IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla controversia  di  lavoro
 iscritta  al n. 163/1992 r.g.a.c. promossa da F.lli Romano S.p.a., in
 persona del presidente sig. Michele  Romano,  con  sede  in  Crotone;
 contro  l'Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del
 suo presidente legale rappresentante pro-tempore;
   Ha emesso, a scioglimento della riserva di cui al verbale d'udienza
 dell'11 giugno 1993, la presente  ordinanza  nella  causa  di  lavoro
 iscritta  al  n.  163/1992  del  ruolo  generale affari contenziosi e
 vertente tra la S.p.a. f.lli Romano, in persona  del  suo  Presidente
 pro-tempore sig. Michele Romano, con sede in Crotone, rappresentata e
 difesa  dall'avv. prof. Elio Fazzalari e dall'avv. Rosario Medici per
 procura in calce all'atto introduttivo del giudizio, e l'I.N.P.S., in
 persona del suo legale rappresentante  pro-tempore,  rappresentato  e
 difeso  dall'avv.  Giuseppe Filippelli per procura generale alle liti
 per notaio Lupo di Roma (rep. n. 5674 del 17 novembre 1986).
    Oggetto: rimborso contributi.
                           RITENUTO IN FATTO
    Con ricorso depositato il 1 febbraio 1992 la F.lli Romano  S.p.a.,
 con  sede in Strongoli (KR), azienda esercente attivita' di trasporto
 pubblico in concessione, con oltre 200 dipendenti, adiva questo  pre-
 tore,  in  funzione  di  giudice  del  lavoro,  per sentir condannare
 l'I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale, al rimborso
 di contributi versati dal giugno 1981, ammontanti per  sorte  a  lire
 8.263.902.231,  nonche' il risarcimento del danno derivante sia dalla
 svalutazione sia dalla necessita' del ricorso al credito e dal  lucro
 cessante.
    Il  diritto  al  rimborso,  di  cui  e' causa, si fonderebbe sulla
 sentenza della Corte costituzionale, n. 261 del 12 giugno  1991,  con
 cui  e'  stata sancita la illegittimita' dell'art. 18, secondo comma,
 d.l. 30 agosto 1968, n. 918, convertito nella legge 25 ottobre 1968,
 n.  1089,  per  la  parte in cui escludeva dal beneficio degli sgravi
 contributivi previsti dalla medesima legge,  le  imprese  industriali
 operanti  nel  mezzogiorno,  relativamente al personale dipendente le
 cui retribuzioni non fossero assoggettate a contribuzione  contro  la
 disoccupazione involontaria.
    Successivamente  all'emanazione  di tale sentenza il 20 giugno, 22
 luglio  e  20  agosto  1991,  la  f.lli   Romano   S.p.a.,   chiedeva
 all'I.N.P.S.,  anche  ai  fini  interruttivi  della  prescrizione, il
 rimborso della differenza contributiva versata in  eccesso,  per  non
 aver beneficiato dello sgravio: senza ottenere alcun riscontro.
    L'8  novembre  1991 la societa' ricorrente notificava all'I.N.P.S.
 atto stragiudiziale di diffida e messa in mora, al  quale  l'istituto
 rispondeva  con lettera raccomandata in cui non contestava il diritto
 della societa' ricorrente,  ma  si  limitava  a  chiedere  tempo  per
 assumere  istruzioni  dalla  sede  centrale  circa  le  modalita' del
 rimborso.
    Dopo una inutile attesa, la S.p.a.  f.lli  Romano  incardinava  la
 presente controversia.
    Si  costituiva  tempestivamente  l'I.N.P.S.  sollevando  eccezioni
 preliminari.
    In data 13 maggio 1992 questo ufficio, giudicando rilevante e  non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1 n. 3 del d.l. n. 14 del 21 gennaio  1992  (disciplinante
 le  modalita' con cui l'I.N.P.S. avrebbe dovuto procedere ai rimborsi
 di cui e' causa), emetteva una prima ordinanza  di  remissione  degli
 atti alla Corte costituzionale.
    La  Corte,  in  data  26  marzo  1993,  con ordinanza n. 116/1993,
 rilevato che il decreto  denunciato  non  era  stato  tempestivamente
 convertito   in  legge,  cosi'  come  non  convertiti  risultavano  i
 successivi decreti con  cui  il  Governo  aveva  reiterato  la  norma
 denunciata,  giudicava  inammissibile  la  questione  di legittimita'
 costituzionale.
