IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letti gli atti del proc. pen. in epigrafe indicato, propone questione di legittimita' costituzionale del comma secondo dell'art. 12-quinquies della legge 7 agosto 1992, n. 356, di conversione del d.l. 8 giugno 1992 n. 306, come modificato dal d.-l. 21 gennaio 1993, n. 14, (reiterato dal d.l. 23 marzo 1993, n. 73) in relazione agli artt. 3, 24 cpv. e 27 cpv. della Costituzione, alla stregua delle valutazioni appresso indicate. In data 24 febbraio 1993 il p.m., procedendo per il reato sopra indicato, proponeva richiesta di sequestro preventivo di un immobile di proprieta' dei coniugi Formaggia-Galati ai sensi dell'art. 321 cpv. del c.p.p. Presupposto della richiesta era la ritenuta riferibilita' effettiva dell'immobile in questione al Formaggia Lorenzo, gia' indagato ed anzi rinviato a giudizio per reati di contrabbando ed altro, come in atti documentato. A parere di questo giudice la richiesta in esame appare, allo stato degli atti, fondata nei suoi presupposti. Invero, la Galati (formale intestataria del bene in questione) non risultava avere proprie fonti di reddito, autonome da quelle del marito. Dagli atti acquisiti risulta infatti in particolare: la donna e' stata, fino al novembre 1989, socio accomandatario della Sagittario S.a.s., societa' di cui il marito era unico socio accomandante; il suo conto corrente era palesemente movimentato da operazioni relative ad attivita' della CCRO, societa' pure gestita dal Formaggia, con diverse operazioni inoltre riferibili personalmente allo stesso Formaggia o a Lo Presti Gaetano (socio e coimputato del primo per le vicende CCRO). Diventa dunque senzaltro rilevante, ai fini della decisione da assumere nel caso concreto, la preventiva valutazione di legittimita' costituzionale della norma di cui il p.m. chiede qui l'applicazione. Richiamando gli esiti del dibattito sviluppatosi, in anni passati, sui reati cd. "di sospetto" e in particolare la giurisprudenza delle supreme corti in relazione ai reati di cui agli artt. 707 e 708 del c.p., questo giudice pone all'attenzione della Corte il problema relativo alla legittimita' dei presupposti individuati dal legislatore come condizione per la operativita' della norma qui in esame: in particolare, la qualita' di persona "nei cui confronti pende procedimento penale" per uno dei reati nel testo espressamente indicati. Proprio in relazione al profilo qui considerato, le pronunce n. 110/1968 e n. 14/1971 della Corte costituzionale (dichiarative della parziale illegittimita', rispettivamente, degli artt. 708 e 707 del c.p.) 20 novembre 1974 Corte cass. (di manifesta infondatezza), 236/75 della Corte costituzionale (ancora di rigetto), sono venute a definire principi di fondo nella materia cui pare qui potersi utilmente fare riferimento. Si e' ritenuto cosi' che non violi in generale il principio di uguaglianza, e rientri anzi pienamente nelle facolta' del legislatore, l'imposizione di obblighi particolari nei confronti di taluni fra i cittadini (come appunto l'obbligo di giustificare la provenienza di beni in godimento) specificamente individuati in relazione a peculiari qualita' personali o a determinate condizioni in cui vengano a trovarsi - naturalmente previamente determinate dalla legge in via generale ed astratta - con l'unico limite della ragionevolezza del criterio di differenziazione adottato. In particolare, nelle diverse pronunce (di accoglimento o rigetto delle eccezioni di volta in volta proposte) e' stato assunto come criterio guida nella valutazione quello della effettiva congruita' dei presupposti assunti dalla norma rispetto alle peculiari esigenze di tutela proprie di una disciplina differenziata. E' stata esclusa cosi' la possibilita' di ravvisare un legame di tal fatta nella condizione personale di condannato per mendicita', di ammonito .., come originariamente previsto dagli artt. 707 e 708 del c.p. Richiamando espressamente la motivazione delle pronunce sopra in- dicate, e' stata invece rigettata dalla Corte di cassazione (20 novembre 1974) come manifestamente infondata una piu' radicale eccezione di illegittimita' relativa all'art. 707, con l'argomentazione che la norma in questione prevede "un reato di pericolo, derivante dalla situazione soggettiva dell'agente, gia' condannato per reati .. Tale situazione soggettiva, che si profila come presupposto del reato, puo' indurre a ritenere, con fondamento di probabilita' e di verosimiglianza, che il comportamento dell'agente sia indirizzato alla commissione di uno dei delitti contro il patrimonio". Esattamente alla ragionevolezza palese di una tale presunzione, in presenza di una sentenza di condanna passata in giudicato, si richiamava ancora la Corte costituzionale nella sentenza del 1975 gia' citata. In tutte quante le pronunce in argomento dunque l'attenzione e' specificamente posta sulla verifica della sussistenza o meno di una situazione sostanziale tale da giustificare una valutazione normativa di pericolo o di sospetto (in termini di "probabilita' e verosimiglianza") in presenza della quale ragionevole possa apparire la scelta di "trattamento differenziato" da parte del legislatore. Venendo ad esaminare a questo punto la peculiare configurazione della