ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 148 e 151 del
 codice  penale  militare  di  pace  e dell'art. 8, terzo comma, della
 legge  15  dicembre  1972,  n.  772  (Norme  per  il   riconoscimento
 dell'obiezione  di  coscienza),  promosso  con ordinanza emessa il 22
 luglio 1992 dal Giudice dell'udienza preliminare presso il  Tribunale
 militare di Roma nel procedimento penale a carico di Cospito Alfredo,
 iscritta  al  n.  507  del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  40,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1992;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 27 gennaio 1993 il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
                           Ritenuto in fatto
    1. -  Con  ordinanza  regolarmente  notificata  e  pubblicata,  il
 giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale militare di Roma
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento
 agli  artt.  2,  3, 13, 25, 27, terzo comma, e 52 della Costituzione,
 nei confronti degli artt. 148 e 151 del  codice  penale  militare  di
 pace e dell'art. 8, terzo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772
 (Norme  per  il  riconoscimento  dell'obiezione  di coscienza), nella
 parte in cui non prevedono che siano esonerati dal servizio  militare
 coloro  che,  avendo  dichiarato  di rifiutare incondizionatamente il
 servizio militare per motivi diversi da quelli indicati  dall'art.  1
 della legge n. 772 del 1972 o senza aver addotto motivo alcuno, siano
 stati  condannati  per  l'omessa prestazione del servizio militare ad
 una pena complessivamente non inferiore ad un anno di reclusione.
    Il giudice a quo - dopo aver ricordato di essere  stato  investito
 della  richiesta  del  pubblico ministero di emissione del decreto di
 rinvio a giudizio per il reato di diserzione (art. 148 c.p.m.p.)  nei
 confronti di Alfredo Cospito, un militare ex detenuto, condannato per
 diserzione  aggravata e ammesso al differimento dell'esecuzione della
 pena, che non si era ripresentato alle  armi  alla  scadenza  di  una
 licenza  di  convalescenza  e  a  tutt'oggi  in  arbitraria assenza -
 osserva  che  l'esame  degli   indicati   profili   di   legittimita'
 costituzionale  non puo' prescindere da una descrizione della vicenda
 giudiziaria accaduta  all'imputato  in  conseguenza  della  pervicace
 inosservanza,   da  parte  dello  stesso,  dell'obbligo  di  prestare
 servizio militare.
    Chiamato  alle  armi  e dichiaratosi "obiettore totale" per motivi
 non riconducibili all'art. 1 della  legge  n.  772  del  1972  (dalla
 lettura del fascicolo risulta che l'imputato ha dichiarato al giudice
 di  essere  anarchico  e,  pertanto,  ha  sostenuto  di  non sentirsi
 vincolato in coscienza dal dovere di prestare il servizio militare  o
 altro  servizio alternativo), Alfredo Cospito e' stato condannato una
 prima volta  per  il  reato  di  mancanza  alla  chiamata  (art.  151
 c.p.m.p.)  ad  un  anno  di reclusione. Scontata soltanto in parte la
 pena a seguito del sopravvenire di un'amnistia,  lo  stesso  Cospito,
 nei  cui  confronti  non  era  venuto  meno  l'obbligo  del  servizio
 militare, il 16 aprile 1991 e' stato condannato di nuovo alla pena di
 un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione militare per il reato
 di  diserzione  aggravata.  Dallo   stesso   giorno   dell'esecuzione
 dell'ordine  di carcerazione (27 agosto 1991) il detenuto ha iniziato
 uno "sciopero della fame" ad oltranza per protestare contro la  nuova
 condanna,  a  seguito  del  quale,  quando  la  situazione organica e
 psichica del detenuto era divenuta di estremo disagio, il  padre  del
 detenuto  si  e'  determinato  a  presentare  domanda  di  grazia  al
 Presidente della Repubblica (27 settembre 1991).
