ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 5- bis della
 legge 8 agosto 1992, n. 359 (rectius: art. 5- bis  decreto  legge  11
 luglio  1992,  n.  333  convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359)
 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica),  promossi
 con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa il 18 dicembre 1992 dalla Corte di Appello
 di Roma nel procedimento civile vertente tra Veschi Elvira  ed  altri
 ed il Comune di Roma iscritta al n. 132 del registro ordinanze 1993 e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 14, prima
 serie speciale, dell'anno 1993;
     2) ordinanza emessa il 4 dicembre 1992 dalla Corte di Appello  di
 Palermo  nel procedimento civile vertente tra Intravaia Giacomo ed il
 Comune di Monreale iscritta al n. 180 del registro ordinanze  1993  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 18, prima
 serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti gli atti di costituzione di  Veschi  Elvira  ed  altri,  del
 Comune  di Roma, di Intravaia Giacomo, nonche' gli atti di intervento
 del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  2  novembre  1993  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
    Uditi  gli  avvocati Bertolo Spallina per Intravaia Giacomo, Mauro
 Croci per il Comune di Roma e l'Avvocato dello Stato Sergio La  Porta
 per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  giudizio promosso da Veschi Elvira ed altri - i quali,
 avendo ceduto volontariamente ( ex art. 12 legge 22 ottobre  1971  n.
 865),  nell'ambito  di  una  procedura  espropriativa,  un terreno al
 Comune di Roma sulla base dell'indennita' provvisoria con riserva  di
 conguaglio  e  non  essendo  piu'  possibile  tale conguaglio dopo la
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge n.  385/71
 cit.  sui criteri indennitari provvisori, avevano chiesto che venisse
 determinato il prezzo della  cessione  (ovvero  l'indennita'  dovuta)
 secondo il valore del bene in un libero mercato ( ex art. 39 legge n.
 2359  del 1865) all'epoca della cessione - l'adita Corte d'appello di
 Roma, ritenuto che ai proprietari  cedenti  dovesse  riconoscersi  il
 diritto  di  ottenere  l'equivalente  del  prezzo di mercato del bene
 ceduto e considerato che nelle more del giudizio l'art. 5- bis  della
 legge 8 agosto 1992 n. 359 (rectius: art. 5- bis d.-l. 11 luglio 1992
 n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992 n. 359) aveva introdotto
 una  nuova normativa in materia di determinazione della indennita' di
 espropriazione, immediatamente applicabile anche ai  procedimenti  in
 corso  -  ha sollevato (con ordinanza del 18 dicembre 1992) questione
 incidentale di legittimita' costituzionale di tale norma  sotto  piu'
 profili.
    Ritiene  innanzi  tutto  che il primo comma dell'art. 5- bis violi
 l'art. 42, comma 3, Cost.; infatti, alla stregua del  nuovo  criterio
 di  determinazione  dell'indennizzo  espropriativo  il  valore venale
 viene prima abbattuto della meta', atteso che il  reddito  dominicale
 rivalutato  e' cosa trascurabile in termini monetari; l'importo cosi'
 calcolato viene poi ulteriormente ridotto del quaranta per cento, per
 cui il privato espropriato potra' al massimo ottenere una  indennita'
 che  si  aggira  intorno  ad  un  terzo  del  valore  venale.  Ma  un
 indennizzo, che comporta una falcidia pari a circa  il  settanta  per
 cento del valore venale del bene, non presenta quelle caratteristiche
 di  serio ristoro previste dalla giurisprudenza di questa Corte e che
 rappresentano la soglia minima di  costituzionalita'  prescritta  dal
 canone del citato terzo comma dell'art. 42 Cost.
    La  medesima disposizione (primo comma dell'art. 5- bis) poi viola
 anche l'art. 3 Cost. (giacche' il nuovo  criterio  di  determinazione
 dell'indennizzo  espropriativo  comporta un'ingiustificata disparita'
 di trattamento  tra  proprietari  di  aree  edificabili  assoggettati
 all'espropriazione e quelli che invece non lo sono, atteso che solo i
 primi,  e non anche i secondi, subiscono la suddetta falcidia del 70%
 del valore venale dell'area edificabile) e l'art. 53  Cost.  (perche'
 l'espropriato  e' chiamato a concorrere alla spesa pubblica in misura
 maggiore  degli  altri  cittadini,  ossia   nella   misura   in   cui
 l'indennizzo  risulta  essere  inferiore al valore effettivo del bene
 espropriato,  senza  che  tale  maggior  sacrificio  sia  minimamente
 correlato alla sua capacita' contributiva).
    Ulteriori censure poi attengono ancora al primo comma dell'art. 5-
 bis  in riferimento all'art. 3 Cost. sotto un duplice profilo. Da una
 parte la nuova normativa, avendo confermato il  criterio  del  valore
 agricolo  medio  per  le aree agricole con il richiamo del titolo II›
 della legge 22 ottobre 1971 n. 865, viene a creare una disparita' tra
 le due diverse discipline espropriative  dei  suoli  agricoli  e  dei
 suoli  edificatori: la prima piu' favorevole della seconda (il prezzo
 della cessione puo' arrivare fino al 50% dell'indennita'  provvisoria
 e  -  se  la  cessione  e'  fatta  dal  proprietario  che  sia  anche
 coltivatore diretto - raggiungere  addirittura  il  triplo).  D'altra
 parte  si  deduce  la  disparita' di trattamento tra espropriazione e
 occupazione espropriativa:  l'una,  pur  rispettando  per  intero  il
 procedimento espropriativo, assicura al proprietario espropriato solo
 un terzo del valore venale del suo bene; l'altra, ancorche' priva del
 decreto  di  esproprio o con un decreto di esproprio tardivo e quindi
 inutile, e' piu' favorevole per il proprietario  che  ha  diritto  al
 risarcimento del danno in misura pari al valore venale del bene.
