ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 8, secondo e
 terzo comma, della legge 15 dicembre  1972,  n.  772  (Norme  per  il
 riconoscimento  dell'obiezione  di coscienza), promosso con ordinanza
 emessa il 26 gennaio  1993  dal  Tribunale  militare  di  Padova  nel
 procedimento penale a carico di Parisio Mario, iscritta al n. 172 del
 registro  ordinanze  1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Udito nella camera di consiglio del  6  ottobre  1993  il  Giudice
 relatore Prof. Antonio Baldassarre;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 8, secondo e terzo comma, della legge 15 febbraio 1972,  n.
 772  (Norme  per  il  riconoscimento dell'obiezione di coscienza), il
 Tribunale militare di Padova ricorda, in linea di  fatto,  che  Mario
 Parisio,  militare  di  leva  in  servizio  dal 29 aprile 1991, il 25
 settembre dello stesso anno, inviato dall'ospedale militare al  corpo
 di  appartenenza,  non si presentava e rimaneva in assenza arbitraria
 fino al 20 maggio 1992, giorno in cui si e' presentato  al  Distretto
 militare  di  Caserta.  Con  sentenza del 31 marzo 1992, peraltro, il
 Parisio veniva condannato in contumacia a quattro mesi di  reclusione
 militare, con il beneficio della sospensione condizionale della pena,
 per  l'arbitraria assenza protrattasi dal 25 settembre 1991 alla data
 della condanna. Il Tribunale militare di Padova, chiamato a giudicare
 nuovamente il Parisio per due distinti  fatti  di  diserzione  (tanto
 l'assenza  arbitraria  dal  31 marzo al 20 maggio 1992, quanto quella
 protrattasi dal 4 giugno all'11 dicembre dello stesso anno),  osserva
 nell'ordinanza  di rimessione che dalle dichiarazioni e dai documenti
 acquisiti nel dibattimento risulta che l'imputato  ha  dichiarato  di
 non  voler  prestare il servizio militare per obbedire all'imperativo
 morale di far fronte  con  il  suo  aiuto  e  il  suo  lavoro  a  una
 disastrosa  situazione della sua famiglia (composta dai genitori e da
 dieci figli), soprattutto a causa di una malattia della madre,  ormai
 giunta  allo  stadio  terminale,  e  del  fatto che il suo lavoro, in
 presenza di un padre alcolizzato e disoccupato e  di  molti  fratelli
 ancora  minori  di  eta',  e'  una  delle  principali  fonti  per  il
 sostentamento della famiglia stessa.
    Posti questi elementi di fatto, il giudice a quo  rileva  come  il
 dovere  morale,  che  ha indotto l'imputato ad assentarsi dal reparto
 nel  quale  prestava  il  servizio  militare,  non  puo'   costituire
 giustificato   motivo   di  rifiuto  del  servizio  stesso,  ai  fini
 dell'esonero a pena espiata, ai sensi dell'art. 8,  secondo  e  terzo
 comma,  della  legge  n.  772  del  1972,  poiche' le ragioni addotte
 dall'imputato non  rientrano  tra  i  motivi  di  coscienza  previsti
 dall'art.  1  della  medesima  legge.  In realta', l'imputato avrebbe
 potuto beneficiare dell'esonero dal servizio  militare  di  leva  per
 ragioni  di  famiglia:  ma egli, essendo apparso totalmente ignorante
 dei suoi diritti,  in  assenza  di  adeguati  istituti  di  patronato
 sociale  non  ha  chiesto  di  godere  di tale beneficio. Di fronte a
 questa  situazione,  il  giudice  a  quo  dubita  della  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  8, secondo comma, della ricordata legge n.
 772, poiche' apparirebbe contrario al principio di eguaglianza  (art.
 3 della Costituzione) l'accordare una tutela a motivi di coscienza di
 un  certo  tipo (come la contrarieta' all'uso delle armi per i motivi
 indicati nell'art. 1 della stessa legge) e non agli altri  motivi  di
 coscienza,  pur  se non riconducibili all'incondizionata contrarieta'
 all'uso delle armi. Inoltre, in  riferimento  al  medesimo  parametro
 costituzionale,  lo  stesso  giudice  a quo ritiene ingiustificata la
 diversita' fra la norma  impugnata,  che  prevede  l'adduzione  degli
 specifici  motivi  di  coscienza  indicati nell'art. 1 della medesima
 legge, e la disposizione contenuta nell'art. 8, primo comma, la quale
 punisce il puro e semplice rifiuto del  servizio  civile  alternativo
 senza  che  sia  necessaria  l'adduzione  di  particolari  motivi  di
 coscienza o di altro genere.