    Tre giorni dopo, il Tribunale militare di sorveglianza ha disposto
 il differimento dell'esecuzione della pena in attesa della domanda di
 grazia, osservando,  nella  motivazione  del  relativo  decreto,  che
 l'immutata   volonta'   del  condannato  di  sottrarsi  totalmente  e
 definitivamente    all'obbligo    del     servizio     militare     e
 l'inapplicabilita'  nei suoi confronti dell'art. 8 della legge n. 772
 del 1972 hanno  comportato  l'insorgere  della  c.d.  "spirale  delle
 condanne",  che  costituisce  senza  dubbio  un'anomalia  del sistema
 penale.  Su  tale  base   lo   stesso   Tribunale,   pur   giudicando
 inaccettabili    le   forme   di   protesta   intraprese,   auspicava
 l'accoglimento  della  domanda  di  grazia  come  via  obbligata  per
 risolvere  un  caso  giudiziario  che  presentava  i caratteri di una
 vistosa ingiustizia e poneva a nudo una carenza della legislazione in
 vigore. Il  27  dicembre  1991  il  Presidente  della  Repubblica  ha
 concesso  ad  Alfredo Cospito la grazia, condonando la pena detentiva
 ancora da espiare. Tuttavia, con riferimento  al  periodo  decorrente
 dalla data della condanna per il reato di diserzione (16 aprile 1991)
 al  giorno  in  cui  e'  stato tratto in arresto (27 agosto 1991), lo
 stesso obiettore e' stato  nuovamente  imputato  di  diserzione.  Con
 riguardo  a  tale  nuova  imputazione,  il  giudice  per  le indagini
 preliminari del Tribunale militare di Roma, in data 15  giugno  1992,
 ha  emesso  sentenza di non luogo a procedere. Nondimeno, il pubblico
 ministero, perdurando ancora l'assenza arbitraria di Alfredo  Cospito
 dalla  data  di  scadenza  della  licenza di convalescenza (2 gennaio
 1992) concessa dopo il differimento dell'esecuzione della pena ad op-
 era del Tribunale militare di sorveglianza, ha  chiesto  allo  stesso
 giudice  il  rinvio a giudizio per il reato di diserzione, in base al
 quale si e' instaurato il processo a quo.
    Alla luce dei precedenti giudiziari esposti e tenuto presente  che
 sussistono  tutti  i  requisiti  per  la  configurazione del reato di
 diserzione contestato, il giudice rimettente osserva  che,  dovendosi
 escludere  la  continuazione  per le ripetute condotte di assenza dal
 servizio militare, l'imputato dovrebbe essere sottoposto a successive
 e sempre piu' rigorose condanne fino al momento del congedo assoluto,
 e   cioe'   fino   al   raggiungimento  da  parte  dell'imputato  del
 quarantacinquesimo anno  di  eta'.  Secondo  il  giudice  a  quo,  la
 normativa  che  consente  di  sottoporre a un numero indeterminato di
 procedimenti  penali   e   a   conseguenti   condanne   chi   rifiuti
 incondizionatamente  di  svolgere  il  servizio  militare  per motivi
 diversi da quelli riconosciuti all'art. 1 della legge n. 772 del 1972
 o senza addurre alcun motivo appare  inconciliabile  con  i  principi
 costituzionali.
    2.  -  In  primo luogo, precisa il giudice a quo, l'ipotesi di una
 spietata successione di condanne  per  una  condotta  ontologicamente
 unitaria di rifiuto assoluto e incondizionato di svolgere il servizio
 militare  appare  in  contrasto con il principio costituzionale della
 tutela della coscienza individuale, il quale costituisce esplicazione
 della protezione dei diritti inviolabili assicurata dall'art. 2 della
 Costituzione. Per il giudice rimettente, l'effetto  vessatorio  della
 c.d.  spirale delle condanne - che ha indotto il legislatore a varare
 la legge di tutela dell'obiezione di  coscienza  e  a  prevedere,  in
 particolare,  l'esonero  dal  servizio  militare a pena espiata - non
 viene meno nel caso in cui gli obiettori abbiano mancato di "addurre"
 i motivi indicati nell'art. 1 della legge n. 772 del 1972  o  abbiano
 rifiutato il servizio militare per altri motivi o, addirittura, senza
 alcun motivo.
    Dopo  aver  ricordato  che  nella sentenza n. 467 del 1991, con la
 quale e' stato dichiarato  parzialmente  incostituzionale  l'art.  8,
 terzo  comma,  della  legge  n.  772 del 1972 (nella parte in cui non
 prevede  che  siano  esonerati  dal  servizio  militare,  a   seguito
 dell'espiazione  della  pena,  i  soggetti  che rifiutano il servizio
 militare  di  leva,  dopo  averlo  assunto,  per  i  motivi  indicati
 dall'art.  1  della legge n. 772 del 1972), questa Corte ha affermato
 che la coscienza individuale "gode di una  protezione  costituzionale
 commisurata  alla  necessita'  che quella liberta' e quei diritti non
 risultino irragionevolmente  compressi  nelle  loro  possibilita'  di
 manifestazione  e di svolgimento a causa di preclusioni o impedimenti
 ingiustificatamente posti alle potenzialita' di determinazione  della
 coscienza medesima", il giudice a quo sottolinea che nel caso di spe-
 cie la condotta dell'imputato, peraltro precedente all'assunzione del
 servizio   militare,   non  e'  stata  compiuta  per  motivi  che  il
 legislatore riconosce come meritevoli di particolare  considerazione.
