ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 2, comma
 primo, lett. d), 12, comma terzo e 15, comma quinto, della  legge  23
 dicembre  1992,  n.  498,  recante: "Interventi urgenti in materia di
 finanza pubblica",  promosso  con  ricorso  della  Regione  Lombardia
 notificato  il  28  gennaio  1993,  depositato  in  cancelleria  il 4
 febbraio successivo ed iscritto al n. 6 del registro ricorsi 1993.
    Visto l'atto di costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 25 maggio 1993 il Giudice relatore
 Gabriele Pescatore;
    Uditi  l'avv.  Maurizio  Steccanella  per  la  Regione Lombardia e
 l'avv. dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - La Regione Lombardia, con ricorso notificato  il  28  gennaio
 1993,  ha  impugnato  -  per violazione degli articoli 117, 118 e 119
 della Costituzione, oltre che per palese irragionevolezza - gli artt.
 2, comma primo, lett. d); 12, comma terzo e 15, comma  quinto,  della
 legge 23 dicembre 1992, n. 498.
    La   prima   questione   di   legittimita'   costituzionale  viene
 prospettata in relazione all'art. 15, comma quinto,  il  quale  cosi'
 dispone:  "Il  comma  quarto dell'articolo 33 della legge 28 febbraio
 1986, n. 41,  come  modificato  dall'articolo  3,  comma  primo,  del
 decreto-legge  11  luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni,
 dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, e' abrogato. Sono  fatti  salvi  i
 contratti  per  i  quali  sia gia' intervenuta l'approvazione in data
 anteriore a quella di entrata in vigore della presente legge".
    Si   tratta   di  materia  concernente  la  revisione  dei  prezzi
 contrattuali nei  pubblici  appalti  riguardo  alla  quale  le  norme
 abrogate  rappresentavano - secondo quanto si espone nel ricorso - il
 punto  di  arrivo  di   una   lunga   evoluzione   della   originaria
 invariabilita' dei prezzi negli appalti pubblici, la quale ha trovato
 la  sua  duplice  ratio  nella  persistenza del fenomeno inflattivo e
 nella parallela disciplina dettata dal codice civile  in  materia  di
 appalti privati, volta a diminuirne l'aleatorieta'.
    Esposti,   in  sintesi,  i  momenti  fondamentali  dell'evoluzione
 normativa, caratterizzata  in  un  primo  tempo  dall'istituto  della
 "revisione   dei   prezzi",   la   regione   ricorrente  si  sofferma
 sull'istituzione (art. 33, comma  quarto,  della  legge  28  febbraio
 1986,  n.  41)  del cosi' detto "prezzo chiuso", cioe' della facolta'
 della p.a. committente di  stabilire  l'incremento  "automatico"  del
 cinque  per  cento del prezzo di aggiudicazione, al netto del ribasso
 d'asta, per ogni anno intero di effettuazione dei  lavori  e  per  il
 valore   delle   opere   rimaste  da  eseguire,  omettendo  qualunque
 successiva applicazione di qualsivoglia calcolo revisionale.
    Successivamente il d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, conv. nella legge
 8 agosto 1992, n. 359, ha eliminato per tutti  gli  appalti  pubblici
 (art.   3,  comma  primo)  l'istituto  della  revisione  dei  prezzi,
 generalizzando il sistema del "prezzo chiuso".
    Il sopra riportato art. 15, comma quinto, della legge n.  498  del
 1992,  abrogando  il  comma quarto dell'art. 33 della legge n. 41 del
 1986, cosi' come modificato dall'art. 3, comma primo,  del  d.-l.  n.
 333  del  1992,  come  convertito  nella  legge  n.  359 del 1992, ha
 abrogato anche il sistema del "prezzo chiuso", maggiorabile in misura
 predeterminata, ivi previsto.
    Il  sistema  risultante,  in  forza  del  testo  tuttora   vigente
 dell'art. 33 della legge n. 41 del 1986, si applica anche ai pubblici
 appalti  delle  regioni,  degli  enti  da esse dipendenti, degli enti
 locali, ancorche' riguardanti opere e lavori d'interesse regionale.
