Ricorso della regione Lombardia, in persona del  presidente  della
 giunta regionale Fiorinda Ghilardotti, autorizzata con delibera della
 giunta  regionale  n. 40749 del 5 agosto 1993, rappresentata e difesa
 dagli  avvocati  prof.  Valerio   Onida   e   Gualtiero   Rueca,   ed
 elettivamente  domiciliata  presso  quest'ultimo in Roma, largo della
 Gancia, 1, come da  delega  in  calce  al  presente  atto  contro  il
 Presidente   del   Consiglio   dei   Ministri   pro-tempore,  per  la
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 1,  2,  3,
 6,  quinto  comma,  7,  settimo comma, e 8 del decreto legislativo 30
 giugno  1993,  n.  269,  recante  "riordinamento  degli  istituti  di
 ricovero  e  cura a carattere scientifico, a norma dell'art. 1, primo
 comma, lett. h), della legge 23 ottobre  1992,  n.  421",  pubblicato
 nella Gazzetta Ufficiale n. 68 del 3 agosto 1993.
    L'art.  1,  primo comma, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n.
 421 ("Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle
 discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di  previdenza
 e di finanza territoriale"), allo scopo fra l'altro di "rendere piene
 ed  effettive  le funzioni che vengono trasferite alle regioni e alle
 province autonome", ha delegato il Governo  ad  emanare,  oltre  alla
 normativa  di  riforma  del  Ministero  della sanita', una disciplina
 volta al riordino, tra gli altri, degli istituti di ricovero e cura a
 carattere scientifico.
    In   attuazione  di  tale  delega  e'  stato  emanato  il  decreto
 legislativo 30 giugno 1993, n. 269. Peraltro, anziche' essere volto a
 "rendere piene ed effettive le funzioni che vengono  trasferite  alle
 regioni",  il  decreto  realizza  un processo di riaccentramento e di
 sottrazione alle regioni di potesta'  loro  spettanti,  e  gia'  loro
 trasferite,  in  materia  di  istituti di ricovero e cura a carattere
 scientifico.  Varie  disposizioni  di   detto   decreto   legislativo
 risultano  pertanto  lesive  dell'autonomia  regionale,  e  dunque in
 contrasto  con  quanto  disposto  dagli  artt.  117   e   118   della
 Costituzione,  nonche'  in  contrasto  con  i  criteri della delega e
 percio' con l'art. 76 della Costituzione.
    Il risultato complessivo  della  disciplina  in  questione  e'  in
 effetti   quello   di   trasformare   in   organismi   di  pertinenza
 esclusivamente statale istituti che pure hanno, accanto a  "finalita'
 di  ricerca nel campo biomedico", altrettanto essenziali finalita' di
 fornitura di "prestazioni di ricovero e cura" (art. 1, primo  comma),
 nell'ambito  del  servizio sanitario, venendo a tale scopo finanziati
 dalle regioni (art. 6, quinto comma).
    E' da ricordare che nel sistema normativo  fondato  sulla  riforma
 sanitaria  del  1978  gli  istituti  di  ricovero  e cura a carattere
 scientifico sono  disciplinati  tenendo  esplicitamente  conto  della
 natura  di tali istituti qualificati come enti che gestiscono presidi
 di ricovero e cura, inseriti, spesso in  posizione  assai  rilevante,
 nell'ambito  del  sistema  sanitario  nazionale,  e  insieme svolgono
 attivita' di ricerca scientifica nel campo biomedico (art. 42,  primo
 comma, della legge n. 833/1978).
    In  tale  sistema, il riconoscimento del carattere scientifico era
 disposto  bensi'  con  atto  ministeriale,  ma  sentita  la   regione
 interessata  e  sentito  il  Consiglio  sanitario nazionale, composto
 principalmente dai rappresentanti delle  regioni  (art.  42,  secondo
 comma, e art. 8, quarto comma, lett. i), della legge n. 833/1978).
