolezza dello  strumento  usato
 per eludere il principio di irretroattivita'.
                             D I R I T T O
    1.  -  Nel  far  valere la pretesa all'allineamento stipendiale, i
 magistrati  ricorrenti  premettono  di  avere   tutti   un'anzianita'
 maggiore  di  quella  del  collega  Antonio  Francesco Esposito: tale
 circostanza   e'   pacifica,    non    essendo    stata    contestata
 dall'Amministrazione resistente.
    Il  presupposto  dell'allineamento  si sarebbe realizzato nel 1989
 allorche' il dott. Antonio Francesco  Esposito  fu  nominato  uditore
 giudiziario  conservando  il  piu'  favorevole  trattamento economico
 maturato  nella  precedente  carriera  di  referendario  parlamentare
 presso il Senato della Repubblica.
    2.   -   Occorre   premettere   che  l'istituto  dell'allineamento
 stipendiale e' stato introdotto dall'art. 4, terzo comma,  del  d.l.
 27  settembre  1982, n. 681, convertito in legge 20 novembre 1982, n.
 869, per il personale militare con norma  del  seguente  tenore:  "al
 personale  con  stipendio inferiore a quello spettante al collega con
 pari o minore anzianita' di servizio, ma promosso successivamente  e'
 attribuito lo stipendio di quest'ultimo".
    La   giurisprudenza   formatasi  successivamente  ha  riconosciuto
 nell'anzidetta disposizione  un  principio  o  rimedio  di  carattere
 generale,   idoneo   ad   evitare   un'ingiustificata  disparita'  di
 trattamento derivante dalla conservazione di trattamenti  retributivi
 personalizzati:  all'allineamento  consegue  infatti  il riequilibrio
 della retribuzione degli appartenenti al medesimo ruolo, in  possesso
 della medesima anzianita' (cfr. cons. St., sez. sesta, 26 marzo 1990,
 n.  410;  Corte conti, sez. contr. Stato, 13 luglio 1984, n. 1472; 28
 settembre 1984, n. 1479; 3 febbraio 1985, n. 1518; 3  febbraio  1989,
 n.  2093; 16 luglio 1992, n. 67; t.r.g.a. Trentino-A.A., sez. Trento,
 12 giugno 1989, n. 174 e 3 settembre 1992, n.  321;  t.a.r.  Sicilia,
 sez.  Catania 27 agosto 1990, n. 640; t.a.r. Lazio, sez. I, 24 maggio
 1991, n. 739 e 11 febbraio 1992, n. 138; t.a.r. Puglia, sez. Lecce 13
 aprile 1989, n. 315).
    3.  -  Tale  principio,  variamente  inteso  ed  applicato   dalla
 giurisprudenza  che ne ha via via definito gli specifici presupposti,
 e' stato infine confermato, ma anche delimitato, per il personale  di
 magistratura  dalla  legge  8  agosto 1991, n. 265. Nella fattispecie
 all'esame rilevano il primo ed  il  terzo  comma:  il  primo  esclude
 l'allineamento   per  trattamenti  economici  conseguiti  in  settori
 diversi dalle carriere dirigenziali  dello  Stato  o  equiparate;  il
 secondo  esclude  nel  caso  di  accesso  alla  magistratura mediante
 concorso di primo grado  la  valutazione  di  trattamenti  che  nella
 precedente  carriera  erano  stati  a  loro  volta acquisiti mediante
 allineamento.
    Nessuna  di  queste  limitazioni   riguarda   tuttavia   il   caso
 dell'esame:  non  la  prima,  poiche'  la carriera di referendario al
 Senato e' equiparata a quella dirigenziale dello  Stato  (cfr.  Cons.