    Cio' premesso, la  Regione  Lombardia  lamenta  l'invasione  della
 propria  competenza legislativa in materia di disciplina delle "opere
 pubbliche d'interesse regionale", di "amministrazione del patrimonio"
 regionale e di "lavori pubblici d'interesse regionale", relativamente
 alle quali e' stata emanata la legge regionale 12 settembre 1983,  n.
 70.  Infatti, l'art. 15, comma quinto, della legge impugnata, con una
 normativa specifica - e non di  principio  -  prevede  che  qualsiasi
 contratto  di  appalto  o  di affidamento in concessione di lavori ed
 opere pubbliche, ovvero di appalto di fornitura di beni e di servizi,
 concluso dalla regione, da enti da essa dipendenti, dalle  uu.ss.ll.,
 ovvero  da  enti locali allorche' trattisi di esecuzione di lavori ed
 opere pubbliche di interesse regionale, dovrebbe essere  stipulato  a
 "prezzo  chiuso"  puro, cioe' obbligatorio e non piu' maggiorabile ai
 sensi dell'art. 33, comma quarto, della legge n.  41  del  1986,  ne'
 assoggettabile  a "revisione" secondo la normativa precedentemente in
 vigore.
    Tale   impugnata   disposizione   sarebbe   viziata    anche    da
 irragionevolezza,   provocando   una   lievitazione   dei  prezzi  di
 aggiudicazione nei pubblici appalti.
    In relazione al profilo dell'invasione delle  proprie  competenze,
 la regione cita la sentenza n. 245 del 1984, che avrebbe negato possa
 ravvisarsi  la tutela d'interessi nazionali in normative di dettaglio
 attinenti  alla  materia  contrattuale  delle   regioni,   le   quali
 altrimenti      subirebbero     un'ingerenza     nella     disciplina
 dell'amministrazione del proprio patrimonio, delle proprie risorse  e
 della propria contabilita'.
    2. - Quanto all'impugnativa dell'art. 12, terzo comma, della legge
 n.  92  del 1988, nel ricorso si osserva che esso dispone che "per la
 realizzazione delle opere di qualunque importo di cui al comma  primo
 si  applicano  le  norme del decreto legislativo 19 dicembre 1991, n.
 406 e della direttiva 90/531/Cee  del  Consiglio,  del  17  settembre
 1990,  e  successive norme di recepimento". Anche in relazione a tale
 normativa la regione lamenta la violazione degli artt. 117, 118 e 119
 della Costituzione, e  l'invasione  delle  proprie  competenze  nella
 materia  delle  "opere  e lavori pubblici d'interesse regionale", per
 effetto dell'art. 12,  terzo  comma,  che  dichiara  l'applicabilita'
 della   disciplina   del   decreto  legisl.  n.  406  del  1991  alla
 legislazione regionale.
    La regione lamenta,  altresi',  che  la  norma  impugnata  dispone
 l'applicabilita'  alle  opere  pubbliche  d'interesse regionale della
 direttiva Cee n. 90/531,  non  ancora  recepita  nell'ordinamento  e,
 quindi,  non  applicabile  per le opere statali in essa prevista, con
 ulteriore irragionevolezza della disciplina.
    3. - Quanto, infine, all'impugnativa  dell'art.  2,  comma  primo,
 lett.  d) della legge 23 dicembre 1992, n. 498, nel ricorso si espone
 che esso attribuisce al Governo una delega al fine di disciplinare  i
 vincoli  e  gli  oneri  ai quali e' sottoposta l'attivita' di cava in
 sede di rilascio  dell'autorizzazione  all'esercizio  dell'attivita',
 commisurando  l'onere  alla  quantita'  dei  materiali estratti, alla
 qualita' degli stessi, alle caratteristiche delle aree interessate  e
 fissando,  altresi', modalita' e condizioni per la conservazione e la
 manutenzione degli alvei fluviali e delle difese spondali.
