ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5  della  legge
 della   Regione   Calabria   5  maggio  1990,  n.  55  (Modifiche  ed
 integrazioni alle leggi regionali n. 34/1984 e n. 11/1987),  promosso
 con ordinanza emessa il 20 novembre 1992 dal Tribunale amministrativo
 regionale  della Calabria sul ricorso proposto da Tommaso Di Girolamo
 contro la Regione Calabria ed altri, iscritta al n. 73  del  registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti l'atto di costituzione di Tommaso Di Girolamo nonche' l'atto
 di intervento della Regione Calabria;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  19  ottobre  1993  il  Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Uditi l'avvocato  Feliciano  Serrao  per  Di  Girolamo  Tommaso  e
 l'avvocato Raffaele Mirigliani per la Regione Calabria;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  del giudizio sul ricorso proposto da Tommaso Di
 Girolamo contro la Regione Calabria ed altri per l'annullamento degli
 atti  della  commissione  esaminatrice  nel  concorso   interno   per
 l'accesso  alla II qualifica dirigenziale nel settore delle attivita'
 agricolo-forestali,  nominata con decreto del Presidente della Giunta
 regionale n. 39 del 1991, nonche' per l'annullamento  della  delibera
 della Giunta regionale n. 4319 del 5 agosto 1991, di approvazione dei
 suddetti atti, il Tribunale amministrativo regionale della Calabria -
 con ordinanza del 20 novembre 1992 - ha sollevato d'ufficio questione
 di  legittimita'  costituzionale,  in  relazione agli artt. 97, primo
 comma, e 98 della Costituzione, dell'art.  5  della  legge  regionale
 calabra  5  maggio  1990,  n.  55, "nella parte in cui non prevede la
 presenza, in seno alle commissioni giudicatrici nelle  selezioni  per
 l'avanzamento  a  dirigente di II qualifica, di membri esperti dotati
 di specifiche competenze culturali e/o tecniche rispetto alle materie
 previste dalle selezioni concorsuali".
    In  ordine  alla  rilevanza  di  tale  questione,   il   Tribunale
 rimettente  osserva  che  l'esame  degli  atti  posti in essere dalla
 commissione  -  impugnati  nel  giudizio  a   quo   unitamente   alla
 deliberazione  regionale  di recepimento - presuppone "la preliminare
 indagine circa la legittimita' della normativa che detta i criteri di
 composizione della commissione stessa", atteso  che  l'illegittimita'
 di tale normativa "non potrebbe non riverberare conseguenze caducanti
 -  e  non  gia'  meramente inficianti - sul complesso della attivita'
 posta in essere (dalla commissione), nonche' sulle  deliberazioni  di
 relativo  recepimento".  La  rilevanza  della  questione  prospettata
 discenderebbe, pertanto, dallo "stretto  nesso  di  consequenzialita'
 giuridica  che connette la nomina di una commissione giudicatrice (e,
 con essa, le disposizioni che la prevedono e la disciplinano) con gli
 atti da questa di seguito posti in  essere"  nonche'  dal  fatto  che
 l'accoglimento   della   stessa  questione  "determinerebbe,  in  via
 derivata, l'annullamento dell'intero  iter  procedimentale",  con  la
 conseguente  invalidazione  degli  atti  che hanno formato oggetto di
 impugnativa nel giudizio a quo.
    Circa la non manifesta infondatezza  della  questione,  lo  stesso
 Tribunale   osserva   che  la  norma  impugnata,  nel  modificare  il
 preesistente art. 46 della l.r. 22 novembre 1984, n.  34  -  dove  si
 prevedeva  che  la  commissione  fosse  composta dal presidente della
 Giunta regionale,  in  qualita'  di  presidente,  da  due  professori
 universitari  (designati dai Rettori delle Universita' calabresi), da
 due magistrati amministrativi (designati dal Presidente del TAR della
 Calabria) e da un rappresentante sindacale - ha disposto  che,  fermi
 restando  il  presidente  della Giunta regionale ed il rappresentante
 sindacale, gli altri membri siano sostituiti dall'assessore regionale
 al  personale  e  da  due  consiglieri  regionali,  di  cui  uno   in
 rappresentanza  della minoranza (designati dall'Ufficio di Presidenza
 del Consiglio regionale, sentita la  conferenza  dei  Presidenti  dei
 gruppi  consiliari).  Tale  nuova composizione - secondo il giudice a
 quo  -,  avendo  fatto  venir  meno  nella  commissione  la  presenza
 maggioritaria  di  membri  dotati  di specifiche competenze tecniche,
 sostituiti con rappresentanti di nomina politica, non sarebbe  idonea
 a  garantire  il rispetto delle norme contenute negli artt. 97, primo
 comma, e  98  della  Costituzione,  risultando  in  contrasto  con  i
 principi  espressi  da  questa Corte in materia di composizione delle
 commissioni giudicatrici nei concorsi pubblici (in particolare  nella
 sentenza n. 453 del 1990).