 Ma  cio'  non  potrebbe  comunque  portare,  secondo lo stesso organo
 rimettente, ad irrogare a un soggetto che rifiuti irriducibilmente di
 svolgere il servizio militare quella "serie di condanne penali  cosi'
 lunga  e  pesante  da  poterne distruggere la sua intima personalita'
 umana e la speranza di una vita normale" (sent. n. 467 del 1991).
    La liberta' morale dell'individuo sarebbe, infatti,  annullata  da
 una  pena  che,  pur  se  deve  sussistere  ed  essere  indubbiamente
 commisurata alla gravita' del fatto, non dovrebbe comunque risolversi
 in uno stillicidio di condanne in grado di impedire  a  una  persona,
 fino  al  quarantacinquesimo  anno  di  eta', di esplicare la propria
 personalita' mediante il lavoro e le relazioni sociali. Sotto  questo
 profilo  -  tenuto  conto  che  cio'  che caratterizza l'obiettore di
 coscienza non e' la  condotta  posta  in  essere,  ma  i  motivi  che
 presiedono   a   tale   condotta   -  non  si  comprende  perche'  la
 deliberazione di coscienza volta a rifiutare per sempre  il  servizio
 militare  non  possa  essere  giustificata  come  causa legittima per
 evitare  la "spirale delle condanne" quando sia dettata da motivi non
 di natura religiosa o filosofica o morale (come nel caso  di  specie,
 ove  l'obiezione era dettata da motivi politici). Del resto, continua
 il giudice a quo, anche l'eventuale riconoscimento del vincolo  della
 continuazione  tra  le condotte successivamente sottoposte a processo
 potrebbe   attenuare,   ma   non   annullare,   le   conseguenze   di
 quell'inaccettabile meccanismo di condanne a catena.
    3.  -  Secondo  il  giudice rimettente, la sottoponibilita' di una
 persona, che rifiuti di svolgere  il  servizio  militare  per  motivi
 diversi  da  quelli previsti dalla legge sull'obiezione di coscienza,
 ad una serie  indeterminata  di  condanne  contrasterebbe  anche  con
 l'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
    La  pena,  infatti,  diviene  un trattamento contrario al senso di
 umanita' nel momento in  cui  tende  alla  coartazione  morale  della
 persona.  Ne',  continua  lo  stesso  giudice,  puo' essere ravvisata
 alcuna finalita' rieducativa in una sorta di "sfida" o di  "prova  di
 forza"  tra  la  volonta'  dello  Stato  e quella dell'individuo, che
 dovrebbe portare a "piegare" quest'ultima volonta' solo  dopo  averne
 negato  il  valore  come persona umana (come si puo' constatare da un
 esame del caso di specie).
    4. - Le  norme  contestate,  ad  avviso  del  giudice  rimettente,
 sarebbero  in  contrasto  anche  con  i  principi  costituzionali  di
 offensivita' e di materialita' dell'illecito penale (artt.  13  e  25
 della   Costituzione),   nonche'   con   quello   di   democraticita'
 dell'ordinamento delle forze armate  (art.  52  della  Costituzione).
 Sotto  il  primo profilo, in particolare, la lesione di quei principi
 deriva  dal  rilievo  che  le  norme  impugnate  mirano   a   colpire
 l'atteggiamento   soggettivo   di   irriducibile   contrarieta'  allo
 svolgimento del servizio militare, anziche'  il  fatto  del  rifiuto,
 cioe'  un  fatto  unitario  rispetto  al quale le singole condotte di
 omessa prestazione del servizio militare  non  sono  che  contingenti
 manifestazioni.
    5.  -  Infine,  il  giudice  a  quo  rileva  la pretesa violazione
 dell'art. 3 della Costituzione in relazione  all'asserita  disparita'
 di  trattamento  tra  chi  rifiuta il servizio militare "adducendo" i
 motivi di cui all'art. 1 della legge n. 772 del 1972 e chi rifiuta il
 servizio medesimo "adducendo" altri  motivi  ovvero  senza  "addurre"
 alcun  motivo,  sussistendo una sproporzione eccessiva di trattamento
 sanzionatorio per l'una e per l'altra ipotesi,  pur  essendo  violato
 con modalita' offensive analoghe lo stesso bene giuridico.
    Dopo   aver   rilevato  che  l'attuale  indiscutibile  trattamento
 deteriore dei soggetti condannati per i reati di cui agli artt. 148 e
 151 c.p.m.p. rispetto a quelli colpevoli per il reato di cui all'art.
