IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio promosso da Lizza
 Mario, difesa costituita, avv. Walter Putaturo, domicilio di giudizio
 in  Pescara;  presso il citato legale in via Marco Poo n. 106, contro
 U.L.S.S. di Pescara, non costituita, in punto  a:  accertamento,  con
 conseguenziale  statuizione di condanna, del diritto col ricorrente a
 parcepire, con rivalutazione  di  interessi,  il  conguaglio  tra  la
 retribuzione  erogatagli  in  relazione  alla  qualifica rivestita di
 ispettore sanitario e la retribuzione del responsabile  del  servizio
 di  medicina  legale  e  del  lavoro  dal  giorno  di collocamento in
 quiescenza del titolare di tale posto al giorno 31  luglio  1982  per
 svolgimento  delle  superiori  funzioni  ex  art.  7  del  d.P.R.  n.
 128/1969;
    Visto il ricorso notificato in data 26 settembre 1987 e depositato
 in data 10 ottobre 1987;
    Visti i documenti agli atti;
    Udito il relatore designato;
    Udito, all'udienza del giorno  17  dicembre  1992,  l'avv.  Walter
 Putaturo per la parte ricorrente;
                               F A T T O
    Invocando  gli  artt.  82  del d.P.R. n. 761/1979, 55 dell'accordo
 nazionale unico di  lavoro  di  settore  23  giugno  1974,  45  e  58
 rispettivamente degli accordi nazionali di settore 16 febbraio 1979 e
 24  giugno  1980,  ad  esso  seguiti  il  dott.  Mario Lizza, essendo
 risultate vane sue precedenti iniziative stragiudiziali all'uopo,  ha
 incardinato  il  presente  giudizio finalizzato alla pronunzia di una
 sentenza in senso conforme alle conclusioni sintetizzate in  epigrafe
 assumendo il presupposto di fatto ivi pure risultante.
    La  U.L.S.S.  di  Pescara,  benche'  intimata  in modo formalmente
 rituale, non si e' costituita.
                             D I R I T T O
    L'art.  55  dell'accordo  nazionale unico di lavoro 23 giugno 1974
 per il personale ospedaliero invocato in combinato con l'art. 82  del
 d.P.R.  n.  761/1979  sembra estraneo all'epoca dei fatti costituenti
 presupposto della controversia.
    Temporalmente pertinenti, in combinato con l'ar. 82 del d.P.R.  n.
 761/1979,  risultano  invece  gli  artt.  45 e 58 rispettivamente dei
 successivi accordi di settore 16 febbraio 1979 e 24  giugno  1980  ma
 non  sembrano,  di  per  stessi  considerati  proficui dell'integrale
 accoglimento della domanda sottomessa giacche' il ricorrente  neppure
 adduce  di  essere  stato, all'epoca cui afferisce la sua pretesa, in
 possesso dell'idoneita' necessaria (cfr. art. 25 del d.l. 30 gennaio
 1982) per la copertura del posto di medico responsabile  di  servizio
 mentre ai sensi delle citate norme, che la parte ben conosce avendola
 puntualmente citata, la retribuzione superiore compete soltando se le
 relative  funzioni  siano  state  svolte  "in  possesso dei requisiti
 professionali prescritti".
   Vertendosi in tema di diritti patrimoniali, le  considerazioni  che
 precedono  non comportano ex se il rigetto del ricorso ben potendo il
 collegio individuare d'ufficio la normativa applicabile.
    In fattispecie - avendo, secondo quanto assunto - ed incontestato,
 il ricorrente, che ha la qualifica di ispettore sanitario,  di  fatto
 svolto  ex  art. 7 del d.P.R. n. 128/1969, fino al 31 luglio 1982, le
 superiori funzioni di responsabile del servizio di medicina legale  e
 del  lavoro  dal  giorno  8  dicembre  1981,  quando  fu collocato in
 quiescenza il titolare del  posto  -  dovrebbe  trovare  applicazione
 l'art.  2126 del c.c. in interazione con l'art. 36 della Costituzione
 nonche' con l'art. 29, terzo comma, del d.P.R. n. 761/1979 giusta  la
 costruzione logica risultante dalla lettura della sentenza n. 57/1989
 della  Corte  costituzionale  e  della successiva sentenza n. 2/1991,
 dall'adunanza plenaria.