    Nelle more della decisione della Corte, poiche' l'I.N.P.S., pur in
 presenza di rituale richiesta, non dava corso  neppure  al  pagamento
 della  rata  annuale  previsto  dal denunciato decreto, la soc. f.lli
 Romano ha chiesto a questo  giudice  l'emanazione  di  un  ordine  di
 pagamento ex art. 700 del c.p.c. in relazione alla rata maturata.
    Con  provvedimento del 27 aprile 1993, questo ufficio ha impartito
 all'I.N.P.S. l'ordine di immediato pagamento della  rata  commisurata
 alla  sorte,  oltre  agli interessi legali dalla scadenza della rata,
 rivalutata equitativamente nella misura del 10%  sulle  somme  dovute
 anno  per  anno. Con cio' interpretando l'inciso dell'art. 1 n. 3 del
 d.l. 22 marzo 1993, n. 71, "senza alcun aggravio  per  rivalutazione
 ed   interessi",   come   riferito   soltanto   al  futuro,  e  cioe'
 all'ulteriore rateazione decennale, non al danno  ed  agli  interessi
 gia'  prodottisi  per il passato, per attenuare in via interpretativa
 il ritenuto contrasto della norma che  si  denuncia  con  i  principi
 costituzionali.
    Nel  frattempo il Governo era costretto a reiterare ripetutamente,
 per decreto, la norma de qua  non  sopravvenendo  la  conversione  in
 legge da parte del Parlamento. Finalmente con la legge di conversione
 n.  151  del  20  maggio 1993 veniva convertito il d.l. n. 71 del 22
 marzo 1993 recante, all'art. 1,  comma  3,  la  disposizione  di  cui
 appresso, riguardante le modalita' del rimborso in oggetto.
    All'udienza  dell'11  giugno  1993, innanzi a questo ufficio, dove
 nel frattempo la  causa  era  stata  riassunta  dopo  l'incidente  di
 costituzionalita',  la  ricorrente f.lli Romano S.p.a., ha nuovamente
 sollevato questione di legittimita'  costituzionale  della  norma  de
 qua.
                        CONSIDERATO IN DIRITTO
    Innanzitutto,  in  ordine  all'istanza  dell'I.N.P.S.  di parziale
 revoca dell'ordinanza del 27 aprile 1993, ritiene il giudicante  che,
 prevedendo  l'art.  669-decies codice procedura civile la revoca o la
 modifica  dei  provvedimenti  d'urgenza  solo   al   verificarsi   di
 "mutamenti  nelle circostanze", la richiesta non possa essere accolta
 in quanto nel caso di specie nessun fatto nuovo e' sopravvenuto, tale
 da incidere sui presupposti del provvedimento cautelare emanato.
    Osserva altresi' il decidente che ben si evince dalla  motivazione
 dell'ordinanza  del  27  aprile  1993  l'interpretazione  che  questo
 ufficio attribuisce alla norma di cui al d.l. n. 71/1993, convertito
 nella legge n.  151/1993,  riferendo  l'inciso  "senza  aggravio  per
 rivalutazione  e  interessi"  -  riportato  nella  predetta  norma  -
 soltanto all'ulteriore rateazione decennale, fatti salvi i  danni  da
 svalutazione  e da lucro cessante maturati nel periodo precedente non
 coperto da prescrizione.
    Esaminiamo  ora  le  questioni  poste  in  evidenza  dalla   parte
 ricorrente:
      1)  La  ricorrente ha sollevato, "come mezzo al fine", questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 1 n. 3 del d.l. n.  71  del
 22  marzo  1993  -  convertito nella legge 20 maggio 1993, n. 151, in
 relazione agli artt. 3, 24, 41, 97 e 113 della Costituzione.
    Con tale norma il Governo, in esito alla  menzionata  sentenza  n.
 261/1991  della  Corte  costituzionale,  ha disposto che "il rimborso
 delle somme a titolo di sgravi degli oneri sociali  in  favore  delle
 imprese  industriali  operanti  nei  territori  di cui al testo unico
 delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, approvato  con  decreto
 del  Presidente  della  Repubblica  6  marzo  1978, n. 218, dovute in
 conseguenza  della  sentenza  della  Corte  costituzionale   n.   261
 pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale del 12 giugno 1991 e relative a
 periodi contributivi anteriori alla data di pubblicazione stessa,  e'
 effettuato,  nel  pieno rispetto dei termini di prescrizioni previsti
 dalla vigente normativa, previa presentazione  di  apposita  domanda,
 dall'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale  in  dieci  rate
 annuali di pari importo, senza alcun  aggravio  per  rivalutazione  o
 interessi,  entro  il 31 dicembre di ciascun anno a decorrere, per la
 prima rata, dall'anno 1992. Non e' consentita la compensazione  degli
 importi  di  cui  al  presente comma con le somme dovute all'Istituto
 nazionale  della  previdenza  sociale  ed   esposte   sulle   denunce
 contributive mensili".