    Detti  istituti,  per  la  parte  assistenziale, sono "considerati
 presidi ospedalieri multizonali delle unita' sanitarie locali nel cui
 territorio sono ubicati" (art. 42, terzo comma, stessa  legge);  onde
 nei  loro confronti, sempre per la parte assistenziale, spettano alle
 regioni "le funzioni che esse esercitano nei  confronti  dei  presidi
 ospedalieri  delle  unita' sanitarie locali o delle case di cura pri-
 vate  a  seconda  che  si  tratti  di  istituti  aventi  personalita'
 giuridica  di  diritto  pubblico  o  di  istituti aventi personalita'
 giuridica di diritto privato", mentre continuano ad essere esercitate
 dallo Stato "le funzioni attinenti al regime giuridico-amministrativo
 degli istituti" (art. 42, quarto comma, stessa legge).  Il  controllo
 sugli  atti  degli  istituti,  per  quanto  attinente  alle attivita'
 assistenziali, era disciplinato in  conformita'  al  controllo  sulle
 uu.ss.ll.  (art.  42,  sesto comma, stessa legge). Nella composizione
 degli organi  di  amministrazione  degli  istituti  era  presente  la
 rappresentanza   delle   regioni  e  delle  unita'  sanitarie  locali
 competenti per territorio (art. 42, settimo comma, lett.  a),  stessa
 legge).
    Tale  disciplina  veniva  attuata e specificata dalle disposizioni
 del d.P.R. 31 luglio 1980, n. 617, il quale prevedeva,  fra  l'altro,
 la   presenza   di   rappresentanti   regionali   nel   consiglio  di
 amministrazione (art. 3, n. 6), il parere della  regione  interessata
 sul  provvedimento  di  scioglimento del consiglio di amministrazione
 (art.  6, primo comma); la presenza di un collegio di revisori di tre
 membri, dei quali uno  funzionario  della  regione  in  cui  ha  sede
 l'istituto (art. 8).
    Per avere un'idea della rilevanza pratica che hanno in una regione
 come  la Lombardia le attivita' di ricovero e cura svolte da istituti
 riconosciuti a carattere scientifico, bastera' ricordare che in  essa
 operano  ben  13 istituti di tal genere, di cui 8 privati, e che essi
 contano circa 5.000 posti letto, pari al 10%  del  totale  dei  posti
 letto  della  regione  (case di cura comprese); a Milano essi contano
 oltre 2.700 letti, pari a quasi un terzo del totale dei  posti  letto
 della citta'.
    Ora  il decreto n. 269 del 1993, lungi dal rafforzare e completare
 la competenza delle regioni - secondo la  direttiva  contenuta  nella
 delega - trasforma profondamente il regime giuridico degli istituti.
    Gia'  l'art. 1, primo comma, nel definire la natura e le finalita'
 degli istituti, adotta una significativa inversione di  termini:  non
 piu' istituti che "insieme a prestazioni sanitarie di ricovero e cura
 svolgono specifiche attivita' di ricerca scientifica biomedica" (art.
 42,   primo   comma,  della  legge  n.  833/1978),  bensi'  enti  che
 "perseguono finalita' di ricerca nel campo  biomedico  ed  in  quello
 della  organizzazione  e  gestione  dei servizi sanitari, insieme con
 prestazioni di ricovero e cura".
    Soprattutto  compaiono  per   la   prima   volta,   accanto   alle
 tradizionali  finalita'  di  ricerca nel campo biomedico, imprecisate
 finalita' di ricerca "nel campo dell'organizzazione  e  gestione  dei
 servizi sanitari".
    Poiche'  pero' la ricerca in questo campo (che attiene alle disci-
 pline economiche,  aziendali,  di  scienza  dell'organizzazione)  non
 presenta  nessuna connessione funzionale con le attivita' di ricovero
 e cura (ne' alcuna rispondenza pratica nell'attivita' di fatto svolta
 da detti istituti), ne deriva che tale inopinata estensione dei  fini
 degli  istituti  appare  diretta  piu'  che  altro  a giustificare un
 ampliamento  della  ingerenza  degli   organi   dello   Stato   nello
 svolgimento delle attivita' assistenziali da essi rese.
    Lo  stesso  art. 1 del decreto, al terzo comma, stabilisce che "le
 strutture ed i presidi ospedalieri degli  istituti  sono  qualificati
 ospedali   di   rilievo   nazionale  e  di  alta  specializzazione  e
 assoggettati alla disciplina per questi prevista, compatibilmente con
 le finalita' peculiari di ciascun istituto".
   Non solo dunque si  conferma  la  qualifica  di  diritto  di  detti
 ospedali   come   presidi   del   servizio  sanitario  nazionale,  ma
 addirittura si conferisce ad essi (pubblici o privati che  siano),  e
 sempre  di  diritto, la qualifica di "ospedali di rilievo nazionale e
 di alta specializzazione", che  comporta,  secondo  l'art.  1,  primo
 comma,  lett.  n),  della legge n. 421/1992, e l'art. 4 del d.lgs. n.
