Ricorso della regione  autonoma  della  Sardegna,  in  persona  del
 presidente  della  giunta  regionale pro-tempore on.le ing. Antonello
 Cabras,  giusta  deliberazione  della  Giunta  del  19  ottobre  1993
 rappresentata  e difesa - in virtu' di procura a margine del presente
 atto  -  dell'avv.  prof.  Sergio  Panunzio,  e  presso  quest'ultimo
 elettivamente  domiciliato  in Roma, piazza Borghese, n. 3; contro la
 Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente  del
 Consiglio  in  carica;  per  la  dichiarazione di incostituzionalita'
 degli artt. 47, secondo e terzo comma, 152, primo comma,  e  159  del
 decreto  legislativo  1  settembre 1993, n. 385, recante "Testo unico
 delle leggi in materia bancaria e creditizia".
                               F A T T O
    1. - In base agli artt. 4, lett. b) e  6  dello  statuto  speciale
 d'autonomia (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), la regione
 Sardegna   ha   competenza  legislativa  ed  amministrativa  di  tipo
 concorrente in materia di: "istituzione ed ordinamento degli enti  di
 credito  fondiario  ed agrario, delle casse di risparmio, delle casse
 rurali, dei monti frumentari e di pegno  e  delle  altre  aziende  di
 credito di carattere regionale; relative autorizzazioni".
    Ancorche'   non  siano  ancora  state  emanate  in  materia  delle
 specifiche norme d'attuazione dello statuto, come gia'  affermato  da
 codesta  ecc.ma  Corte  (sentenza  n. 58/1958) la regione non solo e'
 titolare delle relative potesta' legislative ed amministrative, ma le
 puo' anche concretamente esercitare (naturalmente nei limiti  segnati
 dalla disciplina statutaria e costituzionale).
    2.  -  Cio'  premesso,  nella  Gazzetta  Ufficiale  n.  230 del 30
 settembre  1993  (suppl.  ord.)  e'  stato  pubblicato   il   decreto
 legislativo  1  settembre 1993, n. 385, recante il "testo unico delle
 leggi in materia bancaria e creditizia", emanato in base alla  delega
 conferita  al  governo  dall'art.  25,  secondo comma, della legge 19
 febbraio 1992, n. 142 (legge  comunitaria  1991).  Tale  testo  unico
 contiene   diverse   disposizioni   legislative  che  incidono  sulle
 competenze della regione autonoma della Sardegna.
    Ai fini del presente ricorso viene in  primo  luogo  in  evidenza,
 seguendo  l'ordine  degli  articoli  del  testo  unico, la disciplina
 stabilita dall'art. 47 ("Finanziamenti agevolati e gestione di  fondi
 pubblici").  Tale  articolo,  dopo avere stabilito al primo comma che
 tutte  le  banche  possono   erogare   finanziamenti   assistiti   da
 agevolazioni   previste  dalle  leggi  vigenti  "purche'  essi  siano
 regolati da convenzione con l'amministrazione pubblica competente (la
 quale amministrazione e' anche competente a scegliere le  banche  con
 cui  stipulare  la  convenzione),  nel secondo e terzo comma detta un
 ulteriore disciplina che riguarda, in particolar  modo,  la  suddetta
 convenzione ed i poteri che in ordine ad essa sono riconosciuti dalla
 Banca d'Italia. Tali commi infatti recitano:
      "2.   L'assegnazione   e   la  gestione  di  fondi  pubblici  di
 agevolazione   creditizia   previsti   dalle   leggi   vigenti   sono
 disciplinate da convenzioni stipulate, sentita la Banca d'Italia, tra
 l'amministrazione pubblica competente e le banche da questa prescelte
 sulla  base  di  criteri che tengono conto delle condizioni offerte e
 dell'adeguatezza della struttura tecnico-organizzativa ai fini  della
 prestazione del servizio. Le convenzioni indicano criteri e modalita'
 idonei a superare il conflitto di interessi tra la gestione dei fondi
 e  l'attivita'  svolta  per  proprio  conto dalle banche: a tal fine,
 possono essere  istituiti  organi  distinti  preposti  all'assunzione
 delle  deliberazioni  in materia agevolativa e separate contabilita'.