    Tali  principi  -  osserva  ancora  il giudice a quo - per il loro
 carattere generale  devono  necessariamente  trovare  applicazione  -
 oltre  che nei concorsi per l'accesso alla pubblica amministrazione -
 anche nei concorsi "interni" o "riservati", quale quello in esame, in
 ordine ai quali resta, comunque, invariata  l'esigenza  di  garantire
 una  oggettiva  valutazione dei candidati e la selezione dei migliori
 fra essi, offrendo la massima tutela possibile rispetto  a  possibili
 ingerenze  di  natura  politica,  pregiudizievoli  dell'imparzialita'
 della pubblica amministrazione.
   2.  -  La  parte  privata,  ricorrente  nel  giudizio  a  quo,   e'
 intervenuta  con  una memoria adesiva alla tesi formulata dal giudice
 rimettente,  deducendo  che  la  norma  impugnata  ha   completamente
 capovolto   la   corretta  impostazione  della  precedente  normativa
 regionale,  determinando  una  composizione  esclusivamente  politica
 della  commissione, in contrasto con i principi di imparzialita' e di
 destinazione dei  pubblici  impiegati  al  servizio  esclusivo  della
 Nazione.
    3.  -  Si e' costituita in giudizio la Regione Calabria opponendo,
 in primo luogo, l'inammissibilita' della  questione  per  difetto  di
 rilevanza.
    Secondo la Regione il provvedimento costitutivo della commissione,
 non  formando  oggetto  del  ricorso  pendente  innanzi  al Tribunale
 amministrativo, resterebbe in ogni caso  sottratto,  in  quanto  atto
 inoppugnabile,  alla  cognizione  del  giudice a quo, con conseguente
 irrilevanza della questione di costituzionalita' sollevata di ufficio
 nei confronti della normativa regionale che  regola  la  composizione
 della stessa commissione.
    Nel merito, la questione e' ritenuta infondata, dal momento che il
 principio  della  partecipazione dei partiti politici alla formazione
 dell'indirizzo  politico  nazionale,  affermato  nell'art.  49  della
 Costituzione,  porterebbe  ad escludere la possibilita' di attribuire
 un disvalore cosi' assoluto  ad  un  sistema  di  composizione  della
 commissione   giudicatrice   quale  quello  di  cui  e'  causa.  Cio'
 risulterebbe, altresi', confortato dal fatto che la  nomina  politica
 di  alti  magistrati  o  funzionari  statali  e'  prevista dal nostro
 ordinamento ed e'  stata  ritenuta  da  questa  Corte  conforme  alla
 Costituzione  con  le  sentenze  n.  1  del  1967  e  n. 177 del 1973
 (concernenti, rispettivamente, le nomine governative dei  consiglieri
 della Corte dei conti e dei consiglieri di Stato).
    4.  -  In  prossimita' dell'udienza sia la Regione Calabria che la
 parte privata ricorrente nel giudizio a quo hanno presentato memoria,
 dove  vengono  sviluppate  e  approfondite  le  tesi  annunciate  nei
 rispettivi atti di costituzione.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La questione di costituzionalita' in esame investe l'art. 5
 della legge regionale della Calabria 5 maggio 1990, n. 55  (Modifiche
 ed  integrazioni  alle leggi regionali n. 34/1984 e n. 11/1987), dove
 si dispone che la commissione chiamata a formare le graduatorie nelle
 selezioni interne per la copertura dei posti della seconda  qualifica
 dirigenziale  e'  composta dal presidente della Giunta regionale o da
 un  suo  delegato  che  la  presiede;  dall'assessore  regionale   al
 personale; da due consiglieri regionali, di cui uno in rappresentanza
 della  minoranza;  da  un rappresentante sindacale, con qualifica non
 inferiore a quella del posto messo a concorso.
    Ad   avviso  del  Tribunale  amministrativo  della  Calabria  tale
 disposizione (che ha sostituito l'art. 46 della  legge  regionale  22
 novembre  1984,  n. 34, dove la stessa commissione risultava composta
 dal  Presidente   della   Giunta   regionale,   da   due   professori
 universitari,  ordinari  di  materie  attinenti  ai  posti oggetto di
 selezioni, da due magistrati amministrativi e  da  un  rappresentante
 sindacale)  verrebbe  a  violare,  "nella parte in cui non prevede la
 presenza, in seno alle commissioni giudicatrici per  l'avanzamento  a
 dirigente  di  2a  qualifica,  di membri esperti dotati di specifiche
 competenze culturali e/o  tecniche  rispetto  alle  materie  previste
 dalle  selezioni  concorsuali",  il principio di imparzialita' e buon
 andamento della pubblica amministrazione di cui  all'art.  97,  primo
 comma,  della  Costituzione  nonche'  il  vincolo  posto a carico dei
 pubblici dipendenti dall'art. 98 della stessa Costituzione di  essere
 al servizio esclusivo della Nazione.
    2.  - Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilita'
 avanzata dalla Regione Calabria  sul  presupposto  che  la  questione
 sollevata   dal   Tribunale   amministrativo   risulterebbe  estranea
 all'oggetto del giudizio a quo, in quanto  diretta  a  invalidare  la
 norma  regolatrice  della composizione della commissione del concorso
 di  cui  e'  causa,  laddove  lo  stesso  giudizio   risulta   invece
 delimitato,  alla luce dei motivi enunciati nel ricorso, ai soli atti
 valutativi espressi dalla commissione ed  alla  conseguente  delibera
 regionale approvativa di tali atti.