 8  della   legge   n.   772   del   1972   deriva   in   gran   parte
 dall'interpretazione  giurisprudenziale data alla seconda fattispecie
 legale dopo la sentenza n. 409 del 1989 di questa Corte, il giudice a
 quo sottolinea come, per altra parte,  la  stessa  disparita'  derivi
 dalle norme vigenti. Innanzitutto, ricorda che ai militari che non si
 presentano  a svolgere il servizio militare e' applicabile, quando la
 durata dell'assenza supera  i  sei  mesi,  un'aggravante  ad  effetto
 speciale per la quale la pena e' aumentata da un terzo alla meta' (v.
 art.  154,  n.  1,  c.p.m.p.).  In  secondo luogo, ed e' cio' che qui
 maggiormente rileva, la mancata previsione dell'esonero  per  effetto
 della  espiazione  della pena comporta l'irragionevole proliferazione
 di  comportamenti  punibili nel caso di assoluto rifiuto del servizio
 militare: sicche'  lo  stesso  fatto  -  rifiuto  incondizionato  del
 servizio  militare  -  in  un  caso (quando e' compiuto per motivi di
 coscienza previsti dalla legge) viene punito una sola volta  (con  la
 pena  edittale  da sei mesi a due anni) e in un altro caso (quando e'
 compiuto per motivi diversi) viene punito per un numero indefinito di
 volte (con la stessa pena edittale aumentata da un terzo  alla  meta'
 per   l'applicazione   dell'aggravante  prevista  per  l'ipotesi  che
 l'assenza superi i sei mesi).
    Nel ricordare che i motivi di coscienza devono  essere  "addotti",
 ai  sensi  dell'art.  1  della  legge  n. 772 del 1972, e che su tale
 elemento si e' formata una giurisprudenza  molto  permissiva  che  ha
 portato  a  un  incremento  di  obiezioni totali "di convenienza", il
 giudice a quo sottolinea come si sia venuta a  creare  la  situazione
 paradossale   per   la   quale  coloro  che  sinceramente  dichiarano
 l'esistenza effettiva  di  motivi  di  obiezione  diversi  da  quelli
 previsti  dal  legislatore - come nel caso dell'obiettore politico di
 cui si tratta - sono sottoposti a un trattamento  deteriore  rispetto
 agli  obiettori "di convenienza" e, in ogni caso, sono vittime di una
 discriminazione inammissibile in base alla  Costituzione,  nel  senso
 che,  grazie all'innesco della c.d. spirale delle condanne, subiscono
 una disciplina che appare fuoriuscire dai limiti della proporzione  e
 della ragionevolezza.
   Certo,  precisa  conclusivamente il giudice rimettente, soltanto il
 legislatore potrebbe ricondurre a razionalita' il sistema  dei  reati
 di  assenza  dal  servizio  militare  e di rifiuto dello stesso (come
 richiesto anche dalla sentenza  n.  467  del  1991).  Ma,  di  fronte
 all'inerzia del legislatore, il presentarsi di casi come quello posto
 alla cognizione del giudice a quo impone a quest'ultimo di richiedere
 una  dichiarazione  d'incostituzionalita'  delle norme denunciate, in
 conseguenza della quale, potendo considerare l'imputato esonerato  da
 obblighi  militari  sin  dal  2  gennaio 1992 (data di scadenza della
 licenza di convalescenza), potrebbe emettere sentenza dichiarativa di
 non luogo a  procedere  nei  suoi  confronti  perche'  il  fatto  non
 sussiste.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  giudice  dell'udienza  preliminare  presso il Tribunale
 militare di Roma dubita della legittimita' costituzionale degli artt.
 148 e 151 del codice penale militare di pace,  nonche'  dell'art.  8,
 terzo  comma,  della  legge  15  dicembre  1972, n. 772 (Norme per il
 riconoscimento dell'obiezione  di  coscienza),  in  riferimento  agli
 artt.  2,  3,  13,  25,  27, terzo comma, e 52 della Costituzione, in
 quanto le norme contestate non  prevedono  che  siano  esonerati  dal
 servizio militare coloro che, avendo rifiutato incondizionatamente la
 prestazione  del  servizio  stesso  sulla base di motivi di coscienza
 diversi da quelli indicati nell'art. 1, primo comma, della  legge  n.
 772 del 1972 ovvero senza aver addotto motivo alcuno, abbiano espiato
 per  quel comportamento una pena complessivamente non inferiore ad un
 anno di reclusione.
    2. - La questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  va
 dichiarata  in  parte  inammissibile  per  l'irrilevanza  del profilo
 relativo all'art. 151 c.p.m.p..
