IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Esaminata   la   richiesta  di  dissequestro  dei  beni  di  Momone
 Francesco, indagato per un reato di  cui  all'art.  12-quinquies  del
 d.-l.  8  giugno  1992,  n.  306,  e successivi decreti, avanzata dai
 difensori nell'interesse del proprio assistito;
    Visto  il  parere   sfavorevole   all'accoglimento   dell'istanza,
 espresso dal p.m.;
    Letti gli atti e la documentazione prodotta dalla difesa;
                             O S S E R V A
    Con  decreto  del  12  marzo 1993 il g.i.p. disponeva il sequestro
 preventivo di tutti i  beni  e  delle  disponibilita'  economiche  di
 Momone  Francesco,  giusta  elenco allegato dal p.m. a sostegno della
 richiesta di emissione di misura cautelare reale;  avverso  il  detto
 provvedimento  l'indagato  proponeva istanza al tribunale del riesame
 che, con  ordinanza  del  17  aprile  1993,  previa  sospensione  del
 procedimento,   disponeva  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale dichiarando rilevante e non  manifestamente  infondata
 la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies,
 secondo comma, della legge 7 agosto 1992, n.   356,  come  modificato
 dall'art.  5 del d.-l. 21 gennaio 1993, n. 14, reiterato con d.-l. 23
 marzo 1993, n. 73, in relazione agli artt. 3, 24,  secondo  comma,  e
 27, secondo comma, della Costituzione.
    Successivamente  a  tale  pronuncia  il  decreto veniva nuovamente
 reiterato per due volte in data 20 maggio 1993, n. 153, e in data  20
 luglio  1993,  n.  244, nelle more interveniva la Corte di cassazione
 che, con sentenza n. 2333 del 16 giugno 1993 depositata il 15  luglio
 1993,  anticipando  la decisione della Corte costituzionale (peraltro
 sollecitata   da   numerose   istanze   di    rimessione),    offriva
 un'interpretazione   della   norma   sospettata   di   illegittimita'
 costituzionale nei seguenti termini: " ..  rileva  la  Corte  che  e'
 attualmente  vigente  l'art.  12-quinquies nel testo novellato .. per
 cui soggetto ativo del reato in  esame  puo'  essere  colui  nei  cui
 confronti pende procedimento penale per i reati, tra l'altro, per cui
 e'  indagato e ricorrente; nella specie nei confronti di quest'ultimo
 non e' stata iniziata l'azione penale ( ex art. 405 del  c.p.p.),  la
 impugnata  ordinanza  ed  il  correlato decreto di sequestro .. vanno
 quindi annullati senza rinvio,  con  declaratoria  di  cessazione  di
 efficacia della misura cautelare ..".
    Rileva   questo   giudicante   che  l'interpretazione  restrittiva
 all'accezione " .. pende procedimento penale" offerta dalla Corte  di
 cassazione con la citata sentenza, lascia impregiudicata la questione
 di  legittimita'  costituzionale dell'art. 12-quinquies della legge 7
 agosto 1992, n. 356, come modificato. Ed  invero,  prevedendo  questa
 norma  come ipotesi di illecito penale perseguibile il possesso o, in
 ogni caso, la disponibilita' ingiustificata di denaro, beni ad  altre
 utilita',   di   valore   sproporzionato   al  reddito  dichiarato  o
 all'attivita'  economica  esercitata  da  parte  di  colui  nei   cui
 confronti  sia  pendente  procedimento per determinati delitti (artt.
 644, 648, 648- ter del c.p.) e  delineando,  quindi,  una  figura  di
 reato  "proprio",  del  quale  soggetto  attivo puo' essere colui che
 venga a  trovarsi  nella  posizione  processuale  di  imputato,  come
 autorevolmente  sostenuto  dalla  Corte  di  cassazione  nella citata
 sentenza, o anche di indagato, per come  fino  alla  detta  pronuncia
 ritenuto  da  parte  della giurisprudenza di merito, ne consegue, che
 l'interpretazione della norma,  resa  da  questo  giudice  imponesse,
 comunque,   ai   fini  del  decidere  sull'istanza  di  dissequestro,
 l'applicazione   della    norma    sospettata    di    illegittimita'
 costituzionale.