fattispecie di reato in esame, si deve dire che qui, a destare dubbi di legittimita', e' proprio l'impossibilita' di ravvisare una adeguata giustificazione di questo tipo nella scelta dei presupposti assunti dalla norma a fondamento della imposizione di obblighi differenziati. Invero, secondo il codice di rito "procedimento penale" in senso proprio si ha con la mera iscrizione di notizia di reato da parte del p.m. e in tale sistema la qualita' di "persona indagata", di per se', individua una situazione che e' indiscutibilmente di carattere meramente processuale, rilevante nell'ambito del particolare procedimento di cui trattasi (ed eccezionalmente in procedimenti connessi) sempre e soltanto in relazione ad esigenze di garanzia della persona "inquisita", ai fini in particolare della disciplina dei mezzi di prova. In questo senso non si comprende qui come sia logicamente - e legittimamente - ammissibile l'imposizione di un "obbligo di giustificazione" differenziato, rivolto non alla generalita' delle persone ma piuttosto a soggetti particolari individuati in base ad una qualifica di questo tipo (esclusivamente formale). Sotto tale specifico profilo pare il caso di evidenziare in particolare tre distinti profili di possibile "irragionevolezza" della scelta normativa qui in esame: l'avvio di una fase di indagini o anche di un procedimento penale e' legato ad una autonoma iniziativa degli organi inquirenti e del p.m. in particolare che dispone l'iscrizione di notizia di reato: tali circostanze sono dalla norma in esame considerate di per se' sufficienti ad integrare, a carico del soggetto in questione, l'obbligo penalmente sanzionato di "giustificazione" della provenienza di beni in propria disponibilita', prescindendo semplicemente da ogni forma di delibazione della fondatezza della notizia di reato presupposta da parte di un organo giurisdizionale. Certamente, ai fini di una effettiva dichiarazione di colpevolezza in relazione all'ipotesi di reato prevista dalla colpevolezza in relazione all'ipotesi di reato prevista dalla norma in esame, vi sara' l'ordinaria procedura giurisdizionale di controllo sull'insieme degli elementi integranti la fattispecie, ma il punto che viene qui in considerazione e' quello relativo al fondamento stesso dello specifico obbligo che viene imposto. Ebbene, si deve dire in proposito che viene qui senzaltro riconosciuta ad un soggetto - sia pure istituzionalmente qualificato come il p.m. - la potesta' di imporre un obbligo ad un altro soggetto semplicemente avviando nei suoi confronti una attivita' di indagine per uno dei reati specificamente indicati, al di fuori di ogni possibilita' di controllo giurisdizionale sulla fondatezza e/o modalita' di esercizio di tali poteri di iniziativa (una questione che appare particolarmente rilevante, ad esempio, sotto il profilo della amplissima discrezionalita' riconosciuta dal codice all'organo inquirente in relazione ai tempi dell'indagine). Anzi, a rimarcare la gravita' della situazione di squilibrio che viene cosi' a prodursi, pare qui di dover rilevare in particolare che l'obbligo in questione, essendo collegato ad una "iniziativa di indagine" naturalmente ed abitualmente riservata, viene a sorgere senza che l'interessato solitamente ne abbia conoscenza ed anzi, addirittura, in un momento che puo' essere anche successivo a quello in cui lo stesso abbia cominciato a possedere o comunque utilizzare i beni in questione. Pare appena il caso di sottolineare a questo punto come, nel sistema del codice, l'ampiezza dei poteri discrezionali riconosciuta all'organo dell'accusa nella fase delle indagini trovi specifica compensazione (e dunque legittimo fondamento) proprio nella esclusione, in via di principio, di ogni autonoma possibilita' di incidenza di tale potere nella sfera privata della parte contrapposta (e laddove eccezioni vengono riconosciute in quanto indispensabili ai fini di indagine e' comunque sempre prevista la possibilita' di un controllo giurisdizionale). Nel caso in esame e' proprio questo peculiare meccanismo di salvaguardia che viene invece ad essere cancellato: la qualita' di persona "sottoposta ad indagini" o "nei cui confronti pende procedimento penale" e' connotato tipicamente transitorio: non si comprende dunque come tale qualificazione possa essere ragionevolmente e legittimamente assunta a presupposto di una autonoma fattispecie di reato e dunque di una possibile sentenza definitiva di condanna. (Questione che appare di particolare pregnanza alla luce delle considerazioni sopra svolte in ordine ai poteri di controllo sui tempi di indagine). E' appena il caso di sottolineare qui che altre ipotesi in cui una sanzione viene autonomamente ricollegata alla violazione di obblighi temporanei - come ad esempio nei reati di evasione in relazione a misure cautelari - hanno sempre come fondamento una specifica valutazione di carattere sostanziale, sottoposta a controllo giurisdizionale, sulla effettiva sussistenza di esigenze che impongano le misure in questione, ed e' proprio da una valutazione di merito di questo tipo che possono nascere legittimamente, dunque, autonomi obblighi di rispetto; infine, se la questione della pendenza di un distinto procedimento per uno dei reati specificamente