    Inoltre  la Corte rimettente censura il primo comma, ultima parte,
 e secondo comma, dell'art. 5- bis in riferimento agli artt. 3,  24  e
 113  Cost.,  sostenendo  che  vi  e'  disparita'  di  trattamento tra
 espropriati   che   accettano   la   determinazione   dell'indennita'
 effettuata  in  via  definitiva  ed  espropriati  che  non  accettano
 siffatta liquidazione, in  quanto  la  riduzione  del  40%  (prevista
 dall'ultima  parte  del primo comma) agisce come deterrente ed appare
 introdotta non tanto allo scopo di incentivare le cessioni volontarie
 (che, secondo il disposto del secondo  comma,  sono  esenti  da  tale
 riduzione),  quanto  con il fine evidente di scoraggiare, o meglio di
 punire, coloro che si rifiutano di consegnare l'immobile, comprimendo
 cosi' il diritto di agire in giudizio per l'accertamento  dei  propri
 diritti.
   La  Corte rimettente censura poi il terzo comma dell'art. 5- bis in
 riferimento agli artt. 42, comma 3, e 97 Cost  .  Tale  disposizione,
 nel  prevedere che ai fini della edificabilita' delle aree si debbano
 considerare  non  solo  le  possibilita'  legali,  ma  anche   quelle
 effettive  di  edificazione,  riferisce  tale  valutazione al momento
 dell'apposizione del  vincolo  preordinato  all'esproprio.  E'  pero'
 possibile  che, in ipotesi di modifica delle valutazioni urbanistiche
 o nel  caso  in  cui  i  vincoli  non  siano  rispettati,  il  valore
 commerciale    del    suolo   al   momento   dell'esproprio   risulti
 progressivamente divaricato nel tempo rispetto a quello relativo alla
 situazione originaria, divenuta inattuale, inadeguata od inapplicata.
 Puo' quindi accadere (come nel caso di specie)  che  tra  il  momento
 dell'apposizione  del vincolo preordinato all'espropriazione e quello
 dell'espropriazione intercorra un cosi'  rilevante  lasso  temporale,
 che  l'indennita' finisce per non avere piu' come parametro il valore
 di un'area  edificabile,  che  pur  pretende  di  compensare,  bensi'
 un'area  che  al  momento  dell'imposizione  del  vincolo  aveva  una
 destinazione agricola. In tal caso la perdita  del  bene  espropriato
 non  e'  compensata  da  un  serio ristoro che deve necessariamente e
 direttamente collegarsi al  valore  economico  attuale  (e  non  gia'
 pregresso) del bene stesso.
    Inoltre  sarebbe violato anche l'art. 97 Cost. perche' verrebbe di
 fatto premiata la lentezza e l'inefficienza dell'amministrazione,  la
 quale,  in  tal  modo,  avrebbe tutto da guadagnare nel divaricare al
 massimo nel tempo  i  due  momenti  dell'imposizione  del  vincolo  e
 dell'espropriazione, atteso che al momento di espropriare e di pagare
 la  relativa indennita' e' evidentemente conveniente, per effetto del
 meccanismo legislativo censurato, che i dati per la valutazione siano
 i piu' remoti possibili.
    Un'ultima censura riguarda il settimo comma dell'art. 5- bis nella
 parte in cui prevede che la nuova determinazione  dell'indennita'  di
 espropriazione  si  applichi  ai  procedimenti  ancora  in  corso; la
 disposizione confligge con il  principio  di  irretroattivita'  della
 legge sotto il profilo che non sussiste - secondo la Corte rimettente
 -  alcuna  ragione  giustificatrice  della  deroga  a tale principio,
 soprattutto se si considera  che  la  normativa  censurata  e'  stata
 introdotta  dopo  una  inerzia del legislatore durata per oltre dieci
 anni e che la stessa riveste il carattere della provvisorieta'.
    2. - Si sono costituiti  Vesci  Elvira  e  gli  altri  attori  nel
 giudizio  a quo e, aderendo alle argomentazioni dell'ordinanza, hanno
 chiesto la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma
 impugnata.
    La difesa delle parti private prospetta poi un'ulteriore questione
 di  costituzionalita'  per  l'ipotesi  in  cui  la  Corte  la sollevi
 d'ufficio.  Osserva   che   la   nuova   disciplina   dell'indennizzo
 espropriativo   riveste   il   carattere   della   provvisorieta'  e,
 conseguentemente, il cittadino  che  subisce  l'espropriazione  nella
 vigenza  di  questo  regime  ha  un  trattamento deteriore rispetto a
 quello riservato al cittadino che, invece,  subira'  l'espropriazione
 quando  sara'  emanata  l'annunciata  disciplina  organica.  In  tale
 dichiarato carattere provvisorio della disciplina e'  necessariamente
 implicita  la  diversita'  di trattamento tra situazioni assoggettate
 alla disciplina  provvisoria  e  quelle  ricadenti  nella  disciplina
 definitiva con conseguente violazione dell'art. 3 Cost.
    3.  -  Si  e' costituito anche il Comune di Roma sostenendo, anche
 con  successiva  memoria,  la  non  fondatezza  della  questione   di
 costituzionalita'.