    Ai  fini  dell'esame della rilevanza della questione sottoposta al
 giudizio di questa Corte,  occorre  muovere  dalla  premessa  che  in
 sostanza  il giudice a quo intende contestare, sotto il profilo della
 legittimita' costituzionale, l'effetto  connesso  alla  c.d.  spirale
 delle  condanne, vale a dire il susseguirsi delle condanne penali che
 sistematicamente colpiscono coloro che, senza  addurre  i  motivi  di
 coscienza indicati dall'art. 1 della legge n. 772 del 1972, rifiutano
 incondizionatamente  e  totalmente  di  prestare il servizio militare
 fino al momento della persistenza dell'obbligo  di  leva  (compimento
 del  quarantacinquesimo  anno di eta'): il rinnovo della richiesta di
 inquadramento dopo un primo rifiuto, che va ripetuto,  sino  all'eta'
 del  congedo  per limiti di eta', ogni volta che sia stata espiata la
 pena irrogata per qualcuno dei reati connessi al rifiuto del servizio
 militare  (mancanza   alla   chiamata,   diserzione,   allontanamento
 illecito,  disobbedienza, etc.), escluso quello regolato dall'art. 8,
 secondo comma, della legge n.  772  del  1972,  comporta  infatti  un
 susseguirsi  di  inottemperanze all'obbligo di leva, con il probabile
 formarsi di una catena di condanne conseguente ai vari episodi in cui
 si concreta l'originario e immodificato convincimento di non sentirsi
 vincolato al dovere di prestare il servizio militare.
    Il legislatore, a seguito dell'adozione della  legge  n.  772  del
 1972,  ha  impedito  il  prodursi  del  ricordato effetto a favore di
 coloro che rifiutino il servizio militare sulla base  dei  motivi  di
 coscienza  indicati  nell'art. 1 della stessa legge, cioe' per coloro
 "che dichiarino  di  essere  contrari  in  ogni  circostanza  all'uso
 personale  delle  armi  per imprescindibili motivi di coscienza ( ..)
 attinenti ad una concezione generale della vita  basata  su  profondi
 convincimenti  religiosi  o filosofici o morali professati". Costoro,
 infatti, quando  non  siano  ammessi  al  beneficio  di  prestare  il
 servizio  militare  non armato o un servizio civile sostitutivo, sono
 sottoposti alla stessa pena prevista per  chi  rifiuta  anche  questi
 ultimi  servizi  (pena  edittale  poi ridotta da sei mesi a due anni,
 solo per il reato di cui all'art. 8, secondo comma, per effetto della
 sentenza n. 409 del 1989 di questa Corte), ma, a norma  dell'art.  8,
 terzo  comma,  della  legge  medesima, sono esonerati dall'obbligo di
 leva una volta che abbiano espiato la pena irrogata.
    Questa clausola, come si e' gia' accennato, non  e'  prevista  per
 gli  obiettori  totali  che  adducano  motivi di coscienza diversi da
 quelli indicati nel  ricordato  art.  1  ovvero  non  adducano  alcun
 motivo.   Sicche'   il   giudice   a   quo,   al  fine  di  espungere
 dall'ordinamento la possibilita' della c.d. spirale delle condanne  a
 danno  di  costoro,  ha chiesto a questa Corte una pronunzia additiva
 diretta a estendere anche ai soggetti appena menzionati  la  clausola
 di  esonero  dalla prestazione del servizio militare di leva prevista
 dall'art. 8, terzo comma, della legge n. 772 del 1972.
    3. -  Poiche'  la  clausola  ora  ricordata  viene  riferita,  nel
 petitum,  a  qualsiasi  ipotesi  di  rifiuto  di prestare il servizio
 militare, il giudice a quo,  si  e'  preoccupato  di  delimitarne  la
 rilevanza  alla fattispecie dedotta di fronte a lui stesso. Tuttavia,
 nel compiere siffatta operazione, egli ha correttamente individuato i
 confini  della  questione  soltanto  sotto  il  profilo   soggettivo.
 L'imputato del giudizio a quo, infatti, non ha usufruito dei benefici
 previsti  dalla  legge  sulla obiezione di coscienza, dal momento che
 non  ha  formalmente  addotto  i  motivi  individuati  dallo   stesso
 legislatore  come  valide ragioni di obiezione, ma ha informato della
 sua convinta adesione all'ideologia politica  anarchica  soltanto  il
 giudice  che  l'ha  interrogato in sede di accertamento del reato. Di
 modo che ben ha fatto il giudice rimettente  a  estendere  i  termini
 della  questione  al  trattamento  previsto  per  tutti gli obiettori
 totali che si pongono fuori della disciplina disposta dagli artt. 1 e
 8 della legge n. 772 del 1972, vale  a  dire  tanto  coloro  che  non
 adducono  alcun  motivo, quanto coloro che adducono motivi diversi da
 quelli indicati dall'appena citato art. 1.