 Le convenzioni determinano altresi' i compensi e i rimborsi spettanti
 alle banche".
      "3. Le convenzioni indicate nel secondo comma possono  prevedere
 che  la  banca  alla  quale  e'  attribuita  la  gestione di un fondo
 pubblico  di  agevolazione  e'  tenuta  a  stipulare  a   sua   volta
 convenzioni  con  altre  banche  per  disciplinare  la concessione, a
 valere sul fondo, di contributi relativi a  finanziamenti  da  queste
 erogati.     Queste     ultime     convenzioni     sono     approvate
 dall'amministrazione pubblica competente".
    In secondo luogo viene in evidenza l'art.  152  del  t.u.  ("Casse
 comunali  di  credito  agrario e Monti di credito su pegno di seconda
 categoria").
    Esso dispone, nel suo primo comma, che: "Entro il 1  gennaio  1992
 le casse comunali di credito agrario e i monti di credito su pegno di
 seconda categoria che non raccolgono risparmio tra il pubblico devono
 assumere   iniziative  che  portino  alla  cessazione  dell'esercizio
 dell'attivita' creditizia ovvero alla estinzione degli  enti  stessi.
 Trascorso  tale termine le casse e i monti che non abbiano provveduto
 sono posti in liquidazione".
    Infine vi e' l'art. 159 del t.u. in questione, intitolato "regioni
 a statuto speciale". Tale articolo,  dopo  aver  stabilito  al  primo
 comma  che  "le  valutazioni  di  vigilanza sono riservate alla Banca
 d'Italia", nel successivo secondo comma stabilisce che "nei  casi  in
 cui  i  provvedimenti  previsti  dagli artt. 14, 31, 36, 56 e 57 sono
 attribuiti alla competenza delle regioni, la Banca d'Italia  esprime,
 ai  fini  di  vigilanza, un parere vincolante" (gli articoli del t.u.
 citati   riguardano,   rispettivamente,   le   autorizzazioni    alle
 trasformazioni  e  fusioni di banche popolari, le autorizzazioni alle
 fusioni tra banche di credito cooperativo e banche di diversa natura,
 le autorizzazioni alle  modifiche  degli  statuti  delle  banche,  le
 autorizzazioni  necessarie  per  ogni  altra  ipotesi di fusione e di
 scissione di banche); e nel successivo  terzo  comma  stabilisce  che
 "sono inderogabili e prevalgono sulle contrarie disposizioni gia' em-
 anate  le  norme dettate dal primo e secondo comma (dello stesso art.
 159), nonche' dagli artt. 15, 16, 26 e 47. Restano peraltro ferme  le
 competenze   attribuite   agli   organi   regionali   nella   materia
 disciplinata dall'art. 26" (gli articoli del t.u.  citati  dal  terzo
 comma   dell'art.  159  riguardano,  rispettivamente:  l'apertura  di
 succursali da parte di banche, la libera prestazione di servizi delle
 banche, i requisiti  di  professionalita'  e  di  onorabilita'  degli
 esponenti  aziendali,  e  -  come  gia' si e' visto - i finanziamenti
 agevolati e la gestione di fondi pubblici). Infine  vi  e'  anche  il
 quarto  comma  dell'art.  159  del  t.u.  il quale stabilisce che "le
 regioni  a  statuto  speciale,  alle quali sono riconosciuti, in base
 alle norme di attuazione dei rispettivi statuti, poteri nelle materie
 disciplinate dalla direttiva  n.  89/646/CEE,  provvedono  a  emanare
 norme  di  recepimento  della  direttiva  stessa  nel  rispetto delle
 disposizioni  di  principio  non  derogabili  contenute   nei   commi
 precedenti".
    Le  suddette  disposizioni  legislative,  nella  parte  in  cui si
 riferiscono anche alla regione autonoma della Sardegna, ledono le sue
 competenze costituzionali, onde essa le impugna per i seguenti motivi
 di
                             D I R I T T O
    1. - Violazione delle competenze costituzionali della  regione  di
 cui agli artt. 3, 4 (spec. 4, lett. b) e 6 dello statuto speciale per
 la Sardegna e relative norme d'attuazione, nonche' dell'art. 76 della
 Costituzione.    Violazione    del    principio   costituzionale   di
 coordinamento e collaborazione nei rapporti fra Stato e regione.