 502/1992,  la  piena  autonomia  e  soprattutto  una   modalita'   di
 finanziamento,   a   carico  dei  fondi  per  il  servizio  sanitario
 nazionale, che  assicuri  la  copertura  almeno  parziale  dei  costi
 complessivi  della  struttura anziche' la semplice corresponsione dei
 compensi per i ricoveri effettuati (col sistema delle rette) o per le
 prestazioni effettuate (cfr. art. 4, settimo  comma,  del  d.lgs.  n.
 502/1992).
    In tal modo si incide a fondo sulla programmazione regionale della
 sanita'  e  sull'impiego dei fondi che la regione destina al servizio
 sanitario, vincolandola a utilizzare e finanziare  istituti  sul  cui
 riconoscimento  e  sulla  cui  organizzazione  e  gestione la regione
 stessa viene a perdere ogni possibilita' di influenza.
    Peraltro la parificazione di diritto dei presidi ospedalieri degli
 istituti a carattere scientifico agli ospedali di rilievo nazionale e
 di alta specializzazione, con il connesso regime, non appare conforme
 ai criteri di cui all'art. 1, primo comma, lett. n), della  legge  n.
 421/1992, e all'art. 4, secondo comma, del d.lgs. n. 502/1992 (ove si
 specificano i requisiti degli ospedali di rilievo nazionale e di alta
 specializzazione),  come  intesi e integrati dalla sentenza n. 355/93
 di questa Corte. In tale sentenza  si  sottolinea  che  la  legge  di
 delega  "ha  inteso  creare  un  sistema  chiuso  per gli ospedali di
 rilievo nazionale, nel senso che  di  questi  ultimi  ha  individuato
 precisamente  la  tipologia":  e  pertanto  la  Corte  ha  dichiarato
 illegittime le disposizioni dell'art. 4, terzo comma, del  d.lgs.  n.
 502/1993  che prevedevano l'attribuzione di tale qualifica anche agli
 ospedali nei quali insiste la prevalenza del percorso  formativo  del
 triennio  clinico  della  facolta'  di  medicina nonche', a richiesta
 delle universita', ai presidi ospedalieri operanti  in  strutture  di
 pertinenza delle universita' stesse.
    Per  le  stesse  ragioni  deve dirsi illegittima l'attribuzione de
 jure, contenuta nell'art. 1, terzo comma,  del  d.lgs.  n.  269/1993,
 della   qualifica   di  ospedali  di  rilievo  nazionale  e  di  alta
 specializzazione ai presidi ospedalieri degli  istituti  a  carattere
 scientifico,  indipendentemente  dal possesso dei requisiti specifici
 previsti per tale qualificazione.
    L'entita' della sottrazione di poteri  alle  regioni  puo'  essere
 ancora  meglio apprezzata considerando le competenze disciplinate dal
 decreto  legislativo  n.  269/1993  in  tema  di  riconoscimento  del
 carattere scientifico agli istituti in questione.
    L'art.  2, primo comma, lett. a), prevede che tale riconoscimento,
 nonche'  la  relativa  revoca,  siano  di  competenza  esclusiva  del
 Ministro  della sanita': mentre l'art. 28, primo comma, del d.P.R. 24
 luglio 1977, n. 616, stabiliva che il  riconoscimento  del  carattere
 scientifico  degli istituti di ricovero e cura fosse effettuato dallo
 Stato "sentite le regioni interessate", e allo stesso modo  prevedeva
 l'art. 42, secondo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833.
    E'  ben  vero che il secondo comma dello stesso art. 1 del decreto
 n. 269/1993 esige  che  il  provvedimento  di  riconoscimento  (o  di
 revoca) sia emanato sentito il parere della Conferenza permanente per
 i  rapporti  tra lo Stato, le regioni e le province autonome (oltre a
 quelli del Ministro del tesoro  e  del  Ministro  dell'universita'  e
 della  ricerca scientifica e tecnologica); ma e' altrettanto vero che
 tale parere non puo' in alcun modo essere considerato equivalente  al
 parere o all'intesa della singola regione interessata, sul territorio
 della quale verra' a svolgersi l'attivita' dell'istituto. Il rapporto
 di  "strumentalita'"  degli  istituti  -  che in sostanza assumono la
 veste di enti gestori di presidi di  ricovero  e  cura  del  Servizio
 sanitario  nazionale,  non  diversamente  dalle  USL  e dalle aziende
 ospedaliere - si pone infatti con riguardo alla regione  interessata,
 nel  cui  ambito  l'istituto  opera, e non con riguardo all'"insieme"
 delle regioni  rappresentate  nella  conferenza:  tanto  piu'  se  si
 considera  che,  ai  sensi  dell'art.  6 quinto comma, del decreto in
 questione,  proprio  e  solo  dalla regione competente per territorio
 dovra' essere finanziata l'attivita' di assistenza  sanitaria  svolta
 dall'istituto.