    In  particolare,  quanto  alla  censura che attiene al terzo comma
 dell'art. 5-bis, la difesa del Comune ritiene che la disposizione sia
 da intendere nel senso  che  nella  valutazione  del  bene  si  debba
 prescindere dal vincolo preordinato allo esproprio con la conseguenza
 che  il valore (salvo poi attualizzarlo) deve essere ancorato proprio
 al momento dell'apposizione del vincolo, ossia prescindendo da  esso,
 allo  stato  in  cui  i  beni si trovavano precedentemente al vincolo
 stesso.
    Del pari  infondata  e'  la  censura  di  incostituzionalita'  per
 disparita'  di  trattamento  tra  proprietari  di  aree edificabili e
 proprietari di aree agricole per la diversita'  del  presupposto  che
 giustifica     una     disciplina    differenziata    dell'indennizzo
 espropriativo. Ugualmente non fondata - ha sostenuto  la  difesa  del
 Comune  di  Roma  -  e'  la  censura  sollevata dal giudice a quo con
 riferimento all'art. 3 Cost., per presunta disparita' di  trattamento
 tra chi viene espropriato (legittimamente) e chi invece soggiace alla
 c.d. accessione invertita, trattandosi di situazioni radicalmente di-
 verse che giustificano una disciplina differenziata.
    4.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
 che la questione sia dichiarata inammissibile od infondata.
    Preliminarmente   eccepisce   l'irrilevanza   della   censura   di
 incostituzionalita'  relativa  alla  riduzione  del  40% da applicare
 all'ammontare dell'indennita' risultante dalla media  dei  valori  di
 cui  al  primo comma dell'art. 5- bis giacche' il trasferimento della
 proprieta' e' avvenuto  consensualmente  mediante  cessione,  sicche'
 resta di conseguenza esclusa la riduzione del 40% della semisomma del
 valore venale e del reddito dominicale.
    Nel   merito  l'Avvocatura  ritiene  non  fondate  le  censure  di
 costituzionalita'.
    In particolare non sono violati gli artt. 3 e 97 Cost.  denunciati
 sotto il profilo che il terzo comma dell'art. 5- bis stabilisce, agli
 effetti  dell'accertamento  della natura edificatoria del terreno, di
 avere riguardo al momento dell'apposizione  del  vincolo  preordinato
 all'esproprio.  Tale  disposizione  non  significa,  affatto,  che la
 valutazione del bene debba effettuarsi con riferimento alla  data  di
 apposizione  del vincolo espropriativo (anziche' a quella del decreto
 d'esproprio o, comunque,  del  trasferimento  della  proprieta').  La
 stima   dell'immobile   deve   invece   essere   riferita  alla  data
 dell'esproprio sicche' cade la censura  d'irrazionalita'  ex  art.  3
 Cost.,  mentre  non  e'  pertinente  l'evocato parametro dell'art. 97
 Cost.
    Ne' e'  fondata  la  censura  di  disparita'  di  trattamento  tra
 espropriazione   di   terreni  agricoli  ed  espropriazione  di  aree
 fabbricabili atteso  che  le  maggiorazioni  delle  indennita'  e  le
 indennita'  aggiuntive  previste  per  le  espropriazioni  di terreni
 agricoli appartenenti a (o condotti da) coltivatori diretti stanno  a
 compensare  la  perdita  (non della proprieta' ma) della possibilita'
 d'esercizio della attivita' di (diretta) coltivazione del fondo.
    Altresi'   neppure   vi   e'   disparita'   di   trattamento   tra
 espropriazione  ed  occupazione  appropriativa  perche'  si tratta di
 ipotesi radicalmente diverse.
    Infine  l'ultimo  profilo  della  questione  di  costituzionalita'
 riferito  al  settimo  comma  dell'art. 5-bis, e' irrilevante perche'
 riguarda i procedimenti espropriativi  in  corso  alla  data  del  14
 agosto  1992,  e  non  e' quindi operante nel giudizio principale nel
 quale il procedimento si e' interrotto con la cessione volontaria del
 bene. Comunque e' infondato atteso che non si verte in materia  nella
 quale operi il principio della irretroattivita' della legge ed e' del
 tutto   ragionevole   che   il  legislatore  abbia  accomunato  nella
 disciplina  indennitaria   tutte   le   ipotesi   di   non   avvenuta
 determinazione in via definitiva dell'indennita'.