 St., sez. quarta, 26 febbraio 1985, n. 64) tant'e' che altrimenti non
 sarebbe  stato applicato l'art. 202 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3,
 per il mantenimento  al  dott.  Esposito  del  superiore  trattamento
 economico  nel  passaggio  di  carriera;  non  la seconda, poiche' il
 miglior trattamento retributivo conservato  dal  dott.  Esposito  non
 deriva  da  un allineamento stipendiale nella precedente carriera, ma
 soltanto dalla maggiore entita' del relativo stipendio  come  ammette
 la stessa difesa erariale.
    In  ogni  caso,  il  presupposto  da  cui sorgerebbe il diritto al
 preteso allineamento stipendiale si e' verificato prima  dell'entrata
 in vigore della legge n. 265 del 1991 e questa non e' retroattiva.
    L'Avvocatura   dello  Stato  sostiene  di  contro  che  la  natura
 interpretativa  farebbe  propendere   per   l'efficacia   retroattiva
 dell'art.  1 della legge n. 265 del 1991. Ora, sembra al Collegio che
 in realta' tale normativa  abbia  soltanto  circoscritto  e  limitato
 l'istituto,  implicitamente  riconoscendone  la portata generale e la
 derivazione dalla fonte costituita  dall'art.  4,  terzo  comma,  del
 d.l.  27  settembre  1982,  n.  681, convertito in legge 20 novembre
 1982, n. 869.
    Comunque,  il collegio ritiene che le condizioni poste dal primo e
 dal terzo comma dell'art.  1  della  legge  n.  265  del  1991  siano
 rispettate nella fattispecie.
    Cio'  stante,  il  riconoscimento del diritto non troverebbe alcun
 ostacolo: si confrontino anche le ragioni chiare e convincenti formu-
 late nella sentenza del t.r.g.a. del Trentino- A.A., sez. di  Trento,
 3  settembre  1992,  n. 321, la cui impostazione appare perfettamente
 condivisibile.
    Ne' avrebbe rilevanza l'art. 2, quarto comma, del d.l. 11  luglio
 1992,  n.  333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, emanato
 nelle more del giudizio, che a decorrere dalla sua entrata in  vigore
 ha   abrogato  le  disposizioni  sull'allineamento,  tra  cui  quella
 contenuta nell'art. 4 del d.l. n. 681/1982, convertito  nella  legge
 n.  869/1982. L'abrogazione vale infatti soltanto per il futuro e non
 elimina i diritti sorti nel passato in virtu' delle norme abrogate.
    4. - Questa soluzione  lineare  e'  pero'  preclusa  dall'art.  7,
 settimo  comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 284, convertito nella
 legge 14 novembre 1992, n. 438, che recita: "L'art. 2, quarto  comma,
 del   decreto-legge   11   luglio   1992,  n.  333,  convertito,  con
 modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, va interpretato nel
 senso che dalla data di entrata in vigore del predetto  decreto-legge
 non  possono  essere  piu'  adottati  provvedimenti  di  allineamento
 stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992".
    Di questa disposizione possono darsi due possibili interpretazioni
 e precisamente:
      1)  che  e'  stato   espunto   dall'ordinamento,   con   effetto
 retroattivo, il diritto all'allineamento stipendiale;
      2)  che  e'  stato  vietato  all'amministrazione di procedere ad
 operazioni  di  allineamento  stipendiale   riferite   a   situazioni
 pregresse, pur senza eliminare il relativo diritto gia' maturato.
    Accedendo  all'ipotesi  interpretativa  sub  1), si avrebbe che il
 legislatore ha inteso incidere retroattivamente su  diritti  perfetti
 maturati nell'ambito di un rapporto continuativo non ancora esaurito,
 e   che   tuttavia,  per  non  violare  esplicitamente  il  principio
 dell'affidamento e quello della certezza dei rapporti tra lo Stato ed
 i  cittadini,  e'  ricorso  all'utilizzo  surrettizio  di  una  norma
 interpretativa accessoria.
