ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 41-bis, secondo
 comma, della legge 26 luglio 1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
 penitenziario  e  sull'esercizio  delle misure privative e limitative
 della  liberta')  e  successive  modificazioni,  promossi   con   tre
 ordinanze  emesse  il  7 aprile, il 17 marzo ed il 1x aprile 1993 dal
 Tribunale di sorveglianza di  Milano,  nei  procedimenti  di  reclamo
 rispettivamente  proposti  da Nuvoletta Lorenzo, Ercolano Salvatore e
 Nobile Gaetano, iscritte ai nn. 396, 401 e 402 del registro ordinanze
 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 29  e
 30, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  6  ottobre  1993  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con tre ordinanze identiche nella sostanza, il Tribunale di
 sorveglianza   di   Milano   solleva   questione   di    legittimita'
 costituzionale dell'art. 41-bis, secondo comma, della legge 26 luglio
 1975  n.  354  in  riferimento  agli artt. 3, 24, primo comma, e 113,
 primo e secondo comma, della Costituzione.
    2.  -  Ritenendo  di  non  poter  applicare  in  via  analogica il
 procedimento di reclamo previsto  dall'art.  14-ter  dell'ordinamento
 penitenziario  avverso i provvedimenti di sorveglianza particolare, e
 concludendo pertanto che i provvedimenti ex art.  41-bis  sfuggono  a
 qualsiasi  tipo  di  tutela  giurisdizionale,  il  giudice remittente
 prospetta un possibile contrasto della norma impugnata:
      con  l'art.  3  della  Costituzione,  in   quanto,   mentre   il
 provvedimento  dell'Amministrazione  penitenziaria che dispone il re-
 gime di sorveglianza particolare e' sottoposto alla giurisdizione del
 Tribunale di sorveglianza, attraverso  la  proposizione  del  reclamo
 previsto  dall'art.  14-ter dell'ordinamento penitenziario (assistito
 da tutta una serie di  garanzie  idonee  ad  assicurare  un  regolare
 contraddittorio    tra    le   parti),   l'atto   amministrativo   di
 sottoposizione al regime penitenziario  in  esame,  che  pure  incide
 gravemente  sui  diritti essenziali della persona, costituzionalmente
 tutelati, sfugge a qualsiasi tipo di controllo di legalita' in ordine
 alla conformita' dello stesso alla legge, non consentendo a colui che
 vi e' sottoposto, di dolersi dell'eventuale illegittimita';
      con  l'art.   24,   primo   comma,   della   Costituzione,   per
 l'impossibilita' di vedersi assicurata la facolta' di difesa sotto il
 duplice profilo della difesa tecnica e del rispetto del principio del
 contraddittorio;
      con  l'art.  113,  primo e secondo comma, della Costituzione, in
 quanto detta norma (che  garantisce  la  tutela  giurisdizionale  nei
 confronti  di  tutti  gli  atti della pubblica amministrazione, e che
 costituisce puntuale specificazione di  quanto  disposto  in  termini
 generali  dall'art.  24  della  Costituzione, anche in connessione al
 principio di eguaglianza) non pare rispettata in assenza di mezzi  di
 impugnazione  nei  confronti di detti provvedimenti avanti il giudice
 ordinario, laddove la magistratura di sorveglianza  e'  pacificamente
 riconosciuta  quale  giudice  naturale  dei rapporti del detenuto con
 l'Amministrazione penitenziaria allorche' l'operato di  questa  venga
 ad incidere sui suoi diritti soggettivi.
    3.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che  ha
 concluso per l'infondatezza della questione.
    La  difesa  del Governo ritiene, in sintesi, che nella fattispecie
 in  esame   debba   riconoscersi   la   giurisdizione   del   giudice
 amministrativo  in  quanto  l'oggetto  del reclamo proposto avverso i
 provvedimenti applicativi del regime ex art. 41-bis,  secondo  comma,
 risulta   essere   la   legittimita'  dell'esercizio  di  un  potere,
 riconosciuto per legge alla pubblica amministrazione,  nei  confronti
 di  un  soggetto che non gode di un diritto di liberta' pieno, bensi'
 gia' "compresso" dal titolo detentivo.
                        Considerato in diritto
    1.1. - Il Tribunale di sorveglianza di Milano, con  tre  ordinanze
 di  contenuto  sostanzialmente  identico, dubita, in riferimento agli
 artt. 3, 24 e 113 della Costituzione,  della  legittimita'  dell'art.