    Lo stesso decreto e' stato addotto dalla parte convenuta in questo
 giudizio.  L'assunto  della societa' attrice, di incostituzionalita',
 e' strumentale ai fini della piena tutela del diritto fatto valere in
 questo giudizio.
      2) La questione di legittimita' costituzionale della sopracitata
 norma, cosi' come prospettata, appare a questo  giudice  rilevante  e
 non   manifestamente   infondata,   per  le  stesse  ragioni  esposte
 nell'ordinanza  di  rimessione  del  13  maggio  1992,  che  qui   si
 reiterano.
      3)  In  punto  di  rilevanza va innanzitutto valutata la portata
 delle  eccezioni  preliminari  con  cui  l'I.N.P.S.  ha  tentato   di
 paralizzare il presente giudizio.
    Sostiene l'istituto resistente:
       a)  che  il  ricorso  introduttivo  della  f.lli  Romano S.p.a.
 sarebbe improcedibile e che il presente giudizio andrebbe sospeso, in
 attesa dello  svolgimento  della  procedura  amministrativa,  al  cui
 espletamento   l'art.   50   della  legge  n.  88/1989  subordina  la
 proponibilita' della domanda in sede giurisdizionale;
       b) che la domanda di rimborso sarebbe preclusa da un  giudicato
 formatosi  tra  le  parti, in relazione alla medesima questione ed in
 punto di classificazione del contribuente, avendo,  il  tribunale  di
 Catanzaro - all'epoca competente per territorio in grado di appello -
 su  domanda della soc. Romano, tendente ad ottenere il riconoscimento
 del diritto allo sgravio, affermato che la F.lli  Romano  S.p.a.  era
 priva  del requisito soggettivo della "Industrialita'" previsto dalla
 legge, l'attivita' da essa esercitata dovendo ricondursi al  n.  3  e
 non al n. 1 dell'art. 2195 codice civile.
    Entrambe  le  eccezioni non appaiono fondate. E poiche' le ragioni
 per cui si ritiene la infondatezza della  eccezione  di  cui  sub  b)
 determinano   la   sorte  dell'altra  eccezione,  appare  logicamente
 corretto invertirne la trattazione.
    Essendo quello fra I.N.P.S. e contribuente un rapporto di  durata,
 il  giudicato che l'istituto invoca si riferisce soltanto ad un certo
 periodo nel rapporto (e cioe' quello relativo agli anni dal  1968  al
 1991,  oggetto  di  quel  giudizio),  ma  non  puo'  condizionare  il
 successivo svolgimento del rapporto stesso soprattutto  quando  esso,
 come nella specie, e' stato inciso da ius superveniens.
    Le   modifiche   piu'   rilevanti  sono  conseguenza  delle  leggi
 sopravvenute alla sentenza che si assume passata in giudicato, e sono
 tutte nel senso di ampliare lo spettro  delle  aziende  ammesse  allo
 sgravio,  fino  a  farlo  coincidere  con  la  piu'  ampia nozione di
 "commercialita'" di cui  a  tutti  i  numeri  dell'art.  2195  codice
 civile, ed al di la' delle subclassificazioni in esso contenute. Tali
 leggi  sopravvenute  rispetto  alla  sentenza catanzarese superano il
 preteso giudicato, disciplinando  diversamente  il  rapporto  per  il
 periodo successivo.
    A  tal  fine  si ricorda che: l'art. 3 della legge 502/1978 che ha
 esteso il beneficio di cui trattasi anche alle  aziende  alberghiere,
 ai  pubblici esercizi, alle aziende di somministrazione di alimenti e
 bevande; l'art. 1, comma 6-bis, del d.l.   n.  277/1984  convertito,
 con modificazione, nella legge n. 219/1984, ha concesso il beneficio,
 senza alcuna limitazione, specificamente ad imprese di trasporto; in-
 fine,  l'art. 3 n. 4 del d.l. n. 536/1987, convertito nella legge n.