    Senonche',  il  legislatore interprete e' intervenuto senza che ve
 ne fosse alcun  bisogno:  la  disposizione  interpretata  non  rivela
 alcuna  ambiguita'  o  incertezza di significato, ne' era sorto alcun
 contrasto   interpretativo   giurisprudenziale   (del    resto    non
 ipotizzabile  nel  breve  tempo intercorso), donde si puo' senz'altro
 dire che l'uso della tipica funzione  dell'interpretazione  autentica
 e' sviato dal fine istituzionale.
    L'ipotesi  interpretativa  sub 2) evidenzia il ricorso surrettizio
 ad una  legge-provvedimento  che  anch'essa  esorbita  dalla  propria
 funzione  tipica.  A  prescindere  dall'inadeguatezza  della  tecnica
 legislativa  adoperata,  la  portata  precettiva  ed   il   carattere
 strumentale  della  norma  rivelano,  anche  in questo caso, l'intima
 incoerenza e lo sviamento della funzione legislativa: il  legislatore
 non  si  e'  spinto  fino  a  dichiarare che l'intento della legge e'
 quello di abrogare ex tunc un diritto gia' riconosciuto, ma nondimeno
 lo ha svuotato del suo contenuto e  comunque  della  possibilita'  di
 realizzarlo.
    In   tal   modo,  pero',  e'  stata  introdotta  una  disposizione
 legislativa  che  vieta  all'amministrazione  comportamenti  o   atti
 contrari al diritto sostanziale e tali da compulsare anche le pretese
 azionate  in sede giurisdizionale, come nella presente fattispecie in
 cui il ricorso e' stato proposto prima  dell'emanazione  della  norma
 abrogativa.
    In  altri  termini,  il  legislatore senza porsi alcun problema di
 diritto sostanziale ordina all'amministrazione di non applicare  piu'
 l'allineamento stipendiale.
    5.   -  In  entrambi  i  significati,  il  collegio  dubita  della
 costituzionalita' di tale disposizione, che  si  palesa  illogica  ed
 irragionevole  e,  quindi,  in  contrasto  col postulato fondamentale
 recato dall'art. 3 della Costituzione.
    Il dato dal quale occorre muovere per impostare  correttamente  la
 questione e' costituito dalla individuazione della ratio della norma.
 L'intento   e'  quello  -  evidente  -  di  bloccare  ogni  ulteriore
 applicazione dell'istituto dell'allineamento stipendiale  fondato  su
 norme  gia'  abrogate,  e  per  far  questo  il legislatore ha voluto
 incidere retroattivamente eliminando, ex  tunc,  ogni  effetto  delle
 norme abrogate.
    La   disposizione,   come   si   e'   detto,   e'  formulata  come
 un'interpretazione autentica. In realta',  se  cosi'  fosse,  la  sua
 retroattivita'  dovrebbe arrestarsi al momento dell'entrata in vigore
 della  disposizione  interpretata:  di   fatto   si   e'   introdotta
 un'innovazione  consistente  nell'estensione  della  decorrenza della
 legge interpretata (cfr. Corte costituzionale 3 marzo 1988,  n.  233;
 31 luglio 1990, n. 380).
    La  finalita'  perseguita  dalla  legge "interpretata" era (ed e')
 quella  di  contenere  la  spesa  pubblica  riferita  ai  trattamenti
 stipendiali   del   pubblico   impiego:   finalita'  che  non  appare
 irragionevole o comunque sindacabile nella presente congiuntura della
 finanza pubblica.
    Cio' che appare invece irragionevole e' l'interpretazione additiva
 successivamente   introdotta:   l'irretroattivita'   costituisce   un
 principio  dell'ordinamento  e  la  sua  deroga  si  pone  come fatto
 eccezionale da utilizzare solo in presenza  di  una  effettiva  causa
 giustificatrice, prevalente sui rapporti preteriti e sul principio di
 affidamento (cfr. Corte costituzionale 4 aprile 1990, n. 155).