 41-bis,  secondo  comma,  della  Legge  26  luglio 1975 n. 354 (Norme
 sull'ordinamento  penitenziario   e   sull'esercizio   delle   misure
 privative  e  limitative  della liberta') che attribuisce al Ministro
 della giustizia,  quando  ricorrano  gravi  motivi  di  ordine  e  di
 sicurezza  pubblica,  la  facolta' di sospendere in tutto o in parte,
 nei confronti dei detenuti per taluni delitti,  l'applicazione  delle
 regole   di  trattamento  e  degli  istituti  previsti  dallo  stesso
 ordinamento penitenziario.
    1.2. - I  provvedimenti  di  rimessione  investono  sotto  profili
 coincidenti  la medesima norma di legge e pertanto i relativi giudizi
 vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.
    2.1. - La  questione  e'  stata  sollevata  nel  corso  di  alcuni
 procedimenti, avanti il Tribunale remittente, sui reclami proposti da
 detenuti  destinatari  dei  provvedimenti  di applicazione del regime
 detentivo di particolare rigore  previsto  dal  citato  art.  41-bis,
 secondo  comma. Ritengono i giudici a quibus che, in assenza di mezzi
 d'impugnazione   espressamente   previsti   dalla    legge    avverso
 l'imposizione del detto regime, non possa applicarsi in via analogica
 la  disposizione dell'art. 14-ter dell'ordinamento penitenziario (che
 prevede  lo  specifico  strumento  del  reclamo   al   Tribunale   di
 sorveglianza  avverso  il regime di sorveglianza particolare disposto
 ai sensi dell'art. 14-bis dell'ordinamento penitenziario), stante  la
 diversita'  sia  della  ratio legis che dei presupposti del regime di
 sorveglianza particolare in raffronto a  quello  di  cui  al  secondo
 comma dell'art. 41-bis.
    2.2.  -  Proprio  la  ritenuta impossibilita', per il detenuto, di
 impugnare il provvedimento ministeriale sospensivo  delle  regole  di
 trattamento   ordinario,   e   quindi   l'assenza   di  un  controllo
 giurisdizionale sulla legittimita' di un provvedimento  destinato  ad
 incidere in modo notevole sul regime penitenziario, conduce i giudici
 remittenti  a  dubitare della legittimita' costituzionale del secondo
 comma dell'art. 41-bis, sotto tre profili analoghi nella sostanza,  e
 cioe' per contrasto:
      con l'art. 3 della Costituzione, per la irragionevole disparita'
 di   disciplina  nei  confronti  del  provvedimento  che  dispone  la
 sorveglianza particolare, avverso il  quale  e'  invece  prevista  la
 garanzia del reclamo ex art. 14-ter dell'ordinamento penitenziario;
      con  l'art. 24, primo comma, della Costituzione, per lesione del
 diritto di difesa avverso atti che incidono su  posizioni  giuridiche
 soggettive "oggetto di indefettibile tutela giurisdizionale";
      con  l'art.  113,  primo  e  secondo  comma, della Costituzione,
 ancora per l'esclusione di ogni  tutela  giurisdizionale  avverso  un
 provvedimento della pubblica amministrazione.
    3.1. - La questione, sotto tutti i profili sollevati, e' infondata
 nei sensi di seguito esposti.
    3.2.  -  Questa  Corte,  con  la sentenza n. 349 del 1993, ha gia'
 avuto occasione di esaminare  la  disposizione  prevista  al  secondo
 comma   dell'art.   41-bis   dell'ordinamento  penitenziario,  allora
 sospettata d'illegittimita'  sotto  vari  profili  tra  i  quali,  in
 sintesi, per lesione della riserva di giurisdizione sancita dall'art.
 13,   secondo  comma,  della  Costituzione,  e  per  la  mancanza  di
 un'esauriente motivazione del provvedimento  di  applicazione  di  un
 piu'  rigoroso regime penitenziario (il che non avrebbe consentito al
 destinatario di tutelare in modo  adeguato  i  suoi  diritti  in  via
 giurisdizionale),  in  riferimento agli artt. 97, primo comma, e 113,
 primo e secondo comma, della Costituzione.