    Ad avviso del giudice a quo, lo  stesso  art.  8,  secondo  comma,
 appare contrastare anche con altre norme costituzionali, segnatamente
 quelle  che  tutelano  il  rispetto  della  coscienza  come principio
 creatore  di  ogni  altra  liberta'  (artt.  2,   19   e   21   della
 Costituzione). Infatti, tali valori, che hanno indotto il legislatore
 a  configurare il reato di cui all'art. 8, secondo comma, della legge
 n. 772 del 1972, ricorrono anche in relazione  ad  una  posizione  di
 coscienza  non  riconducibile all'incondizionata contrarieta' all'uso
 delle armi, sicche' pur in tal caso  occorre  evitare,  se  si  vuole
 tutelare  il  valore della coscienza, la c.d. spirale delle condanne.
 Per  questi  stessi  motivi,   la   disposizione   impugnata   sembra
 contrastare  anche con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione (le
 "pene non possono consistere in  trattamenti  contrari  al  senso  di
 umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato"), poiche'
 tale  principio costituzionale preclude al legislatore di porre norme
 che,  misconoscendo  la  sostanziale   unitarieta'   del   fatto   da
 penalizzare,  comportino  una certa frammentazione e indeterminatezza
 e, quindi, una disumanita' del trattamento sanzionatorio.
    Sulla base delle argomentazioni  svolte,  il  giudice  a  quo,  in
 riferimento  ai  parametri  gia'  indicati,  chiede a questa Corte di
 dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  8,   secondo
 comma, della legge n. 772 del 1972, nella parte in cui esclude che il
 reato  ivi  configurato si realizzi per il solo fatto del rifiuto del
 servizio militare o con l'adduzione di motivi di coscienza diversi da
 quelli indicati nell'art. 1 della stessa legge. O, se si  preferisce,
 precisa  il  giudice  rimettente,  la  Corte  potrebbe  semplicemente
 caducare l'inciso "adducendo i motivi di cui  all'art.  1"  contenuto
 nell'art.  8,  secondo  comma. Inoltre, poiche' quest'ultimo articolo
 prevede che il reato si  realizzi  soltanto  quando  il  rifiuto  del
 servizio  militare  venga  posto  in  essere "prima di assumerlo", il
 giudice a quo chiede a questa Corte  di  dichiarare,  in  riferimento
 agli  stessi  parametri,  l'incostituzionalita'  dell'art. 8, secondo
 comma, nella parte in cui esclude che il  reato  ivi  configurato  si
 realizzi  anche  dopo  l'assunzione del servizio militare di leva. In
 proposito il giudice rimettente osserva che la Corte con la  sentenza
 n.  467  del  1991  ha  riconosciuto  l'ingiustificatezza  di  simile
 limitazione, ma ha dichiarato di non poterla annullare in  quanto  da
 una  tale  pronunzia  sarebbe potuto derivare un effetto peggiorativo
 del  trattamento  sanzionatorio  dell'obiettore  di   coscienza.   Ma
 quest'ultima  osservazione  e'  contestata  dal  giudice  a quo tanto
 perche'  nella  considerazione della maggiore o minore gravita' di un
 trattamento  sanzionatorio  andrebbero  valutati  anche  gli  effetti
 conseguenti all'espiazione della pena, quanto soprattutto perche' nel
 caso  di  specie  l'imputato  e' incriminato per reati puniti con una
 sanzione superiore a quella prevista dalla norma impugnata,  di  modo
 che all'annullamento di quest'ultima conseguirebbe un trattamento per
 lui piu' favorevole.
    Infine,  il  giudice a quo solleva questione di costituzionalita',
 sempre in  riferimento  ai  medesimi  parametri  costituzionali,  nei
 confronti  dell'art.  8, terzo comma, che, contenendo una fattispecie
 autonoma da quelle proprie dei commi precedenti (come ha riconosciuto
 la stessa Corte nella sentenza n. 467 del 1991),  appare  illegittimo
 nella  parte  in  cui  non  prevede  l'esonero  dalla prestazione del
 servizio militare a seguito dell'espiazione della pena  da  parte  di
 chi  abbia rifiutato il servizio militare per motivi di coscienza non
 compresi nell'art. 1 della legge n. 772 del 1972.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Tribunale militare di Padova solleva - in riferimento agli
 artt. 2, 3, 19, 21 e 27, terzo comma, della Costituzione  -  distinte
 questioni  di  legittimita' costituzionale nei confronti dell'art. 8,
 secondo e terzo comma, della legge 15 febbraio 1972,  n.  772  (Norme
 per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza).
