LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 82/5156 presentato il 30 aprile 1982 (avverso: s/rif su i.rimb. Ilor - 77(Compreso)79) da: Roggi Sergio, residente a Prato in via Roma, 308, contro l'Intendenza di finanza di Firenze. Con ricorso presentato il 30 aprile 1982, Sergio Roggi ricorreva contro il silenzio rifiuto dell'Intendenza di finanza in ordine alla sua istanza di rimborso di somme corrisposte in sede di autotassazione a fini Ilor esponendo che a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 42 del 1980 egli aveva diritto al rimborso delle somme pagate sul reddito di collaboratore di impresa familiare, nel quale la componente patrimoniale deve considerarsi inesistente. Chiedeva pertanto in via principale ordinarsi il rimborso delle somme di L. 4.319.000; in subordine sollevarsi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, in relazione all'art. 53 della Costituzione. A sua volta l'Intendenza di finanza con nota del 20 febbraio 1992 si opponeva alla domanda, osservando che il reddito dell'impresa familiare non puo' considerarsi che reddito della medesima specie anche per la parte imputabile ai collaboratori, secondo il testuale disposto dell'art. 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, e rimane pienamente soggetto ad Ilor. Faceva ancora notare l'Intendenza di finanza che a suo avviso non introduceva modifiche nei riguardi della ricorrente l'intervento dell'art. 115 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che aveva escluso dall'imposta i redditi delle imprese familiari imputati ai familiari collaboratori, neppure alla luce del disposto dell'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, che aveva esteso le disposizioni del testo unico (quindi anche l'art. 115) ai periodi d'imposta antecedenti, a condizione che "le relative dichiarazioni risultassero ad esse conformi". Affermava l'Intendenza di finanza che la disposizione dell'art. 36 deve essere intesa nel senso ch'essa stabilisce una causa di non punibilita' dei comportamenti che risultano ora conformi alla nuova normativa, non gia' come una disposizione transitoria di applicabilita' del testo unico a tutti i rapporti pendenti, ostandovi il generale principio di irretroattivita' della legge. Concludeva pertanto per il rigetto del ricorso. Rileva la commissione che questione preliminare nel caso di specie e' quella di accertare se il rapporto tributario fosse gia' definitivo all'atto dell'intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 42 del 28 marzo 1982. Dispone difatti l'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, che restano in ogni caso fermi gli accertamenti e le liquidazioni di imposta divenuti definitivi. La data cui deve farsi riferimento per valutare se, alla data della domanda di rimborso, il rapporto fosse definito o meno e' quella in cui e' stato effettuato il pagamento a saldo, essendo l'acconto una anticipazione provvisoria di quanto dovuto in base alla liquidazione definitiva avvenuta appunto con il pagamento del 20 maggio. Il rapporto deve considerarsi definitivo quando esso non sia piu' giuridicamente esposto ad impugnativa. Nel caso di specie e' agevole rilevare che tale situazione non si era ancora verificata, ne' alla stregua dell'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che prevede un termine di decadenza di 18 mesi dal versamento diretto per la presentazione di istanza di rimborso all'Intendenza di finanza nel caso di inesistenza dell'obbligo di versamento, ne', a maggior ragione, alla luce dell'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nel caso che si ritenga applicabile questa disposizione in luogo dell'art. 38. Stabilito questo primo punto, la questione che la causa propone riguarda l'interpretazione da parte al disposto dell'art. 36 laddove richiede, per l'estensione delle disposizioni piu' favorevoli ai periodi d'imposta precedenti, che le relative dichiarazioni risultino "ad esse conformi". E' innanzitutto da precisare che la costruzione sintattica della norma, non felicissima, va intesa nel senso che la conformita' ch'essa richiede sia riferita a "le disposizioni del testo unico"; l'estensione opera in altre parole a condizione che le dichiarazioni relative a periodi d'imposta antecedenti al 1988 risultino conformi al tenore del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Si domanda se debbasi aver riguardo ad una conformita' meramente formale, ovvero sostanziale. Se cioe' l'estensione dipenda dal rispetto delle condizioni di forma in cui le dichiarazioni debbono essere presentate in forza del d.P.R. n. 917/1986, ovvero dal rispetto di condizioni regolatrici del rapporto sostanziale. Pare ovvio che il riferimento riguarda le condizioni sostanziali, non foss'altro per il motivo che il d.P.R. n. 917/1986 non contiene disposizioni particolari riguardo alla forma delle dichiarazioni, ed e' invece interamente rivolto alla disciplina sostanziale dei rapporti tributari inerenti alle singole imposte. Se cosi' e', la fondamentale differenza che nella disciplina del rapporto tributario relativo al reddito del collaboratore d'impresa familiare si rileva tra l'anno 1980, periodo cui si riferisce il ricorso in oggetto, e l'anno 1986 in cui fu approvato il testo unico delle imposte sui redditi riguarda la diversa regolamentazione della misura di partecipazione all'impresa del collaboratore familiare. Infatti per effetto dell'art. 3 del d.l. 19 dicembre 1984, n. 853, convertito in legge 17 febbraio 1985, n. 17, il quarto comma, dell'art. 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 fu modificato nel senso che al collaboratore familiare potesse essere imputato una quota di reddito dell'impresa non superiore al 49% dell'ammontare risultante dalla dichiarazione dell'imprenditore, laddove questa limitazione nella stesura originaria dell'art. 5 non esisteva, essendo invece stabilito che l'imputazione del reddito a ciascun familiare fosse proporzionale alla sua quota di partecipazione agli utili fissata con atto pubblico o scrittura privata autenticata. La diversita' di disciplina qui segnalata importa giuridicamente, alla luce del disposto dell'art. 115 del d.P.R. n. 917/1986 e 36 del d.P.R. n. 42/1988, che se il titolare dell'impresa familiare percepiva, in epoca antecedente all'entrata in vigore della legge n. 17/1985, una quota di reddito superiore al 51% il reddito del collaboratore va esente da imposta, se invece la misura della sua partecipazione era inferiore a tale limite il reddito del collaboratore e' soggetto ad Ilor. Questa diversificazione di effetti pare alla commissione del tutto priva di una qualsiasi ragionevole spiegazione, ed appare il frutto di interferenze tra norme affatto casuali. L'irrazionalita'del regime impositivo quale risulta dalla ricostruzione sopra esposta merita, ad avviso di questo collegio, di essere sottoposta all'esame della Corte regolatrice affinche' valuti se essa non risulti in contrasto coi principi di ragionevolezza e di uguaglianza che debbono presiedere la formulazione delle leggi, nonche' al principio della generale soggettazione all'obbligo di partecipazione alle spese pubbliche in ragione della propria capacita' contributiva.