IL TRIBUNALE
    Visto il provvedimento con il quale il g.i.p.  presso  la  pretura
 circondariale  di  Bologna  in  data  4 maggio 1992 ha emesso decreto
 penale di condanna alla pena complessiva di L. 1.167.000 di  ammenda,
 di  cui  L.  667.000  di  ammenda e L. 500.000 di pena pecuniaria per
 effetto di sostituzione della pena detentiva di giorni 20 di arresto,
 nei confronti di Ermolli Mauro con riferimento al reato di  cui  agli
 artt. 6 e 24 del d.P.R. n. 203/1988;
    Letta  la  questione  proposta  ai  sensi dell'art. 690 del c.p.p.
 dalla difesa dell'Ermolli tendente ad ottenere in via  principale  la
 cancellazione  della  suindicata  condanna  dal casellario giudiziale
 ovvero la sua non menzione nei certificati rilasciati all'interessato
 e alla pubblica amministrazione  e,  in  subordine,  la  proposizione
 della questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto
 degli  artt.  459,  secondo  comma, 565 e 686 del c.p.p. in relazione
 all'art. 689, secondo comma, n. 5, del c.p.p. e  all'art.  196  delle
 dispos.   att.   del   c.p.p.   per   violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione;
    Sentiti il p.m. e il difensore del condannato che  hanno  concluso
 come da verbale;
                             O S S E R V A
    Preliminare   alla   disamina   della  questione  sottoposta  alla
 decisione di questo tribunale  si  presenta  l'esatta  individuazione
 dello  schema  normativo  entro  il quale si colloca il provvedimento
 oggetto del presente procedimento. A tale riguardo risulta necessario
 porre a raffronto gli istituti previsti dagli artt.  53  e  77  della
 legge n. 689/1981 e 444 del c.p.p. in ragione degli argomenti addotti
 a  sostegno  dell'istanza  dalla difesa la quale, sul rilievo secondo
 cui la situazione che ci occupa  (emissione  di  decreto  penale  non
 seguita   da   opposizione   da   parte   dell'interessato)  non  sia
 "equiparabile a quella prevista dagli artt. 53 e seguenti della legge
 n.  689/1981"  e  si  debba  invece  considerare  omologa  a   quella
 contemplata  dall'art.  77  della  legge  n.  689/1981,  giunge  alla
 conclusione dell'estensione alla fattispecie della disciplina dettata
 con  riferimento  all'iscrizione  nel  certificato   del   casellario
 giudiziale  della  sentenza emessa a termini dell'art. 77 della legge
 cit.
    E' noto che la sezione I del capo  III  della  legge  n.  689/1981
 (artt. 53 e 76), che ha introdotto le sanzioni sostitutive delle pene
 detentive brevi, disciplina le sanzioni medesime e il procedimento di
 applicazione  delle  stesse  affidando  al  potere  discrezionale del
 giudice l'irrogazione della sanzione a prescindere dalla formulazione
 di un'istanza ad  hoc  da  parte  dell'imputato,  prevedendo  che  la
 sostituzione  abbia  luogo  ordinariamente  con  l'emanazione  di  un
 provvedimento che ha natura e contenuto di sentenza di condanna - cui
 conseguono,  in assenza di difforme previsione contraria, gli effetti
 propri di tale pronunzia -,  contemplando  per  l'inosservanza  anche
 solo  di  una  delle prescrizioni inerenti alla semidetenzione e alla
 liberta' controllata la conversione della pena  sostitutiva  restante
 nella  pena  sostitutiva.  Tra  gli  effetti  della  pronuncia  e' da
 annoverare l'iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale  nei
 casi  previsti  dal  codice  di  rito,  previsione che tra l'altro e'
 ribadita dall'art.  73  della  legge  citata  ove  e'  precisato  che
 l'iscrizione deve contenere l'annotazione della pena sostitutiva.  Il
 provvedimento applicativo di sanzioni sostitutive, allorche' si versa
 nell'ipotesi  di  irrogazione di pena pecuniaria, non necessariamente
 assume  la  forma  della  sentenza.  Ed  invero  l'art.  53   prevede
 espressamente  al  terzo  comma  l'esperibilita' del procedimento per
 decreto,  che  trova  la  propria  regolamentazione  nel  codice   di
 procedura  penale  cui la disposizione rinvia, quando sia applicabile
 una pena pecuniaria in sostituzione di pena detentiva.  Va  osservato
 che l'equiparazione tra pena pecuniaria sostitutiva e pena pecuniaria
 prevista ab origine nella norma incriminatrice voluta dal legislatore
 ai fini del ricorso al rito differenziato e' stata recepita dall'art.
