ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.   18   del
 regolamento  della Camera dei deputati, promosso con ordinanza emessa
 il 18 maggio 1993 dal  Tribunale  di  Roma  nel  procedimento  civile
 vertente  tra Borrelli Francesco Saverio ed altro e Fumagalli Carulli
 Ombretta ed altri, iscritta al n. 454 del registro ordinanze  1993  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 36, prima
 serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti l'atto di costituzione di Fumagalli Carulli Ombretta nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza  pubblica  del  30  novembre  1993  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Uditi  l'avv.  Marcello  Mole'  per  Fumagalli  Carulli Ombretta e
 l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio
 dei ministri;
    Ritenuto che, nel corso di un giudizio civile promosso -  anche  -
 nei  confronti di un deputato per il risarcimento dei danni derivanti
 da dichiarazioni da questi espresse in un'intervista rilasciata ad un
 periodico, ritenute dagli  attori  di  contenuto  lesivo  della  loro
 reputazione,   il   Tribunale  di  Roma  ha  sollevato  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 18 del regolamento della Camera
 dei deputati, in riferimento all'art. 24 della Costituzione;
     che il giudice a quo, avendo il deputato  convenuto  in  giudizio
 invocato  la  prerogativa  dell'insindacabilita'  di cui all'art. 68,
 primo  comma,  della  Costituzione,  ed  avendo  dunque  il  medesimo
 eccepito   l'improponibilita'   della  domanda  giudiziale  nei  suoi
 confronti, muove dalle statuizioni contenute nella sentenza  n.  1150
 del  1988  di  questa Corte, che "ha affermato inequivocabilmente che
 spetta alla Camera di appartenenza il potere di valutare la  condotta
 addebitata  ad  un  proprio  membro"  ai fini dell'applicazione della
 prerogativa;
      che, non essendovi stata nel caso concreto alcuna  deliberazione
 della  Camera  dei  deputati  in  ordine  alla  qualificazione  delle
 opinioni espresse dal deputato come rientranti, o  meno,  nell'ambito
 della  funzione  parlamentare,  il  Tribunale  di Roma, reputando che
 detta valutazione non possa essere effettuata dal giudice  ordinario,
 lamenta  la  mancanza  di  una  disciplina  idonea a "sollecitare" il
 Parlamento, affinche' si pronunci in merito all'insindacabilita';
      che dalla riferita lacuna  deriva,  secondo  il  Tribunale,  una
 illegittima  compressione  del  diritto  di difesa del cittadino, cui
 verrebbe ad essere preclusa la possibilita' di adire in  giudizio  un
 parlamentare,  anche  nelle  ipotesi di opinioni espresse al di fuori
 dell'esercizio delle funzioni,  con  violazione  dell'art.  24  della
 Costituzione;
      che, in questa prospettiva, la norma denunciata deve essere, per
 il  rimettente,  sottoposta  a  scrutinio  di costituzionalita' nella
 parte in cui, limitandosi a regolare la competenza della  giunta  ivi
 contemplata con riguardo alle richieste di autorizzazione a procedere
 in  materia  penale,  non  attribuisce  altresi'  alla  citata giunta
 analoga competenza in ordine alle richieste  del  giudice  civile  di
 qualificare  ex  art. 68, primo comma, della Costituzione le opinioni
 espresse dai membri della Camera dei deputati;
      che e' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, concludendo  per  l'inammissibilita'  o  l'infondatezza  della
 questione;
      che  si  e'  costituito  nel  giudizio dinanzi a questa Corte il
 deputato  convenuto  nel  giudizio  civile,  il  cui  patrocinio   ha
 formulato  deduzioni  a  sostegno  della prospettazione del Tribunale
 rimettente, concludendo per  una  statuizione  idonea  a  colmare  la
 ritenuta lacuna dell'ordinamento giuridico;
    Considerato  che  e'  sottoposta  al  giudizio di questa Corte una
 norma del regolamento della Camera dei deputati;
      che, come gia' affermato da questa Corte nella sentenza  n.  154
 del   1985,   il   problema   dell'ammissibilita'  del  sindacato  di
 costituzionalita'  sui  regolamenti  parlamentari  va  risolto,  alla
 stregua dell'art. 134 della Costituzione, in senso negativo, giacche'
 nella  competenza  del  giudice  delle  leggi,  quale  stabilita  dal
 richiamato  articolo,  non   possono   comprendersi   i   regolamenti
 parlamentari, ne' espressamente ne' in via di interpretazione;
      che,  in  assenza di diverse e nuove prospettazioni sul punto da
 parte   del   giudice   rimettente,   si   deve   pertanto   ribadire
 l'insindacabilita'  dei  regolamenti  parlamentari,  con  conseguente
 preliminare  dichiarazione  di   manifesta   inammissibilita'   della
 questione proposta;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale;