IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letta l'allegata richiesta di archiviazione;
    Premesso:
      che a seguito di dichiarazioni  di  Pasquale  Galasso,  venivano
 riferiti  all'a.g. fatti costituenti illecito penale a carico di Cono
 Armando Lancuba, magistrato della procura della Repubblica, per  aver
 agito  -  in  ipotesi  -  allo scopo di favorire persone indagate e/o
 imputate per fatti di criminalita' organizzata;
      che con le stesse dichiarazioni  veniva  coinvolto  direttamente
 nella  vicenda Bargi Dino, che aveva svolto attivita' di avvocato dei
 soggetti presunti favoriti, ipotizzandosi una attivita' di concorso e
 comunque di intermediazione del difensore tra il detto magistrato e i
 soggetti di volta in  volta  beneficiari  della  illecita  attivita',
 esplicitamente  assumendosi  che  l'avvocato  e  il  detto magistrato
 "erano una sola cosa";
      che il procedimento veniva trasmesso all'a.g. di Salerno ex art.
 11 del c.p.p., avendo svolto, all'epoca, il  magistrato  le  funzioni
 presso la procura della Repubblica del tribunale di Napoli;
      che  peraltro  l'avvocato  coinvolto, nelle more (ma prima delle
 dette dichiarazioni), era stato eletto senatore della Repubblica;
      che il p.m. nel presente procedimento - dopo aver  ipotizzato  i
 reati di cui agli artt. 110, 81, 319 e 416- bis del c.p. a carico del
 predetto parlamentare - ha trasmesso gli atti a questo ufficio g.i.p.
 chiedendo  che "il g.i.p. in sede voglia disporre l'archiviazione del
 procedimento nei confronti del solo Bargi", non  avendo  le  indagini
 svolte corroborato le dichiarazioni del Galasso;
      che  tale  richiesta  e' stata formulata dopo il termine fissato
 per la richiesta di autorizzazione a procedere e di cui all'art.  344
 del c.p.p.;
      che l'art. 344, primo comma, ultimo punto, del c.p.p. prevede il
 termine di trenta giorni per la richiesta da parte del p.m. ma non si
 prevede, in questa fase del procedimento, alcun analogo potere-dovere
 del  g.i.p. (titolare della decisione sull'archiviazione), ne' alcuna
 facolta' "sollecitatoria" dei poteri del p.m. in  ordine  alla  detta
 richiesta;
      che,  in  conseguenza, questo giudice - che ritiene di non dover
 accogliere  la  citata  richiesta  di  archiviazione   -   si   trova
 nell'impossibilita'  di  utilmente  fissare  ex  art.  409 del c.p.p.
 l'udienza, non potendo essa avere i suoi sbocchi naturali di  cui  al
 quarto  e  quinto  comma  del citato articolo (nuovi atti di indagine
 ritenuti necessari, in concreto peraltro di tipo  diverso  da  quelli
 previsti  dall'art. 343 del c.p.p.; e/o invito vincolante al p.m. per
 la  formulazione  dell'imputazione)  non  essendo  possibile  ne'  il
 compimento  di  atti di indagine ne' la formulazione dell'imputazione
 in assenza della richiesta di  autorizzazione  a  procedere  che  per
 l'art.  344  del  c.p.p.  doveva avanzarsi "comunque" entro 30 giorni
 dalla iscrizione nel registro delle notizie di  reato  della  persona
 per la quale e' necessaria l'autorizzazione;
      che   detto   termine,  per  le  modalita'  di  espressione  del
 legislatore ("deve", "comunque"), per la ratio che lo ha  determinato
 (non  consentire  che  un  membro del parlamento sia sottoposto ad un
 lungo periodo di indagini) e che  infine  per  la  espressa  volonta'
 emersa nei lavori preparatori (v. lavori del Senato della Repubblica,
 resoconto stenografico della 522a seduta in data 21 novembre 1986, v.