indicati dall'art. 12 viene assunta come riferimento esclusivamente formale e dunque al di fuori di un "sospetto di colpevolezza" per quei reati (che sarebbe evidentemente in contrasto con il principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza), non si comprende come possa venire giustificata da un punto di vista sostanziale la discriminazione operata dalla norma nella imposizione di obblighi tra soggetti indagati per i reati tassativamente indicati e soggetti indagati per ogni altro reato. Diverso evidentemente sarebbe fare riferimento ad una valutazione di merito degli indizi a carico di un soggetto per i reati-base (quali espressamente indicati) per i quali risulta gia' pendente procedimento: certamente qui saremmo di fronte ad elementi di carattere propriamente sostanziali e tali anzi da giustificare interventi nella sfera di liberta', riservatezza o disponibilita' della persona indagata (nell'ambito del relativo procedimento) ma fondare su una valutazione di questo tipo interventi non meramente cautelari o comunque provvisori, fino ad arrivare addirittura alla possibilita' di una sentenza di condanna nel distinto procedimento ex art. 12-quinquies, significherebbe inevitabilmente venire ad incrinare irrimediabilmente la presunzione costituzionale di non colpevolezza che assiste l'indagato nel procedimento "presupposto". Evidentemente ben consapevoli di tale difficolta' si e' preferito qui, nella formulazione della norma in esame, fare riferimento ad una connotazione apparentemente "neutra" dal punto di vista valutativo, con un riferimento alla semplice circostanza della pendenza in fatto di un procedimento. In questo modo si finisce per procedere, in realta', pur sempre da un'"ombra di sospetto", desunta dalla pendenza del diverso procedimento (con una sostanziale deminutio dunque della persona dell'indagato) ma formalmente tale ispirazione rimane sullo sfondo, "occultata" da una mera constatazione di carattere esclusivamente formale, attraverso la quale peraltro si perviene palesemente a risultati identici: per tale motivo ritiene questo giudice che la scelta normativa in esame rimanga comunque esposta, in realta', alle obiezioni sopra evidenziate, relative ad una sostanziale violazione della presunzione di non colpevolezza. Pare il caso peraltro di sottolineare altresi' che la norma in questione, assumendo come riferimento esplicito un dato esclusivamente "formale", finisce d'altro canto per precludere all'interessato, nell'ambito del procedimento ex art. 12, la possibilita' di difesa in ordine ai fatti per i quali gli inquirenti abbiano deciso di procedere nei suoi confronti, benche' tale vicenda sia assunta in realta', in senso proprio, quale presupposto del nuovo reato: nella costruzione normativa prescelta, invero, la fondatezza o meno dell'accusa in relazione al "reato-base" viene proposta come elemento semplicemente irrilevante ai fini della punibilita' per il distinto reato di cui all'art. 12-quinquies. Sotto tale specifico profilo pare dunque di dovere qui venire a prospettare, nella norma in questione, una ulteriore, ed ancora piu' grave, specifica violazione del diritto di difesa. Sulla base delle valutazioni sin qui esposte, si deve dunque concludere che l'assunzione della "pendenza" di un procedimento penale per ipotesi determinate di reato a presupposto della norma incriminatrice qui in esame ponga necessariamente l'interprete di fronte ad una precisa alternativa: o tale riferimento viene inteso come legittimazione, nel merito, di un sospetto di colpevolezza nei confronti dell'indagato in relazione al reato-base ed allora pero' si porrebbero inevitabilmente specifici problemi di compatibilita' con i principi costituzionali di presunzione di non colpevolezza e di garanzia del diritto di difesa, secondo le argomentazioni sopra svolte; oppure viene privilegiata una lettura strettamente letterale del testo, nei termini di un rinvio ad un dato meramente formale (la pendenza di un procedimento) che prescinde semplicemente da ogni pretesa valutativa sul merito dell'ipotesi di accusa nel procedimento presupposto, ma sotto tale profilo, a fronte di un problema di giustificare l'imposizione di obblighi differenziati tra i cittadini, collegati a condizioni particolari delle persone, si pongono in tutta evidenza, anche alla luce della giurisprudenza formatasi in relazione agli artt. 707 e 708 del c.p., stringenti perplessita' sulla "ragionevolezza" del presupposto scriminante adottato, sia in relazione a persone non sottoposte ad alcun procedimento penale, sia in relazione a persone indagate per reati diversi da quelli espressamente indicati dall'art. 12 in esame. Per tutti i motivi sopra indicati, questo giudice, ritualmente investito dal p.m. del potere-dovere di provvedere in materia cautelare nell'ambito del procedimento in epigrafe indicato, pronunciando d'ufficio, ritiene dunque non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, pur nella formulazione attualmente vigente a seguito di successivo decreto-legge fin qui reiterato, nella parte in cui assume la qualita' di "persona sottoposta a procedimento penale" a presupposto dell'ipotesi incriminatrice, e cio' in relazione agli artt. 3, 24 c.p.v. e 27 c.p.v. della Costituzione.