    1.1. - In relazione all'art. 152, primo comma, del testo unico.
    Le casse comunali di credito agrario  sono  una  realta'  presente
 soprattutto  in  Sardegna (ove sono invece quasi sconosciute le casse
 rurali ed artigiane).  Esse,  fra  l'altro,  con  la  loro  capillare
 presenza  in  tutti  i comuni ove invece non sia presente il Banco di
 Sardegna, operano anche in qualita' di uffici  di  corrispondenza  di
 tale  istituto, cosi' in parte sopperendo alla risaputa insufficiente
 presenza delle banche nel territorio regionale.
    Orbene, il citato art. 152 del t.u., al primo comma, stabilisce  -
 come  si  e'  gia' visto - che entro il 1 gennaio del 1966 tali Casse
 vengono comunque soppresse: o per intervenuta loro  traformazione  in
 altro  tipo di istituto di credito, oppure (in mancanza) per messa in
 liquidazione.  Ma  una  siffatta  disciplina,  che   stabilisce   una
 obbligatoria  trasformazione  o  soppressione  di  istituti  di cosi'
 fondamentale importanza per la vita economica della  Sardegna,  senza
 che  neppure  sia prevista una qualche possibilita' per la Regione di
 far  valere  le   sue   valutazioni   in   merito,   e'   palesemente
 incostituzionale.
    E'  incostituzionale,  in primo luogo, perche' con la eliminazione
 di tale categoria di istituti di credito si svuota  di  contenuto  la
 competenza  regionale  in materia di istituzione ed ordinamento degli
 "enti di credito agrario" (di carattere regionale) di cui all'art. 4,
 lett. b) dello statuto; e perche' comunque viene lesa la  competenza,
 che   indubbiamente   spetta  alla  regione  in  base  alla  medesima
 disposizione statutaria (che ad essa riserva, in  particolare,  anche
 le "autorizzazioni"), relativa alla disciplina dei momenti essenziali
 della nascita, trasformazione ed estinzione di tali enti creditizi.
    Sotto  un ulteriore e concorrente profilo, la disciplina stabilita
 dal primo comma dell'art. 152 del t.u. e'  comunque  incostituzionale
 anche  perche'  essa  non  prevede  alcuna  forma di intervento della
 regione nella procedura che porta alla messa  in  liquidazione  delle
 casse  in questione. Pertanto (ove si ritenga che il provvedimento di
 messa in liquidazione sia di competenza dello  Stato  e  della  Banca
 d'Italia:  cfr.  art.  67  della  legge  bancaria)  la esclusione dal
 procedimento della regione ricorrente, che pure  ha  in  materia  una
 competenza  propria  e  "concorrente" con quello dello Stato (art. 4,
 lett. b, St.), comporta una  evidente  violazione  del  principio  di
 leale  collaborazione  che  -  secondo  la  giurisprudenza di codesta
 ecc.ma Corte - informa i rapporti fra lo Stato e la regione.
    Principio  in  base al quale, trattandosi di materia di competenza
 propria della Regione, occorrerebbe comunque almeno una qualche forma
 di coordinamento fra gli enti.
    1.2.1. - In relazione all'art. 159 t.u. (spec.  secondo,  terzo  e
 quarto comma).
    Gia'  si  e' visto come l'art. 159, dopo avere stabilito che anche
 nelle Regioni a statuto speciale la Banca d'Italia  esercita  le  sue
 funzioni   di   vigilanza,   al   secondo   comma  stabilisce  che  i
 provvedimenti autorizzativi di competenza  regionale  in  materia  di
 fusioni,  scissioni,  trasformazioni  di  banche e modifiche dei loro
 statuti (espressamente attribuiti alla regione Sardegna dell'art.  4,
 lett.  b)  dello  Statuto)  debbono  essere  preceduti  da  un parere
 vincolante della Banca d'Italia. Tale  prescrizione  legislativa,  ai
 sensi   del   successivo   terzo  comma  dello  stesso  art.  159  e'
 "inderogabile" e prevale sulle contrarie  disposizioni  eventualmente
 gia' emanate.