 univoca   dichiarazione   di   Benedetti  e  Vassalli),  deve  essere
 considerato perentorio al di la' della previsione dell'art.  172  del
 c.p.p.  (che  peraltro si limita a statuire la decadenza soltanto nei
 casi previsti dalla legge, ma non statuisce sul  se  detta  decadenza
 debba  essere  necessariamente  "espressa e letterale" o invece anche
 implicita perche' ricavabile dal tenore delle parole  usate  e  dalla
 coerente  ratio),  al  di  la'  anche  delle  pur autorevoli - ma non
 vincolanti  in  questa  sede  -  decisioni  della   giunta   per   le
 autorizzazioni    a    procedere   (peraltro   assunte   a   "stretta
 maggioranza"), essendo del tutto palese che la  sola  sanzione  della
 "inutilizzabilita'" degli atti non sarebbe assolutamente coerente con
 il  fine primario propostosi dal legislatore (non consentire indagini
 per   lungo   periodo   sui   parlamentari),   riguardano   la   mera
 inutilizzabilita'  una  valutazione  processuale  degli atti e non la
 "possibilita'"  o  meno  di  svolgere  indagini  a   carico   di   un
 parlamentare in tempi ristretti;
      che  del  resto  tutte  le  altre  condizioni  di procedibilita'
 (istanza, querela etc) presuppongono un termine al di la'  del  quale
 la condizione non e' piu' attuabile;
      che,  comunque  si voglia qualificare il detto potere-dovere del
 giudice di non accogliere la richiesta di archiviazione indicando  al
 p.m.  nuove  indagini  o  imponendogli  di formulare l'imputazione (e
 cioe' sia esso o meno eccezione al principio  ne  procedat  iudex  ex
 officio,   sia   o   meno   tale   principio  recepito  dalla  nostra
 Costituzione, sia esso principio recepito o meno nel  nostro  sistema
 processuale),  in  ogni  caso  appare  nella  specie  che il "normale
 controllo" giurisdizionale sulla concreta applicazione del  principio
 costituzionale dell'obbligatorieta' dell'azione penale (art. 112) non
 puo'  essere  attuato  ed  e'  quindi sostanzialmente eluso lo stesso
 principio di obbligatorieta' senza alcuna plausibile ragione  (invero
 i  membri  del parlamento non sono sottratti alla legge penale, ma si
 prevede solo la "autorizzazione" senza alcun altra "differenziazione"
 con gli altri soggetti sottoposti all'esercizio  dell'azione  penale,
 la  cui  concreta  attuazione  - come si e' visto - e' disciplinata o
 come attivita' propria del p.m. o come attivita'  "imposta"  al  p.m.
 dal giudice in sede di controllo giurisdizionale sulla determinazione
 del  p.m.  al  "non  esercizio"  dell'azione  penale), onde del tutto
 illogico e costituzionalmente non  consentito  sarebbe  sottrarre  il
 soggetto   parlamentare   a   tale  controllo  giurisdizionale  e  in
 definitiva sottrarlo ad uno dei "modi" di inizio dell'azione  penale,
 cosi' come invece previsto per tutti gli altri cittadini sottoposti a
 procedimento penale;
      che  la "omissione" della richiesta nei trenta giorni puo' esser
 determinata non da una illegittima e censurabile inattivita' del p.m.
 o inosservanza  dei  propri  doveri  (sicche'  potrebbe  parlarsi  di
 conseguenza  non  voluta dal sistema processuale, perche' conseguenza
 di una sua anomala e non consentita attuazione), ma ben  puo'  invece
 essa  essere  determinata  da  una  legittima  diversita' di opinione
 processualmente  usuale  e  fisiologica,   o   addirittura   da   una
 "oggettiva"  mancanza  del  tempo  necessario per acquisire gli utili
 elementi per l'inizio dell'azione penale, onde ancor piu' illogica  e
 immotivata  e' la concreta preclusione al g.i.p. di esercitare i suoi
 poteri-doveri ex art. 409 del c.p.p., versandosi in  una  ipotesi  in
 cui  la detta preclusione non deriva da illegittimo o censurabile, in
 ipotesi, uso dei poteri del p.m., ma invece proprio dalla legittima e
 non censurabile valutazione del p.m. di  inesistenza  degli  elementi
 per  l'inizio  dell'azione  penale,  onde la preclusione detta deriva
 direttamente dal coordinato  sistema  processuale  all'uopo  previsto
 dalla  legge  e non da "inattivita'" o "anomali" comportamenti di una
 delle  parti  processuali,   sicche'   si   impone   il   vaglio   di
 costituzionalita' da parte di codesta Corte;
      che   nella   specie   appare   violato   sia  il  principio  di
 obbligatorieta' dell'azione  penale  (art.  112  della  Costituzione)
 cosi'  come  "complementarmente"  disciplinato dal c.p.p. ex art. 409
 con l'intervento del controllo giurisdizionale, sia il  principio  di
 eguaglianza  dei  cittadini  di  fronte  alla  legge  (art.  3  della
 Costituzione) sotto un duplice profilo:
        A) immotivata disparita' di trattamento con gli  altri  comuni
 indagati  (che  sono sottoposti all'azione penale anche a seguito del
 controllo giurisdizionale ex art. 409 del c.p.p.);
