IL TRIBUNALE Visto il provvedimento con il quale il g.i.p. presso la pretura circondariale di Bologna in data 4 maggio 1992 ha emesso decreto penale di condanna alla pena complessiva di L. 1.167.000 di ammenda, di cui L. 667.000 di ammenda e L. 500.000 di pena pecuniaria per effetto di sostituzione della pena detentiva di giorni 20 di arresto, nei confronti di Ermolli Mauro con riferimento al reato di cui agli artt. 6 e 24 del d.P.R. n. 203/1988; Letta la questione proposta ai sensi dell'art. 690 del c.p.p. dalla difesa dell'Ermolli tendente ad ottenere in via principale la cancellazione della suindicata condanna dal casellario giudiziale ovvero la sua non menzione nei certificati rilasciati all'interessato e alla pubblica amministrazione e, in subordine, la proposizione della questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 459, secondo comma, 565 e 686 del c.p.p. in relazione all'art. 689, secondo comma, n. 5, del c.p.p. e all'art. 196 delle dispos. att. del c.p.p. per violazione dell'art. 3 della Costituzione; Sentiti il p.m. e il difensore del condannato che hanno concluso come da verbale; O S S E R V A Preliminare alla disamina della questione sottoposta alla decisione di questo tribunale si presenta l'esatta individuazione dello schema normativo entro il quale si colloca il provvedimento oggetto del presente procedimento. A tale riguardo risulta necessario porre a raffronto gli istituti previsti dagli artt. 53 e 77 della legge n. 689/1981 e 444 del c.p.p. in ragione degli argomenti addotti a sostegno dell'istanza dalla difesa la quale, sul rilievo secondo cui la situazione che ci occupa (emissione di decreto penale non seguita da opposizione da parte dell'interessato) non sia "equiparabile a quella prevista dagli artt. 53 e seguenti della legge n. 689/1981" e si debba invece considerare omologa a quella contemplata dall'art. 77 della legge n. 689/1981, giunge alla conclusione dell'estensione alla fattispecie della disciplina dettata con riferimento all'iscrizione nel certificato del casellario giudiziale della sentenza emessa a termini dell'art. 77 della legge cit. E' noto che la sezione I del capo III della legge n. 689/1981 (artt. 53 e 76), che ha introdotto le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, disciplina le sanzioni medesime e il procedimento di applicazione delle stesse affidando al potere discrezionale del giudice l'irrogazione della sanzione a prescindere dalla formulazione di un'istanza ad hoc da parte dell'imputato, prevedendo che la sostituzione abbia luogo ordinariamente con l'emanazione di un provvedimento che ha natura e contenuto di sentenza di condanna - cui conseguono, in assenza di difforme previsione contraria, gli effetti propri di tale pronunzia -, contemplando per l'inosservanza anche solo di una delle prescrizioni inerenti alla semidetenzione e alla liberta' controllata la conversione della pena sostitutiva restante nella pena sostitutiva. Tra gli effetti della pronuncia e' da annoverare l'iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale nei casi previsti dal codice di rito, previsione che tra l'altro e' ribadita dall'art. 73 della legge citata ove e' precisato che l'iscrizione deve contenere l'annotazione della pena sostitutiva. Il provvedimento applicativo di sanzioni sostitutive, allorche' si versa nell'ipotesi di irrogazione di pena pecuniaria, non necessariamente assume la forma della sentenza. Ed invero l'art. 53 prevede espressamente al terzo comma l'esperibilita' del procedimento per decreto, che trova la propria regolamentazione nel codice di procedura penale cui la disposizione rinvia, quando sia applicabile una pena pecuniaria in sostituzione di pena detentiva. Va osservato che l'equiparazione tra pena pecuniaria sostitutiva e pena pecuniaria prevista ab origine nella norma incriminatrice voluta dal legislatore ai fini del ricorso al rito differenziato e' stata recepita dall'art. 459 del c.p.p. che nel nuovo codice