    Ritiene tuttavia il collegio di  sottomettere,  preliminarmente  e
 d'ufficio,  alla  Corte  costituzionale,  siccome  non manifestamente
 infondata, questione di costituzionalita' dell'art. 2126 del c.c. nei
 termini seguenti sul preliminare rilievo che tale norma ordinaria non
 reca limiti temporali di operativita' in relazione  alla  fattispecie
 concreta.
    Pare  al collegio che, proprio perche' carente di limiti temporali
 di operativita', l'art. 2126 del c.c. possa comportando di  fatto  la
 retribuzione  a tempo indeterminato propria di qualifiche superiori a
 dipendenti di qualifiche inferiori, risultare in antinomia  anzitutto
 con   l'art.   97   della  Costituzione  in  quanto  apre,  sia  pure
 astrattamente, la strada  agli  avanzamenti  di  carriera  di  fatto,
 fenomeno  che  sembra  potersi  opinare  che,  tra  l'altro, la norma
 costituzionale teste' richiamata intenda che sia  prevenuto  gia'  in
 estratto  laddove  impone  al  legislatore  ordinario di disciplinare
 l'organizzazione degli uffici secondo criteri che  ne  assicurino  il
 buon andamento e l'imparzialita'.
    Puo' ritenersi invero, perche' non si veda un fondamento letterale
 e/o   logico   all'assunto   contrario,   che,   per  quanto  attiene
 all'imparzialita',essa      debba       caratterizzare       l'azione
 dell'amministrazione  non  solo nei confronti di coloro che, rispetto
 al suo apparato, risultano terzi in assoluto ma ancora nei  confronti
 di   coloro   che  ne  sono  destinatari  come  soggetti  incardinati
 nell'apparato stesso tuttavia e' pur  sempre  portatori  di  distinti
 interessi personali di carriera e/o retributivi.
    E  il  diritto  temporalmente  illimitato  alla  percezione  della
 retribuzione per mansioni  superiori  non  pare  assicurare  gia'  in
 astratto  l'imparzialita'  dell'azione della pubblica amministrazione
 nei confronti dei propri  impiegati  lasciando  aperto  lo  spazio  a
 nepotismi elusivi.
    Comunque,   anche   quando   il   conseguimento   della  superiore
 retribuzione nei termini temporalmente illimitati di cui  s'e'  detto
 non  fosse  riconducibile  nei  casi  concreti  a nepotismi sibbene e
 soltanto  a  trascuratezza  nel  provvedere,  sta  di  fatto  che  la
 ricordata  applicazione  dell'art.  2126  del  c.c. si risolve in uno
 strumento che sostanzia, altresi' e per altro verso, un'antinomia con
 l'indirizzo al buon andamento dell'attivita'  amministrativa  che  la
 normativa   ordinaria   sull'organizzazione   degli  uffici  dovrebbe
 assicurare, anche questo gia' in astratto ed  ovviamente  per  quanto
 possibile, secondo il legislatore costituzionale.
    Ed  infatti,  consentendosi  a tempo indeterminato la retribuzione
 delle mansioni superiori a coloro che di fatto le vengano a  svolgere
 per  una qualsiasi circostanza contingente, non si assicura certo (si
 consideri appunto lo svolgimento delle funzioni superiori in  carenza
 della  relativa  idoneita')  una  qualificata  erogazione della spesa
 pubblica e neppure  si  assicura  l'adeguatezza  professionale  della
 struttura pubblica cui la stessa deve tendere.