    In  proposito  va,  infatti,  rilevato  che il giudice rimettente,
 nella sua ordinanza, si e' dato carico di  tale  possibile  eccezione
 quando,  proprio  al  fine di allontanare dalla questione proposta il
 sospetto di ultrapetizione rispetto ai limiti della domanda  avanzata
 dal  ricorrente  nel  giudizio a quo, ha argomentato sia in ordine al
 "nesso di consequenzialita'" che viene a collegare la nomina  di  una
 commissione  con gli atti dalla stessa posti in essere, sia in ordine
 agli effetti caducanti che l'accoglimento  della  questione  proposta
 sarebbe  in  grado  di  determinare,  in  via derivata, nei confronti
 dell'intero iter procedimentale svolto dalla commissione  e,  quindi,
 anche  nei confronti degli atti che hanno formato oggetto di espressa
 censura.
    Tali argomentazioni,  quand'anche  controvertibili,  appaiono,  ad
 avviso  di  questa Corte, sufficienti a giustificare l'ingresso della
 questione sollevata, ove si tenga conto dell'indirizzo, ripetutamente
 espresso  in  sede  di  giudizio  costituzionale,  secondo  cui   "il
 controllo    sull'ammissibilita'   della   questione   potrebbe   far
 disattendere la premessa interpretativa offerta  dal  giudice  a  quo
 solo  quando questa dovesse risultare palesemente arbitraria, e cioe'
 in caso di assoluta reciproca estraneita' fra oggetto della questione
 e oggetto del giudizio  di  provenienza  o  quando  l'interpretazione
 offerta  dovesse  risultare del tutto non plausibile" (v., da ultimo,
 sentenze nn. 103, 238, 345 del 1993).
    Il che non si riscontra nel caso in esame.
    3. - Nel merito la questione e' fondata.
    Questa Corte, con la sentenza n. 453 del 1990, ha  avuto  modo  di
 sottolineare  come  l'applicazione  del principio di imparzialita' ai
 concorsi  per  l'ammissione  ai   pubblici   impieghi   imponga   "il
 perseguimento  del  solo interesse connesso alla scelta delle persone
 piu' idonee all'esercizio della funzione pubblica,  indipendentemente
 da  ogni  considerazione  per  gli  orientamenti  politici  e  per le
 condizioni  personali  e  sociali  dei  vari concorrenti". Da qui' la
 conseguenza che, nella composizione delle commissioni giudicatrici di
 tali concorsi, "il  carattere  esclusivamente  tecnico  del  giudizio
 debba  risultare  salvaguardato  da  ogni rischio di deviazione verso
 interessi di parte o comunque diversi da quelli propri del  concorso"
 e che la presenza in tali commissioni di tecnici ed esperti dotati di
 titoli  di studio e professionali adeguati alle materie oggetto delle
 prove  di  esame  "debba  essere,  se  non  esclusiva,  quanto   meno
 prevalente, tale da garantire scelte finali fondate sull'applicazione
 di  parametri neutrali e determinate soltanto dalla valutazione delle
 attitudini e della preparazione dei candidati". Questi principi  sono
 stati confermati nella sent. n. 333 del 1993.
    Giova,  d'altro  canto,  rilevare che tale orientamento in tema di
 imparzialita' nei pubblici concorsi ha trovato un ulteriore  (e  piu'
 radicale) svolgimento nell'ambito della nuova legislazione statale in
 tema  di  pubblico  impiego, posta con il d. lgs. 3 febbraio 1993, n.
 29, dove, in tema di selezione del personale, e' stato  enunciato  il
 criterio  fondamentale che le commissioni di concorso per l'accesso e
 per la progressione del personale nei pubblici uffici siano  composte
 "esclusivamente   con  esperti  di  provata  competenza,  scelti  tra
 funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle  medesime,
 che   non   siano   componenti   dell'organo  di  direzione  politica
 dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e  che  non
 siano  rappresentanti  sindacali  o designati dalle confederazioni ed
 organizzazioni sindacali" (art. 8, lett. c).
    L'applicazione dei principi richiamati - direttamente  conseguenti
 dal  criterio  di  imparzialita' che deve ispirare l'organizzazione e
 l'azione  amministrativa  in  tutti  i  suoi  aspetti   e   che,   di
 conseguenza, viene a operare anche nei confronti di tutti i concorsi,
 sia  di  accesso  che di progressione nella carriera, per il pubblico
 impiego - porta, pertanto, all'accoglimento della questione proposta:
 e questo in relazione al fatto che la norma impugnata  (a  differenza
 di  quanto  statuito  nella precedente disciplina posta con l'art. 46
 della legge regionale  calabra  n.  34  del  1984)  ha  previsto  una
 commissione   giudicatrice  composta  interamente  da  rappresentanti
 politici  e  sindacali,  senza  alcuna  presenza  di  esperti  o   di
 componenti dotati di specifica competenza tecnica rispetto alle prove
 di esame.