IL PRETORE
    Nel procedimento n. 143/1992 r.g. pretura,  nei  confronti  di  Di
 Francesco  Stefano,  sulla  questione  di legittimita' costituzionale
 sollevata dall'imputato.
                    OSSERVA IN FATTO ED IN DIRITTO
    Con decreto del 6 novembre 1992, il procuratore  della  Repubblica
 presso  la  locale  pretura  circondariale  disponeva  la citazione a
 giudizio di Di Francesco Stefano in relazione ai reati previsti dagli
 artt. 640 del c.p., con l'aggravante di cui al cpv. sub 1), e 20  del
 d.m.  8  luglio  1924.  Nel  corso  dell'istruzione dibattimentale il
 pubblico  ministero  modificava,  a'  sensi dell'art. 516 del c.p.p.,
 l'imputazione di truffa in quella di cui all'art. 624 del  c.p.,  con
 l'aggravante prevista dall'art. 625, n. 2), del c.p., procedendo alla
 relativa   contestazione.   In   relazione  alla  nuova  fattispecie,
 l'imputato formulava richiesta di applicazione di pena, rigettata dal
 giudice  per  inammissibilita',  stante  l'avvenuto  superamento  del
 limite preclusivo posto dall'art. 446, primo comma, del c.p.p.
    Conseguentemente    il    difenore    eccepiva    l'illegittimita'
 costituzionale degli artt. 516 e 519 del c.p.p.,  in  relazione  agli
 artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono tra
 i  diritti  dell'imputato, una volta modificata l'imputazione, quello
 di essere ammesso  ai  riti  alternativi  ed,  in  particolare,  allo
 speciale procedimento previsto dagli artt. 444 e segg. del c.p.p.
    La  questione e' pregiudiziale alla definizione del procedimento e
 non e' manifestamente infondata.
    Preso atto del contenuto dell'ordinanza n.  213  del  4-11  maggio
 1992    con    cui    la    Corte    si   pronunciava   negativamente
 sull'incostituzionalita' dei richiamati articoli, ritiene il  giudice
 che  la  questione  possa  riproporsi  alla luce delle argomentazioni
 contenute nella sentenza della Corte n. 76 del 26  febbraio-11  marzo
 1993.  Si  osserva infatti come, nel caso di specie, precludendo alla
 parte di ridelineare la propria strategia difensiva in  seguito  alla
 modificazione  dell'imputazione,  si  finisce per fare ricadere su di
 essa gli effetti dell'errore  precedenemente  commesso  dal  pubblico
 ministero  che  ha  formulato  un'ipotesi  penale incoerente al fatto
 storico. Cio' in  quanto  esso  era  giuridicaamente  definibile  fin
 dall'inizio  come furto, evidenziando il rapporto di verifica stilato
 da funzionari dell'ENEL,  ed  inserito  dal  pubblico  ministero  nel
 fascicolo   del  dibattimento,  non  la  contestata  alterazione  del
 contatore di energia ma l'allacciamento abusivo  a  linee  elettriche
 esterne,  circostanza  che,  ribadita  dal testimone, ha portato alla
 modifica  dell'imputazione.  Queste  considerazioni  impediscono   di
 valutare l'avvenuta variazione come, utilizzando le espressioni della
 stessa   Corte   "un'evenienza   per   cosi'   dire  fisiologica  del
 procedimento", bensi' come "una patologia  processuale  che,  proprio
 perche' tale, non puo' risolversi in un pregiudizio per l'imputato di
 essa   non   responsabile".  Poiche'  le  sue  valutazioni  circa  la
 convenienza del rito speciale vengono a dipendere,  anzitutto,  dalla
 concreta  impostazione  data  al  processo  dal  pubblico  ministero,
 impedendo all'imputato di modificare l'originaria scelta difensiva si
 viene non solo a  comprimere  illegittimamente  il  diritto  previsto
 dall'art.  24, primo comma, della Costituzione, ma anche a violare il
 principio d'uguaglianza, su situazioni  omogenee  operando  un  ruolo
 ingiustificato  elementi esterni legati alla scrupolosita' con cui il
 pubblico  ministero  assume  le  proprie  determinazioni  in   ordine
 all'esercizio dell'azione penale.
    E  per  giudicare della non oziosita' della questione, si richiama
 l'orientamento di questo ufficio giudiziario  nella  materia  oggetto
 del  procedimento,  i  cui  giudici, quando, come nel caso di specie,
 difetta la querela, dichiarano non doversi  procedere  nei  confronti
 degli  imputati  di truffa ai danni dell'E.N.E.L., l'aggravante della
 commissione in danno di ente pubblico, circostanza cui e'  legata  la
 procedibilita'   d'ufficio,   non   essendo  piu'  configurabile  per
 l'intervenuta   privatizzazione   dell'ente.   A   fronte   di   tale
 giurisprudenza e' evidente la carenza di spinte ad optare per il rito
 previsto  dagli  artt.  444 e segg. del c.p.p., per il quale, invece,
 l'imputato avrebbe potuto avere interesse  laddove  gli  fosse  stata
 contestata  fin  dall'inizio la fattispecie pevista dagli artt. 624 e
 625, n. 2), del c.p.