    In  particolare,  il  giudice  a  quo  dubita, innanzitutto, della
 legittimita'  costituzionale  dell'art.   8,   secondo   comma,   per
 violazione  del  principio  di  parita'  di trattamento (art. 3 della
 Costituzione)  sotto  un  duplice  profilo.  In   primo   luogo,   la
 disposizione  impugnata,  nel  configurare  il  reato  di rifiuto del
 servizio militare in tempo di pace in relazione a coloro che,  al  di
 fuori  dei  casi di ammissione ai benefici previsti per gli obiettori
 di coscienza, adducono i  motivi  di  cui  all'art.  1  (contrarieta'
 all'uso delle armi per motivi di coscienza attinenti a una concezione
 generale  della  vita  basata  su  profondi convincimenti religiosi o
 filosofici  o  morali  professati  dal   soggetto),   discriminerebbe
 ingiustificatamente  coloro  che compiono lo stesso rifiuto adducendo
 motivi  di  coscienza  diversi,  anche  se  non  riconducibili   alla
 ricordata  contrarieta'  all'uso  delle  armi.  Inoltre,  la medesima
 posizione, ad avviso dello stesso giudice, comporterebbe un'ulteriore
 disparita' di trattamento rispetto alla disciplina prevista nel comma
 precedente del medesimo art. 8: mentre il primo comma,  infatti,  non
 condiziona  il  rifiuto  del  servizio  sostitutivo  ivi  configurato
 all'adduzione di motivi giustificativi,  la  disposizione  impugnata,
 invece, contiene tale condizionamento richiedendo che per configurare
 il  reato  ivi  previsto siano addotti i motivi di coscienza indicati
 nel ricordato art. 1. Sulla base delle considerazioni  ora  enunciate
 il  giudice  rimettente  formula  un petitum complesso, nel senso che
 chiede   a   questa   Corte   la    dichiarazione    d'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 8, secondo comma, nella parte in cui esclude
 che  il  reato  ivi  configurato  si  realizzi  per il solo fatto del
 rifiuto  del  servizio  militare  o  con  l'adduzione  di  motivi  di
 coscienza diversi da quelli indicati nell'art. 1 della stessa legge.
    La  seconda  questione  posta  dal  giudice  a quo concerne ancora
 l'art. 8, secondo comma, sotto  il  diverso  profilo  della  presunta
 violazione  del  principio  di  coscienza  (artt.  2,  19  e 21 della
 Costituzione) e di quello per il quale le pene non possono consistere
 in  trattamenti  contrari  al senso di umanita' e devono tendere alla
 rieducazione  del   condannato   (art.   27,   terzo   comma,   della
 Costituzione).  Secondo  il  giudice  rimettente, questi due principi
 costituzionali risulterebbero violati dalla concreta possibilita' che
 una posizione di  coscienza,  pur  se  non  riconducibile  ai  motivi
 indicati  nel  predetto  art. 1, sia soggetta alla c.d. spirale delle
 condanne, vale a dire al susseguirsi di pene irrogate  fino  all'eta'
 del   venir   meno   dell'obbligo   di  leva,  in  conseguenza  della
 reiterazione del medesimo rifiuto del servizio militare.
    La terza  questione  posta  dal  giudice  a  quo  e'  sorretta  da
 un'identica motivazione diretta alla contestazione della c.d. spirale
 delle condanne, anche se concerne l'art. 8, terzo comma, della stessa
 legge,  il  quale  prevede che l'espiazione della pena irrogata per i
 reati configurati nei due commi precedenti esonera dalla  prestazione
 del  servizio militare. Secondo il giudice rimettente, i parametri di
 costituzionalita'   invocati    per    la    questione    antecedente
 risulterebbero  violati  ove non si estendesse il ricordato beneficio
 anche a coloro che rifiutano  il  servizio  militare  per  motivi  di
 coscienza  diversi  da quelli indicati nel citato art. 1 della stessa
 legge.