 459  del  c.p.p.  che  nel nuovo codice di rito disciplina il decreto
 penale, subordinandolo alla condizione che il reato sia  perseguibile
 d'ufficio  e  che  sia  applicabile solo la pena pecuniaria "anche se
 inflitta  in  sostituzione  di  pena  detentiva",  e  che  nella  sua
 formulazione, attraverso l'inciso riportato, esplicitamente contempla
 l'estensione  del  decreto  penale  alle  ipotesi  di pena pecuniaria
 conseguente  a   sostituzione,   discostandosi   dalla   disposizione
 corrispondente   del   codice   previgente  che  era  invece  rimasta
 inalterata nonostante l'innovazione introdotta  dalla  previsione  di
 cui all'art. 53, terzo comma, della legge citata.
    Al  decreto  applicativo  di  pena pecuniaria a norma dell'art. 53
 conseguono gli effetti penali  previsti  dalla  legge,  ivi  compresa
 l'iscrizione  della  pronuncia  nel  casellario  giudiziale  nei casi
 previsti dal codice di rito.
    Non puo' dubitarsi che le  disposizioni  concernenti  le  sanzioni
 sostitutive, contenute nella legge isitutiva e di cui agli artt. 53 e
 segg.,  conservano  tuttora  operativita' ove si ponga mente al fatto
 che il codice di rito, pur facendo espresso riferimento alle medesime
 in alcune norme, nondimeno non contempla alcuna  disciplina  autonoma
 delle  suddette.  D'altra  parte  tale  assunto  e'  avvalorato dalla
 relazione ministeriale al progetto preliminare del nuovo  codice  che
 ha  precisato  come  "l'applicazione  delle  sanzioni  sostitutive su
 richiesta e' ammessa nei soli casi in cui queste  sanzioni  risultino
 applicabili  in generale (indipendemente dalle richieste delle parti)
 in base alla legge n. 689 del 1981 che le ha  introdotte  nel  nostro
 ordinamento  e  le  disciplina".    La vigenza delle norme suindicate
 trova  ulteriore  conferma   nell'abrogazione   espressa,   contenuta
 nell'art.  234,  primo  comma,  del  d.lgs.  n.  271/1989, delle sole
 disposizioni di cui agli artt.  77,  78,  79  e  80  della  legge  n.
 689/1981,  sostituiti  come  si vedra' dalle disposizioni di cui agli
 artt. 444 del c.p.p. e segg., la cui  ultravigenza  e'  prevista  nel
 solo   caso   in   cui  la  relativa  richiesta  sia  stata  avanzata
 anteriormente  all'entrata  in  vigore  del  nuovo  codice  di  rito.
 L'istituto   disciplinato   dall'art.   77  -  denominato  dai  primi
 commentatori  con  l'equivoca  locuzione  di   "patteggiamento"   per
 evidenziare  l'analogia  con  istituti de diritto anglosassone che ne
 avrebbero costituito il modello - pur  richiamandosi,  attraverso  il
 rinvio  operato  alle  disposizioni  della  sezione  I del capo terzo
 ovvero alle norme di cui agli artt. 53 e  segg.,  ai  presupposti  di
 operativita'  e alle modalita' applicative delle sanzioni sostitutive
 che conseguono a sentenza di condanna, tuttavia si  caratterizza  per
 peculiari  aspetti  che  lo differenziano sensibilmente dall'istituto
 poc'anzi sommariamente delineato. Ed  invero  la  procedura  prevista
 dall'art.  77  postula  un'iniziativa  dell'imputato  che, ai fini di
 promuovere l'applicazione  di  sanzione  sostitutiva,  deve  all'uopo
 formulare  esplicita  e  precisa  "richiesta".  Dal dettato normativo
 dell'art.  77  discende  che  la   sentenza   pronunciata   a   norma
 dell'articolo  citato  si  sostanzia nella declaratoria di estinzione
 del reato per intervenuta applicazione della sanzione sostitutiva  su
 richiesta dell'imputato, preclude l'applicazione di pene accessorie e
 di  misure di sicurezza, se si eccettua la confisca nei casi previsti
 dall'art. 240, secondo comma,  del  c.p.,  e  produce  quali  effetti
 l'esclusione  della  reiterazione  del  beneficio  di cui all'art. 77
 (art. 80) e a tali limitati fini  l'iscrizione  della  pronuncia  nel
 casellario giudiziale (art. 81).