    Ma anche in tal senso la disciplina legislativa stabilita dal t.u.
 risulta  essere lesiva delle competenze costituzionalmente attribuite
 alla regione ricorrente. Ed infatti attribuire alla Banca d'Italia un
 parere non solo obbligatorio,  ma  addirittura  anche  vincolante  in
 ordine  ai  provvedimenti  regionali  in questione (senza peraltro in
 alcun modo limitarne la discrezionalita' di apprezzamento)  significa
 in   sostanza  subordinare  radicalmente  a  tale  parere  il  potere
 decisionale della regione in ordine  ad  ogni  singolo  provvedimento
 autorizzativo. Il che non sembra conciliabile con il fatto che e' pur
 sempre  alla regione, anche se nell'esercizio di un potesta' di grado
 "concorrente", che gli artt. 4, lett. b), e 6 dello statuto riservano
 i provvedimenti di autorizzazione in questione (onde, in un caso come
 questo,  il  carattere   vincolante   del   parere   risulta   essere
 inconciliabile con lo stesso principio di leale cooperazione.
    1.2.2.   -  Comunque  l'art.  159,  secondo  comma,  del  t.u.  e'
 incostituzionale nella parte in cui  prescrive  (oltretutto  in  modo
 "inderogabile",  ai  sensi  del terzo comma) che il parere vincolante
 della Banca d'Italia debba essere  dato  anche  per  i  provvedimenti
 previsti dagli artt. 31 e 36 del t.u. rispettivamente: trasformazioni
 di  banche  popolari  in  societa'  per  azioni,  ovvero  fusioni cui
 prendono parte banche  popolari  e  da  cui  risultino  societa'  per
 azioni;  e  fusioni  tra  banche  di  credito cooperativo e banche di
 diversa natura da cui risultino banche popolari o  banche  costituite
 in forma di societa' per azioni).
    Infatti,  le  altre  ipotesi  di  parere  vincolante  previste dal
 secondo comma dell'art. 159 - e cioe' quelle di cui agli artt. 14, 56
 e 57 del t.u. - trovano  riscontro  nella  corrispondenza  disciplina
 stabilita  dall'art.  46,  secondo  comma, del decreto legislativo 14
 dicembre 1992, n. 481 (che ha dato attuazione alla direttiva  CEE  n.
 89/646,  secondo quanto stabilito dagli artt. 1, 2 e 25, primo comma,
 della gia' ricordata legge n. 142/1992), il quale articolo rinvia  ai
 precedenti  artt. 9, primo comma, 21, primo comma, e 25, primo comma.
 Ma il Governo, in  base  alla  delega  stabilita  dal  secondo  comma
 dell'art.  25  della  legge n. 142/1992, poteva soltanto inserire nel
 testo unico "le disposizioni  adottate  ai  sensi  del  primo  comma"
 (cioe'  quelle  del decreto legislativo n. 481/1992), apportandovi le
 sole modifiche  necessarie  per  coordinare  con  altre  disposizioni
 vigenti in materia.
   Pertanto  il  Governo  non  poteva  (perche'  cio'  era al di fuori
 dell'oggetto e dei presupposti della delega)  prescrivere  il  parere
 vincolante  della  Banca  d'Italia  in  ipotesi  ulteriori rispetto a
 quelle gia'  stabilite  dall'art.  46,  secondo  comma,  del  decreto
 legislativo  n. 481/1992. Quindi, nella parte in cui, invece, cio' e'
 stato fatto con la attuale formulazione del secondo  comma  dell'art.
 159  del  t.u.,  questo  e'  comunque  incostituzionale,  perche'  in
 contrasto  con  le  citate  norme  costituzionali  attributive  delle
 competenze regionali (artt. 4, lett. b), e 6 dello statuto Sardegna),
 nonche'  con  l'art.  76  della  Costituzione (sotto il profilo della
 violazione dei limiti della delega).