    Secondo  la  regione,  in  tal  modo  verrebbero  attribuite  alla
 potesta'  legislativa del Governo, due materie - "cave e torbiere", e
 "acque e interne", la prima espressamente enunciata nell'articolo 117
 della Costituzione, e la  seconda  definita  dal  combinato  disposto
 degli  articoli  90  e  91  del  d.P.R.  24  luglio 1977, n. 616 - di
 competenza  regionale.  La  legge  delegata  dovrebbe   dettare,   in
 proposito,  una  disciplina  di  dettaglio,  in  contrasto  con detta
 competenza, risultando percio' viziata gia' la legge di delegazione.
    4. - Dinanzi a questa Corte si e'  costituito  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello
 Stato, chiedendo che tutte le questioni proposte siano dichiarate non
 fondate.
    Quanto  all'art.  15,  quinto  comma, nell'atto di costituzione si
 osserva che la normativa ivi dettata fa parte  delle  misure  urgenti
 adottate  per  il  contenimento  della  spesa ed il risanamento delle
 finanze  pubbliche,  rispondendo  "per  cio'  stesso  ad  un   palese
 interesse nazionale".
    Comunque,  anche  a voler ritenere la materia de qua di competenza
 regionale,  l'abrogazione  della  figura  del  contratto  "a   prezzo
 chiuso",  maggiorabile  in  misura predeterminata, disposta dall'art.
 15, quinto comma, della legge n. 498 del 1992,  secondo  l'Avvocatura
 dello  Stato  costituirebbe  normativa  di  principio,  come  tale di
 competenza dello Stato, ai sensi dell'art.  117  della  Costituzione,
 nonche'  dell'art.  119 sotto il profilo della riserva allo Stato del
 coordinamento tra attivita' finanziarie statali e regionali.
    Quanto  all'asserita  irragionevolezza della disciplina, in quanto
 suscettibile di far  lievitare  i  prezzi,  anziche'  di  contenerli,
 l'Avvocatura  dello  Stato la contesta, precisando che la ratio della
 norma, comunque, non e' da ricercarsi solo nel proposito di contenere
 i prezzi, ma anche di dare certezza ai medesimi e, quindi, ai bilanci
 degli enti interessati.
    Riguardo all'impugnazione dell'art. 12, terzo comma, nell'atto  di
 costituzione  si  osserva  che esso va riferito unicamente alle opere
 "di cui al comma primo", il quale prevede la costituzione di apposite
 societa' per azioni per la realizzazione,  da  parte  di  province  e
 comuni,  di  opere  necessarie  allo  svolgimento di servizi pubblici
 ovvero di infrastrutture ed altre opere  d'interesse  pubblico,  "che
 non  rientrino ai sensi della legislazione statale e regionale, nelle
 competenze istituzionali di altri enti". La norma, pertanto,  sarebbe
 estranea  "alla  sfera  di attribuzioni della regione ricorrente, che
 non ha  quindi  veste  od  interesse  per  sollecitare  il  richiesto
 sindacato di legittimita'".
    Quanto,  infine, alla disposizione dell'art. 2, comma primo, lett.
 d), della legge n. 498 del 1992 -  che  attribuisce  al  Governo  una
 delega  ritenuta  dalla ricorrente lesiva delle proprie competenze in
 materia di "cave e torbiere" e di disciplina delle "acque interne"  -
 l'Avvocatura  dello  Stato  deduce  che  le  norme di delegazione non
 possono  essere  ritenute  di  dettaglio,  essendo  esse  sempre   di
 principio.
                        Considerato in diritto
    1. - La Regione Lombardia ha impugnato in via principale gli artt.
 15,  comma  quinto,  12, comma terzo e 2, comma primo, lett. d) della
 legge 23 dicembre 1992, n. 498.