 48 del 1988, ha, sempre nella ratio delle leggi precedenti, esteso il
 beneficio perfino ai soci di cooperative di servizi, di produzione  e
 lavoro.
    Inoltre  occorre,  anche  a  tal fine, nuovamente richiamarsi alla
 "dichiarazione di incostituzionalita'" di  cui  alla  sentenza  della
 Corte costituzionale n. 261/1991, che ha dato origine a questa causa.
 Come   tutte   le   dichiarazioni   di  incostituzionalita'  essa  ha
 pacificamente efficacia di ius superveniens che, per giunta, opera ex
 tunc:   dunque,   pur   lasciando   indenne  il  (preteso)  giudicato
 catanzarese quanto al periodo ivi dedotto in giudizio, vale di  certo
 per  la  disciplina del rapporto nel periodo successivo. Il contenuto
 del diritto sopravvenuto che si legge nell'articolata sentenza  della
 Corte  costituzionale,  consiste,  appunto,  nello  stabilire  che il
 beneficio degli sgravi spetta a tutte le attivita' commerciali.
    Tant'e' che, successivamente,  la  cassazione  ha  abbandonato  il
 precedente  indirizzo svalutando le distinzioni dell'art. 2195 citato
 e riconoscendo alle imprese di trasporto  natura  industriale  (cfr.,
 fra le altre, Cassazione 27 novembre 1987, n. 8837).
    Da rilevare, infine, che la sentenza della Corte costituzionale e'
 stata resa proprio nei confronti di un'azienda esercente attivita' di
 trasporto  (la  societa' Sita di Bari) assolutamente analoga a quella
 svolta dalla f.lli Romano.
    Tutto quanto sopra ritenuto, segue che:
       a) il "giudicato" formatosi sulla sentenza catanzarese del 1984
 non resiste, per il periodo successivo  a  quello  da  essa  regolato
 (1968-1980),  allo  ius  superveniens  e,  quindi,  non  puo'  essere
 invocato;
       b) dal momento che - lo si e' constatato sopra - i benefici  di
 cui  e'  causa  sono ormai estesi a tutti gli esercizi commerciali, a
 prescindere dalla loro appartenenza a questa o a quella sub-categoria
 dell'art. 2195 del codice civile, la questione della  classificazione
 da  attribuire  ad una impresa di trasporto automobilistico, quale la
 s.p.a. f.lli Romano, non e' pertinente  in  questa  causa:  qualunque
 fosse  la  classificazione  non si potrebbe mai negare all'impresa il
 carattere della commercialita'.
    Da  cio'  deriva  che  alla  presente  controversia  non  sono  da
 applicare  l'art. 443 codice procedura civile ne' l'invocato articolo
 50 della  legge  88/1989,  essendo  inconferente  la  quaestio  della
 "classificazione".
    Alla  stregua  di  quando precede, l'unica questione che rimane, e
 che,  allo  stato,   impedisce   di   decidere,   e'   quella   della
 incostituzionalita'  del d.l. 22 marzo 1993, n. 71, convertito nella
 legge 20 maggio 1993, n. 151. Non v'e' dubbio, infatti, che la  norma
 de  qua, incide nella presente fattispecie, poiche' impone di ridurre
 l'importo della condanna a carico dell'I.N.P.S., e  di  omologare  la
 rateazione ed il divieto di compensazione.
    Tale  questione  -  come  si  e' detto - appare non manifestamente
 infondata. In particolare, la norma denunciata viola il principio  di
 eguaglianza  (art.  3  della  Costituzione) sotto un duplice profilo.
 Anzitutto, poiche' attribuisce all'istituto resistente una  posizione
 di  privilegio rispetto a tutti gli altri debitori, tenuti, secondo i
 generali ed inderogabili principi che vigono in tema di  obbligazioni
 pecuniarie,  al pagamento di somme alla scadenza naturale del debito,
 rivalutate e comprensive di  interessi;  e,  ovviamente,  soggette  a
 compensazione legale.
    In  secondo  luogo,  poiche' crea un'intollerabile discriminazione
 tra le aziende che hanno potuto beneficiare degli  sgravi  (e  quindi
 disporre all'origine di somme da destinare ad altro, nel quadro della
 libera  iniziativa) e quelle che non ne hanno fin qui beneficiato: le
 quali, inoltre, ove si consideri la svalutazione  del  denaro  e  gli
 interessi passivi pagati per il ricorso al credito, vedono oggi posta
 nel  nulla  la reale portata dello sgravio, che avrebbe dovuto invece
 essere  uguale per tutti. Basti, del resto, ricordare che la sentenza
 della Corte costituzionale, da  cui  la  presente  controversia  trae
 origine,  si  fonda  proprio sulla rilevata illegittima disparita' di
 trattamento tra imprese.