    1.2.3. - Un ulteriore profilo di incostituzionalita' dell'art. 159
 t.u. riguarda il combinato disposto del secondo, terzo e quarto comma
 di tale articolo. Da esso viene infatti stabilito che anche la  norma
 del  secondo  comma  dello stesso articolo 159, la quale prescrive il
 parere vincolante della Banca d'Italia, e' "inderogabile" e "prevale"
 sulle contrarie disposizioni gia' emanate (terzo comma),  cosi'  come
 sulle  norme  di  recepimento  della  direttiva  CEE  n.  89/646  che
 venissero in futuro emanate dalla regione nella materia  disciplinata
 da tale direttiva (e quindi anche in ordine ai casi di cui al secondo
 comma  dell'art.  159, per i quali spettano alla regione ricorrente i
 poteri autorizzativi).
    E' palese come la inderogabilita' delle norme richiamate dal terzo
 comma dell'art. 159 t.u. (fra cui  in  particolare,  per  quanto  ora
 interessa,  quella  del  secondo  comma)  si  dovrebbe  fondare sulla
 previsione contenuta nell'art. 9, terzo comma, della  legge  9  marzo
 1989,  n.  86  (c.d.  "legge  la  Pergola")  secondo  cui  "la  legge
 comunitaria o altra legge dello Stato che dia attuazione a  direttive
 in  materia  di  competenza  regionale  indica  quali disposizioni di
 principio non sono derogabili dalla legge  regionale  sopravvenuta  e
 prevalgono  sulle  contrarie  disposizioni eventualmente gia' emanate
 dagli organi regionali. Nelle materie  di  competenza  esclusiva,  le
 regioni  a  statuto  speciale e le province autonome si adeguano alla
 legge dello Stato nei  limti  della  Costituzione  e  dei  rispettivi
 statuti".
    Orbene,  nel  caso  della direttiva CEE n. 89/646 questa - in base
 alla delega conferita al Governo dai gia' richiamati artt.  1,  2,  e
 25,  primo  comma, della legge n. 142/1992 (legge comunitaria 1991) -
 e' stata appunto attuata dal decreto legislativo n. 481/1992.
    In particolare l'art. 46, terzo comma, di tale decreto legislativo
 ha anche stabilito (appunto come previsto dall'art. 9,  terzo  comma,
 della  legge n. 86/1989) quali fossero le norme del decreto stesso da
 considerarsi  "inderogabili"  anche  per  le  regioni  ad   autonomia
 speciale: esse sono - secondo quanto stabilito tassativamente da tale
 disposizione  - solo le norme dettate dagli artt. 6, terzo comma, 10,
 13 e 14 dello stesso decreto legislativo n. 481/1992.
    Non e' invece qualificata come inderogabile la norma contenuta nel
 secondo comma  dello  stesso  art.  46  del  decreto  legislativo  n.
 481/1992,  secondo  cui "Ferme restando le competenze attribuite agli
 organi regionali, le norme regionali di recepimento (della  direttiva
 n.  89/646)  riservano  alla  Banca  d'Italia,  che esprime un parere
 vincolante, le valutazioni rilevanti ai fini  di  vigilanza  previste
 dagli artt. 9, primo comma, 21, primo comma, e 25, primo comma".
    Da  qui  sorge  l'ulteriore  profilo  di  incostituzionalita'  del
 combinato disposto del secondo, terzo e quarto  comma  dell'art.  159
 t.u.
    Poiche'  questo  (al terzo comma) pretende di rendere inderogabili
 anche norme legislative di attuazione della direttiva CEE  n.  89/646
 che  non erano state qualificate tali dall'unico atto legislativo che
 aveva il potere di farlo: cioe' (oltre alla legge  comunitaria  1991)
 il  decreto  legislativo delegato n. 481/1992, in virtu' della delega
 conferita al Governo dagli artt. 1, s, e 25, primo comma, della legge
 n. 142/1992. Non solo, ma l'art. 159 pretende  anche  di  prescrivere
 esso  stesso,  ed  "inderogabilmente",  quell'intervento  della Banca
 d'Italia che invece, secondo la previsione dell'art. 46  del  decreto
 legislativo n. 481/1992 doveva essere regolato dalla legge regionale.