    In relazione a  tale  impugnazione  questa  Corte  e'  chiamata  a
 decidere:  a)  se  l'art.  15,  comma quinto, della legge 23 dicembre
 1992, n. 498 - a norma del quale "il comma  quarto  dell'articolo  33
 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, come modificato dall'articolo 3,
 comma  primo,  del  decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito,
 con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, e' abrogato"  -
 eliminando,   dalla   disciplina  dei  pubblici  appalti,  la  scelta
 facoltativa da parte della p.a. del sistema del "prezzo  chiuso"  con
 maggiorazione  predeterminata,  anche  con  riferimento  agli appalti
 delle regioni e degli enti da esse dipendenti, violi gli  artt.  117,
 118  e 119 della Costituzione, sotto il profilo della invasione della
 competenza spettante alle regioni  in  materia  di  disciplina  degli
 appalti, con riferimento alle "opere pubbliche d'interesse regionale"
 ed ai "lavori pubblici d'interesse regionale";
       b)  se  detto  art.  15,  comma quinto, della legge 23 dicembre
 1992, n. 498, violi il principio  di  ragionevolezza  in  quanto,  in
 contraddizione  con  la  sua  ratio,  provoca  l'aumento, anziche' la
 riduzione, della spesa pubblica;
       c) se l'art. 12, terzo comma, della legge 23 dicembre 1992,  n.
 498  -  rendendo  applicabili  per  la  realizzazione  delle opere di
 qualunque importo  di  cui  al  primo  comma  le  norme  del  decreto
 legislativo  19  dicembre  1991, n. 406, e della direttiva 90/531/Cee
 del Consiglio del 17 settembre 1990 e successive norme di recepimento
 - violi gli artt. 117, 118 e 119  della  Costituzione,  invadendo  la
 competenza   regionale   in  materia  di  "opere  e  lavori  pubblici
 d'interesse  regionale",  nonche'  il  principio  di  ragionevolezza,
 dettando in  materia  di  appalti  per  opere  pubbliche  d'interesse
 regionale  una  disciplina deteriore rispetto a quella vigente per le
 opere pubbliche di competenza dello Stato;
       d) se l'art. 2, comma primo, lett. d) della legge  23  dicembre
 1992,  n.  498  -  attribuendo  al Governo la delega a disciplinare i
 vincoli e gli oneri ai quali e' sottoposta  l'attivita'  di  cava  in
 sede  di  rilascio  dell'autorizzazione all'esercizio dell'attivita',
 commisurando l'onere alla  quantita'  dei  materiali  estratti,  alla
 qualita'  degli stessi, alle caratteristiche delle aree interessate e
 fissando, altresi', modalita' e condizioni per la conservazione e  la
 manutenzione  degli  alvei  fluviali e delle difese spondali, nonche'
 disciplinando l'eventuale utilizzazione del materiale di  risulta  in
 modo  che  i  proventi  entrino  a  far parte delle risorse di cui al
 secondo comma - violi gli artt. 117 della Costituzione, 90 e  91  del
 d.P.R.  24  luglio 1977, n. 616, invadendo le competenze regionali in
 materia  di  disciplina  delle  "cave  e  torbiere"  e  delle  "acque
 interne".
    2. - E' opportuno far iniziale riferimento alla questione relativa
 all'art.  15,  comma  quinto,  della  legge  n.  498  del 1992. E' da
 osservare al riguardo che l'art. 33,  comma  primo,  della  legge  28
 febbraio  1986,  n.  41 aveva stabilito che "per i lavori relativi ad
 opere pubbliche da appaltarsi, da concedersi  o  da  affidarsi  dalle
 amministrazioni  e  dalle  aziende dello Stato, anche con ordinamento
 autonomo, dagli enti locali o da altri enti pubblici,  aventi  durata
 inferiore  all'anno,  non  e'  ammessa  la facolta' di procedere alla
 revisione dei prezzi".
    In  correlazione  con  tale  esclusione,  il  comma  quarto  aveva
 introdotto,  per  le amministrazioni pubbliche anzidette, la facolta'
 di "ricorrere al prezzo chiuso, consistente nel prezzo del lavoro  al
 netto  del  ribasso  d'asta,  aumentato del cinque per cento per ogni
 anno intero previsto per l'ultimazione  dei  lavori".  Per  i  lavori
 aventi  durata  superiore  all'anno,  la  facolta'  di procedere alla
 revisione dei prezzi era ammessa (art. 33, comma terzo)  a  decorrere
 dal  secondo  anno successivo all'aggiudicazione e con esclusione dei
 lavori gia' eseguiti nel primo anno  e  dell'anticipazione  ricevuta,
 unicamente  ove  l'importo  fosse  aumentato  o  diminuito  in misura
 superiore al dieci per cento, per effetto di  variazioni  dei  prezzi
 correnti, intervenute dopo l'aggiudicazione.