    5.   -   In  un  giudizio  avente  ad  oggetto  la  determinazione
 dell'indennita' di esproprio di due fabbricati siti  all'interno  del
 perimetro  urbano  di  Monreale  (indennita'  comprensiva sia dei due
 fabbricati stessi  che  del  suolo  su  cui  sorgevano  e  che  aveva
 indiscutibilmente  destinazione  edificatoria), la Corte d'appello di
 Palermo, con ordinanza del 4 dicembre 1992,  ha  sollevato  anch'essa
 questione  incidentale  di legittimita' costituzionale della medesima
 norma. In particolare le censure investono rispettivamente  il  primo
 comma  dell'art.  5-  bis  (in  riferimento sia all'art. 42, comma 3,
 Cost., sotto il profilo dell'inadeguatezza del  criterio  di  calcolo
 dell'indennizzo espropriativo, sia all'art. 3 Cost., sotto il profilo
 dell'irrazionale  disparita' di trattamento tra i proprietari di aree
 edificabili assoggettati ad espropriazione ed i proprietari  di  aree
 aventi  le  stesse caratteristiche e poste nella stessa zona, i quali
 ultimi, a differenza dei primi, possono ottenere il valore di mercato
 pieno); il secondo comma (in riferimento agli art. 24 Cost., sotto il
 profilo che l'abbattimento del 40% della semisomma del valore  venale
 e  del  reddito  domenicale) e' lesivo del diritto di difesa (art. 24
 Cost.) in quanto coarta il proprietario espropriato che  non  intenda
 accettare  la  indennita'  offertagli,  inducendolo, per evitare tale
 sanzione, a non esercitare il suo diritto di difesa e a non  proporre
 l'opposizione  alla  stima);  ed, infine, il sesto comma dell'art. 5-
 bis  (in  riferimento  all'art.  3  Cost.  sotto  il  profilo   dell'
 irragionevole disparita' di trattamento tra gli espropriati che hanno
 accettato l' indennita' provvisoria convenendo la cessione volontaria
 ovvero  quelli  la  cui indennita' sia divenuta non impugnabile o sia
 stata definita con sentenza passata in giudicato  prima  dell'entrata
 in  vigore  della  legge  di  conversione,  e  gli  altri proprietari
 assoggettati allo  stesso  procedimento  di  espropriazione,  la  cui
 opposizione  alla  stima  non  si  sia  ancora  conclusa con sentenza
 passata in giudicato e che quindi si vedranno applicare il nuovo meno
 favorevole  criterio  di  determinazione  dell'indennita';  ulteriore
 disparita' di trattamento vi sarebbe  poi  tra  espropriati  nei  cui
 confronti, al momento della sua entrata in vigore, e' stato emesso il
 decreto di espropriazione che ha comportato la perdita del diritto di
 proprieta'  del  bene  espropriato,  i  quali non possono quindi piu'
 convenire la  cessione  volontaria  senza  subire  la  riduzione  del
 quaranta  per  cento  dell'importo determinato mediando tra il valore
 venale e reddito dominicale rivalutato, e proprietari invece nei  cui
 confronti  nello  stesso  procedimento  non e' stato ancora emesso il
 decreto ablativo e  che  quindi  accettando  l'indennita'  offerta  e
 convenendo la cessione volontaria ben possono evitare la decurtazione
 del 40% dell'ammontare della indennita' di espropriazione).
    6.  -  Si  e'  costituito  Intravaia Giacomo deducendo in punto di
 fatto che con ordinanza n.  57  dell'8  giugno  1987  il  Sindaco  di
 Monreale  aveva  pronunciato  l'espropriazione  dell'immobile  di sua
 proprieta'. In  via  preliminare  eccepiva  poi  l'irrilevanza  della
 questione  di  costituzionalita'  atteso  che  la normativa censurata
 riguarda esclusivamente l'espropriazione delle  aree  fabbricabili  e
 non   anche   di  quelle  gia'  edificate  e  che  quindi  non  trova
 applicazione  nella   specie   trattandosi   di   espropriazione   di
 fabbricati.
    Nel  merito  sostiene  l'illegittimita' costituzionale della norma
 denunciata condividendo le argomentazioni dell'ordinanza del  giudice
 rimettente.
    7.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 sostenendo pregiudizialmente l'ammissibilita', e quindi la rilevanza,
 della  questione  di  costituzionalita' perche' la norma censurata fa
 corpo con l'art. 16  legge  n.  865/71,  il  cui  nono  comma  e'  da
 considerare  ancora  vigente;  sicche'  nell'espropriazione  di  aree
 edificate l'indennita' e' rappresentata dalla somma del valore  delle
 costruzioni e del valore dell'area. Per quest'ultimo pertanto si pone
 un problema di applicabilita' della disposizione censurata.
    Nel   merito   l'Avvocatura   ritiene  la  questione  infondata  o
 manifestamente infondata richiamando essenzialmente  la  sentenza  n.
 283 del 1993 di questa Corte.
                        Considerato in diritto
    1.   -   Preliminarmente   vanno  riuniti  i  giudizi  in  quanto,
 riguardando la medesima  disposizione  di  legge,  sono  strettamente
 connessi  ed  impongono  una  trattazione  unitaria  delle censure di
 incostituzionalita'.
    2.  -  Denunciata  e'  la  nuova  disciplina  dell'indennita'   di
 espropriazione,  introdotta  dall'art. 5-bis, d.-l. 11 luglio 1992 n.
 333, convertito nella legge 8 agosto 1992 n. 359 (Misure urgenti  per
 il  risanamento  della  finanza  pubblica);  segnatamente  le censure
 afferiscono ai commi 1, 2, 3, 6, e 7, in riferimento  agli  artt.  3,
 24,  42,  comma  3,  97  e  113 Cost. sotto plurimi profili che vanno
 esaminati distintamente.
    3. - Un primo gruppo di censure riguarda il primo comma  dell'art.
 5-  bis  che  ha  modificato  la  determinazione  dell'indennita'  di
 espropriazione per le aree  edificabili  adottando  il  criterio  del
 sessanta  per  cento  della semisomma del valore venale e del reddito
 domenicale.