di rito disciplina il decreto penale, subordinandolo alla condizione che il reato sia perseguibile d'ufficio e che sia applicabile solo la pena pecuniaria "anche se inflitta in sostituzione di pena detentiva", e che nella sua formulazione, attraverso l'inciso riportato, esplicitamente contempla l'estensione del decreto penale alle ipotesi di pena pecuniaria conseguente a sostituzione, discostandosi dalla disposizione corrispondente del codice previgente che era invece rimasta inalterata nonostante l'innovazione introdotta dalla previsione di cui all'art. 53, terzo comma, della legge citata. Al decreto applicativo di pena pecuniaria a norma dell'art. 53 conseguono gli effetti penali previsti dalla legge, ivi compresa l'iscrizione della pronuncia nel casellario giudiziale nei casi previsti dal codice di rito. Non puo' dubitarsi che le disposizioni concernenti le sanzioni sostitutive, contenute nella legge isitutiva e di cui agli artt. 53 e segg., conservano tuttora operativita' ove si ponga mente al fatto che il codice di rito, pur facendo espresso riferimento alle medesime in alcune norme, nondimeno non contempla alcuna disciplina autonoma delle suddette. D'altra parte tale assunto e' avvalorato dalla relazione ministeriale al progetto preliminare del nuovo codice che ha precisato come "l'applicazione delle sanzioni sostitutive su richiesta e' ammessa nei soli casi in cui queste sanzioni risultino applicabili in generale (indipendemente dalle richieste delle parti) in base alla legge n. 689 del 1981 che le ha introdotte nel nostro ordinamento e le disciplina". La vigenza delle norme suindicate trova ulteriore conferma nell'abrogazione espressa, contenuta nell'art. 234, primo comma, del d.lgs. n. 271/1989, delle sole disposizioni di cui agli artt. 77, 78, 79 e 80 della legge n. 689/1981, sostituiti come si vedra' dalle disposizioni di cui agli artt. 444 del c.p.p. e segg., la cui ultravigenza e' prevista nel solo caso in cui la relativa richiesta sia stata avanzata anteriormente all'entrata in vigore del nuovo codice di rito. L'istituto disciplinato dall'art. 77 - denominato dai primi commentatori con l'equivoca locuzione di "patteggiamento" per evidenziare l'analogia con istituti de diritto anglosassone che ne avrebbero costituito il modello - pur richiamandosi, attraverso il rinvio operato alle disposizioni della sezione I del capo terzo ovvero alle norme di cui agli artt. 53 e segg., ai presupposti di operativita' e alle modalita' applicative delle sanzioni sostitutive che conseguono a sentenza di condanna, tuttavia si caratterizza per peculiari aspetti che lo differenziano sensibilmente dall'istituto poc'anzi sommariamente delineato. Ed invero la procedura prevista dall'art. 77 postula un'iniziativa dell'imputato che, ai fini di promuovere l'applicazione di sanzione sostitutiva, deve all'uopo formulare esplicita e precisa "richiesta". Dal dettato normativo dell'art. 77 discende che la sentenza pronunciata a norma dell'articolo citato si sostanzia nella declaratoria di estinzione del reato per intervenuta applicazione della sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato, preclude l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, se si eccettua la confisca nei casi previsti dall'art. 240, secondo comma, del c.p., e produce quali effetti l'esclusione della reiterazione del beneficio di cui all'art. 77 (art. 80) e a tali limitati fini l'iscrizione della pronuncia nel casellario giudiziale (art. 81). L'inadempimento degli obblighi imposti con la sentenza integra un reato autonomo e non determina conversione alcuna della sanzione sostitutiva nella sanzione sostituita. Il nuovo codice di rito e' intervenuto introducendo in funzione deflattiva del dibattimento, e quindi allo scopo di privilegiare l'economia e l'efficienza processuale, l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti di cui agli artt. 444 e segg. del c.p.p., che nel nuovo sistema processuale ha sostituito il