    Successivamente,  l'art.  3 comma primo, del d.-l. 11 luglio 1992,
 n. 333, cosi' come convertito nella legge 8 agosto 1992, n.  359,  ha
 esteso  l'abolizione  della  facolta'  di richiedere la revisione dei
 prezzi nei contratti di appalto previsti dalla legge n. 41 del  1986,
 eliminando  ogni  eccezione a tale divieto e generalizzando parimenti
 la facolta' di procedere alla stipulazione  di  contratti  "a  prezzo
 chiuso",  secondo  le  modalita' previste dall'art. 33, quarto comma,
 della citata legge n. 41 del 1986.
    L'art. 15, comma quinto, della legge n. 498 del 1992, ha  abrogato
 il  "comma  quarto  dell'art. 33 della legge 28 febbraio 1986, n. 41,
 come modificato dall'art. 3, comma primo, del d.-l. 11  luglio  1992,
 n.  333,  conv. con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359",
 sancendo cosi' l'obbligarieta' del sistema dei  contratti  "a  prezzo
 chiuso",  che  si  puo'  definire  puro, cioe' non suscettibile delle
 maggiorazioni previste dal comma quarto dell'art. 33 della  legge  n.
 41 del 1986.
    Ne deriva che, essendo gia' intervenuta l'abolizione dell'istituto
 della  revisione  dei prezzi, ai sensi del citato art. 3 del d.-l. n.
 333 del 1992, cosi' come convertito nella  legge  n.  359  del  1992,
 negli  appalti  di  opere  pubbliche l'esecuzione deve svolgersi, con
 l'applicazione dell'ora detto "prezzo chiuso" puro.
    L'impugnativa regionale contesta il riferimento di detta normativa
 anche agli appalti delle regioni (e degli enti pubblici regionali) ed
 ha a  base  la  deduzione  fondamentale  del  suo  contrasto  con  le
 competenze  regionali  in materia di disciplina di appalti dei lavori
 pubblici e delle opere pubbliche d'interesse regionale.
    Al riguardo deve osservarsi  che  l'art.  117  della  Costituzione
 attribuisce  alla competenza legislativa regionale la viabilita', gli
 acquedotti e i lavori pubblici d'interesse regionale e che il  d.P.R.
 n.  616  del  1977  (art. 87) ha inteso tale materia come comprensiva
 delle opere pubbliche che si eseguono nel territorio di una  regione,
 nonche'  di taluni tipi di opere idrauliche (art. 89). A tale materia
 appartiene la normativa sostanziale e procedimentale concernente  gli
 appalti,  per  l'inscindibile  connessione  esistente  tra esecuzione
 dell'opera,   titolo    contrattuale    legittimante    e    gestione
 amministrativa della stessa.
    Essendo  la  competenza legislativa regionale di tipo concorrente,
 essa va esercitata "nei limiti dei  principi  fondamentali  stabiliti
 dalle   leggi   dello   Stato"  (art.  117  della  Costituzione).  Al
 legislatore statale compete,  pertanto,  stabilire  la  normativa  di
 principio anche in relazione agli appalti relativi ai lavori pubblici
 ed  alle  opere pubbliche d'interesse regionale, come si evince - tra
 l'altro - anche dall'art.  35 della legge 19 maggio 1976, n. 335,  il
 quale  statuisce  che i principi fondamentali in materia di contratti
 delle regioni siano fissati con apposita legge della Repubblica.