    L'inadempimento  degli obblighi imposti con la sentenza integra un
 reato autonomo e non  determina  conversione  alcuna  della  sanzione
 sostitutiva nella sanzione sostituita.
    Il  nuovo  codice  di rito e' intervenuto introducendo in funzione
 deflattiva del dibattimento, e  quindi  allo  scopo  di  privilegiare
 l'economia  e  l'efficienza processuale, l'istituto dell'applicazione
 della pena su richiesta delle parti di cui agli artt. 444 e segg. del
 c.p.p., che nel nuovo sistema processuale ha sostituito il previgente
 istituto del cosiddetto patteggiamento di cui all'art. 77 della legge
 n. 689/1981. La nuova regolamentazione contenuta negli  artt.  444  e
 segg.  del  c.p.p.  amplia  l'area  di  applicazione  del  precedente
 istituto del quale ha altresi'  recepito  e  rafforzato  gli  aspetti
 premiali  superando  tra  l'altro,  con  una articolata e dettagliata
 disciplina, i dubbi interpretativi suscitati dalla legge n.  689/1981
 in   tema   di   efficacia   della  sentenza  nei  giudizi  civili  e
 amministrativi e di applicazione alle pene pecuniarie.
    E' stato cosi' espressamente previsto che la sentenza  pronunciata
 a  norma  dell'art.  444  del  c.p.p. consente l'applicazione di pene
 detentive, pecuniarie e sostitutive nei limiti indicati, non comporta
 ne' applicazione  di  pene  accessorie  e  di  misure  di  sicurezza,
 eccezion  fatta  nell'ipotesi di ricorrenza dei presupposti di cui al
 secondo comma dell'art. 240 del c.p., ne' condanna al pagamento delle
 spese processuali e infine non esplica efficacia nei giudizi civili e
 amministrativi.  Agli altri effetti la sentenza e' equiparata  a  una
 sentenza  di  condanna tanto che, a cagione di tale equiparazione, ne
 e'  consentita  l'iscrizione  nel  casellario  giudiziale  a  stregua
 dell'art.  686,  n.  1,  del  c.p.p.    Orbene,  dalla disamina degli
 istituti  teste'  compiuta  emerge  inequivocamente   come   l'esatta
 individuazione  della  situazione  processuale  cui  le sanzioni sono
 ricollegate, pur costituendo l'applicazione  delle  stesse  l'epilogo
 possibile  che  puo' accomunare le procedure sopra illustrate, non e'
 priva di rilievo sotto il profilo degli  effetti  che  dalle  diverse
 pronunzie discendono.
    Nella specie, il provvedimento di cui si discute emesso dal g.i.p.
 presso  la pretura circondariale di Bologna in data 4 maggio 1992 con
 riferimento a una contravvenzione punita con pena congiunta  commessa
 in  data  15  gennaio 1990, e pertanto successivamente all'entrata in
 vigore del nuovo codice,  costituisce  applicazione  della  normativa
 contenuta  nell'art.  53 della legge citata.  A tale conclusione con-
 duce il tenore letterale del provvedimento le cui parti dispositive e
 motive, oltre che le norme di legge richiamate,  sono  esplicite  nel
 manifestare  la  volonta'  del  giudice di emettere decreto penale di
 condanna nei confronti  dell'imputato  con  sostituzione  della  pena
 detentiva   in   pena  pecuniaria.     Orbene,  la  riconduzione  del
 provvedimento adottato alla previsione normativa di cui agli artt. 53
 della legge cit., 459 e 565 del c.p.p.  non e' scevra di  conseguenze
 ai fini che ci occupano.
    Ed  invero discende della norme del codice di rito, e segnatamente
 dall'art. 686 del c.p.p., oltre  che  dall'art.  73  della  legge  n.
 689/1981,  sulla  cui  operativita',  gia'  si  e' detto, non si puo'
 dubitare pure dovendosi intendere - in ossequio al principio  dettato
 dall'art.  208 del d.lgs. n. 271/1989 - il richiamo in esso contenuto
 all'art. 604 del c.p.p. riferito alla  disposizione  citata  che  nel
 codice  di  rito  vigente  rappresenta  la  norma  che  disciplina la
 corrispondente  materia,  l'obbligo  di  iscrizione  nel   casellario
 giudiziale  del  decreto penale di condanna che ci occupa, essendo lo
 stesso divenuto esecutivo e non essendo riconducibile ad alcuna delle
 ipotesi con riferimento alle quali la legge esclude l'iscrizione.
    Si desume altresi' dagli artt.  688  e  689,  secondo  comma,  del
 c.p.p.  che  non  ricorrono  le  condizioni richieste dalla legge per
 omettere la pronuncia di cui  si  tratta  dai  certificati  richiesti
 dall'interessato    ne'   da   quelli   rilasciati   alle   pubbliche
 amministrazioni.
    Al riguardo va osservato che non e' consentita l'estensione  della
 speciale  normativa prevista dall'art. 196 del d.lgs. n. 271/1989 che
 riproduce il contenuto dell'art.  81  della  legge  n.  689/1981,  da
 considerarsi  abrogato  tacitamente, con riferimento al provvedimento
 che ci occupa.
    Non si puo' invero pervenire a un'interpretazione estensiva  della
 disposizione per lacuna del dettato in quanto non si versa in un caso
 di  dimenticanza  da  parte del legislatore che sia possibile colmare
 facendo ricorso all'elemento sistematico  o  teleologico.  Il  tenore
 letterale delle espressioni usate dalla suddetta disposizione nonche'
 elementi  di  carattere  sistematico  e  teleologico  (il riferimento
 esplicito nella norma alla sola sentenza di  cui  all'art.  77  della
 legge  n.  689/1981,  la  previsione  dell'iscrizione  nel casellario
 giudiziale della pronuncia di cui all'art. 77 della legge n. 689/1981
 per i soli effetti di cui all'art. 80 - esclusione della reiterazione
 del beneficio - nonche' la separata espressa  regolamentazione  negli
 artt.  73 e 686 e segg. del c.p.p. dell'iscrivibilita' della sentenza
 e del decreto di applicazione ex officio di sanzioni sostitutive  non
 accompagnata dalla previsione di alcuna limitazione con riguardo agli
 effetti  di  detta attivita' di documentazione, e infine il ristretto
 ambito  soggettivo  di  applicazione  attribuito  dalla  legge   alla
 pronuncia  di  cui  all'art.    77,  che ne determina l'iscrizione ai
 limitati fini indicati) non  consentono  di  ritenere  ricompresa  la
 pronunzia che ci occupa, che, si e' gia' detto, costituisce esercizio
 del  potere  di  irrogazione  di sanzioni sostitutive riconosciuto al
 giudice  ex  art.  53  della legge n. 689/1981, tra quelle che godono
 dello speciale trattamento riservato dal  legislatore  a  coloro  che
 hanno   beneficiato   dell'applicazione  della  pena  sostitutiva  su
 richiesta ai sensi dell'art. 77 della legge citata.
    Non si e' in presenza ne' di una lacuna apparente  superabile  con
 l'interpretazione  estensiva  della norma ne' di una lacuna effettiva
 risolvibile con il ricorso all'analogia.
    Ed infatti si deve al riguardo rilevare  che  l'art.  12,  secondo
 comma,  delle  disposizioni  preliminari  postula ai fini del ricorso
 all'analogia l'insussistenza di una  norma  che  disciplini  il  caso
 concreto,  che invece e' stata dal collegio individuata nel combinato
 disposto degli artt. 686 e segg. del  c.p.p.  e  73  della  legge  n.
 689/1981;  non  e'  dato  inoltre  cogliere  la  stessa  ratio tra la
 situazione regolata dall'art. 77 della legge citata e quella  di  cui
 all'art. 53 della legge citata.
    E  cio'  va  detto  senza  trascurare  di  osservare che osterebbe
 comunque all'applicazione dell'analogia, a mente dell'art.  14  delle
 disposizioni  preliminari,  il carattere eccezionale, che tra l'altro
 la Corte costituzionale ha avuto gia' occasione di  rilevare  con  la
 pronuncia   24   maggio   1984,  n.  148,  della  normativa  relativa
 all'istituto di cui all'art. 77. Ed invero  l'istituto,  pur  essendo
 modellato  su quello concernente le sanzioni sostitutive applicate ex
 officio con sentenza di condanna, prevede pero' norme speciali che si
 pongono in deroga esplicita a quelle che reggono l'istituto assunto a
 riferimento.  Non si puo' quindi  dall'identita'  del  risultato  cui
 conducono i procedimenti descritti e quindi dalla mera corrispondenza
 delle  sanzioni  che  ne  rappresentano  la  conseguenza istituire un
 parallelismo  di  disciplina  pretendendo,  cosi'  come  sostiene  la
 difesa,  di estendere la normativa prevista in tema di iscrizione nel
 casellario giudiziale con riguardo a un  determinato  procedimento  a
 diverso  istituto.   Cio' posto, ritiene nondimeno il collegio che la
 mancata esclusione del decreto penale  di  condanna  dai  certificati
 rilasciati agli interessati presenti profili di incostituzionalita'.
    Al  riguardo  si  ritiene opportuno richiamare le disposizioni che
 disciplinano  il  casellario  giudiziale  per  individuare  la  ratio
 dell'istituto.
    E'   noto  che  il  casellario  giudiziale  assolve  una  funzione
 documentatrice e certificatrice e che lo scopo che ne ha ispirato  la
 previsione  e'  consentire  la conoscibilita' dei precedenti penali e
 giudiziari del soggetto.
    La disciplina dell'istituto e' contenuta negli artt. 685  e  segg.
 del  c.p.p.  che  prevedono  l'istituzione  presso  ciascun tribunale
 dell'ufficio del  casellario  giudiziale  per  le  persone  nate  nel
 circondario e tassativamente elencano i provvedimenti suscettibili di
 iscrizione nella materia penale, civile amministrativa.
    Le   iscrizioni   del   casellario   giudiziale  costituiscono  il
 presupposto per il rilascio  di  certificati  sia  a  privati  sia  a
 pubbliche  autorita'; mentre queste ultime hanno diritto in genere di
 ottenere certificati recanti tutte le iscrizioni  esistenti  al  nome
 della  persona  interessata,  salvo  che  si  versi  nell'ipotesi  di
 certificato spedito per ragione elettorali - evenienza nella quale si
 omette  l'annotazione  dei  provvedimenti  ininfluenti  ai  fini  del
 diritto  elettorale  -,  nel  caso in cui certificati siano richiesti
 dall'interessato medesimo e' omessa la  menzione  dell'iscrizione  di
 alcuni  provvedimenti  tassativamente elencati nell'art. 689, secondo
 comma, del c.p.p.   Orbene,  tale  ultima  previsione  a  parere  del
 collegio  tende  a favorire il ravvedimento del condannato e comunque
 il processo di recupero morale e sociale mediante  l'eliminazione  di
 talune  delle  conseguenze negative del reato quale della pubblicita'
 dell'autore del medesimo.  La ratio dell'esclusione  dal  certificato
 generale   e   penale  rilasciato  all'interessato  di  alcune  delle
 pronunzie  in  materia  penale  che  figurano  invece  iscritte   nel
 casellario  giudiziale  va individuata nella volonta' del legislatore
 di non arrecare pregiudizio al soggetto che ne fa richiesta  rendendo
 nota ai privati l'emissione di pronunzie relative a fatti che:
      1)  non  manifestano,  per  il  loro carattere, segnatamente per
 l'entita' della pena edittale prevista dalla norma  incriminatrice  o
 della  pena in concreto irrogata, o per l'applicazione di determinati
 benefici concedibili entro ristretti limiti di pena, una  particolare
 antisocialita'  dell'autore  della violazione (contravvenzioni punite
 con la sola ammenda, condanne su richiesta della parti,  condanne  in
 relazione alle quali e' stata disposta la non menzione);
      2)  in  conseguenza di provvedimenti sopravvenuti non presentano
 per il legislatore l'originario connotato di riprovevolezza assegnato
 (condanne in relazione  alle  quali  e'  intervenuta  riabilitazione,
 fatti  non  costituenti piu' reato o fatti in relazione ai quali sono
 state applicate misure di sicurezza  revocate  o  reati  estinti  per
 amnistia,  per  applicazione di sanzioni sostitutive ex art. 77 della
 legge citata o per speciali cause di estinzione).
    In definitiva le  pronunzie  di  cui  e'  esplicitamente  prevista
 l'omissione  dell'annotazione  in  materia penale sono accomunate dal
 proposito del legislatore di non frapporre  ostacoli  all'inserimento
 sociale  del  condannato  e  di  non  compromettere la posizione gia'
 goduta dal medesimo in  particolare  nel  mondo  del  lavoro  e  tale
 obiettivo  viene  perseguito  in  prevalenza eliminando le iscrizioni
 concernenti reati estinti (a norma degli artt. 167, primo comma,  del
 c.p., 151 del c.p., 556 e 77 della legge n. 689/1981), fatti non piu'
 considerati  reato,  condanne  i cui effetti penali sono estinti (per
 riabilitazione),  o  fatti  in  relazione  ai  quali  e'   conseguita
 l'applicazione  di  misure  di  sicurezza  revocate.  Non e' privo di
 rilievo osservare che l'effetto della  non  menzione,  derivante  ope
 legis, discende dall'applicazione di istituti che il codice penale ha
 inquadrato  come  cause  di  estinzione  del  reato o della pena o di
 misure di sicurezza. Si tratta quindi di istituti il  cui  intervento
 determina  quale  conseguenza  immediata la cessazione della reazione
 statuale connessa a fatti oggetto di negativa considerazione da parte
 del legislatore penale, provocando altresi' una  diversa  valutazione
 dei fatti stessi da parte del legislatore medesimo.
    Non  risponde  a tale criterio selettivo l'inclusione nel suddetto
 elenco delle sole pronunzie di cui all'art. 445 del c.p.p., di quelle
 per le quali e' stata prevista dal  giudice  la  non  menzione  e  di
 quelle  concernenti  le contravvenzioni punibili con la sola ammenda.
 Ritiene il collegio pero' che dette previsioni si giustifichino sulla
 base dell'insignificanza o comunque lievita' dell'episodio  criminoso
 ritenuta  dal  legislatore  sulla  scorta del limite di pena entro il
 quale operano le suddette pronunzie, seppure  nel  caso  di  sentenza
 emessa  ex  art.  444 del c.p.p. sia consentita l'applicazione di una
 pena detentiva fino a due anni.   Non e'  rinvenibile  altra  ragione
 giustificatrice    della    non    menzione    della    condanna   di
 "patteggiamento", sulla quale alla stregua  del  riferimento  operato
 dalla  difesa  dell'Ermolli  si  ritiene  di  dover  a  questo  punto
 accentrare  l'attenzione.     Ed   invero   la   semplice   emissione
 dell'indicata sentenza non produce l'effetto immediatamente estintivo
 del  reato  che era ricollegato invece in via diretta dal legislatore
 del 1981 all'istituto di cui all'art. 77 della legge n. 689/1981  dal
 momento  che  la disposizione di cui all'art. 445, secondo comma, del
 c.p.p. richiede a tali fini che si verifichi una situazione omologa a
 quella prevista per l'estinzione del reato conseguente a  sospensione
 condizionale  della pena. Cio' nonostante la sentenza e' suscettibile
 di non menzione immediatamente diversificandosi in cio' da quanto  e'
 previsto  sia  rispetto  all'istituto di cui all'art. 77 sia rispetto
 alle  condanne  condizionalmente  sospese,  la  cui  omessa  menzione
 discende dall'estinzione del reato.  Del resto, posto che le preleggi
 impongono  all'interprete  di  dare  alle  norme  il significato reso
 palese  dalle  espressioni  usate,  non  reputa  il   collegio   che,
 fondandosi  sul  rilievo  per  cui nella disposizione di cui all'art.
