IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA A scioglimento della riserva espressa nell'udienza svoltasi il 16 marzo 1993 con l'intervento del sostituto procuratore generale della Repubblica dott. Rosario Colonna emette la seguente ordinanza (artt. 666, 667 e segg. del c.p.p.), decidendo sui reclami art. 41- bis proposti dai seguenti detenuti: Donatiello Giovanni, nato a Mesagne il 18 febbraio 1961; Stranieri Vincenzo, nato a Manduria il 6 settembre 1960; Locorotondo Filippo, nato a Manduria l'8 dicembre 1957; detenuti nella casa circondariale di Brindisi. F A T T O Con tre atti distinti, ma di contenuto identico, Donatiello Giovanni, Locorotondo Filippo e Stranieri Vincenzo, tutti detenuti nella casa circondariale di Brindisi, hanno proposto reclamo contro il provvedimento dell'amministrazione penitenziaria con il quale sono stati sottoposti al regime speciale previsto dall'art. 41-bis, secondo comma, dell'ordinamento penitenziario, come integrato dall'art. 19 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356. I reclamanti lamentano che le restrizioni imposte alle normali regole di trattamento non sono giustificate da "gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica" ne' in concreto vi e' contrasto tra le esigenze di ordine e sicurezza e i diritti penitenziari che sono stati limitati. Mettono in evidenza il contrasto del provvedimento con le finalita' rieducative della pena e la inutile afflittivita' di alcune limitazioni, come per esempio quelle relative ai colloqui, che danneggiano anche i familiari. Chiedono percio' che il tribunale voglia revocare o modificare il provvedimento restrittivo "esaminando, se del caso, le questioni di illegittimita' costituzionale". Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, avuta notizia della fissazione della udienza in camera di consiglio, ha fatto pervenire un fono riservato nel quale definisce "infondata" la richiesta di traduzione dei detenuti, per consentire loro di partecipare all'udienza, ed eccepisce il difetto assoluto di giurisdizione del tribunale di sorveglianza, trattandosi di materia riservata alla competenza esclusiva del tribunale amministrativo regionale, secondo i principi generali che regolano la giustizia amministrativa. I tre procedimenti di sorveglianza sono connessi tra di loro perche' richiedono la soluzione di questioni identiche. Essi percio' vengono riuniti e decisi con unica ordinanza. D I R I T T O Si osserva anzitutto che l'art. 41- bis del vigente ordinamento penitenziario non prevede alcuna forma di reclamo o di impugnazione contro il provvedimento adottato dall'amministrazione penitenziaria (Ministro di grazia e giustizia e, per delega, direttore dell'istituto penitenziario), la cui decisione percio' sembra sottratta ad ogni controllo sia in ordine alla opportunita' di limitare, nei confronti del singolo detenuto, il normale trattamento penitenziario, sia in ordine alla individuazione in concreto delle limitazioni necessarie per tutelare le esigenze di ordine e sicurezza. La volonta' del legislatore, nel senso di non prevedere alcuna forma di tutela giurisdizionale a favore del detenuto, risulta chiara ove si consideri che in altri casi, come per i permessi o per la sorveglianza particolare, la legge non solo prevede il reclamo, ma individua anche l'organo competente ad esaminarlo, disciplinando in dettaglio la procedura da seguire. Invece la mancata previsione di un mezzo di reclamo o di impugnazione contro il provvedimento adottato a sensi del secondo comma dell'art. 4- bis assume il preciso significato di negazione di qualsiasi forma di controllo da parte della magistratura di sorveglianza o di altra autorita' giudiziaria. Con la norma in questione il legislatore ha voluto ripristinare, ripetendo anche il generico richiamo ai "motivi di ordine e sicurezza", il regime discrezionale di differenziazione tra detenuti, gia' largamente usato in applicazione dall'originario art. 90 dell'ordinamento penitenziario, poi soppresso con la riforma Gozzini (art. 10 legge 10 ottobre 1966, n. 663) che ha introdotto l'art. 41- bis (ora primo comma) limitato alle istituzioni di emergenza. Anche l'art. 90 non prevedeva alcuna forma di reclamo e la norma era stata gia' sospettata di illegittimita' costituzionale. Da questa premessa consegue che, allo stato della legislazione, ne' questo tribunale ne' altro organo giudiziario ha competenza ad esaminare il reclamo proposto dai detenuti. Da questo punto di vista, percio', l'eccezione di difetto assoluto di giurisdizione, sollevata dalla amministrazione penitenziaria, risulta fondata. Questo tribunale non puo' quindi esaminare nel merito il reclamo, anche se non puo' fare a meno di rilevare che la sospensione delle regole di trattamento, imposta con il provvedimento in questione, appare ispirata dalla intenzione di graduare la afflittivita' della pena, in relazione alla gravita' del reato commesso, piuttosto che da una concreta esigenza di tutela dell'ordine e della sicurezza. Ma proprio la mancata previsione del controllo da parte dell'autorita' giudiziaria rende evidente il contrasto della norma con i principi costituzionali che tutelano la liberta' personale e che sono espressi negli artt. 13 e 111 della Costituzione. Il concetto di liberta' personale e' ormai interpretato nel senso di comprendere in esso tutte le azioni e capacita' della persona umana che sono definite nei precedenti artt. 2 e 3 della Costituzione. Pertanto la "restrizione della liberta' personale", di cui l'art. 13, non e' limitata alla sola privazione totale della liberta', ma comprende anche tutte le limitazioni che restringono, anche parzialmente, la liberta' della persona. Anche un soggetto gia' privato della liberta' personale, come e' il detenuto, ha diritto a non subire ulteriori restrizioni senza un provvedimento della autorita' giudiziaria. Questa interpretazione, gia' introdotta con le prime sentenze n. 2 del 23 giugno 1956 e n. 11 del 3 luglio 1956 in tema di restrizioni imposte per motivi di pubblica sicurezza, e' stata poi meglio precisata nella successiva giurisprudenza della Corte costituzionale. Non c'e' dubbio, percio', che la sospensione del normale trattamento penitenziario e la imposizione di limitazioni nei rapporti umani e sociali all'interno e all'esterno del carcere, costituiscono una restrizione della liberta' personale. Ne consegue che tale restrizione puo' essere soltanto "per atto motivato dell'autorita' giudiziaria". Tale formula, come e' noto, contiene una riserva di giurisdizione che viene soddisfatta non solo quando l'autorita' giudiziaria e' direttamente competente ad imporre la restrizione, ma anche quando all'atto, eventualmente amministrativo, che impone la restrizione, e' ammesso il controllo della autorita' giudiziaria. Controllo che si conclude con l'esame finale da parte della Corte di cassazione, a sensi dell'art. 111 della Costituzione. La riserva di giurisdizione alla autorita' giudiziaria ordinaria esclude la normale competenza dei tribunali amministrativi, in sede di impugnazione dell'atto amministrativo che restringe la liberta' personale, come questi hanno costantemente affermato (si veda, per tutti, la sentenza 13 settembre 1984, n. 771, del t.a.r. del Lazio, sezione prima, pubblicata in Foro It., 1986, III, 87 segg.). Questo tribunale deve percio' riconoscere non manifestamente infondata la eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata dai detenuti reclamanti. E' appena il caso di rilevare che la eccezione e' rilevante nel procedimento in corso perche' la mancata previsione di un mezzo di impugnazione impedisce a questo tribunale, ed a qualsiasi altro giudice, di esaminare nel merito i reclami o di indicare il giudice competente.