   Il giudice a quo ha, invece, peccato per  eccesso  nell'individuare
 le  forme  di  illecito  penale  connesse  al  rifiuto di prestare il
 servizio militare. Il reato di rifiuto delineato dall'art. 8, secondo
 comma, della legge n. 772 del 1972, il cui elemento materiale e' dato
 dalla  manifestazione  di   volonta'   attinente   all'inottemperanza
 dell'obbligo   di  leva,  e'  un  reato  a  forma  libera,  che  puo'
 manifestarsi tanto in  comportamenti  meramente  omissivi  (come,  ad
 esempio,  il  non  rispondere  alla  chiamata  alle  armi)  quanto in
 comportamenti commissivi (come, ad esempio, il rifiuto  di  indossare
 l'uniforme, l'allontanamento illecito). Sicche' quando non ricorre lo
 specifico  elemento  costitutivo del reato di rifiuto di cui all'art.
 8, della legge n. 772 del 1972, consistente nell'adduzione dei motivi
 indicati dall'art. 1 della legge stessa,  possono  entrare  in  gioco
 altri  reati militari, che si pongono come generali rispetto al reato
 speciale di rifiuto, configurato dal citato  art.  8.  Nella  specie,
 trattandosi  di  un  caso  in  cui  non sono stati addotti i predetti
 motivi,  il  giudice  a  quo,  al  fine  di  radicare   correttamente
 nell'ordinamento    normativo    la    pronunzia    additiva   vo'lta
 all'estensione della clausola di esonero prevista dall'art. 8,  terzo
 comma,  della  legge  n.  772  del  1972,  ha  giustamente  collegato
 quest'ultimo articolo a disposizioni delineanti altre figure di reato
 militare. Nell'operare tale riferimento, tuttavia, lo stesso giudice,
 mentre ha correttamente indicato la norma  sul  reato  di  diserzione
 (art.  148  c.p.m.p.),  ha invece erroneamente aggiunto il pur affine
 reato di mancanza alla chiamata (art. 151 c.p.m.p.).
    Dall'ordinanza    di    rimessione,     infatti,     si     deduce
 inequivocabilmente  che  l'unico  reato  per  il  quale l'imputato e'
 chiamato a rispondere nel giudizio a  quo  e'  quello  di  diserzione
 (art. 148 c.p.m.p.). Per il reato di mancanza alla chiamata (art. 151
 c.p.m.p.)  lo  stesso  imputato  era  gia'  stato  condannato  in  un
 precedente giudizio e, precisamente, nel primo di quelli che lo hanno
 riguardato. Ma, anche se l'ordinanza di rimessione mira a colpire, in
 sostanza, la c.d. spirale delle condanne,  questo  intento  non  puo'
 legittimare  una  definizione  della  questione tale da scardinare il
 carattere incidentale del giudizio di costituzionalita' e  non  puo',
 quindi,  obliterare  il principio che la rilevanza della questione va
 valutata soltanto rispetto al giudizio  a  quo.  Quest'ultima  regola
 porta,  dunque,  a  delimitare  l'oggetto  del giudizio in esame alla
 richiesta di estendere, mediante una pronunzia additiva, la  clausola
 di  esonero  dal servizio militare prevista dall'art. 8, terzo comma,
 della legge n. 772 del 1972 a coloro che, rifiutando radicalmente, in
 tempo di pace, il predetto servizio dopo aver addotto motivi  diversi
 da  quelli  indicati  nell'art.  1  della medesima legge o senza aver
 addotto motivo alcuno, siano incorsi nel reato  di  diserzione  (art.
 148 c.p.m.p.).
    4. - Cosi' definita, la questione merita l'accoglimento.
    Nel  contestare,  sotto il profilo del principio costituzionale di
 parita' di trattamento (art. 3 della  Costituzione),  l'irragionevole
 discriminazione  operata dall'art. 8, terzo comma, della legge n. 772
 del 1972 a danno di coloro che rifiutano "in  toto"  di  prestare  il
 servizio   militare  adducendo  motivi  diversi  da  quelli  indicati
 dall'art. 1 della stessa legge ovvero non adducendo alcun motivo,  il
 giudice   a  quo  individua  la  manifestazione  di  tale  arbitraria
 determinazione  del  legislatore  nella   macroscopica   sproporzione
 sussistente,  sul piano del regime sanzionatorio, tra l'ipotesi prima
 ricordata e quella dell'obiettore  totale  che  adduce  i  motivi  di
 coscienza   riconosciuti  come  meritevoli  di  tutela  dallo  stesso
 legislatore. Infatti,  egli  precisa,  mentre  in  quest'ultimo  caso
 coloro  che rifiutano il servizio militare, una volta espiata la pena
 inflitta,  fruiscono  dell'esonero  dalla  prestazione  del  servizio
 militare  di leva a norma del citato art. 8, terzo comma, della legge
 n.  772  del  1972,  nell'altro  caso,   invece,   chi   si   rifiuta
 definitivamente  di  ottemperare  all'obbligo della leva, pur essendo
 sottoposto a  una  pena  edittale  identica  a  quella  prevista  per
 l'ipotesi  precedentemente considerata, e' tuttavia soggetto, a causa
 della mancata previsione a suo favore della clausola di esonero, alla
 probabilita' di  un'ininterrotta  catena  di  condanne,  destinata  a
 prolungarsi  sino  al  venir  meno dell'obbligo di leva per limiti di
 eta'.