    E' sicuramente oggetto di tale normativa di  principio  il  regime
 giuridico   del  prezzo  d'aggiudicazione  nei  pubblici  appalti  in
 relazione anche alle  evenienze  sopravvenute  alla  conclusione  del
 contratto  e ai riflessi economici di esse, attenendo a scelte legis-
 lative di carattere necessariamente generali, implicanti  valutazioni
 politiche   e  riflessi  finanziari,  che  non  tollerano  discipline
 differenziate nel territorio. Rientra in tale normativa  il  precetto
 dell'art.  15,  comma quinto, della legge n. 498 del 1992 che ha reso
 obbligatorio, per tutti i pubblici appalti, il  sistema  del  "prezzo
 chiuso"  puro. Di conseguenza, la questione sollevata in relazione ad
 esso dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt.   117  e  118
 della Costituzione, va dichiarata non fondata.
    Del  pari  infondata e' tale questione in riferimento all'art. 119
 della Costituzione, non attenendo la  norma  impugnata  alla  finanza
 regionale,  alla quale si riferiscono i primi tre commi dell'art. 119
 e non potendo la gestione del patrimonio e del demanio regionale  (ai
 quali  si  riferisce  l'ultimo comma), esplicarsi in contrasto con le
 norme di principio della legislazione statale.  Inoltre,  secondo  la
 giurisprudenza  di  questa  Corte, la legislazione statale in materia
 finanziaria ha funzione prioritaria di inquadramento e  segna  limiti
 qualitativi  e  quantitativi all'autonomia regionale, anche a livello
 di normazione non di principio (indirizzo consolidato a partire dalla
 sent. 19 dicembre 1986, n. 271).
    La  censura  e' altresi' infondata in riferimento all'art. 3 della
 Costituzione, rientrando nella discrezionalita' legislativa la scelta
 delle modalita' per  il  contenimento  della  spesa  pubblica  e  non
 essendo  irragionevole  il  perseguimento  di  tale  finalita'  anche
 attraverso la previsione del sistema obbligatorio del "prezzo chiuso"
 puro nell'aggiudicazione dei pubblici appalti.
    3. - Non fondata e' anche la questione relativa all'art. 12, terzo
 comma, della legge  n.  498  del  1992,  secondo  il  quale  "per  la
 realizzazione delle opere di qualunque importo di cui al comma primo,
 si  applicano  le  norme del decreto legislativo 19 dicembre 1991, n.
 406, e della direttiva 90/531/Cee del  Consiglio,  del  17  settembre
 1990, e successive norme di recepimento".
    La Regione Lombardia lamenta in proposito la lesione delle proprie
 competenze  nella materia delle "opere e lavori pubblici di interesse
 regionale", dato che la norma impugnata  stabilisce  l'applicabilita'
 della disciplina del d.legisl. n. 406 nell'anzidetta materia. Sarebbe
 violato,   altresi',   il   principio   di   ragionevolezza,   mentre
 l'Avvocatura generale dello Stato rileva che  la  norma  non  sarebbe
 lesiva della sfera delle attribuzioni regionali.
    Osserva  la  Corte  che  il  contenuto  precettivo  della norma e'
 testualmente circoscritto alla "realizzazione delle opere di  cui  al
 comma  primo",  che non concerne materia di interesse regionale. Tali
 opere sono affidate ad apposite societa'  per  azioni  costituite  da
 province e comuni; sono necessarie al corretto svolgimento di servizi
 pubblici;  si  concretano  in  infrastrutture  e  in  vari interventi
 d'interesse pubblico  "che  non  rientrino  ai  sensi  della  vigente
 legislazione  statale  e  regionale  nelle  competenze di altri enti"
 (diversi, cioe' dalla province e dai comuni).
    Nello stabilire la sfera di operativita' del  detto  d.legisl.  n.
 406  il  n. 3 dell'art. 12 in esame fa riferimento alle opere "di cui
 al comma 1". Come si e' gia' notato, tali  opere  sono  di  esclusiva
 pertinenza  comunale  e  provinciale.  Il successivo n. 4 riferisce e
 circoscrive la sua sfera di operativita' a "gli interventi di cui  al
 presente  articolo",  e  cioe' alle ora dette opere interessanti enti
 locali diversi dalla regione.  Inoltre,  nella  determinazione  delle
 tariffe relative ai servizi, ai quali le opere si riferiscono, non e'
 in  alcun  modo coinvolto l'elemento dell'appartenenza di queste, ne'
 e' posta alcuna modifica circa i soggetti pubblici interessati.