 689, secondo comma, del c.p.p. il legislatore si e' riferito all'art.
 445 del  c.p.p.,  che  disciplina  gli  effetti  della  pronunzia  di
 applicazione  della  pena su richiesta delle parti, anziche' all'art.
 444, che prevede l'emissione della predetta sentenza, e ha  collocato
 detta  pronunzia  all'interno  del medesimo numero in cui e' inserito
 l'istituto di cui  all'art.  77  della  legge  cit.,  sia  consentito
 affermare che l'art. 689, secondo comma, n. 5, del c.p.p. contiene un
 errore  materiale  nella  parte  in  cui ha omesso nella disposizione
 richiamata (art. 445 del c.p.p.) il riferimento al secondo comma.
    Non  ritiene  cioe'  il  collegio  che  il  legislatore   con   la
 disposizione  di cui all'art. 689, secondo comma, n. 5, del c.p.p. al
 fine di mero coordinamento  delle  norme  in  materia  di  casellario
 giudiziale  con  la  disciplina in tema di applicazione della pena su
 richiesta delle parti abbia inteso ribadire l'estinzione di uno degli
 effetti penali conseguente al  verificarsi  dei  presupposti  di  cui
 all'art. 445, secondo comma, del c.p.p. A tale proposito la relazione
 al progetto preliminare del nuovo c.p.p. e' esplicita nel manifestare
 la   volonta'   del   legislatore   di   applicare  all'istituto  del
 "patteggiamento" l'immediata non menzione della condanna in  funzione
 anticipatoria  degli  ulteriori  effetti  favorevoli che scaturiranno
 dall'estinzione del reato.
    Ebbene se la ratio dell'istituto di cui all'art. 689 del c.p.p. e'
 quella sopra individuata e se in  particolare  gli  atti  di  cui  e'
 prevista   l'omissione  nel  certificato  rilasciato  al  privato  si
 ispirano  ai  principi  sopra   indicati   si   deve   ritenere   non
 manifestamente    infondata    la   questione   d'incostituzionalita'
 dell'articolo citato rispetto all'art. 3 della  Costituzione  per  la
 mancata  previsione della non menzione del decreto penale di condanna
 nei certificati rilasciati all'interessato.  Non  ritiene  invece  il
 collegio  che  l'eccezione  possa essere sollevata, essendo la stessa
 manifestamente  infondata,  sotto  il  profilo  della  disparita'  di
 trattamento  riservata  dal legislatore all'istituto di cui si tratta
 rispetto a quello di cui all'art. 77 della legge n. 689/1981 non solo
 per le ragioni che si sono gia'  esposte  allorche'  si  e'  trattato
 dell'invocata  estensione  al caso di specie dell'art. 196 del d.lgs.
 n. 271/1989 ma altresi' in considerazione del fatto che  l'iscrizione
 della  sentenza  di  cui  all'art.  77  della  legge  citata nei soli
 certificati rilasciati all'autorita' giudiziaria si giustifica con la
 previsione,  contenuta  nell'art.  80,  della  non  reiterazione  del
 beneficio  che non riguarda invece gli istituti del decreto penale di
 condanna e della sentenza di applicazione  della  pena  su  richiesta
 delle parti.