previgente istituto del cosiddetto patteggiamento di cui all'art. 77 della legge n. 689/1981. La nuova regolamentazione contenuta negli artt. 444 e segg. del c.p.p. amplia l'area di applicazione del precedente istituto del quale ha altresi' recepito e rafforzato gli aspetti premiali superando tra l'altro, con una articolata e dettagliata disciplina, i dubbi interpretativi suscitati dalla legge n. 689/1981 in tema di efficacia della sentenza nei giudizi civili e amministrativi e di applicazione alle pene pecuniarie. E' stato cosi' espressamente previsto che la sentenza pronunciata a norma dell'art. 444 del c.p.p. consente l'applicazione di pene detentive, pecuniarie e sostitutive nei limiti indicati, non comporta ne' applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, eccezion fatta nell'ipotesi di ricorrenza dei presupposti di cui al secondo comma dell'art. 240 del c.p., ne' condanna al pagamento delle spese processuali e infine non esplica efficacia nei giudizi civili e amministrativi. Agli altri effetti la sentenza e' equiparata a una sentenza di condanna tanto che, a cagione di tale equiparazione, ne e' consentita l'iscrizione nel casellario giudiziale a stregua dell'art. 686, n. 1, del c.p.p. Orbene, dalla disamina degli istituti teste' compiuta emerge inequivocamente come l'esatta individuazione della situazione processuale cui le sanzioni sono ricollegate, pur costituendo l'applicazione delle stesse l'epilogo possibile che puo' accomunare le procedure sopra illustrate, non e' priva di rilievo sotto il profilo degli effetti che dalle diverse pronunzie discendono. Nella specie, il provvedimento di cui si discute emesso dal g.i.p. presso la pretura circondariale di Bologna in data 4 maggio 1992 con riferimento a una contravvenzione punita con pena congiunta commessa in data 15 gennaio 1990, e pertanto successivamente all'entrata in vigore del nuovo codice, costituisce applicazione della normativa contenuta nell'art. 53 della legge citata. A tale conclusione con- duce il tenore letterale del provvedimento le cui parti dispositive e motive, oltre che le norme di legge richiamate, sono esplicite nel manifestare la volonta' del giudice di emettere decreto penale di condanna nei confronti dell'imputato con sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria. Orbene, la riconduzione del provvedimento adottato alla previsione normativa di cui agli artt. 53 della legge cit., 459 e 565 del c.p.p. non e' scevra di conseguenze ai fini che ci occupano. Ed invero discende della norme del codice di rito, e segnatamente dall'art. 686 del c.p.p., oltre che dall'art. 73 della legge n. 689/1981, sulla cui operativita', gia' si e' detto, non si puo' dubitare pure dovendosi intendere - in ossequio al principio dettato dall'art. 208 del d.lgs. n. 271/1989 - il richiamo in esso contenuto all'art. 604 del c.p.p. riferito alla disposizione citata che nel codice di rito vigente rappresenta la norma che disciplina la corrispondente materia, l'obbligo di iscrizione nel casellario giudiziale del decreto penale di condanna che ci occupa, essendo lo stesso divenuto esecutivo e non essendo riconducibile ad alcuna delle ipotesi con riferimento alle quali la legge esclude l'iscrizione. Si desume altresi' dagli artt. 688 e 689, secondo comma, del c.p.p. che non ricorrono le condizioni richieste dalla legge per omettere la pronuncia di cui si tratta dai certificati richiesti dall'interessato ne' da quelli rilasciati alle pubbliche amministrazioni. Al riguardo va osservato che non e' consentita l'estensione della speciale normativa prevista dall'art. 196 del d.lgs. n. 271/1989 che riproduce il contenuto dell'art. 81 della legge n. 689/1981, da considerarsi abrogato tacitamente, con riferimento al provvedimento che ci occupa. Non si puo' invero pervenire a un'interpretazione estensiva della disposizione per lacuna del dettato in quanto non si versa in un caso di dimenticanza da parte del legislatore che sia possibile