    Lo  scrutinio  di tali censure, variamente articolate, come ora si
 dira', e' rilevante in entrambi i giudizi a quibus come e'  di  tutta
 evidenza in riferimento alla controversia pendente innanzi alla Corte
 d'appello  di  Roma  (che  ha  ad oggetto, appunto, la determinazione
 dell'indennizzo espropriativo); ma  come  deve  ritenersi  anche  con
 riferimento  alla  controversia pendente innanzi alla Corte d'appello
 di Palermo, non essendo fondata l'eccezione di  inammissibilita'  per
 inapplicabilita'   della   normativa   censurata   alla   fattispecie
 dell'espropriazione di aree gia' edificate, eccezione sollevata dalla
 difesa della parte costituita.  Ed  infatti  non  vi  e'  ragione  di
 discostarsi dalla premessa interpretativa del giudice rimettente, che
 ritiene  possibile  una  valutazione  separata  dell'area  di  sedime
 (assoggettata alla nuova disciplina dettata dalla norma censurata)  e
 dei fabbricati (per i quali vale il criterio del valore venale), come
 del  resto prevede l'art. 16, comma 9, legge n. 865 del 1971 (secondo
 cui, nel caso di espropriazione di aree gia' edificate,  l'indennita'
 e'  determinata  dal valore dell'area - all'epoca calcolato secondo i
 criteri  dettati  dalla  legge  stessa  -  sommato  a  quello   delle
 costruzioni).   La   compatibilita'   di  tale  disposizione  con  la
 sopravvenuta modifica del criterio di determinazione  dell'indennizzo
 espropriativo  rappresenta  questione interpretativa che, in mancanza
 di un diritto  vivente,  e'  rimessa  alla  valutazione  del  giudice
 rimettente,  non  implicando di per se' sola alcuna esigenza (neppure
 ipotizzata) di adeguamento a parametri costituzionali.
    3.1. - Passando alle singole  censure  che  afferiscono  al  primo
 comma   dell'art.   5-bis,  puo'  innanzi  tutto  esaminarsi  quella,
 sollevata da entrambe le  Corti  d'appello  rimettenti,  secondo  cui
 l'indennizzo   espropriativo,   proprio   perche'  determinato  nella
 semisomma  del  valore  venale  e  del  reddito  dominicale,  con  un
 ulteriore abbattimento del 40% (si' da essere pari a circa il 30% del
 valore   venale   del   bene   espropriato),   non  presenterebbe  le
 caratteristiche del "serio ristoro", che  invece  dovrebbe  avere  ex
 art.  42,  comma  3,  Cost  . La questione e' gia' stata ritenuta non
 fondata  da  questa  Corte  nella  sentenza  n.  283   del   1993   e
 manifestamente  infondata  con  ordinanza  n.  414/93,  sicche' - non
 essendo prospettati dai giudici a quibus profili nuovi o diversi - va
 dichiarata manifestamente infondata.
    3.2. - Altresi' manifestamente infondate - per analoga ragione (in
 quanto gia' ritenute non fondate dalla cit. sent. n. 283/93)  -  sono
 le  censure  di  incostituzionalita'  della medesima disposizione sia
 sotto il profilo  dell'assunta  disparita'  di  trattamento  (art.  3
 Cost.)   tra  proprietari  di  aree  edificabili  secondo  che  siano
 assoggettati, o meno, all'espropriazione; sia sotto  il  profilo  che
 l'espropriato,  proprio in ragione dell'inadeguatezza dell'indennizzo
 espropriativo, e' di fatto chiamato a concorrere alla spesa  pubblica
 in  misura  maggiore  degli  altri  senza che tale maggior sacrificio
 contributivo sia correlato alla sua capacita' contributiva  (art.  53
 Cost.).
    3.3.   -   Non   e'  poi  fondata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale (sempre del primo comma dell'art. 5-  bis),  sollevata
 dalla  sola Corte d'appello di Roma, sotto il profilo che la conferma
 del criterio del valore agricolo medio per le aree agricole  (con  il
 richiamo  del  titolo  II  della  legge 22 ottobre 1971 n. 865, quale
 operato dal quarto comma del  medesimo  art.  5-  bis)  comporta  una
 diversita'  tra  la  disciplina  espropriativa  dei  suoli agricoli e
 quella dei suoli edificatori, diversita' che ridonda in disparita' di
 trattamento ex art. 3 Cost. essendo, per  taluni  aspetti,  la  prima
 piu'  favorevole  della  seconda  (per la possibile maggiorazione del
 prezzo  della  cessione,  la  quale  peraltro  non  influisce   sulla
 determinazione  dell'indennita'  definitiva,  e  per la previsione ex
 art. 17 legge n. 865/71  cit.  di  un'indennita'  suppletiva  per  il
 proprietario o per il terzo che siano coltivatori diretti). Si tratta
 infatti    di    situazioni    non    comparabili    perche'   mentre
 nell'espropriazione  delle  aree  nude  edificabili  viene  in  gioco
 essenzialmente  il diritto di proprieta', nell'espropriazione di aree
 con destinazione agricola sono  coinvolti  anche  altri  interessi  e
 valori  afferenti  all'impresa  agricola e al lavoro agricolo, valori
 che il legislatore, nella sua  discrezionalita',  puo'  ritenere  che
 richiedano  una  disciplina  in  parte  piu'  favorevole. La garanzia
 costituzionale dell'"indennizzo" (art. 42, comma 3, Cost.) in caso di
 espropriazione per motivi di interesse generale non  implica  che  la
 disciplina  del  criterio  di  calcolo  dello  stesso  sia  unica  ed
 assolutamente uniforme in tutte  le  ipotesi  di  espropriazione  ben
 potendo  il  legislatore  modularla  in  relazione  alla  concorrente
 esigenza di tutela di altri valori costituzionalmente protetti, quali
 il diritto di iniziativa economica ed il diritto al lavoro (non senza
 considerare che in ipotesi di aree agricole non viene normalmente  in
 rilievo quel plusvalore, tipico delle aree edificabili, rappresentato
 dal  riflesso  del  contesto  urbanistico  in cui si colloca l'area);
 sicche'  per  le   aree   agricole   la   normativa   dell'indennizzo
 espropriativo  si  atteggia  a disciplina speciale (cfr. sent. n. 126
 del 1988), inidonea a valere come tertium comparationis.