    Per  di  piu', secondo l'art. 2, terzo comma, lettere a), b) e c),
 del decreto in esame, i  criteri  generali  e  le  procedure  per  il
 riconoscimento  degli istituti, nonche' le norme per la revisione dei
 riconoscimenti  gia'  concessi,  dovranno  essere  disciplinati   con
 regolamento  statale, soltanto "sentita" la conferenza per i rapporti
 tra Stato e regioni.
    Se si tiene presente che  i  presidi  di  ricovero  e  cura  degli
 istituti  a carattere scientifico sono considerati di diritto presidi
 multizonali del servizio sanitario nazionale (art. 42,  terzo  comma,
 della  legge  n.  833/1978,  e  art.  1,  terzo  comma, del d.lgs. n.
 269/1993) risulta chiaro che il riconoscimento di un nuovo istituto -
 di  natura  pubblica  o  di  natura  privata  -  non   si   esaurisce
 nell'inserimento  dell'ente  fra  quelli  abilitati  ufficialmente  a
 svolgere attivita' di ricerca,  ma  ha  anzitutto  e  soprattutto  la
 portata di un provvedimento che incide sulla programmazione sanitaria
 della  regione  interessata,  e  precisamente sul sistema dei presidi
 ospedalieri,  che  costituiscono  come  e'  noto  le  strutture  piu'
 consistenti, piu' rilevanti e piu' costose del sistema sanitario.
    Anche  la  previsione  dell'affidamento  in  esclusiva al Ministro
 della  sanita'  della  funzione  di  controllo  sull'attivita'  degli
 istituti  -  senza  alcuna  distinzione riguardo al tipo di attivita'
 messa in opera - non si sottrae  alle  censure  di  violazione  degli
 artt. 117 e 118 della Costituzione.
    Bisogna  ricordare  che  l'art.  28,  quarto  comma, del d.P.R. n.
 616/1977 aveva stabilito che il controllo sulle  deliberazioni  degli
 istituti  aventi  personalita'  giuridica  di diritto pubblico doveva
 essere esercitato dalla regione nel cui territorio  l'istituto  aveva
 sede.
    A sua volta, l'art. 42, sesto comma, della legge 23 dicembre 1978,
 n.  833,  aveva  precisato che il controllo sulle deliberazioni degli
 istituti aventi  personalita'  giuridica  di  diritto  pubblico,  per
 quanto   attenesse   alle   attivita'  assistenziali,  doveva  essere
 esercitato dai  comitati  regionali  di  controllo  integrati  da  un
 esperto in materia sanitaria designato dal consiglio regionale.
    Successivamente,   il   d.P.R.  31  luglio  1980,  n.  617,  aveva
 conservato alle regioni sedi dei presidi  ospedalieri  e  di  ricerca
 degli  istituti  di  diritto  pubblico  di  carattere scientifico, il
 controllo per la parte assistenziale, secondo  quanto  gia'  disposto
 dall'art.  42  della  legge  n.  833/1978  cit.;  e  per la parte non
 assistenziale   dell'attivita'   svolta    dagli    istituti    aveva
 ulteriormente  distinto  fra  vari tipi di attivita' e deliberazioni,
 mantenendo comunque in  capo  alle  regioni  -  ed  autorizzandole  a
 disciplinare  la  materia  con  apposita  legge  - il controllo sulle
 deliberazioni concernenti l'assunzione e il trattamento economico del
 personale, la stipulazione di contratti di ricerca e l'istituzione di
 borse di studio,  le  alienazioni  e  gli  acquisti  immobiliari,  le
 transazioni  (al  Ministero  della  sanita' veniva invece affidato il
 controllo  sulle  delibere  in  tema  di  modificazioni   statutarie,
 adozione  e  modificazioni  del  regolamento organico del personale o
 della relativa pianta organica, approvazione di bilanci e consuntivi,
 ordinamento dei servizi e convenzioni in materia scientifica).