    Infine, lo stesso  giudice  contesta  ancora,  in  riferimento  ai
 parametri  costituzionali invocati nelle due precedenti questioni, la
 legittimita' costituzionale dell'art. 8, secondo comma,  nella  parte
 in  cui  la  norma impugnata, nel circoscrivere la configurazione del
 reato di rifiuto del servizio militare ivi previsto a coloro che, non
 godendo dei benefici concessi dalla medesima legge, adducano i motivi
 di coscienza  di  cui  all'art.  1  prima  di  assumere  il  servizio
 militare,  esclude  dall'esonero susseguente alla pena espiata per il
 predetto reato, ai sensi del comma terzo dello stesso art. 8,  coloro
 che adducano i medesimi motivi di coscienza per rifiutare il servizio
 militare soltanto dopo averlo assunto.
    2.  -  L'insieme  delle  contestazioni  mosse  dal  giudice  a quo
 all'art. 8, secondo e terzo comma, della legge n. 772 del 1972,  mira
 a  ottenere  da  questa  Corte interventi additivi o correttivi sulle
 disposizioni impugnate, diretti al risultato di  estendere  l'esonero
 conseguente  alla  pena  espiata  per i reati di rifiuto del servizio
 militare a coloro che manifestino tale volonta' anche successivamente
 all'assunzione del servizio stesso tanto se giustifichino il  rifiuto
 adducendo  motivi  di  coscienza anche diversi da quelli indicati dal
 piu' volte ricordato art. 1 della medesima legge, quanto se esprimano
 lo stesso rifiuto senza  addurre  motivo  alcuno.  Tuttavia,  occorre
 subito  osservare  che,  per  effetto  di  una  decisione pronunziata
 successivamente   all'emissione   dell'ordinanza   introduttiva   del
 presente  giudizio,  questa  Corte e' gia' intervenuta sulla sostanza
 del complessivo problema sollevato dal Tribunale militare  di  Padova
 in  un  senso non contrario a quello auspicato dal medesimo giudice a
 quo.
    Con la sentenza n.  343  del  1993,  questa  Corte  ha  dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8, terzo comma, della legge
 n.  772 del 1972, in relazione al caso di un imputato per il reato di
 diserzione (art. 148  c.p.m.p.),  adottando  una  pronunzia  additiva
 vo'lta ad estendere l'esonero dalla prestazione del servizio militare
 di  leva a favore di coloro che, avendo rifiutato totalmente in tempo
 di  pace  la prestazione del servizio stesso dopo aver addotto motivi
 diversi da quelli indicati nell'art. 1 della medesima legge  o  senza
 aver addotto motivo alcuno, abbiano espiato per quel comportamento la
 pena  della  reclusione  quantomeno  in  misura  complessivamente non
 inferiore alla durata del servizio militare di leva.
    Considerata alla luce dei precedenti  giurisprudenziali  -  e,  in
 particolare,  in relazione alla sentenza n. 467 del 1991 - e valutata
 in base alla motivazione della decisione prima citata,  la  pronunzia
 ora  ricordata,  resa  in  base agli artt. 3 e 27, terzo comma, della
 Costituzione (parametri invocati anche nel  caso  in  questione),  ha
 evidentemente  una  portata  generale,  nel  senso che estende i suoi
 effetti a tutti i militari imputati di  reati  comportanti  forme  di
 rifiuto  del  servizio militare che si vengano a trovare assoggettati
 alla  "spirale  delle  condanne".  E'  chiaro,  infatti,   che,   nel
 ragionamento  svolto  da questa Corte nella sentenza n. 343 del 1993,
 e' l'effetto della "spirale delle condanne" a porsi, di per  se',  in
 contrasto con i valori e i fini espressi dal combinato disposto degli
 artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.
    Nel  confermare  ora  la  portata generale di quella pronunzia, la
 Corte, sulla base degli stessi motivi allora espressi,  ribadisce  la
 medesima  dichiarazione  d'illegittimita' costituzionale, precisando,
 in obbedienza a ragioni di certezza  giuridica,  che  l'esonero,  nei
 termini  gia'  detti, si estende anche a coloro che abbiano rifiutato
 il servizio militare soltanto dopo averlo assunto. Infatti,  il  caso
 dedotto  in  questo  giudizio  riguarda  proprio  un  militare che ha
 espresso il suo rifiuto successivamente all'assunzione  del  servizio
 di leva.