    Pertanto la lesione di attribuzioni regionali non  sussiste  sotto
 alcun profilo.
    4.  -  Fondata e', invece, la questione relativa all'art. 2, primo
 comma, lett. d) della legge  n.  498  del  1992.  Va  preliminarmente
 respinta  l'eccezione dell'Avvocatura generale dello Stato secondo la
 quale, ponendo la legislazione  di  delega  norme  di  principio,  la
 lesione  delle competenze regionali si attua soltanto a seguito della
 emanazione della norma delegata.
    Ha rilevato la Corte (sent. n. 224 del  1990),  che  le  leggi  di
 delega  non  sono  caratterizzate  da elementi differenziali rispetto
 alle altre leggi, che le rendano non impugnabili  dalle  regioni,  ex
 se,   in   via   principale,   mentre   ai   fini  della  sussistenza
 dell'interesse ad agire, e' rilevante il  particolare  contenuto  dei
 principi  e dei criteri direttivi da esse posti, quanto al loro grado
 di determinatezza e di incidenza.
    Nel  caso  concreto  tale  interesse  sussiste,  essendo  la norma
 impugnata caratterizzata da  contenuti  specifici,  ben  definiti  ed
 idonei   a  ledere  attribuzioni  costituzionalmente  garantite  alle
 regioni.
    Invero, il citato art. 2, nella parte impugnata, prevede che,  "ai
 fini della ottimale e razionale utilizzazione delle risorse naturali,
 anche  per conseguire obiettivi di risparmio e di uso qualificato dei
 beni naturali da  parte  del  sistema  produttivo  e  dei  cittadini,
 nonche'  per realizzare il principio che chiunque arrechi pregiudizio
 all'ambiente e'  tenuto  a  ripristinare  la  situazione  precedente,
 nonche'  a  corrispondere  un  indennizzo  adeguato",  il  Governo e'
 delegato ad adottare uno o piu'  decreti  legislativi.  Tali  decreti
 sono  intesi  a  disciplinare, tra l'altro, "i vincoli e gli oneri ai
 quali  e'  sottoposta  l'attivita'  di  cava  in  sede  di   rilascio
 dell'autorizzazione    all'esercizio   dell'attivita',   commisurando
 l'onere alla quantita' dei materiali estratti,  alla  qualita'  degli
 stessi,  alle  caratteristiche  delle  aree  interessate  e fissando,
 altresi',  modalita'  e  condizioni  per  la   conservazione   e   la
 manutenzione  degli  alvei  fluviali e delle difese spondali, nonche'
 disciplinando l'eventuale utilizzazione del materiale di  risulta  in
 modo che i proventi entrino a far parte delle risorse di cui al comma
 secondo".
    La  materia  delle "cave e torbiere" e' fra quelle attribuite alla
 potesta' legislativa regionale dall'art. 117 della Costituzione e  le
 correlative funzioni amministrative sono state interamente trasferite
 alle  regioni  a statuto ordinario, dapprima con il d.P.R. 14 gennaio
 1972, n. 2 e poi con l'art. 62 del d.P.R.  24  luglio  1977,  n.  616
 (cfr.  da  ultimo  le  sentenze  n. 148 del 1993; n. 499 e n. 221 del
 1988). Il  legislatore  statale,  pertanto,  in  tale  materia,  puo'
 emanare  solo  norme di principio. La delega contenuta nell'impugnato
 art. 2, lett. d) della legge n. 498  del  1992,  invece,  demanda  al
 Governo  di  determinare vincoli e oneri ai quali l'attivita' di cava
 deve essere sottoposta,  specificandone  il  contenuto  e  stabilendo
 dettagliatamente  gli  elementi  ai  quali deve essere commisurato il
 canone  per  l'autorizzazione,  nonche'  la  specifica   e   completa
 destinazione  di esso. In tal modo, la norma impugnata attribuisce al
 decreto delegato il potere di stabilire norme di  dettaglio  -  e  in
 parte   le   fissa  essa  stessa  -  ledendo  attribuzioni  regionali
 costituzionalmente garantite.