    Qui   invece   sono   stati   lesi   vari  principi  di  rilevanza
 costituzionale, come quello dell'affidamento, della  trasparenza  nei
 rapporti  tra  Stato e cittadino, della certezza dei diritti maturati
 per i quali gli interessati coltivavano legittime aspettative,  della
 correttezza della funzione giurisdizionale chiamata ad accertare tali
 diritti,   paralizzata   anch'essa   nel   suo   lineare  svolgimento
 dall'intervento retrospettivo  del  legislatore,  nella  finzione  di
 un'inutile interpretazione autentica.
    La  norma  retroattiva  produce  inoltre un'ingiusta disparita' di
 trattamento applicandosi a rapporti sorti precedentemente  ed  ancora
 pendenti  (cfr.  Corte  costituzionale  28  gennaio  1993, n. 39): la
 disparita' si verifica tra coloro  che,  alla  stregua  del  medesimo
 presupposto,  avevano  gia'  ottenuto l'applicazione amministrativa o
 una sentenza favorevole passata in giudicato  (rapporti  esauriti)  e
 tutti gli altri (rapporti non ancora esauriti).
    Il Collegio non ignora il "peso" dell'esigenza finanziaria sottesa
 a  tale  disposizione, ma ritiene che la discrezionalita' legislativa
 poteva essere ugualmente esercitata in modo non incompatibile con gli
 anzidetti principi costituzionali: l'eliminazione  dell'istituto  era
 gia'  stata  raggiunta per il futuro; per il passato la necessita' di
 non espandere la  spesa  pubblica  avrebbe  potuto  giustificare  una
 temporanea  sospensione  dell'applicazione  dell'istituto,  oppure la
 graduazione dell'entita' delle relative corresponsioni retributive.
    L'abrogazione delle disposizioni  che  prevedono  automatismi  che
 influenzano   il  trattamento  economico  e'  bensi'  prevista  anche
 dall'art. 2, lett. o) della legge-delega  23  ottobre  1992,  n.  421
 (recante  la  c.d. "privatizzazione" del pubblico impiego), ma previa
 sostituzione con disposizioni di accordi contrattuali che valorizzino
 la produttivita' individuale e collettiva.  Tale  criterio  e'  stato
 attuato  con  l'art.  72,  secondo  comma,  del decreto legislativo 3
 febbraio 1993, n. 29, che sposta tale effetto abrogativo  al  momento
 della sottoscrizione dei prossimi contratti collettivi.
    Si   evidenzia   quindi  una  sostanziale  contraddittorieta'  del
 legislatore nell'emanazione di disposizioni  analoghe  e  ravvicinate
 nel tempo.
    Oltretutto,   la   particolarita'  del  rapporto  di  impiego  dei
 magistrati (cfr. l'art. 2, lett. e), della  legge-delega  23  ottobre
 1992,  n.  421, e l'art. 2, quarto comma, del d.P.R. 3 febbraio 1993,
 n. 29) potrebbe anche giustificare il  mantenimento  del  particolare
 istituto  secondo  la  disciplina,  peraltro non espressamente ancora
 abrogata, della legge n. 265 del 1991.
    Comunque, se l'abrogazione delle norme concernenti  l'allineamento
 stipendiale  e'  avvenuta  a  decorrere dall'11 luglio 1992 il blocco
 dell'allineamento  riferito  a  situazioni  pregresse  non   ha   una
 giustificazione giuridica.
    Esclusa   la  materia  penale  la  Costituzione  non  vieta  leggi
 retroattive ma esse devono  corrispondere  al  generale  criterio  di
 ragionevolezza  e non deve violare gli altri principi costituzionali:
 condizioni  queste  che,  per  le  anzidette  ragioni,  non  sembrano
 rispettate.
    6.  -  Sotto  gli  anzidetti  profili  e'  quindi  ravvisabile  la
 violazione  dei  principi  di  eguaglianza,  di  ragionevolezza,   di
 imparzialita'  e  di  buon  andamento dell'amministrazione nonche' di
 pienezza della tutela giurisdizionale: principi recati dagli artt. 3,
 97 e 113 della Costituzione.