    La  norma  che  si  denuncia,  lungi  dal  rimuovere  la  rilevata
 disparita'  di  trattamento,  fa si' che molte imprese, che avrebbero
 dovuto godere interamente del beneficio, ne  godano  con  un  ritardo
 tale da terminare un ingiusto svilimento del medesimo.
    Inoltre,  la  norma  viola  gli artt. 24 e 113 della Costituzione,
 perche' essa, dopo aver preso atto  che  il  contribuente  a  seguito
 della  sentenza  della Corte costituzionale aveva maturato il diritto
 soggettivo  al   rimborso   delle   somme   indebitamente   percepite
 dall'I.N.P.S.,  ha  negato al medesimo la piena tutela del diritto de
 quo.
    Non si puo' dubitare, invero, che a seguito della  sentenza  della
 Corte costituzionale n. 261/1991 sia emerso, in capo al contribuente,
 un  diritto  perfetto,  esercitabile  nelle forme previste dal Codice
 civile, per la ripetizione dell'indebito.
    Orbene, tale diritto comprende la sorte rivalutata, gli  interessi
 e  la  facolta'  di  chiedere  la  rivalutazione della somma ed altro
 eventuale maggior  danno.  Per  effetto  della  denunciata  norma  il
 cittadino  viene  usurpato  del diritto e del potere di richiedere la
 tutela di tutte queste posizioni  soggettive  nelle  competenti  sedi
 giurisdizionali.
    Appare, inoltre, illegittimo condizionamento del diritto di azione
 subordinare  il  suo  esercizio  alla  proposizione  di  una  domanda
 all'ente, al fine di ottenere annualmente il rimborso della rata.
    La  norma  in  questione  contrasta  anche  con  l'art.  97  della
 Costituzione  sotto  il  profilo  dell'obbligo di imparzialita' della
 pubblica  amministrazione,  violato  dall'ingiustificata  lunghissima
 rateazione, e dal divieto di compensazione.
    Il  decreto  de  quo  accorda all'I.N.P.S. addirittura altri dieci
 anni per  adempiere  integralmente,  e  cio'  sul  presupposto  della
 esenzione  dagli  interessi  e  dalla  rivalutazione.  Al  contrario,
 proprio e soltanto l'applicazione dei principi in tema  di  interessi
 per  obbligazioni pecuniarie e di maggior danno da svalutazione (art.
 1224, secondo comma, cod. civ.), garantirebbe  il  buon  andamento  e
 l'imparzialita'  dell'azione  amministrativa,  inducendo  l'istituto,
 attraverso il puntuale adempimento dei propri obblighi,  al  corretto
 uso del pubblico denaro.
    Infine, e' denunciabile il contrasto della norma con i principi di
 cui  all'art.  41  della  Costituzione,  che  tutelano la liberta' di
 impresa.
    Invero, la ratio della legge del 1968,  prima,  e  della  sentenza
 della    Corte   costituzionale,   poi,   va   certamente   ravvisata
 nell'obbiettivo di incoraggiare  e  sostenere,  in  conformita'  alla
 richiamata  norma  costituzionale,  l'attivita' imprenditoriale nelle
 zone di cui trattasi. Tale forma di tutela  della  libera  iniziativa
 appare vanificata da una legge che priva le imprese di somme rispetto
 alle   quali   gia'   avevano   un   diritto   soggettivo   perfetto,
 costringendole a far ricorso al credito al  tasso  piu'  elevato  del
 mondo industriale.
    Pertanto,  previa  declaratoria  di  "rilevanza"  e "non manifesta
 infondatezza"   della   prospettata   questione    di    legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1  n.  3 del d.l. n. 71 del 22 marzo 1993
 convertito nella legge n. 151 del 20 maggio 1993, in  relazione  agli
 artt.  3,  24,  41,  97,  113  della  Carta,  va ordinata l'immediata
 trasmissione degli  atti  alla  Corte  costituzionale  e  sospeso  il
 presente  giudizio,  e  va disposto che, a cura della cancelleria, la
 presente ordinanza sia notificata alle parti  in  causa,  nonche'  al
 Presidente  del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti
 delle due Camere del Parlamento.