    3.4. - Neppure e' fondata  la  censura,  mossa  dalla  sola  Corte
 d'appello  di Roma, al primo comma dell'art. 5- bis per disparita' di
 trattamento (art. 3 Cost.) tra la fattispecie dell'espropriazione  di
 aree  edificabili  e  quella dell'accessione invertita (o occupazione
 espropriativa) sotto il profilo che la prima assicura al proprietario
 espropriato solo una parte (circa un terzo) del valore venale del suo
 bene; l'altra, pur mancando un legittimo decreto  di  esproprio,  gli
 assicura  invece  il  risarcimento del danno in misura pari al valore
 venale  del  bene.  Le   fattispecie   a   confronto   sono   infatti
 assolutamente  divaricate  e  non  comparabili.  Nella  prima c'e' un
 procedimento espropriativo secundum legem  (ossia  nel  rispetto  dei
 presupposti  formali  e  sostanziali  che  rappresentano  altrettante
 garanzie per il proprietario espropriato) e quindi vengono in rilievo
 le opzioni (discrezionali) del legislatore in ordine al  criterio  di
 calcolo  dell'indennita'  di  espropriazione;  la  seconda ipotesi si
 colloca  fuori  dai  canoni  di  legalita'  (perche'  e'  la   stessa
 realizzazione   dell'opera   pubblica   sull'area  occupata,  ma  non
 espropriata, ad impedire di fatto la  retrocessione  e  a  comportare
 l'effetto  traslativo  della  proprieta'  del  suolo  per  accessione
 all'opera stessa) e quindi ben  puo'  operare  il  diverso  principio
 secondo  cui  chi  ha  subito  un  danno  per effetto di un'attivita'
 illecita  ha  diritto  ad  un  pieno  ristoro.  Per  altro  verso  e'
 giustificato  che l'ente espropriante, il quale non faccia ricorso ad
 un  legittimo  procedimento  espropriativo   per   acquisire   l'area
 edificabile,  subisca conseguenze piu' gravose di quelle previste ove
 invece  sia  rispettoso  dei  presupposti   formali   e   sostanziali
 prescritti  dalla  legge  perche' si determini l'effetto di ablazione
 dell'area.
    4.  -  Passando  agli  altri  commi  dell'art.  5-bis,  deve   ora
 esaminarsi  la  censura  se  il  secondo  comma  (letto  in combinato
 disposto con l'ultima parte del primo comma)  sia  costituzionalmente
 legittimo  -  in riferimento agli artt. 3, 24, e 113 Cost. - sotto il
 duplice profilo, da una parte, che il mancato  abbattimento  del  40%
 dell'indennizzo espropriativo in caso di cessione volontaria comporta
 disparita'   di   trattamento   tra   espropriati  che  accettano  la
 determinazione  dell'indennita'  effettuata  in  via  definitiva   ed
 espropriati  che non accettano siffatta liquidazione; dall'altra, che
 tale riduzione agisce come deterrente dell'esercizio  della  facolta'
 di  agire  in  giudizio  ed appare introdotta non tanto allo scopo di
 incentivare le cessioni volontarie, quanto proprio  con  il  fine  di
 scoraggiare  le  opposizioni  alla stima con conseguente vulnerazione
 del diritto di azione (artt. 24 e 113 Cost.).
    4.1. - Tale censura, sollevata dalla Corte d'appello di Palermo in
 un giudizio in cui (come dedotto dalla parte privata e non contestato
 da altri) e'  gia'  intervenuto  il  decreto  di  espropriazione,  e'
 manifestamente  inammissibile  perche' - come gia' ritenuto da questa
 Corte, che in analoga fattispecie ha dichiarato la medesima questione
 inammissibile   (con   sentenza   n.   283/93)   e,    manifestamente
 inammissibile  (con  ordinanza  n.  414/93)  -  la  disciplina  della
 cessione volontaria non puo' piu' trovare applicazione.
    4.2. - L'analoga censura sollevata dalla Corte d'appello  di  Roma
 e' invece infondata. Infatti e' in causa la posizione di soggetti che
 hanno  gia'  aderito  alla  cessione  volontaria  dell'immobile e nei
 confronti dei quali, quindi, non e' configurabile  alcuna  disparita'
 di  trattamento  rispetto  a  chi  puo'  addivenire alla cessione per
 evitare l'abbattimento del 40 % della semisomma del valore  venale  e
 del  reddito  domenicale.  Ne'  il  fatto  che  la cessione sia stata
 perfezionata nel regime  precedente  la  norma  impugnata  e  con  la
 clausola   "salvo   conguaglio"  esclude  il  cedente  dal  beneficio
 dell'esonero dell'abbattimento suddetto al fine della  determinazione
 del  conguaglio  stesso.  Cio'  perche', da una parte, la ratio della
 norma e' proprio quella di privilegiare il  (piu'  rapido)  strumento
 consensuale  (i.e. la cessione) per l'acquisizione dell'area rispetto
 al (piu' macchinoso)  strumento  autoritativo  (i.e.  il  decreto  di
 esproprio) e quindi di favorire il proprietario che opti per la prima
 alternativa  (finalita'  questa che non e' contraddetta dalla riserva
 del  conguaglio);   dall'altra,   perche'   il   generale   carattere
 retroattivo della nuova disciplina ( ex art. 5, commi 6 e 7) assicura
 che  anche  la  disposizione  censurata,  nella  parte in cui prevede
 l'esonero  dall'abbattimento  suddetto,  trovi   applicazione   anche
 rispetto   alle   cessioni   "salvo   conguaglio"   stipulate   prima
 dell'entrata in vigore della legge stessa,  applicazione  che  rileva
 limitatamente alla quantificazione del conguaglio stesso.
