LA CORTE DEI CONTI Uditi nella pubblica udienza del 23 ottobre 1992 con l'assistenza del segretario Maria Marrone il consigliere relatore Maria Letizia De Lieto Vollaro, l'avv. Nino Caminiti per delega dell'avv. Franco Gaetano Scoca procuratore speciale del ricorrente e il pubblico ministero in persona del vice procuratore generale dott. Gennaro Faracca; Visto il ricorso iscritto al n. 130224 del registro di segreteria; Visti gli atti e i documenti tutti della causa; Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso prodotto dal sig. Bernardino Giannetti nato il 10 agosto 1937, domiciliato elettivamente presso lo studio dell'avv. Franco Gaetano Scoca, in Roma, via Giovanni Paisiello n. 55, avverso le note in data 2 settembre 1985 e 13 maggio 1987, della direzione provinciale del Tesoro di Frosinone. RITENUTO IN FATTO 1. - La direzione provinciale del tesoro di Frosinone, con le impugnate note, ha accertato nei confronti del ricorrente un credito erariale - rideterminato in lire 12.978.644 - a titolo di pensione percetta e non dovuta dal 1 febbraio 1984 al 31 agosto 1985. Cio' in quanto ebbe a ritenere non cumulabile, ai sensi dell'art. 10, settimo comma, della legge 25 marzo 1983, n. 79, il trattamento pensionistico erogato in via provvisoria al Bernardino Giannetti, quale ex insegnante statale collocato a riposo nel corso del 1984, con la retribuzione percepita contestualmente dal medesimo quale dipendente del C.N.R. Il ricorrente, infatti, gia' professore del liceo ginnasio di Cassino, dopo essere cessato dal servizio per dimissioni volontarie con decorrenza 30 gennaio 1984, risulta essere stato assunto presso il C.N.R. con la qualifica di collaboratore del ruolo tecnico professionale. 2. - Con il proposito ricorso si contesta l'applicazione nella fattispecie in questione del divieto di cumulo previsto dall'art. 10 della legge n. 79/1983; sostenendo che la norma ha quali destinatari solamente le lavoratrici dipendenti coniugate o con prole a carico. Si sostiene, inoltre, in gravame la irripetibilita' delle somme costituenti l'accertato credito erariale, in relazione al quale e' stata inoltrata domanda di sospensiva, respinta da questa sezione (con ord. n. 130224 in data 15 luglio/2 agosto 1988; adducendo vizi del provvedimento e la buona fede del percipiente. 3. - Alla pubblica udienza l'avv. Nino Caminiti, per delega dell'avv. Franco Gaetano Scoca, ha insistito per l'accoglimento del ricorso, mentre il pubblico ministero, in persona del v.p.g. Gennaro Faracca ne ha chiesto la reiezione. CONSIDERATO IN DIRITTO Ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 10 d.l. 29 gennaio 1983, n. 17, convertito nella legge 25 marzo 1983, n. 79, ai soggetti che fruiscono di pensionamenti anticipati in applicazione delle disposizioni di cui all'articolo medesimo si applicano le norme sui divieti di cumulo previsti dall'art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153. La nuova stesura, in sede di conversione del citato art. 10 ha portato piu' ampia di quella attinente alla formulazione originaria dell'articolo stesso, e consente di affermare che il divieto di cumulo tra pensione e stipendio previsto dall'ultimo comma trova applicazione nei riguardi di coloro che - come il ricorrente - siano venuti a cessare anticipatamente dal servizio a seguito di una espressa manifestazione di volonta'. L'anticipazione cui si riferisce il legislatore deve intendersi, poi, correlata sia al minimo di servizio per maturare il diritto a pensione ( ex dipendenti coniugate o con prole con meno di 20 o 25 anni di servizio), sia al limite massimo, di servizio o di eta', previsto dalle norme vigenti. La doglianza del ricorrente, che sostiene l'inapplicabilita' del divieto di cumulo nella fattispecie qui considerata, sarebbe, quindi, da disattendere in tale punto, perche' priva di giuridico fondamento. Eppero' il collegio ritiene che debba porsi, perche' non manifestamente infondata oltre che palesemente rilevante ai fini della decisione del ricorso, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, ultimo comma, del d.l. 29 gennaio 1983, n. 17, cosi' come risulta convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1983, n. 79 nonche' dell'art. 72 della legge 30 aprile 1969, n. 153, per contrasto con l'art. 36, primo comma della Costituzione. Sotto tale profilo si osserva come le norme succitate implichino la sospensione del trattamento pensionistico senza stabilire il limite minimo dell'emolumento dell'attivita' esplicata, in relazione alla quale tale decurtazione divenuta operante. In assenza della fissazione di detto limite, ad avviso della Sezione, il mancato computo comporterebbe il "vulnus" dell'art. 36 della Costituzione per la mancata valutazione, alla luce del criterio della proporzionalita' della pensione - in quanto retribuzione differita - in rapporto alla quantita'-qualita' del lavoro prestato. La riduzione o sospensione del trattamento di quiescenza, infatti, puo' essere giustificata e risultare, quindi, compatibile con il principio stabilito dall'art. 36, primo comma della Costituzione, soltanto se e' correlata ad una retribuzione della nuova attivita', tale che ne giustifichi la misura. Del resto analoghe argomentazioni sono state poste a fondamento delle sentenze della Corte costituzionale nn. 566/1989, 204 e 232 del 1992 in esito a questioni di legittimita' costituzionale prospettate da questa Corte remittente e attinenti, rispettivamente agli artt.: 99, quinto comma del d.P.R. n. 1092/1973; 17, primo comma della legge n. 843/1979 e 97, primo comma del d.P.R. n. 1092/1973.