    Cosi'  disponendo,  dunque,  la impugnata disciplina dell'art. 159
 t.u. viola, ad un tempo, le competenze regionali di  cui  alle  norme
 statutarie  gia' indicate (spec. art. 4, lett. b), ed anche l'art. 76
 della Costituzione. Infatti la delega per il  testo  unico  contenuta
 nel  secondo  comma dell'art. 25 della legge n. 142/1992 (dato il suo
 peculiare oggetto) non  consentiva  al  Governo  di  apportare  cosi'
 rilevanti  modifiche  alle  disposizioni  dell'art.  46  del  decreto
 legislativo n. 481/1992 (modifiche in alcun modo rese  necessarie  da
 esigenze   di   coordinamento);  ne',  comunque,  gli  consentiva  di
 stabilire la "inderogabilita'" di disposizioni legislative  ulteriori
 rispetto a quelle gia' indicate dal decreto legislativo n. 481/1992.
    1.3.1. - In ordine all'art. 47, secondo e terzo comma, t.u.
    Numerose   leggi  regionali  hanno  istituito  fondi  pubblici  di
 agevolazione  creditizia  in  materie  di  competenza  della  regione
 autonoma della Sardegna, specie nelle materie di competenza esclusiva
 ( ex art. 3 dello Statuto). Solo per fare qualche esempio, ricordiamo
 il  fondo per l'industria alberghiera e turistica (legge regionale 18
 marzo 1964, n. 8), ed i fondi per il credito  all'artigianato  (legge
 regionale 21 luglio 1976, n. 40).
    Anche  in  virtu'  di quanto stabilito dall'art. 109 del d.P.R. 24
 luglio 1977, n. 616, e poi dall'art. 71, quarto comma, del d.P.R.  19
 giugno  1979,  n. 348 (Norme di attuazione dello statuto speciale per
 la Sardegna in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n.  382,  e  al
 d.P.R.  24  luglio  1977,  n.  616), non puo' esservi dubbio che sono
 state integralmente trasferite alla regione tutte le funzioni (legis-
 lative ed amministrative) concernenti ogni  tipo  di  intervento  per
 favorire  l'accesso  al credito agevolato, ivi compresa la disciplina
 dei rapporti all'uopo stabiliti dalla regione stessa con gli istituti
 di credito eroganti (v. espressamente art. 71, ultimo  comma,  d.P.R.
 n. 348/1979 citato).
    Il  che  significa  che  la  disciplina  della convenzione con gli
 istituti di credito prevista dall'art. 47, primo e secondo comma, del
 t.u. in questione ricade nella competenza esclusiva  che  e'  propria
 della regione Sardegna ( ex art. 3 dello statuto) nelle materie cui i
 diversi fondi si riferiscono.
    Cio'  premesso,  si  e'  visto come l'art. 47 t.u. (di cui si sono
 gia' riportate all'inizio  del  presente  atto  le  disposizioni  qui
 rilevanti)  stabilisca,  in  particolare  al  secondo  comma,  che la
 convenzione tra la regione e la banca che eroga il credito  agevolato
 debba   essere  preceduta  da  un  parere  obbligatorio  della  Banca
 d'Italia, e come a sua  volta  il  terzo  comma  dell'art.  159  t.u.
 stabilisca  che  le  norme  contenute nell'art. 47 (e quindi anche la
 prescrizione del parere  obbligatorio  della  Banca  d'Italia)  siano
 inderogabili per le regioni ad autonomia speciale.
    Orbene,  se  si  considera  che, come si e' visto, qui si verte in
 materie di competenza  esclusiva  della  regione  ricorrente,  sembra
 allora  che  la  prescrizione  di  un parere obbligatorio della Banca
 d'Italia in ordine alla convenzione (parere che, per il suo  oggetto,
 non  attiene  neppure  nell'ambito  proprio  della  vigilanza  che e'
 riservata  alla  Banca  d'Italia)  si   risolve   in   una   indebita
 interferenza  sulla  autonomia  regionale,  ed  in  una lesione delle
 competenze esclusive della  regione  in  materia  di  disciplina  dei
 rapporti convenzionali con gli istituti di credito eroganti.