colmare facendo ricorso all'elemento sistematico o teleologico. Il tenore letterale delle espressioni usate dalla suddetta disposizione nonche' elementi di carattere sistematico e teleologico (il riferimento esplicito nella norma alla sola sentenza di cui all'art. 77 della legge n. 689/1981, la previsione dell'iscrizione nel casellario giudiziale della pronuncia di cui all'art. 77 della legge n. 689/1981 per i soli effetti di cui all'art. 80 - esclusione della reiterazione del beneficio - nonche' la separata espressa regolamentazione negli artt. 73 e 686 e segg. del c.p.p. dell'iscrivibilita' della sentenza e del decreto di applicazione ex officio di sanzioni sostitutive non accompagnata dalla previsione di alcuna limitazione con riguardo agli effetti di detta attivita' di documentazione, e infine il ristretto ambito soggettivo di applicazione attribuito dalla legge alla pronuncia di cui all'art. 77, che ne determina l'iscrizione ai limitati fini indicati) non consentono di ritenere ricompresa la pronunzia che ci occupa, che, si e' gia' detto, costituisce esercizio del potere di irrogazione di sanzioni sostitutive riconosciuto al giudice ex art. 53 della legge n. 689/1981, tra quelle che godono dello speciale trattamento riservato dal legislatore a coloro che hanno beneficiato dell'applicazione della pena sostitutiva su richiesta ai sensi dell'art. 77 della legge citata. Non si e' in presenza ne' di una lacuna apparente superabile con l'interpretazione estensiva della norma ne' di una lacuna effettiva risolvibile con il ricorso all'analogia. Ed infatti si deve al riguardo rilevare che l'art. 12, secondo comma, delle disposizioni preliminari postula ai fini del ricorso all'analogia l'insussistenza di una norma che disciplini il caso concreto, che invece e' stata dal collegio individuata nel combinato disposto degli artt. 686 e segg. del c.p.p. e 73 della legge n. 689/1981; non e' dato inoltre cogliere la stessa ratio tra la situazione regolata dall'art. 77 della legge citata e quella di cui all'art. 53 della legge citata. E cio' va detto senza trascurare di osservare che osterebbe comunque all'applicazione dell'analogia, a mente dell'art. 14 delle disposizioni preliminari, il carattere eccezionale, che tra l'altro la Corte costituzionale ha avuto gia' occasione di rilevare con la pronuncia 24 maggio 1984, n. 148, della normativa relativa all'istituto di cui all'art. 77. Ed invero l'istituto, pur essendo modellato su quello concernente le sanzioni sostitutive applicate ex officio con sentenza di condanna, prevede pero' norme speciali che si pongono in deroga esplicita a quelle che reggono l'istituto assunto a riferimento. Non si puo' quindi dall'identita' del risultato cui conducono i procedimenti descritti e quindi dalla mera corrispondenza delle sanzioni che ne rappresentano la conseguenza istituire un parallelismo di disciplina pretendendo, cosi' come sostiene la difesa, di estendere la normativa prevista in tema di iscrizione nel casellario giudiziale con riguardo a un determinato procedimento a diverso istituto. Cio' posto, ritiene nondimeno il collegio che la mancata esclusione del decreto penale di condanna dai certificati rilasciati agli interessati presenti profili di incostituzionalita'. Al riguardo si ritiene opportuno richiamare le disposizioni che disciplinano il casellario giudiziale per individuare la ratio dell'istituto. E' noto che il casellario giudiziale assolve una funzione documentatrice e certificatrice e che lo scopo che ne ha ispirato la previsione e' consentire la conoscibilita' dei precedenti penali e giudiziari del soggetto. La disciplina dell'istituto e' contenuta negli artt. 685 e segg. del c.p.p. che prevedono l'istituzione presso ciascun tribunale dell'ufficio del casellario giudiziale per le persone nate nel circondario e tassativamente elencano i provvedimenti suscettibili di iscrizione nella materia penale, civile amministrativa. Le iscrizioni del casellario