    La   circostanza   che   l'operativita'  temporalmente  illimitata
 dell'art. 2126 del  c.c.  nel  settore  dell'impiego  pubblico  possa
 risolversi  in  uno strumento che favorisce o quanto meno consente la
 deviazione dell'attivita' amministrativa dagli indirizzi prestabiliti
 dal legislatore costituzionale induce il collegio a  sottoporre  alla
 Corte costituzionale, siccome questione non manifestamente infondata,
 l'ipotesi  che  la  citata norma ordinaria confligga anche, come gia'
 allegato in precedente ordinanza di  rinvio  n.  399/1992  di  questa
 stessa sezione, con gli artt. 3, 4, 32 e 78 della Costituzione.
    E'  chiaro  infatti  che  l'eventuale uso strumentalmente distorto
 dell'art. 2126  del  c.c.  volto  a  favorire  (finalizzatamente  con
 elevata  probabilita')  l'atrtibuzione  sostanziale  e  di  fatto  di
 qualifiche superiori (eventualmente anche, ipotesi non infrequente, a
 chi non abbia al momento i requisiti necessari all'uopo,  ad  esempio
 sia  medico  con  qualifica di aiuto ma non abbia superato l'esame di
 Stato per  conseguire  l'idoneita'  primariale)  puo'  risolversi  in
 violazione del diritto dei possibili aspiranti legittimi a concorrere
 in condizioni di parita', come esige l'art. 3 della Costituzione, per
 il conseguimento stabile, attraverso le procedure selettive di legge,
 di   qualifiche  superiori  con  conseguente  legittima  attribuzione
 stabile delle relative funzioni e del relativo trattamento  economico
 e  puo',  altresi',  condizionare la possibilita', per tali legittimi
 aspiranti potenziali di concorrere come loro dovere ex art.  4  della
 Costituzione,   al   progresso  della  societa'  secondo  la  propria
 possibilita' e la propria scelta  come  loro  diritto  secondo  l'ora
 citata norma costituzionale.
    L'operativita'  a  tempo indeterminato dell'art. 2126 del c.c. sui
 casi concreti puo' altresi' risolversi, nel settore cui afferisce  la
 specifica  controversia,  in  strumento  di  violazione  dell'obbligo
 dell'amministrazione  di  assicurare,  nel  grado   piu'   efficiente
 possibile  secondo  quanto  risulta doversi ritenere alla stregua del
 disposto  di  cui  all'art.  32  della  Costituzione di per se' ed in
 combinato  col  successivo  art.  97,  la  tutela  della  salute  dei
 cittadini.
    Stante  la  soggezione  di chi non e' titolare legittimo e stabile
 della funzione superiore alle determinazioni degli organi  che  hanno
 il  potere (che, per l'esattezza, sarebbe anche un dovere come talora
 sfugge di considerare) di far cessare le condizioni di applicabilita'
 dell'art. 2126 del c.c., tale norma  puo'  anche  risolversi  in  uno
 strumento  idoneo  ad  asservire  a  privati  interessi  distorti  il
 pubblico  dipendente  che,  per  contro,  deve  essere  al   servizio
 esclusivo  della  Nazione  secondo  quanto  specifica l'art. 98 della
 Costituzione.
    Certamente l'art. 31 della Costituzione impone di  riconoscere  al
 lavoratore  il  corrispettivo  della sua attivita' in misura adeguata
 alla quantita' e  qualita'  della  stessa,  ma  a  prescindere  dalla
 circostanza   che   l'incondizionata   e   temporalmente   illimitata
 operativita' dell'art. 2126 del  c.c.  nel  campo  cui  afferisce  la
 controversia  potrebbe  finire  coll'attribuire  la  retribuzione del
 primario (e di qualifica equivalente come nel caso) anche a  soggetti
 eventualmente  privi  dell'idoneita' necessaria all'uopo, senza cioe'
 che sia assicurata  la  pertinente  "qualita'"  cui  e'  riferito  il
 trattamento economico di riconoscersi ex art. 2126 del c.c., pare che
 tale   norma   della   Costituzione   debba  essere  letta  facendone
 coordinamento col successivo art. 97, che e' norma  di  pari  livello
 formale.
