IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa  n. 1959/93
 promossa da Mosca Ersilia col proc. dom. avv. F. D'Ancona  contro  la
 S.p.a. Industria componenti plastici.
    Il  pretore  successivamente  sciogliendo  la  riserva che precede
 osserva quanto segue.
    Il ricorrente chiede la ingiunzione a corrispondere  L.  7.306.383
 per  t.f.r.  con  gli interessi e la rivalutazione ai sensi e per gli
 effetti dell'art. 429 del c.p.c. applicabile sicuramente nella specie
 trattandosi di controversia di lavoro (e non previdenziale).
    Ritiene pero' il giudicante di sollevare di ufficio  la  eccezione
 di incostituzionalita' del predetto art. 429, terzo comma, del c.p.c.
 per  violazione  del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della
 Costituzione.
    Il pretore prende lo spunto dalla stessa sentenza cit. n. 156/1991
 la  quale  ha  dato  atto  della  eccezione  di  incostituzionalita',
 sollevata  dallo  stesso I.N.A.I.L. casualmente, aggiungendo peraltro
 di non poterla esaminare in quella  sede  evidentemente  perche'  non
 proposta nei confronti dell'art. 442 del c.p.c.
    Questa volta il pretore intende prospettarla formalmente.
    Essa  e'  rilevante in quanto il giudizio non puo' essere concluso
 senza prima stabilire se la norma invocata sia legittima  o  meno  ed
 appare altresi' fondata per i motivi che seguono.
    Come  e'  noto  la  Corte costituzionale considera due profili: la
 irrazionalita' e la irragionevolezza (vedi in particolare sentenza n.
 429/1990).
    Il pretore intende far valere entrambi i profili.
    1) Innanzitutto  l'art.  429,  terzo  comma,  del  c.p.c.  suscita
 sospetti  di  illegittimita'  costituzionale  in relazione all'art. 3
 della  Costituzione  considerata  l'esorbitanza  della   tutela   ora
 accordata  ai  crediti  di  lavoro  dal  cumulo  irrazionale  di  due
 strumenti di copertura della inflazione, che invece dovrebbero essere
 alternativi.
    Per effetto della legge 26 novembre 1990, n. 353, il saggio  degli
 interessi  legali e' stato elevato al 10% annuo, il che significa che
 ai crediti di lavoro e alle prestazioni previdenziali compete in caso
 di ritardo  del  pagamento  una  maggiorazione  del  16%  attualmente
 (stante l'attuale livello dell'inflazione al 6%).
    Se  prima  della  legge  n.  353/1990  una  maggiorazione dell'11%
 (quando l'interesse legale  era  attestato  sul  5%)  poteva  trovare
 qualche  giustificazione, ora che come si diceva l'interesse e' stato
 elevato al  10%  tale  giustificazione  non  sembra  piu'  rinvenirsi
 rispetto alle normali condizioni del mercato mobiliare.
    E'  noto infatti che il danno che gli interessi e la rivalutazione
 tendono a coprire ai sensi art. 429 cit. per il ritardo del pagamento
 si identifica con il guadagno che non puo'  conseguire  il  creditore
 per la mancata disponibilita' della somma dovuta.
    Egli   invero  se  ne  avesse  avuto  la  predetta  disponibilita'
 l'avrebbe potuta investire realizzando un  reddito  che  nell'attuale
 situazione del mercato al piu' puo' ammontare al 10%.
    E  poiche'  gli interessi legali ormai coprono l'area del predetto
 danno  non  dovrebbe  restare  spazio  per  l'ulteriore  risarcimento
 rappresentato dalla svalutazione monetaria.
   Persistere   nel   riconoscere   al   creditore   ex  art.  429  la
 rivalutazione monetaria in questo contesto  significa  attribuire  un
 trattamento  senza  titolo,  in  quanto  l'eccedenza  non  puo'  piu'
 considerarsi risarcimento di un danno che non sussiste.
    2) Secondariamente la norma contenuta nel menzionato art.  429  e'
 ingiustificatamente discriminatrice.
    La  irragionevolezza della eccezione disposta a favore dei crediti
 di lavoro e delle  prestazioni  previdenziali  potra'  dunque  essere
 addotta  a fondamento di una questione di legittimita' costituzionale
 del predetto  art.  429  rivolta  ad  ottenere  il  ripristino  della
 normativa  generale  ritenuta  ingiustificatamente derogata da quella
 particolare.
    Si  potrebbe  obbiettare  che  la  giustificazione   del   diverso
 trattamento  consisterebbe  nella necessita' di porre una remora alla
 resistenza ed  agli  ingiustificati  ritardi  dei  datori  di  lavoro
 nell'adempimento  delle loro obbligazioni (arieggiando la sentenza n.
 162/1977 della Corte costituzionale).
    Si deve pero' ritenere che questa giustificazione sia ormai venuta
 meno alla luce della successiva sentenza della  Corte  costituzionale
 n.  156/1991  che  ha esteso la normativa dell'art. 429, terzo comma,
 del c.p.c. alle prestazioni previdenziali ove sicuramente non  vi  e'
 modo  di  riscontrare  la resistenza e gli ingiustificati ritardi dei
 datori di lavoro di cui sopra.
    Anzi  venuta  meno  questa  ratio  e  considerata la uguale natura
 retributiva dei  crediti  dei  dipendenti  degli  enti  pubblici  non
 economici  dovrebbe  pure estendersi agli stessi il predetto art. 429
 del c.p.c. cosi' superandosi la precedente sentenza n. 43/1977  della
 stessa Corte.
    Pero' ad avviso del pretore la soluzione dovrebbe essere piuttosto
 quella  di  ridurre  nei  limiti  della  regola  generale  consacrata
 nell'art. 1224 del c.c. come interpretata dalla Corte  di  cassazione
 n.  5299/1989  la  portata  della  norma  contenuta nell'art. 429 del
 c.p.c.
    Invero la  natura  retributiva  dei  crediti  di  lavoro  e  delle
 prestazioni  previdenziali  non  sembra  giustificare  il trattamento
 deteriore fatto ai datori di lavoro ed enti previdenziali rispetto ai
 debitori comuni che tra l'altro hanno forza contrattuale pari o anche
 superiore (vedi compagnie di assicurazione).
    D'altra parte altra possibilita' tecnica non  sussiste  avendo  la
 stessa  Corte costituzionale sempre nella citata sentenza n. 427/1990
 avvertito che  il  principio  di  eguaglianza  non  puo'  fondare  un
 incidente  di costituzinalita' diretto ad ottenere l'estensione della
 norma particolare che, in quanto  derogatoria  rispetto  alla  regola
 desumibile   dal  sistema  normativo,  si  rivela  insuscettibile  di
 estensione ad altri casi.
    In conclusione ad avviso del pretore la penalizzazione del  datore
 di  lavoro  e  dell'ente  previdenziale  non  ha  ragione  d'essere e
 reciprocamente il trattamento privilegiato dei  debitori  comuni  non
 trova giustificazione nel sistema costituzionale.