giudiziale costituiscono il presupposto per il rilascio di certificati sia a privati sia a pubbliche autorita'; mentre queste ultime hanno diritto in genere di ottenere certificati recanti tutte le iscrizioni esistenti al nome della persona interessata, salvo che si versi nell'ipotesi di certificato spedito per ragione elettorali - evenienza nella quale si omette l'annotazione dei provvedimenti ininfluenti ai fini del diritto elettorale -, nel caso in cui certificati siano richiesti dall'interessato medesimo e' omessa la menzione dell'iscrizione di alcuni provvedimenti tassativamente elencati nell'art. 689, secondo comma, del c.p.p. Orbene, tale ultima previsione a parere del collegio tende a favorire il ravvedimento del condannato e comunque il processo di recupero morale e sociale mediante l'eliminazione di talune delle conseguenze negative del reato quale della pubblicita' dell'autore del medesimo. La ratio dell'esclusione dal certificato generale e penale rilasciato all'interessato di alcune delle pronunzie in materia penale che figurano invece iscritte nel casellario giudiziale va individuata nella volonta' del legislatore di non arrecare pregiudizio al soggetto che ne fa richiesta rendendo nota ai privati l'emissione di pronunzie relative a fatti che: 1) non manifestano, per il loro carattere, segnatamente per l'entita' della pena edittale prevista dalla norma incriminatrice o della pena in concreto irrogata, o per l'applicazione di determinati benefici concedibili entro ristretti limiti di pena, una particolare antisocialita' dell'autore della violazione (contravvenzioni punite con la sola ammenda, condanne su richiesta della parti, condanne in relazione alle quali e' stata disposta la non menzione); 2) in conseguenza di provvedimenti sopravvenuti non presentano per il legislatore l'originario connotato di riprovevolezza assegnato (condanne in relazione alle quali e' intervenuta riabilitazione, fatti non costituenti piu' reato o fatti in relazione ai quali sono state applicate misure di sicurezza revocate o reati estinti per amnistia, per applicazione di sanzioni sostitutive ex art. 77 della legge citata o per speciali cause di estinzione). In definitiva le pronunzie di cui e' esplicitamente prevista l'omissione dell'annotazione in materia penale sono accomunate dal proposito del legislatore di non frapporre ostacoli all'inserimento sociale del condannato e di non compromettere la posizione gia' goduta dal medesimo in particolare nel mondo del lavoro e tale obiettivo viene perseguito in prevalenza eliminando le iscrizioni concernenti reati estinti (a norma degli artt. 167, primo comma, del c.p., 151 del c.p., 556 e 77 della legge n. 689/1981), fatti non piu' considerati reato, condanne i cui effetti penali sono estinti (per riabilitazione), o fatti in relazione ai quali e' conseguita l'applicazione di misure di sicurezza revocate. Non e' privo di rilievo osservare che l'effetto della non menzione, derivante ope legis, discende dall'applicazione di istituti che il codice penale ha inquadrato come cause di estinzione del reato o della pena o di misure di sicurezza. Si tratta quindi di istituti il cui intervento determina quale conseguenza immediata la cessazione della reazione statuale connessa a fatti oggetto di negativa considerazione da parte del legislatore penale, provocando altresi' una diversa valutazione dei fatti stessi da parte del legislatore medesimo. Non risponde a tale criterio selettivo l'inclusione nel suddetto elenco delle sole pronunzie di cui all'art. 445 del c.p.p., di quelle per le quali e' stata prevista dal giudice la non menzione e di quelle concernenti le contravvenzioni punibili con la sola ammenda. Ritiene il collegio pero' che dette previsioni si giustifichino sulla base dell'insignificanza o comunque lievita' dell'episodio criminoso ritenuta dal legislatore sulla scorta del limite di pena entro il quale operano le suddette pronunzie, seppure nel caso di