    Trattandosi di un giudizio che viene innanzitutto svolto sotto  il
 profilo  dell'art.  3  della  Costituzione,  occorre  preliminarmente
 ribadire che i valori costituzionali, il cui bilanciamento  ad  opera
 del  legislatore  dev'essere in questa sede scrutinato, sono dati, da
 un lato, dall'obbligo di prestare il servizio militare di leva  (art.
 52,  secondo  comma,  della Costituzione) - obbligo che va annoverato
 fra i doveri di solidarieta' sociale di  carattere  inderogabile,  ai
 sensi  dell'art.  2  della  Costituzione, - e, dall'altro lato, dalla
 liberta' personale, connessa all'incriminazione del rifiuto  di  pre-
 stare il predetto servizio (art. 13 della Costituzione), liberta' che
 gode  anch'essa  della  copertura  dell'art.  2 della Costituzione in
 quanto diritto inviolabile (v. sent. n. 409 del 1989). Poiche'  nella
 decisione    appena   ricordata   e'   stato   chiarito   che   tanto
 l'incriminazione del rifiuto totale di prestare il servizio militare,
 quanto la previsione di una clausola di esonero come quella stabilita
 dall'art. 8, terzo comma, della legge n. 772 del 1972, sono frutto di
 scelte discrezionalmente assunte dal legislatore, non rinvenendosi in
 Costituzione alcun obbligo in tal senso, e'  opportuno  sottolineare,
 sempre  in  via  di  premessa,  che  il  giudizio  sotto  il  profilo
 considerato deve svolgersi nelle forme  proprie  dello  scrutinio  di
 ragionevolezza  dell'uso  discrezionale  del  potere  legislativo  in
 riferimento  alla  costellazione  di  valori   costituzionali   prima
 precisata.
    5. - Nella sentenza n. 409 del 1989, questa Corte ha affermato che
 il  caso di chi rifiuta di assolvere in ogni modo all'obbligo di leva
 senza addurre motivi o adducendo motivi diversi da quelli considerati
 nella  legge  sull'obiezione  di  coscienza  merita  un   trattamento
 sanzionatorio differenziato, presumibilmente piu' severo, rispetto al
 caso  di chi tiene lo stesso comportamento materiale adducendo motivi
 di coscienza meritevoli di tutela. Ma la stessa Corte nella  medesima
 decisione,   se  pure  con  riferimento  a  un'ipotesi  di  raffronto
 esattamente inversa a quella ora esaminata, ha pure sostenuto che, in
 considerazione dell'identita' dell'interesse leso nelle due  distinte
 ipotesi  criminose  (interesse  a  una  regolare incorporazione degli
 obbligati  al  servizio  di  leva),  oltreche'  dell'analogia   delle
 modalita'  oggettive di comportamento, non puo' ammettersi che fra le
 pene edittali previste per le suddette ipotesi sussista  un'eccessiva
 sproporzione.
    Sebbene,  per  effetto  della  stessa  decisione, la pena edittale
 prevista per  il  reato  di  rifiuto  totale  della  prestazione  del
 servizio  militare  di  cui all'art. 8, secondo comma, della legge n.
 772 del 1992 sia stata eguagliata a quella stabilita per altri  reati
 analoghi  (come,  ad esempio, la mancanza alla chiamata), l'omissione
 legislativa di una clausola di esonero simile a quella stabilita  nel
 terzo  comma  del  citato  art. 8 rende palesemente sproporzionato il
 trattamento sanzionatorio complessivo  concernente  gli  altri  reati
 comunque  collegati  a  un rifiuto totale di adempiere la prestazione
 del servizio militare di leva, relativamente ai quali sussiste,  come
 si e' gia' ricordato, la possibilita' effettiva del realizzarsi della
 c.d.  spirale delle condanne. E non puo' certo dirsi che tale effetto
 eventuale, ancorche' probabile, debba restar fuori dai confini di  un
 giudizio  di  legittimita' costituzionale, poiche', come questa Corte
 ha ribadito anche  recentemente  (v.  sent.  n.  163  del  1993),  il
 rispetto del principio di eguaglianza, quale e' configurato nell'art.
 3  della  Costituzione, comporta che la regola della proporzionalita'
 in esso implicita debba esser valutata  "in  relazione  agli  effetti
 pratici prodotti o producibili nei concreti rapporti della vita".