    Benche'  l'art.  36  della  Costituzione  abbia  indubbiamente  un
 rilievo saliente ricollegandosi  al  disposto  del  primo  comma  del
 precedente  art.  1, non sembra che il successivo art. 97 della legge
 fondamentale dello Stato debba essere successivo  in  grado  assoluto
 ove   si   tengano  presenti  i  condizionamenti  potenziali  che  si
 ricollegano  alla  carriera  di  fatto   (condizionamenti   purtroppo
 attualizzatisi,  a  quanto  pare, in molti campi: particolarmente nel
 settore  soggetto  alla  pratica  delle   "nomine")   e   sui   quali
 l'autorevolezza   della   Corte  che  dovra'  decidere  dispensa  dal
 diffondersi esemplificativamente e dall'attardarsi ad  illustrare  le
 disorganizzazioni  che  si  verificano  su  una  nave al fuoco quando
 ciascuno  va  alla  ricerca  della  medaglia  per  atto  di   eroismo
 individuale: idest del premio per esercizio di mansioni superiori.
    Se  la Repubblica e' fondata sul lavoro, e' pero' altrettanto vero
 che la sua esistenza trova ragion d'essere in ideali  di  correttezza
 ed  efficenza  dello  Stato che fanno parte della coscienza sociale e
 che costituiscono, almeno in teoria, logici antecedenti necessari  di
 ogni  Carta  costituzionale  e  che,  come tali, ne condizionano ogni
 lettura.
    Conclusivamente pare che l'art.  2126  del  c.c.  per  le  ragioni
 esposte possa essere allegato a sospetto di incostituzionalita' nella
 parte  in  cui,  nel settore della pubblica amministrazione, non reca
 limiti di operativita' temporale e che ove non sia possibile mandarlo
 per il punto con una sentenza in  qualche  modo  additiva,  ricorrano
 serii,  molteplici e consistenti motivi per darsi carico di stabilire
 se ricorrano motivi  per  dichiararne  l'incostituzionalita'  per  il
 settore dell'impiego pubblico.
    Ben  e'  vero  che singolarmente in fatto e' diffusa la pratica di
 andare alla ricerca del vantaggio individuale che resterebbe tutelato
 da una letterale applicazione dell'art.  36  della  Costituzione  che
 prescinda  dal  collegamento del successivo art. 98 dalla cui lettura
 (nella parte in cui tratta delle promozioni per i pubblici dipendenti
 membri del Parlamento) pare potersi inferire  una  legittimazione  ad
 una   limitazione  alla  piena  ed  incondizionata  operativita'  del
 combinato risultante dai pecedenti artt. 3 e 36.
    Pare pero' doversi osservare che tale pratica  sia  principalmente
 la conseguenza di una "legittima difesa" rispetto all'andamento delle
 cose   quando   sia   anomalo   ma   che  il  sentimento  collettivo,
 cristallizzatosi nella Costituzione  e  non  abbandonato,  aspira  ad
 un'impostazione che prevenga l'andamento anomalo cennato.
    Non   pare   al  collegio  che  la  questione  nei  termini  sopra
 focalizzati  possa  trovare  ragioni  di  rigetto   in   un'eventuale
 marginalita'  che  si  assumesse della ricorrenza di ipotesi di abusi
 nell'attivita' amministrativa  comportanti  l'applicazione  dell'art.
 2126  del  c.c.  di  cui  si  controverte. A smentire tale ipotesi di
 marginalita' (che peraltro non sembra neppure essa  stessa  decisiva)
 vi  e',  almeno  per  il  pasato,  la legge n. 207/1985 relativa alla
 prevista sanatoria in materia di  impiego  sanitario  e  vi  sono  le
 applicazioni del suo art. 2.