    Di  tutta  questa  normativa, che cercava di armonizzare - in modo
 rispettoso   delle   competenze    legislative    e    amministrative
 costituzionalmente  attribuite alle regioni - i diversi interessi che
 Stato e regioni  potevano  e  possono  vantare  sull'attivita'  degli
 istituti,  non resta ora alcuna traccia. Senza alcuna distinzione fra
 attivita' assistenziale e non  assistenziale,  ogni  attribuzione  in
 tema  di controllo viene affidata al Ministro della sanita'. In piu',
 si  prevede  (art.  2,  terzo  comma,  lett.  d),  che  con  semplice
 regolamento statale dovranno essere indicati "gli atti degli istituti
 sottoposti al controllo ed il relativo procedimento".
    E'   ben  vero  che  nella  sentenza  n.  356/1992  questa  Corte,
 pronunciandosi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 4,  ottavo
 comma,  della  legge  n.  412/1991,  ha  ritenuto  che  "il carattere
 strumentale dell'attivita' di assistenza sanitaria  svolta  da  detti
 istituti, rispetto allo studio e alla ricerca, giustifica, in ragione
 della rilevata connessione funzionale, la concentrazione nel medesimo
 organo del controllo su ogni loro attivita'".
    Ma  -  a  parte  il fatto che nella realta' delle cose, risultante
 anche dai dati sopra riportati relativi al rilievo di  tali  istituti
 nella  regione  Lombardia,  non si puo' certo dire che l'attivita' di
 assistenza sanitaria svolta da detti istituti  abbia  carattere  solo
 strumentale  rispetto  allo  studio  e alla ricerca - la disposizione
 allora esaminata dalla Corte si limitava ad  estendere  il  controllo
 ministeriale  ad  alcuni  atti  degli  istituti  (programmi  di spesa
 pluriennale,  contratti  e  convenzioni)  che  pur  incidendo   anche
 sull'attivita'   di   assistenza   sanitaria  riguardavano  l'insieme
 dell'attivita' degli istituti medesimi, coinvolgendo dunque anche  la
 loro finalita' scientifica. Al contrario l'art. 2, primo comma, lett.
 c), del d.lgs. n. 259 del 1993 attribuisce al Ministero della sanita'
 senz'altro tutta l'"attivita' di controllo" sugli istituti, mentre si
 demanda  ad  un  regolamento  statale  la  individuazione  degli atti
 sottoposti a controllo e del relativo  procedimento  (art.  2,  terzo
 comma,  lett. d)): e cio' mentre lo stesso decreto ribadisce nel modo
 piu' chiaro che gli istituti in questione svolgono anche "prestazioni
 di ricovero e cura"  (art.  1,  primo  comma)  e  le  loro  strutture
 ospedaliere  sono addirittura qualificate di diritto come ospedali di
 rilievo nazionale e di alta specializzazione (art. 1, terzo comma).
    Concentrare dunque  tutte  le  attivita'  di  controllo  su  detti
 istituti  nel  Ministero,  prevedendo  in  proposito  una  disciplina
 esclusivamente  statale,  equivale  a  sottrarre  alle  regioni  ogni
 possibilita'  di  concreta  influenza  su un comparto assai rilevante
 dell'attivita' di assistenza sanitaria svolta nel proprio territorio.
    Sempre  nell'art.  2  del  decreto  impugnato  si  rinvia  ad   un
 regolamento  statale,  solo  sentita  la conferenza Stato-regioni, la
 disciplina di una serie di  aspetti  fondamentali  del  regime  degli
 istituti.   Si  tratta  fra  l'altro  dei  criteri  generali  per  il
 riconoscimento e per la definizione delle  strutture  e  attrezzature
 necessarie  per il riconoscimento (terzo comma, lett. a)); delle pro-
 cedure per il riconoscimento e per la revoca  dello  stesso  e  delle
 norme  transitorie  per la revisione dei riconoscimenti gia' concessi
 (lettere b) e c));  della  individuazione  degli  atti  sottoposti  a
 controllo  e  del  relativo  procedimento  (lett.    d)); dei criteri
 generali per l'adeguamento degli statuti  e  dei  regolamenti  (lett.
 e));  delle convenzioni fra istituti per realizzare programmi comuni,
 fra  l'altro  nella  organizzazione  e gestione dei servizi sanitari,
 nella  sperimentazione  di  interesse  generale  e  nella  formazione
 continua professionale (lett. g)): dei criteri per la valutazione dei
 costi  e  dei  rendimenti  e per l'utilizzazione delle risorse (lett.
 i)).
