IL PRETORE Sentite le parti; Esaminati gli atti; O S S E R V A E' stata promossa azione penale nei confronti di Raimondi Franco, imputato del reato di cui all'art. 20 lett. b) legge 28 ottobre 1985, n. 47, per avere senza concessione, modificato la destinazione d'uso di alcuni locali del sottotetto del fabbricato in via Primo Maggio, 317 trasformandoli in abitazione. Dall'istruttoria, nel corso della quale sono stati sentiti il responsabile dell'ufficio tecnico comunale di Soliera geom. Lolli ed un vigile urbano autore del sopralluogo nei locali in questione, e' emerso che il Raimondi ha arredato il sottotetto della sua abitazione, trasformandolo in autonomo appartamento con cucina e "salottino" per una superficie utile complessiva di sessanta metri quadrati destinata ad abitazione. Il tutto senza la concessione prescritta dalla legge regionale Emilia Romagna 8 novembre 1988, n. 46, pubblicata nel bollettino ufficiale della regione 11 novembre 1988, n. 98. E' pacifico in causa che la nuova destinazione d'uso del locale sottotetto, originariamente destinato a funzioni di servizio rispetto al sottostante appartamento, sia stata attuata senza opere edilizie ossia, nel linguaggio della citata legge, senza trasformazioni fisiche. L'art. 2 primo comma dell'indicata legge regionale stabilisce che in sede di predisposizione degli strumenti urbanistici i comuni sono tenuti ad individuare le destinazioni d'uso degli immobili i cui mutamenti, anche non connessi a trasformazioni fisiche, sono subordinati a concessione, "fermo restando che la concessione e' dovuta qualora il mutamento comporti il passaggio dall'uno all'altro dei seguenti raggruppamenti di categoria: a) funzione abitativa; b) .. funzioni di servizio ..". Ne segue che il Raimondi ha certamento violato l'indicata norma penale avendo proceduto senza la prescritta concessione ad un intervento avente riflessi sull'assetto urbanistico, violando in tal modo la norma penale contestata. La lata formula "esecuzione di lavori in assenza della concessione" contenuta nella disposizione incriminatrice consentirebbe di applicare al caso in esame la norma, conducendo alla condanna dell'imputato. Dovendosi fare applicazione nel caso concreto del citato art. 2 della legge regionale n. 46/1988, non puo' non rilevarsi come detta norma non appare conforme a fondamentali precetti costituzionali. Vengono in rilievo in particolare gli artt. 117 primo comma, prima parte e 25 secondo comma della Costituzione. Quanto al primo profilo il Pretore deve limitarsi a richiamare quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 73/1991, emessa in materia analoga a quella in esame (Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale n. 8 del 20 febbraio 1991). Nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale di norma di legge della regione Veneto in relazione all'art. 117 della Costituzione, la Corte ha osservato che la legge 28 febbtaio 1985, n. 47, disciplinando ex novo gli istituti della autorizzazione e della concessione enuncia i principi fondamentali cui devono attenersi le regioni in detta materia. Nell'individuare detti principi fondamentali la Corte sottolinea come il legislatore nazionale abbia inteso distinguere i casi in cui il mutamento di destinazione d'uso sia avvenuto mediante la realizzazione di opere edilizie dal caso in cui il mutamento si debba realizzare senza opere. Questo caso e' stato disciplinato dall'art. 25 ultimo comma della legge n. 47/1985 il quale autorizza il legislatore regionale a stabilire criteri e modalita' cui dovranno attenersi i comuni all'atto della predisposizione di strumenti urbanistici, per l'eventuale regolamentazione, in ambiti determinati del proprio territorio, delle destinazioni d'uso degli immobili nonche' dei casi in cui per la variazione di essa sia richiesta la preventiva autorizzazione del sindaco. La mancanza dell'autorizzazione e' assoggettata alle sanzioni (amministrative) di cui all'art. 10. Conclude pertanto la Corte che "la modifica funzionale della destinazione, non connessa all'esecuzione di interventi edilizi puo' essere assoggettato soltanto al regime dell'autorizzazione, e solo dopo che i criteri, dettati dall'apposita legge regionale prevista dal'art. 25 citato, siano filtrati ed attuati in sede di pianificazione urbanistica comunale relativamente ad ambiti determinati". La legge regionale poteva dunque prevedere in base alla legge- quadro statale per la fattispecie in esame solo il previo rilascio di autorizzazione, previsione che non poteva essere totalizzante ma legata a criteri e parametri che consentissero margini di scelta discrezionali ai comuni. In definitiva la norma in esame si pone in radicale contrasto con i principi fissati nella materia sia perche' impone per la semplice modifica di destinazione d'uso il rilascio di concessione e non di autorizzazione e sia perche' sopprime ogni possibilita' di scelta e di autonomia da parte dei comuni. La differenziazione imposta dalla legislazione regionale non ha, come e' evidente, valore meramente terminologico ed equivale ad una reale scelta politica confliggente con gli indirizzi statali, in quanto la scelta fra il regime concessorio e quello autorizzatorio e' fondato sulla diversa natura ed incisivita' del controllo richiesto in relazione alla ritenuta incidenza sul territorio della trasformazione edilizia da eseguire. In questo caso l'opzione per il regime autorizzatorio, ferma restando la conformita' del risutlato finale allo strumento urbanistico, implica una valutazione negativa circa la capacita' della trasformazione di indurre ulteriori carichi urbanistici. La disciplina dettata dalla normativa della regione Emilia-Romagna si dissocia nettamente dai principi enunciati dalla Corte costituzionale. Detta normativa non esonera alcun cambio di destinazione non connesso a trasformazione fisica da ogni tipo di controllo e anzi impone il rigido regime della concessione laddove la legge statale prescrive il rilascio di mera autorizzazione per casi definiti ed ambiti determinati. La conseguenza aberrante, rilevata nella specie dagli stessi denuncianti, e' che l'imputato si trova a dover rispondere di una contravvenzione punita con sanzione detentiva per un fatto che l'autorita' comunale stessa giudica sostanzialemnte irrilevante. Quest'osservazione conduce al secondo profilo di illegittimita' costituzionale della norma denunciata, avendo avuto essa l'effetto di rendere penalmente rilevante un fatto che in tutto il resto del territorio nazionale non costituisce reato. E' noto infatti come in base all'interpretazione del citato articolo 25 nonche' dell'art. 8 della legge n. 47/1985, in base al diritto vivente il mutamento di destinazione d'uso soltanto funzionale non integra piu' estremi di reato (Cass. pen. sez. III, 15 luglio 1988, Mielli; id Cass. Pen. sez. III 3 marzo 1987, De Fenu'). Questa giurisprudenza ovviamente parte dal presupposto che la legge statale (non contraddetta da alcuna legge regionale nei casi di spe- cie) prevede per tale attivita' solo l'autorizzazione del sindaco. Ne risulterebbe violato l'art. 25 secondo comma della Costituzione che, secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale, stabilisce una riserva di legge statale in materia pernale. La Corte ha sempre fermamente affermato che le Regioni attraverso la propia legislazione non possono disporre del potere di introdurre, rimuovere o variare con proprie leggi norme penali: fra tutte e' opportuno citare la sentenza n. 213/1991, resa su odinanza proposta dalla pretura circondariale di Modena sempre in relazione a norma di legge dell'Emilia-Romagna.