    Ne'  pare  che  possano  invocarsi  esigenze pratiche di efficenza
 fondate  su  di  un  approssimativo  desiderio  di  emulazione  della
 prontezza  ed  efficenza  dell'attivita'  privatistica  (prontezza ed
 efficenza che, anziche' essere ritenuta  supinamente,  resterebbe  da
 verificare  se  non  sia  ritenuta tale per effetto di un'interessata
 divulgazione di un feticcio).
    Va infatti rilevato che anche le strutture private nel caso in cui
 necessiti lo svolgimento di mansioni superiori provvedono quando sono
 veramente qualificate (non gia' assunte apoditticamente  per  tali  e
 ritenute  efficenti prescindendo dal verificare per quanta parte tale
 efficienza sia indotta  da  fenomeni  degenerativi  quali  l'evasione
 fiscale)  e di dimensioni almeno comparabili a quelle di cui trattasi
 generalmente nel caso di pubbliche amministrazioni  e  come  trattasi
 fattispecie,  ricorrendo  a  supplenze  automatiche di breve durata e
 solo in relazione a contingenze improvvise: ma poi fronteggiano,  ove
 permanga,  la  situazione con provvedimenti definitivi dei competenti
 organi che verificano senza indulgere, nei  modi  opportuni  che  nel
 caso    delle    pubbliche    amministrazioni   sono   normativamente
 prestabiliti, l'idoneita' potenziale di colui che sara'  chiamato  ad
 incarico di una qualche durata.
    E  non  si vede quale mai ragione dovrebbe condurre a condizionare
 specifiche norme di legge (nel caso l'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979)
 e le regole (compatibili con le norme di legge) di  esperienza  delle
 strutture  private  piu' qualificate, con le quali soltanto e' logico
 stabilire  un  parallelo  a  tutto  concedere,   per   affermare   la
 costituzionalita'  della  temporalmente  incondizionata  operativita'
 dell'art. 2126 del c.c. nel settore della  pubblica  amministrazione.
 Non  certo la validita' che talora si verifica di soluzioni empiriche
 e di fatto a volte adottate nella struttura privata minori in  quanto
 le  conseguenze  di  tale  tipo  di  scelta nelle ricordate strutture
 minori sono generalmente ricondanti, nel  bene  ma  anche  nel  male,
 soltanto all'interno delle stese e sono comunque di rilievo contenuto
 laddove,   per   cio'   che   attiene  alle  scelte  delle  pubbliche
 amministrazioni,  la  ricondanza  generalmente e' sulla collettivita'
 (per  cio'  stesso  non  contenuta)  il  cui  benessere  deve  essere
 proseguito  non  gia'  confidando  in  esiti  fortunati ma attraverso
 scelte oculate.
    Neppure pare che la  sollevata  questione  di  legittimita'  possa
 essere  ritenuta  irrilevante sulla considerazione che in fattispecie
 concreta non potrebbe essere (come puo', in  parte,  anche  opinarsi)
 che  non  ricorrano estremi per individuare l'effettiva ricorrenza di
 fatti tali da  risolversi  nelle  prospettate  ragioni  di  possibile
 incostituzionalita'  e  cio' perche' pare ovvio ritenere che, dato il
 fine perseguito dal legislatore costituzionale con le norme cui si e'
 fatto riferimento, la costituzionalita' dell'art. 2126 del c.c.  vada
 necessariamente  saggiata  in  astratto  prima  di  farne la peraltro
 necessaria  applicazione  indipendentemente  dai  "connotati"   della
 fattispecie  concreta:  se  una  norma non ha diritto di cittadinanza
 nell'ordinamento deve essere espunta dallo stesso e,  dovendo  essere
 espunta,  non  deve,  come  non  potra'  per  il futuro in ipotesi di
 affermata incostituzionalita', trovare applicazione nei casi concreti
 ancorche'  negli  stessi  non  ricorrano  effettivamente  le  ragioni
 dell'espunzione:  diversamente opinando si obliterebbe, in carenza di
 legittime esigenze discriminanti l'art. 3 della Costituzione.