    Analogamente l'art. 3, secondo comma, del  decreto  rinvia  ad  un
 regolamento governativo, solo sentita la conferenza Stato-regioni, la
 disciplina   delle   "modalita'   di  nomina,  composizione,  durata,
 attribuzioni e funzionamento degli organi"  degli  istituti,  nonche'
 delle  "modalita'  di  nomina del direttore scientifico e le relative
 attribuzioni".
    Non solo tali disposizioni degli artt. 2 e 3 del decreto  rinviano
 ad  un atto regolamentare - senza prefissione di criteri, e dunque in
 violazione del principio di legalita' sostanziale - gran parte  della
 disciplina degli istituti in questione, anche attinente all'attivita'
 assistenziale  e  dunque  agli aspetti di competenza regionale; ma ad
 esse si accompagna l'abrogazione espressa o implicita (differita,  ai
 sensi  dell'art.  8, secondo comma, al momento dell'entrata in vigore
 dei regolamenti) delle disposizioni legislative previgenti,  fra  cui
 le  norme  della legge n. 833/1978 (art. 42) e del d.P.R. n. 617/1980
 che prevedevano, come si e' detto, la competenza della regione per la
 parte assistenziale, e una partecipazione della regione alla gestione
 degli istituti (tali ad esempio l'art. 42, settimo comma,  lett.  a),
 della  legge  n. 833/1978, esplicitamente abrogato dall'art. 8, primo
 comma, del decreto, sulla rappresentanza regionale nel  consiglio  di
 amministrazione;  gli  artt.  3  e 8 del d.P.R. n. 617 del 1980 sulla
 partecipazione  di  rappresentanti  della  regione  al  consiglio  di
 amministrazione  e al collegio dei revisori; e ancora gli artt. 3, 6,
 11, 19 e 21, dello stesso d.P.R. n. 617/1980 sulle varie attribuzioni
 di nomina, di controllo e consultive della regione.
    L'art. 6, quinto comma, del decreto  in  questione  prevede,  come
 gia'  ricordato, che l'attivita' di assistenza sanitaria svolta dagli
 istituti sia finanziata dalla regione sulla base  delle  disposizioni
 previste   per   gli   ospedali   di  rilievo  nazionale  e  di  alta
 specializzazione di cui al decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.
 502.
    Tale  modalita'  di  finanziamento  -  disciplinata  dall'art.  4,
 settimo  comma,  del  d.lgs  n.  502/1992  -  comporta,  come  si  e'
 accennato,  che  la  regione sarebbe tenuta a destinare una quota del
 fondo sanitario alla  copertura  parziale  delle  spese  di  gestione
 dell'istituto,  determinata in una percentuale "dei costi complessivi
 delle prestazioni che  l'azienda  e'  nelle  condizioni  di  erogare,
 rilevabile sulla base della contabilita'".
    Ora,  che  la  regione  possa  avvalersi,  per la erogazione delle
 prestazioni di ricovero  e  cura,  delle  strutture  degli  istituti,
 pagando   il   costo   delle   prestazioni  effettuate,  puo'  essere
 ragionevole. Meno ragionevole, e anzi del tutto incongruo, e' che  la
 regione  debba  finanziare  come tali - a bilancio, e non in rapporto
 alle prestazioni rese - le strutture e la  gestione  di  presidi  sui
 quali  non  puo'  esercitare  alcuna  potesta'  programmatoria  e  di
 controllo, solo perche'  si  tratta  di  istituti  riconosciuti  (dal
 Ministero)  a  carattere scientifico, magari con finalita' di ricerca
 scientifica assai specifiche e non necessariamente  ridondanti  sulla
 qualita' dell'assistenza.
    Una  lesione  dell'autonomia  regionale  e' da ravvisarsi altresi'
 nell'art. 7, settimo comma, del  decreto  legislativo  in  questione,
 laddove  si stabilisce che l'intesa della Conferenza permanente per i
 rapporti tra Stato e regioni, richiesta dal primo comma dello  stesso
 articolo  per  la  revisione dei riconoscimenti gia' attribuiti, deve
 intervenire entro sessanta giorni dalla ricezione della richiesta,  e
 che  "decorso  tale  termine  i  provvedimenti relativi sono comunque
 adottati", senza alcuna ulteriore garanzia procedimentale.