    5.  -  La  Corte  d'appello  di Roma ha poi sollevato questione di
 legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 42, comma  3,
 e  97  Cost.  -  del  terzo comma dell'art. 5- bis sul rilievo che la
 valutazione delle possibilita' legali  e  di  fatto  di  edificazione
 esistenti   al   momento  dell'apposizione  del  vincolo  preordinato
 all'esproprio, e non  gia'  al  momento  del  decreto  di  esproprio,
 comporterebbe che l'indennizzo puo' non essere adeguato ( ex art. 42,
 comma 3, Cost.) perche' e' possibile che nell'intervallo di tempo tra
 tali  due  momenti  un'area  a  destinazione  agricola acquisisca una
 destinazione   edificatoria   che   invece   non   viene   presa   in
 considerazione;  inoltre  sarebbe  di  fatto  premiata  la lentezza e
 l'inefficienza dell'amministrazione (art. 97 Cost.), la quale, in tal
 modo, avrebbe tutto da guadagnare nel divaricare al massimo nel tempo
 i due momenti dell'imposizione del vincolo e dell'espropriazione.
    Il giudice rimettente parte da  una  interpretazione  strettamente
 letterale del dato legislativo; interpretazione secondo la quale, pur
 dovendo  la  quantificazione  dell'indennizzo  farsi in base a valori
 attuali,  tuttavia  la  ricognizione  della  qualita'  dell'area  (se
 edificatoria   o   agricola)   andrebbe,  sempre  ed  in  ogni  caso,
 retrodatata  all'epoca  dell'apposizione  del   vincolo   preordinato
 all'esproprio,   senza   che   possa   mai   rilevare   un'attitudine
 edificatoria successivamente acquisita de facto (per  modifica  della
 situazione  dei luoghi) ovvero in ipotesi anche de jure (per modifica
 degli strumenti urbanistici).
    Indubbiamente, alla stregua di tale interpretazione si verrebbe ad
 introdurre, nella determinazione  dell'indennizzo,  un  inammissibile
 elemento  di  aleatorieta'.  Invero,  soprattutto in caso di un ampio
 intervallo di tempo tra l'apposizione del vincolo ed  il  decreto  di
 esproprio,  potrebbe  accadere  che  il proprietario di un'area ormai
 divenuta edificabile sia indennizzato con il criterio valevole per le
 aree  agricole,  pervenendosi  cosi'  ad  applicare  un  criterio  di
 quantificazione    dell'indennizzo    espropriativo    inficiato   da
 astrattezza in quanto afferente ad una tipologia di aree  diverse  da
 quella  espropriata.  Ed  e'  invece  costante affermazione di questa
 Corte che  la  discrezionalita'  del  legislatore  nel  fissare  tale
 criterio,  in  termini  piu' o meno restrittivi, deve essere comunque
 ancorata alle effettive  caratteristiche  del  bene  espropriato,  in
 quanto  un criterio astratto (e tale sarebbe quello che - senza alcun
 correttivo - tenesse conto  delle  pregresse,  e  non  piu'  attuali,
 caratteristiche dell'area) e' di per se' in contrasto con il precetto
 del   terzo   comma   dell'art.   43   Cost.,   il  quale  esige  che
 tendenzialmente l'indennizzo espropriativo sia  quantificato  tenendo
 conto  delle caratteristiche dell'area espropriata nel momento in cui
 il proprietario ne e' privato (salvo che - come  ritenuto  da  questa
 Corte  nella  sent. n. 160 del 1981 - ci sia un congegno correttivo -
 che nella specie comunque manca - della distorsione conseguente  alla
 scissione  temporale  fra  il  momento  dell'esproprio e quello della
 determinazione dell'indennita' espropriativa).
    Ma la lettura  offerta  dal  giudice  rimettente  non  e'  l'unica
 consentita   dal   testo   legislativo,   come  esattamente  sostiene
 l'Avvocatura dello Stato che interpreta diversamente la  disposizione
 impugnata.  E' possibile infatti intendere quest'ultima nel senso che
 il legislatore ha meramente voluto consacrare in norma il  principio,
 ormai  consolidatosi  da  tempo  nella  giurisprudenza  dopo iniziali
 incertezze, secondo cui nella stima dell'area espropriata non si deve
 tener conto del  vincolo  espropriativo,  cioe'  si  deve  totalmente
 prescindere  da  esso. E questa indifferenza del vincolo consente una
 ricognizione  della  qualita'  (edificatoria,   o   meno)   dell'area
 espropriata   pienamente   aderente   alle   possibilita'  "legali  e
 effettive" di edificazione sussistenti  al  momento  del  verificarsi
 della vicenda ablativa, con la conseguenza che, cosi' interpretata la
 norma,  risulta infondata la censura mossa dalla Corte rimettente con
 riferimento all'art. 42, comma 3, Cost. non sussistendo la  lamentata
 retrodatazione della qualificazione dell'area espropriata.
