ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma  10,
 del   d.l.  13  settembre  1991,  n.  299  (Disposizioni  concernenti
 l'applicazione nell'anno 1991 dell'imposta  comunale  sull'incremento
 di  valore  degli  immobili  di  cui  all'articolo  3 del decreto del
 Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972,  n.  643,  i  versamenti
 dovuti  a  seguito  delle  dichiarazioni  sostitutive  in aumento del
 reddito dei fabbricati e  l'accertamento  di  tali  redditi,  nonche'
 altre  disposizioni  tributarie  urgenti),  convertito  in  legge  18
 novembre 1991, n. 363, promosso con ordinanza emessa il  17  novembre
 1992  dal  Pretore  di  Piacenza nel procedimento civile vertente tra
 Faimali Pierino e Ceccarelli Guido, iscritta al n.  61  del  registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti  l'atto di costituzione di Faimali Pierino nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 1993 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Uditi l'avv. Valerio Onida per Faimali Pierino e l'Avvocato  dello
 Stato Mario Imponente per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un  procedimento civile promosso da Pierino
 Faimali contro Guido Ceccarelli per  ottenere  la  rivalutazione  del
 canone  di  locazione  di  un immobile adibito ad uso abitativo sulla
 base delle nuove rendite catastali in vigore dal 1› gennaio 1992,  il
 Pretore   di  Piacenza,  con  ordinanza  del  17  novembre  1992,  ha
 sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 42  Costituzione,  questione
 di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1, comma 10, del d.l. 13
 settembre 1991, n. 299, convertito in legge 18 novembre 1991, n. 363,
 che ha abrogato l'ultimo comma dell'art. 12  della  legge  27  luglio
 1978,  n.  392.  La  norma  abrogata  stabiliva  che  le modalita' di
 determinazione dell'equo canone  degli  immobili  locati  ad  uso  di
 abitazione  "si  applicano  fino  all'attuazione  della  riforma  del
 catasto edilizio urbano".
    Quanto al requisito  di  rilevanza  della  questione,  il  giudice
 remittente ritiene che una sentenza di accoglimento comporterebbe che
 "tutte  le  norme  di  determinazione  del  canone  legale dovrebbero
 considerarsi decadute, in particolare quelle che stabiliscono il c.d.
 valore locativo", con conseguente  "accoglimento  della  domanda  del
 ricorrente".
    Nel  merito  osserva,  in  primo  luogo, che la norma impugnata ha
 prodotto, in connessione con i nuovi estimi catastali introdotti  dai
 decreti  ministeriali 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, "un doppio
 regime di valorizzazione degli immobili, secondo  il  quale  ai  fini
 fiscali la stima di base risulta assai piu' elevata di quanto non sia
 ai   fini   locativi,   e  quindi  della  effettiva  rendita  che  il
 proprietario ricava dall'immobile". La rottura della  correlazione  -
 fissata  dalla  norma  abrogata - tra i criteri di determinazione del
 canone locatizio e gli estimi catastali vigenti nel 1978 ha tolto  al
 regime dell'equo canone il carattere di temporaneita' che solo poteva
 giustificare  il  limite inflitto al diritto di proprieta', garantito
 dall'art. 42 Costituzione, sacrificando "il diritto  del  locatore  a
 una rendita adeguata".
    Sarebbe  violato  anche  l'art.  3  Costituzione  in ragione della
 disparita'  di  trattamento  insorta  tra  proprietari  e   locatari,
 considerato  che  il  maggiore carico tributario imposto ai primi per
 l'acquisto dell'immobile  non  trova  corrispondenza  per  i  secondi
 nell'applicazione  dei  medesimi  estimi catastali maggiorati ai fini
 della determinazione del canone di locazione.
    Non varrebbe in  contrario  rilevare  la  recente  previsione  dei
 "patti  in  deroga",  l'art.  11 del d.l. n. 333 del 1992 essendo una
 disciplina eccezionale ed eventuale, condizionata  al  raggiungimento
 di un accordo delle parti.
    2. - Nel giudizio davanti alla Corte si e' costituito il locatore,
 chiedendo  la  dichiarazione  di  illegittimita' costituzionale della
 norma denunciata.
    In relazione all'art. 3 Costituzione, la parte privata precisa che
 lo squilibrio arbitrariamente  creato  nel  sistema  dall'abrogazione
 dell'art.  12, ultimo comma, della legge sull'equo canone offende non
 tanto  il  principio  di  eguaglianza,   quanto   il   principio   di
 ragionevolezza.  In  relazione  all'art. 42 Costituzione, ricorda che
 nella giurisprudenza di questa Corte e' ricorrente la  considerazione
 del  carattere  di  temporaneita',  collegato  alla  disciplina degli
 estimi  catastali,  come  criterio  di  giustificazione  della  legge
 sull'equo canone. La norma impugnata, sopprimendo il termine previsto
 dall'art. 12, ultimo comma, della legge sull'equo canone, da un lato,
 sotto il profilo sostanziale, ha spezzato l'equilibrio tra vantaggi e
 oneri   in   capo  al  proprietario,  dall'altro,  sotto  il  profilo
 temporale,  ha  fatto  venir  meno  il  carattere  di   temporaneita'
 dell'artificiosa  compressione  della  redditivita'  degli  immobili,
 conseguente all'applicazione dei criteri dell'equo canone.
    3. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
 sia dichiarata non fondata.