    1.3.2. - Vi e' poi un ulteriore profilo di incostituzionalita' del
 combinato  disposto  del secondo comma dell'art. 47 e del terzo comma
 dell'art. 159 del t.u.
    L'art. 47 del t.u. deriva dall'art. 6 del decreto  legislativo  n.
 481/1992  (di  attuazione della direttiva CEE n. 89/646), anche se la
 disciplina contenuta nel primo (nel  testo  unico)  e'  sensibilmente
 diversa  ed assai piu' ampia di quella contenuta nel secondo. Ma cio'
 che qui importa soprattutto rilevare e' che l'art.  6,  terzo  comma,
 del  decreto  legislativo  n. 481/1992, nel prevedere una convenzione
 tra l'amministrazione che dispone  l'agevolazione  (nella  specie  la
 regione)  e  la  banca  erogante  non  prevedeva  affatto  un  parere
 obbligatorio della Banca d'Italia (o di altro ente): tale  parere  e'
 stato  introdotto  per  la prima volta con l'art. 47 del t.u. (che in
 tal  modo  ha  modificato  in  modo  assai  rilevante  la  disciplina
 legislativa  originaria).  Pertanto  fra  le  norme  del  terzo comma
 dell'art. 6 qualificata come inderogabili dell'art. 46, terzo  comma,
 del  decreto legislativo n. 481/1992 non c'e' una norma che prescriva
 il parere obbligatorio della Banca d'Italia.
    Ma l'art. 159, terzo comma, del testo unico, nel qualificare  come
 inderogabili  (tutte)  le  norme  dettate  dall'art.  47,  dispone la
 inderogabilita' anche della norma del secondo comma dell'art. 47  che
 ha introdotto il parere obbligatorio della Banca d'Italia.
    Di conseguenza, si debbono riproporre in relazione alla disciplina
 sul parere obbligatorio della Banca d'Italia risultante dal combinato
 disposto  degli artt. 47, secondo comma, e 159, terzo e quarto comma,
 del t.u. le censure gia' dedotte in relazione al  combinato  disposto
 del  secondo,  terzo  e  quarto  comma,  dello  stesso art. 159, gia'
 esposte in precedenza sotto il numero 1.2.3. (pp. 12-15)  e  che  qui
 per semplicita' si richiamano integralmente.
    Solo  un  ulteriore rilievo merita di essere qui formulato; quello
 cioe'  che,  diversamente  dal  caso  precedente  del  secondo  comma
 dell'art.  159 (in cui venivano in questione competenze "concorrenti"
 della regione ricorrente), nel caso dell'art. 47 del t.u. vengono  in
 questione  (come si e' visto in precedenza) soprattutto competenze di
 tipo "esclusivo", nelle materie di cui all'art. 3 dello  statuto  cui
 si riferiscono i fondi regionali.
    In  conseguenza  di  cio',  tanto piu' grave ed evidente appare la
 violazione delle competenze regionali, atteso  che  -  come  ribadito
 dallo stesso art. 9, terzo comma, della legge n. 86/1989 - se e' vero
 che la legge comunitaria o la legge dello Stato che da' attuazione ad
 una  nuova  direttiva  (ma  tale  non  e',  come  si  e'  gia' visto,
 l'impugnato decreto legislativo n. 385/1993) possono  indicare  quali
 disposizioni  di  principio  non  possono essere derogate dalla legge
 regionale, nel caso pero'  di  materie  di  competenza  esclusiva  le
 regioni  a  statuto speciale debbono adeguarsi solo "nei limiti della
 Costituzione e dei rispettivi statuti": e pertanto  solo  allorquando
 si  trovino  di  fronte  a  disposizioni  di  principio  inderogabili
 costituite da "norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali
 della Repubblica" (art. 3 statuto della Sardegna).
    1.3.3. - Almeno per tuziorismo occorre infine aggiungere, sempre a
 proposito  dell'art.  47 t.u., che ove il parere della Banca d'Italia
 si dovesse ritenere prescritto anche per le convenzioni previste  dal
 terzo comma di tale articolo (cioe' le convenzioni fra banche), tutte
 le  censure gia' formulate in relazione alla disciplina stabilita dal
 secondo comma dell'art. 47 varrebbero, a maggior ragione,  anche  per
 quella  stabilita  dal  comma successivo. E pertanto esse, per quanto
 occorra, sono qui integralmente richiamate.