    Ne'  questa  interpretazione adeguatrice - che si rende necessaria
 in conformita' del principio secondo cui in presenza di piu'  letture
 possibili  della  norma  censurata  e'  da privilegiare quella che le
 attribuisce un significato non in contrasto  con  la  Costituzione  -
 trova  ostacoli  nel  disposto  degli artt. 42 e 43 legge n. 2359 del
 1865, secondo  cui  sono  esclusi  dal  computo  dell'indennizzo  gli
 incrementi   di  valore  derivanti  alla  dichiarazione  di  pubblica
 utilita' nonche'  le  costruzioni,  le  piantagioni  e  le  migliorie
 eseguite  allo scopo di conseguire un'indennita' maggiore. Tali norme
 non implicano - come sembra invece ritenere la difesa  del  Comune  -
 che la valutazione dell'edificabilita', o meno, dell'area espropriata
 debba  farsi  al  momento dell'apposizione del vincolo; ma consentono
 (semmai)   di   escludere   unicamente   gli   incrementi    connessi
 all'esecuzione  dell'opera  di  pubblica  utilita'  o derivanti dalla
 previsione dell'esecuzione stessa.
    La correzione del presupposto interpretativo dal  quale  muove  la
 Corte  rimettente  rende  conseguentemente  non  fondata  la medesima
 questione anche in riferimento all'art. 97 Cost.
    6. - Le ultime due questioni di  costituzionalita'  riguardano  il
 sesto  ed  il  settimo  comma  e sono state sollevate rispettivamente
 dalla Corte d'appello di Palermo e dalla Corte d'appello di Roma.
    La prima Corte rimettente censura  -  in  riferimento  all'art.  3
 Cost.  -  l'art.  5-bis,  comma  6,  per  violazione del principio di
 eguaglianza sotto il duplice profilo indicato in narrativa.
    Il  primo  profilo  di  censura  (disparita'  di  trattamento  tra
 espropriati  secondo che l'indennita' di espropriazione sia divenuta,
 o meno, incontestabile alla data di entrata  in  vigore  della  norma
 censurata)   e'   manifestamente  infondato  avendolo  gia'  ritenuto
 infondato questa Corte con la sentenza  n.  283/93  e  manifestamente
 infondato  con  ordinanza  n.  414/93; ne' la Corte remittente allega
 argomentazioni nuove e diverse da  quelle  gia'  valutate  da  questa
 Corte.
    Anche   il   secondo   profilo   (disparita'  di  trattamento  tra
 espropriati secondo che  sia  intervenuto,  o  meno,  il  decreto  di
 esproprio  alla  data  di entrata in vigore della norma censurata) e'
 manifestamente infondato perche'  la  Corte  con  pronuncia  additiva
 (sent.  n.  283/93)  ha gia' introdotto (ancorche' nel secondo comma,
 piuttosto che nel sesto, della disposizione oggetto  di  censura)  la
 norma di cui il giudice a quo lamenta la mancanza. Infatti il secondo
 comma   dell'art.  5-  bis  e'  stato  dichiarato  costituzionalmente
 illegittimo nella parte in cui non prevede  in  favore  dei  soggetti
 gia' espropriati al momento dell'entrata in vigore della legge n. 359
 del  1992,  e nei confronti dei quali la indennita' di espropriazione
 non sia ancora  divenuta  incontestabile,  il  diritto  di  accettare
 l'indennita' di cui al primo comma con esclusione della riduzione del
 40%.
    7.  - La Corte d'appello di Roma ha poi censurato il settimo comma
 dell'art. 5-  bis  -  in  riferimento  all'art.  3  Cost.  -  perche'
 irragionevolmente  la  nuova disciplina dell'indennizzo espropriativo
 si applica (con efficacia retroattiva) anche ai procedimenti  (ed  ai
 relativi giudizi) in corso.
    Va  preliminarmente  ribadito - con cio' disattendendo l'eccezione
 di  inammissibilita'  della   questione   sollevata   dall'Avvocatura
 sull'(implicito)   presupposto  che  la  disposizione  censurata  non
 troverebbe applicazione per essere il procedimento espropriativo gia'
 concluso - che l'art. 5- bis (cosi' come  ritiene  la  giurisprudenza
 della  Corte  di  cassazione)  si applica (retroattivamente) anche ai
 procedimenti giudiziari di  opposizione  alla  stima  dell'indennizzo
 espropriativo,   ancorche'   sia   gia'  intervenuto  il  decreto  di
 esproprio.
    Nel merito la questione e' manifestamente infondata avendola  gia'
 ritenuta  infondata questa Corte con la piu' volte citata sentenza n.
 283/93 e manifestamente infondata con ordinanza  n.  414/93;  ne'  la
 Corte remittente allega argomentazioni nuove e diverse da quelle gia'
 valutate da questa Corte.
    8.  - Mette conto infine rilevare che non sussistono i presupposti
 per  sollevare  d'ufficio  la  (ulteriore  e  diversa)  questione  di
 legittimita'  costituzionale  indicata  dalla  parte privata sotto il
 profilo che, avendo la nuova disciplina dell'indennizzo espropriativo
 carattere transitorio, vi sarebbe disparita' di  trattamento  tra  il
 proprietario  dell'area  che  subisce  l'espropriazione nella vigenza
 della norma censurata e quello che subira' l'espropriazione dopo  che
 sara'   stata  emanata  l'annunciata  disciplina  organica;  trattasi
 infatti di questione che (oltre ad essere  ipotetica)  e'  priva  del
 necessario carattere di pregiudizialita' rispetto al thema decidendum
 devoluto dalle ordinanze di rimessione.