        B)  immotivata  disparita'  di  trattamento  con   gli   altri
 parlamentari  inquisiti  per  i  quali  il p.m. si sia - in ipotesi -
 determinato all'archiviazione in  tempo  ancora  idoneo  per  l'utile
 esercizio  dei  poteri  del g.i.p. ex art. 409 del c.p.p. (fissazione
 dell'udienza,  indicazioni  delle  nuove  indagini  o   invito   alla
 formulazione  dell'imputazione  previa  richiesta  di  autorizzazione
 ancora praticabile per non essere decorso il termine ex art. 344  del
 c.p.p.);
      che  va  anche  ulteriormente  osservato  - in maniera del tutto
 autonoma da quanto in precedenza  precisato  -  che  la  legittimita'
 dell'apposizione   di   un  termine  (a  prescindere  dal  "tipo"  di
 conseguenza processuale ricollegata alla  sua  inosservanza)  per  la
 condizione   di   promuovibilita'  dell'azione  penale,  sebbene  sia
 costituzionalmente corretta in  relazione  alle  situazioni  ritenute
 legittimamente diverse dal legislatore (quale indubbiamente e' quella
 del  membro  del  parlamento),  tuttavia  essa non puo' risolversi di
 fatto, per l'esiguita' del termine, in un sostanziale  ingiustificato
 ostacolo   al   principio  dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale,
 essendo innegabile che, da una parte a tale principio il  costituente
 non  ha  inteso  porre esenzioni per lo status di parlamentare (al di
 fuori  dell'ipotesi  di  cui  al  primo  comma  dell'art.  68   della
 Costituzione),  e dall'altra che per determinate situazioni e per de-
 terminate indagini  -  quali  quelle  come  nel  caso  di  specie  di
 valutazione  di  un complessivo e duraturo comportamento del soggetto
 ai fini della configurabilita' dell'ipotizzato reato ex artt.  110  e
 416-  bis c.p. - vi e' oggettiva necessita' di tempi lunghi, comunque
 piu' lunghi del normale, come "normativamente" attestato dallo stesso
 legislatore che per tale tipo di reato ha previsto termini diversi  e
 addirittura doppi per l'inizio dell'azione penale (v. artt. 405 e 407
 del  c.p.p.), onde la oggettiva "ingiustificatezza" della "esiguita'"
 dell'unico termine di cui al citato art. 344 del c.p.p. sia ex art. 3
 della  Costituzione  in  generale  (  A)  ingiustificato  trattamento
 rispetto agli altri cittadini che, in relazione alla complessita' dei
 reati  ipotizzati a loro carico, sono soggetti a indagini preliminari
 con termini correlativi di diversa durata, mentre per i  parlamentari
 il termine per la richiesta di autorizzazione e quindi il termine per
 l'utile  accesso  alle  indagini e in definitiva all'azione penale e'
 ingiustificatamente unico senza differenziazioni in ordine al tipo di
 reato, pur essendo legata la richiesta di autorizzazione  proprio  al
 tipo  di  acquisizioni  processuali e al numero delle stesse e quindi
 proprio  alla  diversa  oggettiva   difficolta'   dell'indagine;   B)
 ulteriore  ingiustificato trattamento rispetto ai colleghi membri del
 parlamento che siano in ipotesi indagati  per  reati  che  comportino
 indagini  meno  complesse  e  meno  laboriose,  onde  per  gli uni la
 congruita' del termine e per gli  altri  un  sostanziale  impedimento
 all'azione  penale), sia ex art. 112 della Costituzione (risolvendosi
 di per se' la esiguita', palesemente incongrua,  del  termine  in  un
 ingiustificato  ostacolo  all'azione  del  p.m.,  al  di  la' dei pur
 legittimi motivi che hanno determinato - in relazione al diverso sta-
 tus del soggetto inquisito - sia la necessita' dell'autorizzazione  a
 procedere  sia  la  previsione  di un termine al riguardo, e cio' con
 ancor piu' evidenza laddove si consideri che  l'apposita  commissione
 camerale,  oltre all'inesistenza del fumus persecutionis, debba anche
 valutare "la consistenza" degli elementi a carico, essendo innegabile
 che per le indagini complesse l'eseguita' del termine si  risolve  in
 una concreta impossibilita' di acquisizione di elementi "consistenti"
 per  la  concessione dell'autorizzazione, e quindi ancora una volta -
 sia pure in maniera  indiretta,  ma  certamentente  palese  -  in  un
 ingiustificato ostacolo all'obbligatorieta' dell'azione penale);
      che   va   tenuto  nel  debito  rilievo  che  la  condizione  di
 promuovibilita'   dell'azione   penale   di   cui   ci   si    occupa
 (autorizzazione   a   procedere)   e'  atipica  rispetto  alle  altre
 condizioni di procedibilita' perche' per essa a differenza di  altre,
 e'  previsto  un  termine (onde la concreta praticabilita' per queste
 ultime dell'art. 409 del c.p.p. non essendovi termine  per  porre  in
 essere la condizione di procedibilita', presupposto o per le indagini
 ulteriori o per la formulazione dell'imputazione) e, d'altra parte, a
 differenza  delle  altre  per  cui  pure  e'  previsto un termine (v.