sentenza emessa ex art. 444 del c.p.p. sia consentita l'applicazione di una pena detentiva fino a due anni. Non e' rinvenibile altra ragione giustificatrice della non menzione della condanna di "patteggiamento", sulla quale alla stregua del riferimento operato dalla difesa dell'Ermolli si ritiene di dover a questo punto accentrare l'attenzione. Ed invero la semplice emissione dell'indicata sentenza non produce l'effetto immediatamente estintivo del reato che era ricollegato invece in via diretta dal legislatore del 1981 all'istituto di cui all'art. 77 della legge n. 689/1981 dal momento che la disposizione di cui all'art. 445, secondo comma, del c.p.p. richiede a tali fini che si verifichi una situazione omologa a quella prevista per l'estinzione del reato conseguente a sospensione condizionale della pena. Cio' nonostante la sentenza e' suscettibile di non menzione immediatamente diversificandosi in cio' da quanto e' previsto sia rispetto all'istituto di cui all'art. 77 sia rispetto alle condanne condizionalmente sospese, la cui omessa menzione discende dall'estinzione del reato. Del resto, posto che le preleggi impongono all'interprete di dare alle norme il significato reso palese dalle espressioni usate, non reputa il collegio che, fondandosi sul rilievo per cui nella disposizione di cui all'art. 689, secondo comma, del c.p.p. il legislatore si e' riferito all'art. 445 del c.p.p., che disciplina gli effetti della pronunzia di applicazione della pena su richiesta delle parti, anziche' all'art. 444, che prevede l'emissione della predetta sentenza, e ha collocato detta pronunzia all'interno del medesimo numero in cui e' inserito l'istituto di cui all'art. 77 della legge cit., sia consentito affermare che l'art. 689, secondo comma, n. 5, del c.p.p. contiene un errore materiale nella parte in cui ha omesso nella disposizione richiamata (art. 445 del c.p.p.) il riferimento al secondo comma. Non ritiene cioe' il collegio che il legislatore con la disposizione di cui all'art. 689, secondo comma, n. 5, del c.p.p. al fine di mero coordinamento delle norme in materia di casellario giudiziale con la disciplina in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti abbia inteso ribadire l'estinzione di uno degli effetti penali conseguente al verificarsi dei presupposti di cui all'art. 445, secondo comma, del c.p.p. A tale proposito la relazione al progetto preliminare del nuovo c.p.p. e' esplicita nel manifestare la volonta' del legislatore di applicare all'istituto del "patteggiamento" l'immediata non menzione della condanna in funzione anticipatoria degli ulteriori effetti favorevoli che scaturiranno dall'estinzione del reato. Ebbene se la ratio dell'istituto di cui all'art. 689 del c.p.p. e' quella sopra individuata e se in particolare gli atti di cui e' prevista l'omissione nel certificato rilasciato al privato si ispirano ai principi sopra indicati si deve ritenere non manifestamente infondata la questione d'incostituzionalita' dell'articolo citato rispetto all'art. 3 della Costituzione per la mancata previsione della non menzione del decreto penale di condanna nei certificati rilasciati all'interessato. Non ritiene invece il collegio che l'eccezione possa essere sollevata, essendo la stessa manifestamente infondata, sotto il profilo della disparita' di trattamento riservata dal legislatore all'istituto di cui si tratta rispetto a quello di cui all'art. 77 della legge n. 689/1981 non solo per le ragioni che si sono gia' esposte allorche' si e' trattato dell'invocata estensione al caso di specie dell'art. 196 del d.lgs. n. 271/1989 ma altresi' in considerazione del fatto che l'iscrizione della sentenza di cui all'art. 77 della legge citata nei soli certificati rilasciati all'autorita' giudiziaria si giustifica con la previsione, contenuta nell'art. 80, della non reiterazione del beneficio che non riguarda invece gli istituti del decreto penale di condanna e della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. La