    La  disposizione  di  cui  all'art. 689 del c.p.p. presenta invece
 profili d'irrazionalita'  nella  parte  in  cui  include  nell'elenco
 tassativo  delle  pronunzie  da  non  menzionare  nel certificato del
 casellario giudiziale rilasciato all'interessato la sentenza  di  cui
 all'art.  445  del  c.p.p.  escludendo  invece  il  decreto penale di
 condanna e in tal modo stabilendo un trattamento differenziato  delle
 pronunzie  che  si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
 Il limite della ragionevolezza in relazione alle fattispecie poste  a
 raffronto  risulta  violato trattandosi di istituti che perseguono la
 medesima finalita': l'identita' di situazioni si coglie nel fatto che
 sia il procedimento per decreto che  quello  dell'applicazione  della
 pena  su  richiesta  delle parti costituiscono riti differenziati che
 realizzano un'anticipata definizione del procedimento.  La disparita'
 di trattamento va  ravvisata  nel  fatto  che  la  pronunzia  di  cui
 all'art. 444 del c.p.p., di cui e' prevista la non iscrivibilita' nel
 certificato  rilasciato  al privato, ha un ambito di operativita' che
 si estende a condanne ben piu' rilevanti di quelle cui puo' dar luogo
 il procedimento di cui all'art.  459  del  c.p.p.  Non  si  puo'  non
 osservare  come  le  sanzioni  in relazione alle quali e' applicabile
 l'istituto del "patteggiamento" in via generale ed astratta sono piu'
 gravi (potendo concernere pene detentive fino al limite dei due anni)
 di quelle che possono derivare dal decreto  penale  di  condanna  che
 riguarda  i  soli  reati ai quali e' applicabile la pena pecuniaria e
 quelli con riferimento ai quali e' irrogabile una pena detentiva  che
 rientri  entro  il  limite di un mese previsto per la sostituzione in
 pena pecuniaria.
    Non e' pertanto ragionevole che prevalgono sul beneficio della non
 menzione le esigenze di documentazione di pronunzie concernenti fatti
 che presentano scarsa rilevanza quali quelli  cui  si  riferiscono  i
 decreti penali di condanna.
    Del  resto  la scelta operata dal legislatore nell'attribuire alla
 pronuncia di cui all'art. 444 del c.p.p., per effetto dell'inclusione
 della stessa nell'elenco di cui all'art. 689 del c.p.p.,  l'ulteriore
 connotazione  di  premialita'  della  non  menzione  nei  certificati
 rilasciati all'interessato costituisce  espressione  non  ragionevole
 della  discrezionalita'  legislativa  posto  che  il procedimento per
 decreto rappresenta  il  rito  differenziato  che  in  ragione  della
 snellezza  e  celerita' che lo contraddistingue maggiormente soddisfa
 le esigenze di economia processuale che hanno ispirato il legislatore
 nell'introdurre nel nuovo c.p.p. i procedimenti speciali.
    Si consideri tra l'altro che attraverso l'opposizione  al  decreto
 penale  e' possibile accedere al procedimento di cui all'art. 444 del
 c.p.p. e che quindi allo  stato  l'acquiescenza  prestata  alla  pena
 irrogata  con  decreto  penale di condanna non consente di godere ope
 legis della non iscrizione della pronuncia nel certificato rilasciato
 all'interessato che invece consegue alla sentenza di cui all'art. 444
 del c.p.p., richiesta con l'atto di opposizione al decreto  e  quindi
 con l'instaurazione di un apposito e ulteriore procedimento.
    Alla  stregua delle considerazioni esposte si deve ritenere che la
 diversita' di trattamento riservata sotto il profilo di cui  all'art.
 689 del c.p.p. a colui cui viene applicata una pena in conseguenza di
 procedimento  monitorio  rispetto a chi vede applicata una sanzione a
 seguito di accordo delle parti ex art. 444 del c.p.p.  configuri  una
 disparita' che viola l'art. 3 della Costituzione e che pertanto debba
 essere    sollevata    l'eccezione   di   incostituzionalita'   della
 disposizione di cui all'art. 689 del c.p.p.
    Indubbia e' la rilevanza della questione d'incostituzionalita'  ai
 fini  che ci occupano posto che la soluzione della stessa e' decisiva
 ai fini dell'istanza proposta con  riferimento  all'iscrizione  delle
 pronuncia   nei  certificati  del  casellario  giudiziale  rilasciati
 all'interessato a termini dell'art. 689 del c.p.p.