    2. - Per concludere, ed  anche  al  fine  di  prevenire  eventuali
 eccezioni  avversarie,  puo'  essere  opportuno  svolgere  brevemente
 ancora due considerazioni (riservandoci, ove occorra,  di  ritornarvi
 piu' diffusamente in una successiva memoria).
    2.1.  -  Il  presente ricorso e' pienamente ammissibile, ancorche'
 sia diretto ad impugnare disposizioni legislative di un  testo  unico
 (decreto  legislativo  n.  385/1993)  che  in  parte  corrispondono a
 disposizioni precedentemente contenute  nel  decreto  legislativo  n.
 481/1992 che non e' stato a suo tempo impugnato dalla regione.
    La  palese sterilita' di qualsiasi eccezione che la Presidenza del
 Consiglio volesse fondare sulla suddetta circostanza discenda da cio'
 che:
       a) il decreto legislativo impugnato  n.  385/1993  contiene  un
 testo  unico  del  tipo  dei  testi  unici "normativi" (o anche detti
 "legislativi"),  che  in  virtu'  della  espressa  delega   contenuta
 nell'art.  25,  secondo  comma,  della legge n. 142/1992 ha carattere
 "innovativo", ha di  per  se'  la  forza  ed  il  regime  degli  atti
 legislativi, ed e' quindi autonomamente impugnabile;
       b) comunque tutte le disposizioni impugnate del testo unico non
 sono   affatto   meramente   e   fedelmente  riproduttive  di  quelle
 corrispondenti del decreto legislativo n. 481/1992, ma  sono  invece,
 in  misura  piu'  o  meno  consistente  (e  su  cio' ci si riserva in
 particolare di tornare nella successiva memoria), il risultato di una
 modificazione sostanziale apportata  dal  Governo  alle  disposizioni
 suddette  (e  qui  non  rileva se, come si e' visto in precedenza, le
 modifiche fossero consentite o non dalla delega);
       c) comunque  e'  principio  costante  della  giurisprudenza  di
 codesta  ecc.ma  Corte (per tutte sent. n. 2/1959) quella secondo cui
 un dato atto legislativo, che riproduce testualmente una disposizione
 contenuta in una precedente legge non impugnata, contiene  una  norma
 nuova  agli  effetti  dell'ammissibilita'  della sua impugnazione nel
 giudizio di costituzionalita'.
       d) infine, ancora secondo la costante giurisprudenza di codesta
 ecc.ma  Corte  (per  tutte  sent.  n.  30/1959),   nei   giudizi   di
 costituzionalita'  in  via principale non hanno rilievo istituti come
 quelli dell'inammissibilita' del ricorso per acquiescenza  o  per  il
 carattere   confermativo   dell'atto   impugnato,   elaborati   dalla
 giurisprudenza amministrativa.
    2.2. - L'ultima considerazione che merita d'essere fatta (e su cui
 pure si potra' tornare piu' diffusamente nella successiva memoria) e'
 che   nessuna   delle   disposizioni   legislative   impugnate  trova
 corrispondenza nella disciplina contenuta  nella  piu'  volte  citata
 direttiva   del  consiglio  CEE  n.  89/646,  ne'  comunque  potrebbe
 sostenersi  che  esse  costituiscono   necessaria   ed   obbligatoria
 attuazione  di quella disciplina. Si tratta, infatti, di disposizioni
 legislative che sono state tutte introdotte  dal  Governo  -  con  lo
 stesso  testo  unico  impugnato  (e  solo in qualche caso gia' con il
 decreto legislativo n. 481/1992)  -  in  base  ad  una  sua  autonoma
 determinazione  e non gia' perche' fossero necessarie per dare fedele
 direttiva alla disciplina comunitaria.  Disposizioni  che,  pertanto,
 non  trovano  il  loro  fondamento nella disciplina comunitaria e non
 sono imposte dall'esigenza del rispetto degli obblighi internazionali
 dello Stato.