    In  conseguenza  di  tale  pronunzia,  sono  assorbiti  i  profili
 relativi  all'art.  8,  terzo  comma,  in  riferimento  ai  parametri
 concernenti gli artt. 2, 19 e 21 della Costituzione e quelli relativi
 all'art.  8,  secondo  comma,  in  riferimento  a  tutti  i parametri
 invocati, eccetto l'art. 3 della Costituzione per l'aspetto attinente
 alla disparita' di trattamento.
    3. - Resta  da  esaminare,  pertanto,  la  prima  delle  questioni
 sollevate dal giudice a quo, che e' in parte inammissibile e in parte
 non fondata.
    Inammissibile  per  irrilevanza  e'  la  questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 8, secondo comma, per la parte in cui si as-
 sume un'ingiustificata disparita'  di  trattamento  in  relazione  al
 fatto che la norma impugnata conferisce rilievo soltanto ai motivi di
 coscienza,  pur  se non riconducibili alla contrarieta' all'uso delle
 armi. L'irrilevanza della questione deriva dal  fatto  che  nel  caso
 dedotto  nel  giudizio a quo l'imputato, stando all'ampia descrizione
 contenuta nell'ordinanza di rimessione, non rientra  fra  i  soggetti
 che  fanno  valere un motivo di coscienza, anche se diverso da quelli
 indicati nell'art. 1 della  legge  n.  772  del  1972.  I  motivi  di
 coscienza,  infatti,  non coincidono con qualsiasi imperativo morale,
 ma riguardano, come si deduce anche dall'appena ricordato art.  1,  i
 comandi  del  foro  interno  riconducibili  a concezioni generali, ai
 quali, in ragione del pluralismo dei valori di coscienza  susseguente
 alla   garanzia  costituzionale  delle  liberta'  fondamentali  della
 persona, puo' esser attribuita  dal  legislatore  una  determinata  e
 limitata  capacita'  di  deroga  a specifici doveri costituzionali di
 solidarieta' civile o politica. Il pur lodevole imperativo morale  di
 assistere  la propria numerosa e bisognosa famiglia, che il giudice a
 quo  riconosce  nel  caso  di  fronte  a  lui  dedotto,  e'  tutelato
 dall'ordinamento  giuridico, come ammette lo stesso giudice, non gia'
 quale motivo di coscienza, ma quale causa sociale di  dispensa  dalla
 ferma di leva (v. art. 22, n. 5, della legge 31 maggio 1975, n. 191).
 E  il  deprecabile  fatto  che  il  godimento di tale beneficio, come
 lamenta il giudice a quo, non sia adeguatamente assicurato  presso  i
 ceti  sociali  maggiormente  privi  di  mezzi materiali e di cultura,
 porta indubbiamente questa Corte ad auspicare il  varo  di  opportune
 riforme,  ma  non  puo'  comunque  indurla  a convertire in motivo di
 coscienza un imperativo morale che per sua natura non puo'  rientrare
 in quella categoria.
    4.  -  Non  fondata  e',  infine,  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 8,  secondo  comma,  per  la  parte  in  cui
 concerne la pretesa disparita' di trattamento rispetto all'ipotesi di
 reato   configurato  nel  comma  precedente  dello  stesso  articolo,
 disparita' in conseguenza della quale il giudice a quo e' pervenuto a
 richiedere a questa Corte una pronunzia  diretta  a  eliminare  nella
 disposizione  impugnata qualsiasi rilievo all'adduzione di motivi per
 il rifiuto del servizio militare.
    Le ipotesi di reato che il giudice  rimettente  pone  a  confronto
 sono   in   realta'   totalmente  eterogenee  sia  sotto  il  profilo
 soggettivo, sia sotto il profilo delle condotte considerate. Per quel
 che riguarda il  primo  aspetto,  occorre  osservare,  infatti,  che,
 mentre  l'art.  8,  primo  comma, concerne coloro che sono ammessi ai
 benefici previsti nella legge n. 772 del 1972, il capoverso,  invece,
 presuppone  proprio  la  mancata ammissione ai predetti benefici. Sul
 piano delle condotte, poi, mentre, il primo comma riguarda il rifiuto
 del  servizio  militare  non  armato   e   di   quello   sostitutivo,
 diversamente  il  secondo comma ha ad oggetto il rifiuto del servizio
 militare come tale. E', pertanto, evidente che la questione sollevata
 dal giudice a quo concerne ipotesi che,  sulla  base  della  costante
 giurisprudenza   di   questa   Corte,  non  possono  essere  ritenute
 comparabili ai fini dell'applicazione dell'art. 3 della Costituzione.
 Per questa parte, dunque, la questione va rigettata.