    L'eccessiva  sproporzione  del trattamento sanzionatorio dei reati
 di rifiuto del  servizio  militare  diversi  da  quello  disciplinato
 nell'art.  8,  secondo  comma, della legge n. 772 del 1972 deriva dal
 fatto che la  clausola  di  esonero  prevista  nel  terzo  comma  del
 ricordato  art. 8 costituisce una sorta di clausola di garanzia della
 proporzionalita' della pena, nel senso che, in mancanza della stessa,
 di fronte alla manifestazione di un rifiuto totale  del  servizio  di
 leva,  la  sanzione  penale,  pur  se determinata nella stessa misura
 edittale stabilita per il reato di cui all'art. 8,  e'  destinata  ad
 applicazioni  reiterate  fino all'esaurimento del correlativo obbligo
 di leva. Nelle precise parole usate da questa Corte nella gia' citata
 sentenza n. 409 del 1989, "l'esonero in discussione - conseguenza  di
 una libera, discrezionale scelta del legislatore - non appare violare
 la  Carta  fondamentale  (  ..),  ne'  e'  irrazionale:  non  essendo
 ipotizzabili altre sanzioni  adeguate  al  caso  particolarissimo  in
 discussione,  il  legislatore ritiene d'interrompere la spirale delle
 "condanne a catena", nella presunzione che, ormai, anche la  sanzione
 penale  non  puo' raggiungere gli effetti rieducativi di cui all'art.
 27, comma terzo, della Costituzione".
    6. - Nel dictum di questa Corte appena citato e' contenuta la  ra-
 tio decidendi applicabile anche al presente giudizio.
    La  possibilita'  reale  della  c.d.  spirale  delle  condanne  in
 relazione ai reati di rifiuto  totale  di  prestazione  del  servizio
 militare  diversi  da  quello disciplinato dall'art. 8 della legge n.
 772 del 1972 - conseguente alla mancanza di una clausola  di  esonero
 dall'obbligo  di  leva  a  pena  espiata - e' la manifestazione della
 palese irragionevolezza del bilanciamento operato dal legislatore, in
 sede  di  trattamento  sanzionatorio  di  quei  reati,  tra il valore
 costituzionale del dovere di prestare il servizio militare  (art.  52
 della  Costituzione) e quello della liberta' personale (art. 13 della
 Costituzione).
    L'incriminazione del rifiuto  totale  di  adempiere  l'obbligo  di
 leva,  se deve condurre a un sacrificio della liberta' personale, non
 puo' tuttavia estendere questo sacrificio sino al punto da sottoporre
 colui che abbia commesso i relativi reati "a una  serie  di  condanne
 penali  cosi'  lunga  e  pesante da poterne distruggere la sua intima
 personalita' umana e la speranza di una vita normale"  (v.  sent.  n.
 467  del  1991). La palese sproporzione del sacrificio della liberta'
 personale che cosi' si realizza produce, infatti,  una  vanificazione
 del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma,
 della  Costituzione,  che di quella liberta' costituisce una garanzia
 istituzionale in relazione allo stato di detenzione.
    Sulla base di tali motivi, questa Corte dichiara  l'illegittimita'
 costituzionale,  in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione,
 dell'art. 8, terzo comma, della legge n. 772 del 1972, in connessione
 con l'art. 148 c.p.m.p., nella parte in  cui  non  prevede  l'esonero
 dalla  prestazione  del servizio militare di leva in favore di coloro
 che, avendo rifiutato totalmente in tempo di pace la prestazione  del
 servizio  stesso  dopo aver addotto motivi diversi da quelli indicati
 nell'art. 1 della legge n. 772 del 1972 o senza aver  addotto  motivo
 alcuno,   abbiano  espiato  per  quel  comportamento  la  pena  della
 reclusione in misura quantomeno non inferiore  complessivamente  alla
 durata del servizio militare di leva.
    Nell'adottare  tale pronunzia di accoglimento questa Corte rinnova
 il pressante invito al legislatore in ordine a un urgente  intervento
 razionalizzatore  sull'insieme  delle  pene  relative  ai  vari reati
 militari connessi al rifiuto di prestare il servizio di leva (v. gia'
 sent. n. 467 del 1991). Tale intervento, che dovrebbe  provvedere  al
 necessario  riproporzionamento  delle pene concernenti i reati appena
 ricordati, assume ora i caratteri dell'improrogabilita',  in  ragione
 delle  conseguenze  che  il  principio  di  diritto  affermato  nella
 presente pronuncia puo' produrre su future decisioni.
    Restano  assorbiti   gli   ulteriori   profili   di   legittimita'
 costituzionale sollevati dal giudice rimettente.