    Infatti,  la misura cautelare e' vigente per essere stata disposta
 sulla base di elementi indizianti ancora non sottoposti alla verifica
 del giudizio, sia che si voglia dare  all'accezione  "colui  nei  cui
 confronti pende procedimento penale" l'interpretazione restrittiva di
 "colui  che e' stato rinviato a giudizio" ed ha, pertanto, assunto lo
 status di imputato (art. 405 del c.p.p.); sia che si voglia con  tale
 locuzione intendere quale soggetto attivo del reato in esame anche il
 mero  indagato,  sulla  scorta  del  dato letterale di cui al termine
 "procedimento"  che,  nell'interpretazione   logico-sistematica   del
 codice  di  rito  vigente  viene  riferito  alla  fase delle indagini
 preliminari  (che  prende  avvio  con  l'iscrizione   della   notitia
 criminis)  ex  art.  335  del  c.p.p.)  e  non,  anche, alla fase del
 giudizio (che prende avvio  con  l'esercizio  dell'azione  penale  da
 parte del p.m. nelle forme di cui all'art. 405 del c.p.p.).
    Va  a  questo  punto  evidenziato  che  questo  tribunale, con due
 distinte ordinanze di rimessione (8 aprile 1993 e 17 aprile 1993)  ha
 ritenuto  non  manifestamente  infondata  e rilevante la questione di
 legittimita' costituzionale  dell'art.  12-quinquies  della  legge  7
 agosto  1992,  n. 356, come novellato, osservando che: " .. trattasi,
 in effetti, di  paradigma  criminoso  che  suscita  serie  e  fondate
 perplessita'  prima  facie  circa la sua conformita', quanto meno, ai
 principi: a) di ragionevolezza sotteso all'art. 3 della Costituzione;
 b) della inviolabilita' del  diritto  di  difesa  (art.  24,  secondo
 comma,  della  Costituzione) e c) della presunzione di innocenza sino
 alla   condanna   definitiva   (art.   27,   secondo   comma,   della
 Costituzione)",  facendo osservare che lo status, del soggetto attivo
 del reato in esame, nei procedimenti relativi ai  reati  presupposti,
 prescinde  irragionevolmente  dagli esiti processuali, potenzialmente
 opposti (assoluzione/condanna) del reato o dei reati presupposti,  di
 tal  che  il  colpevole o l'innocente dei delitti sorgenti subisce il
 medesimo   trattamento   processuale   penalistico,   con   risultati
 palesemente aberranti ed ingiusti.
    Osserva   ancora  il  tribunale  di  Vibo  Valentia  nella  citata
 ordinanza di remissione che: " .. sotto gli altri due profili, appare
 sufficiente rilevare che la norma incriminatrice in questione  sembra
 costringere  il  soggetto,  che intende sottrarsi al procedimento, ad
 abbandonare ogni comportamento processualmente passivo, pur garantito
 dall'ordinamento ad ogni altro imputato ( ex art.  64,  terzo  comma,
 del  c.p.p.,  che  va esteso ex art. 61 c.p.p. all'indagato; u.d.e.),
 obbligandolo a  giustificare  la  legittimita',  della  accumulazione
 patrimoniale  sospetta, in contrasto sia con il diritto del cittadino
 di difendersi anche con il silenzio (art. 24,  secondo  comma,  della
 Costituzione), sia con la presunzione di non colpevolezza che assiste
 ogni  imputato  e,  a  a  fortiori  ogni  indagato sino alla condanna
 definitiva".
    Aderendo,   conclusivamente,   alla   giurisprudenza   di   questo
 tribunale, questo giudice, stante la gia' evidenziata rilevanza della
 questione  di legittimita' costituzionale ai fini del giudizio de quo
 e  la  non  manifesta  infondatezza  della  medesima;  osservato  che
 l'eccezione  e'  rilevabile  iussu  iudicis,  dispone  sospendersi il
 presente  procedimento  in  attesa  della   pronuncia   della   Corte
 costituzionale.  Dispone  che  permanga,  nelle  more,  il  sequestro
 preventivo dei beni di Momone Francesco  atteso  che,  nella  vigenza
 della  norma,  trattasi di beni soggetti a confisca, per cui, ragioni
 di opportunita' consigliano il mantenimento del vincolo cautelare.