    L'interveniente  obietta  che  per  dimostrare la violazione della
 garanzia costituzionale del diritto di proprieta' non basta affermare
 che la legge  impugnata  impone  un  sacrificio  ai  proprietari,  ma
 occorre  che  tale  sacrificio  non  sia giustificato da una funzione
 sociale o sia sproporzionato.  Nella  specie  il  legislatore  si  e'
 proposto,  da  un  lato,  di aggiornare le rendite catastali, rimaste
 ferme da  decenni,  e  dall'altro  di  evitare  che  gli  effetti  si
 ripercuotessero  solo  ed esclusivamente sulla massa degli inquilini,
 meritevoli di tutela sociale.
    Quanto all'art. 3  Costituzione,  l'Avvocatura  rileva  la  scarsa
 perspicuita'  della  pretesa discriminazione "tra coloro che occupano
 abitazioni di proprieta' e inquilini", trattandosi in  ogni  caso  di
 categorie affatto diverse.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Pretore  di  Piacenza ha sollevato, in riferimento agli
 artt. 3 e 42 Costituzione, questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  1,  comma  10,  del  d.l.  13  settembre  1991,  n.   299,
 convertito nella legge 18 novembre 1991, n. 363. La  norma  impugnata
 ha  abrogato  l'ultimo comma dell'art. 12 della legge 27 luglio 1978,
 n.  392,   che   limitava   l'applicabilita'   delle   modalita'   di
 determinazione  dell'equo  canone  degli  immobili  locati  ad uso di
 abitazione, previste nei commi precedenti, "fino all'attuazione della
 riforma del catasto edilizio urbano".
    2. - La questione e' inammissibile per difetto di rilevanza.
    La rilevanza e' affermata dal giudice remittente con  la  seguente
 motivazione:  "e'  evidente  che  ove  sussistesse  ancora  il  comma
 abrogato dell'art. 12, in  ragione  della  radicale  revisione  delle
 rendite  catastali  operata  a  far  tempo  dal  1› gennaio 1991, con
 evidente aggiornamento delle stesse mediante adeguamento, e  a  volte
 superamento,  del  valore  di  mercato,  che  non  puo'  considerarsi
 revisione a tutti gli effetti, tutte le norme di  determinazione  del
 canone legale dovrebbero considerarsi decadute, in particolare quelle
 che   stabiliscono   il   c.d.   valore  locativo.  Ne  conseguirebbe
 l'accoglimento della domanda del ricorrente".
   Si  potrebbe  osservare  anzitutto  che,  ove  tutte  le  norme  di
 determinazione  del  canone legale dovessero considerarsi decadute, e
 dunque anche il secondo comma dell'art. 12 della  legge  n.  392  del
 1978,  non  si  vede  come  la domanda del ricorrente potrebbe essere
 accolta nei termini del petitum formulato nel ricorso, il quale  mira
 a ottenere il ricalcolo del canone di locazione "ai sensi degli artt.
 12  e  13  della legge n. 392 del 1978, applicando la percentuale del
 3,85, non gia' sul  valore  locativo,  ottenuto  dal  prodotto  della
 superficie  convenzionale per il costo unitario di produzione, bensi'
 sulla rendita catastale moltiplicata per 100".
    A parte questo primo rilievo, la protasi della motivazione  teste'
 riferita  implica  due  premesse  lasciate  dall'ordinanza  del tutto
 carenti  di  fondamento  argomentativo,   e   precisamente:   a)   la
 dichiarazione  di illegittimita' costituzionale della norma impugnata
 comporterebbe la reviviscenza della norma abrogata; b)  la  revisione
 "radicale"  delle rendite catastali, operata dai decreti ministeriali
 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, attua  la  riforma  del  catasto
 edilizio  urbano  e  quindi, se rivivesse l'ultimo comma dell'art. 12
 della legge sull'equo canone, determinerebbe  la  sopravvenienza  del
 termine finale di efficacia di tale disciplina, ivi previsto.
    Impregiudicata la premessa sub a), che non e' pacifica nemmeno nel
 caso  in  cui  la  norma  per  ipotesi  colpita  da  una  sentenza di
 illegittimita'  costituzionale  e'  esclusivamente  ed  espressamente
 abrogatrice,  la  seconda  premessa  era insostenibile gia' all'epoca
 dell'ordinanza di rimessione, considerato che il decreto del Ministro
 delle finanze 20 gennaio 1990 non  prevede  un'operazione  essenziale
 perche'  si  possa  parlare  di  riforma del catasto edilizio urbano,
 cioe' la revisione del classamento degli immobili (cfr.  art.  9  del
 d.P.R.   29   settembre  1973,  n.  604).  Essa  e'  ora  chiaramente
 contraddetta dall'art. 2, comma 1, del d.l. 23 gennaio 1993,  n.  16,
 convertito  nella  legge  24  marzo  1993,  n.  75,  che  attribuisce
 carattere provvisorio, fissando limiti temporali  di  applicabilita',
 alle   tariffe   e   alle  rendite  determinate  dai  citati  decreti
 ministeriali,  in  attesa  della  "revisione  generale   delle   zone
 censuarie,   delle  tariffe  d'estimo,  delle  rendite  delle  unita'
 immobiliari urbane e dei criteri di classamento".
    L'infondatezza della premessa sub b) esclude  la  rilevanza  della
 sollevata questione, che pertanto va dichiarata inammissibile.