disposizione di cui all'art. 689 del c.p.p. presenta invece profili d'irrazionalita' nella parte in cui include nell'elenco tassativo delle pronunzie da non menzionare nel certificato del casellario giudiziale rilasciato all'interessato la sentenza di cui all'art. 445 del c.p.p. escludendo invece il decreto penale di condanna e in tal modo stabilendo un trattamento differenziato delle pronunzie che si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Il limite della ragionevolezza in relazione alle fattispecie poste a raffronto risulta violato trattandosi di istituti che perseguono la medesima finalita': l'identita' di situazioni si coglie nel fatto che sia il procedimento per decreto che quello dell'applicazione della pena su richiesta delle parti costituiscono riti differenziati che realizzano un'anticipata definizione del procedimento. La disparita' di trattamento va ravvisata nel fatto che la pronunzia di cui all'art. 444 del c.p.p., di cui e' prevista la non iscrivibilita' nel certificato rilasciato al privato, ha un ambito di operativita' che si estende a condanne ben piu' rilevanti di quelle cui puo' dar luogo il procedimento di cui all'art. 459 del c.p.p. Non si puo' non osservare come le sanzioni in relazione alle quali e' applicabile l'istituto del "patteggiamento" in via generale ed astratta sono piu' gravi (potendo concernere pene detentive fino al limite dei due anni) di quelle che possono derivare dal decreto penale di condanna che riguarda i soli reati ai quali e' applicabile la pena pecuniaria e quelli con riferimento ai quali e' irrogabile una pena detentiva che rientri entro il limite di un mese previsto per la sostituzione in pena pecuniaria. Non e' pertanto ragionevole che prevalgono sul beneficio della non menzione le esigenze di documentazione di pronunzie concernenti fatti che presentano scarsa rilevanza quali quelli cui si riferiscono i decreti penali di condanna. Del resto la scelta operata dal legislatore nell'attribuire alla pronuncia di cui all'art. 444 del c.p.p., per effetto dell'inclusione della stessa nell'elenco di cui all'art. 689 del c.p.p., l'ulteriore connotazione di premialita' della non menzione nei certificati rilasciati all'interessato costituisce espressione non ragionevole della discrezionalita' legislativa posto che il procedimento per decreto rappresenta il rito differenziato che in ragione della snellezza e celerita' che lo contraddistingue maggiormente soddisfa le esigenze di economia processuale che hanno ispirato il legislatore nell'introdurre nel nuovo c.p.p. i procedimenti speciali. Si consideri tra l'altro che attraverso l'opposizione al decreto penale e' possibile accedere al procedimento di cui all'art. 444 del c.p.p. e che quindi allo stato l'acquiescenza prestata alla pena irrogata con decreto penale di condanna non consente di godere ope legis della non iscrizione della pronuncia nel certificato rilasciato all'interessato che invece consegue alla sentenza di cui all'art. 444 del c.p.p., richiesta con l'atto di opposizione al decreto e quindi con l'instaurazione di un apposito e ulteriore procedimento. Alla stregua delle considerazioni esposte si deve ritenere che la diversita' di trattamento riservata sotto il profilo di cui all'art. 689 del c.p.p. a colui cui viene applicata una pena in conseguenza di procedimento monitorio rispetto a chi vede applicata una sanzione a seguito di accordo delle parti ex art. 444 del c.p.p. configuri una disparita' che viola l'art. 3 della Costituzione e che pertanto debba essere sollevata l'eccezione di incostituzionalita' della disposizione di cui all'art. 689 del c.p.p. Indubbia e' la rilevanza della questione d'incostituzionalita' ai fini che ci occupano posto che la soluzione della stessa e' decisiva ai fini dell'istanza proposta con riferimento all'iscrizione delle pronuncia nei certificati del casellario giudiziale rilasciati all'interessato a termini dell'art. 689 del c.p.p.