    Ritenendo la norma suscettibile di  essere  interpretata  in  modo
 aderente  al dettato costituzionale, e dichiarando quindi non fondata
 la  questione,  la  Corte  riassunse  alcuni  principi  che  dovevano
 ritenersi   fermi   in   materia  di  ordinamento  penitenziario.  In
 particolare,    chiari'    specificamente    che    l'Amministrazione
 penitenziaria poteva certamente adottare provvedimenti in ordine alle
 modalita' di esecuzione  della  detenzione  che  non  eccedessero  il
 sacrificio  della  liberta'  personale gia' potenzialmente imposto al
 detenuto  con  la  sentenza  di  condanna;  provvedimenti  i   quali,
 "naturalmente",  rimanevano  soggetti  ai  limiti  ed  alle  garanzie
 previsti dalla Costituzione in ordine al diritto di difesa (art. 24),
 al divieto di ogni violenza fisica e morale (art. 13, quarto  comma),
 o  di  trattamenti  contrari  al  senso  di  umanita' (art. 27, terzo
 comma).
    Se  quindi  le  modalita'  del  trattamento  non  incidenti  sulla
 liberta'  personale  del  detenuto potevano anche essere rimesse alle
 valutazioni dell'Amministrazione, cio' non  escludeva,  tuttavia,  la
 garanzia   del   diritto  di  difesa  nei  confronti  di  tutti  quei
 provvedimenti  che,  proprio  in  quanto  concretavano  modalita'  di
 esecuzione  della  pena,  erano  comunque suscettibili di incidere su
 diritti inviolabili dell'uomo specificamente  garantiti  dalle  norme
 costituzionali indicate.
    3.3.  -  Sulla base di tali ragioni la sent. n. 349 del 1993 aveva
 infine affermato che i provvedimenti applicativi del regime detentivo
 previsto  dal  secondo  comma  dell'art.  41-bis  dovevano  ritenersi
 certamente  sindacabili  dal giudice ordinario, "il quale, in caso di
 reclamo, esercitera' su di essi il medesimo controllo giurisdizionale
 che l'ordinamento  penitenziario  gli  attribuisce  in  via  generale
 sull'operato  dell'Amministrazione  penitenziaria e sui provvedimenti
 concernenti l'esecuzione delle pene".
    Tale affermazione, che nella motivazione della sentenza costituiva
 solo un (seppur rilevante) passaggio argomentativo, ma  non  un  capo
 della decisione, va ora pienamente ribadita.
    3.4.   -   Occorre   rilevare   che  nell'ambito  dell'ordinamento
 penitenziario e'  gia'  espressamente  previsto  un  tipo  di  regime
 detentivo  -  il  "regime di sorveglianza particolare" - disciplinato
 degli artt. 14-bis e seguenti, che nella  sua  concreta  applicazione
 viene  ad  assumere un contenuto largamente coincidente con il regime
 differenziato introdotto con il provvedimento ex art. 41-bis, secondo
 comma, di sospensione del trattamento penitenziario.
    E' di intuitiva  evidenza  che  il  potere  esercitato  serve,  in
 entrambi  i  casi,  a consentire all'Amministrazione penitenziaria di
 predisporre uno strumento di particolare  rigore  mediante  il  quale
 fronteggiare   la  pericolosita'  di  ben  determinate  categorie  di
 detenuti.
    Ricorre anche un notevole identita' di presupposti, stante l'ampia
 possibilita' di applicare il regime  di  sorveglianza  particolare  a
 qualsiasi   detenuto,   sulla   base   di   precedenti  comportamenti
 penitenziari, "o di altri concreti comportamenti tenuti  nello  stato
 di liberta'" (art. 14- bis, quinto comma).
    3.5.   -   In   breve,  una  volta  affermato  che  nei  confronti
 dell'Amministrazione penitenziaria i  detenuti  restano  titolari  di
 posizioni  giuridiche  che  per la loro stretta inerenza alla persona
 umana sono qualificabili come diritti  soggettivi  costituzionalmente
 garantiti,   occorre   conseguentemente  riconoscere  che  la  tutela
 giurisdizionale di dette posizioni, costituzionalmente necessaria  ai
 sensi  dell'art.  24  della  Costituzione,  non  puo' che spettare al
 giudice dei diritti e cioe' al giudice ordinario. Nell'attuale quadro
 normativo,   pertanto,   in  assenza  di  disposizioni  espresse,  la
 competenza a sindacare la  legittimita'  dei  provvedimenti  adottati
 dall'Amministrazione  penitenziaria  ai  sensi  dell'art. 41-bis deve
 riconoscersi a quello stesso organo giurisdizionale cui e'  demandato
 il    controllo    sull'applicazione,   da   parte   della   medesima
 Amministrazione, del regime di  sorveglianza  particolare,  ai  sensi
 dell'art. 14-ter dell'ordinamento penitenziario.
    Alla stregua delle considerazioni suesposte la norma puo' ricevere
 un'applicazione aderente al dettato costituzionale.