 querela, richiesta) il presupposto per la decorrenza del  termine  e'
 la "conoscenza" del fatto da parte del titolare del relativo diritto:
 nella  specie  invece  la  richiesta e' soggetta a termine e non e' a
 conoscenza del soggetto - Parlamento - titolare del diritto di  porre
 in essere la condizione, onde la diversita' di situazione che - anche
 sotto  tale  profilo  -  viene  a  determinarsi  per  tale  "tipo" di
 condizione di procedibilita' rispetto alle altre;
      anche peraltro si tratterebbe per come gia' detto in precedenza,
 dell'unica condizione di  procedibilita'  sottoposta  a  termini  non
 perentori  di attuabilita', qualora si ritenga (dilatorio) il termine
 delle relative richieste.
    Le proposte eccezioni sono peraltro rilevanti nel caso di specie:
     si e' gia' detto che il p.m. ha motivato la chiesta archiviazione
 per inesistenza di elementi comprovanti il reato ipotizzato e non per
 mancanza di una condizione di procedibilita';
      si e' anche  gia'  detto  che  questo  giudice  non  ritiene  di
 accogliere   la   detta  richiesta  dovendosi  svolgere  approfonditi
 accertamenti - allo stato non effettuati - su  quanto  specificamente
 dichiarto   da   Galasso  Pasquale  (e  cioe'  sui  rapporti  tra  il
 parlamentare/avvocato  e  il magistrato, sui loro ipotizzati rapporti
 con l'organizzazione "Nuova Famiglia" capeggiata dal Alfieri Carmine,
 sul se sia vera o meno la donazione  da  parte  della  organizzazione
 criminale  di  uno  o  due  appartamenti  al predetto magistrato e al
 predetto avvocato, sul se sia vero o meno che il predetto avvocato  e
 il  predetto  magistrato  avessero  uno  "studio" in comune in Napoli
 frequentando insieme anche un altro studio in Roma, sul se  sia  vero
 che  detto  "studio"  in  Napoli sia stato loro donato dalla predetta
 organizzazione camorristica, sul  se,  quali  e  quanti  processi  il
 predetto  avvocato  abbia trattato innanzi al predetto magistrato e a
 difesa di persone appartenenti  all'organizzazione  camorristica,  su
 quali siano stati i comportamenti processuali ed extraprocessuali sia
 dell'avvocato  che  del magistrato nel corso delle dette vicende, sul
 se sia vero o meno che  il  magistrato  e  l'avvocato  fossero  stati
 insieme gratuitamente ospiti in immobili o alberghi di persone che si
 assumono   come   associati  all'organizzazione  dell'Alfieri  e  del
 Galasso, in quale periodo e per quanto  tempo,  essendo  peraltro  di
 tutta  evidenza  che  qualora  vi  siano stati illeciti comportamenti
 degli inquirenti indotti dal predetto  parlamentare/avvocato,  questi
 ne  risponderebbe,  insieme al magistrato, a titolo di concorso), non
 escludendosi altresi' che questo giudice possa  ritenere,  gia'  alla
 stato  degli  atti, la sussistenza degli elementi per la formulazione
 dell'imputazione;
      che la predetta delineata situazione processuale  relativa  alla
 mancata  richiesta di autorizzazione nei termini di legge (e comunque
 alla inesistenza  della  autorizzazione  a  procedere)  impedisce  di
 utilmente  fissare l'udienza ex art. 409 del c.p.p. non potendosi ne'
 svolgere   le   dette   indagini   (che   presuppongono    quantomeno
 interrogatori,  confronti,  perquisizioni, atti questi non consentiti
 in  mancanza  di   autorizzazione   a   procedere),   ne'   formulare
 l'imputazione,   trattandosi   di  indiretto-complementare  esercizio
 dell'azione penale anch'essa non consentita in mancanza  della  detta
 condizione  di procedibilita', e infine non essendo peraltro prevista
 alcuna altra decisione interlocutoria o di contenuto diverso da parte
 del g.i.p. al di fuori  del  provvedimento  di  archiviazione  o  del
 provvedimento di fissazione dell'udienza ex art. 409 del c.p.p.;