Ricorso  per  conflitto di attribuzioni della regione Lombardia, in
 persona del presidente della giunta regionale  Fiorinda  Ghilardotti,
 autorizzata  con deliberazione della giunta regionale n. 44096 del 30
 novembre 1993, rappresentata e  difesa  dagli  avv.ti  prof.  Valerio
 Onida   e   Gualtiero  Rueca,  ed  elettivamente  domiciliata  presso
 quest'ultimo in Roma, largo della Gancia n.  1,  come  da  delega  in
 calce  al  presente  atto,  contro  il  Presidente  del Consiglio dei
 Ministri in relazione alla direttiva del Presidente del Consiglio dei
 Ministri 11 ottobre 1993, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.  241
 del  13 ottobre 1993, recante "Direttiva ai commissari di Governo, ai
 sensi dell'art. 13, primo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400.
    L'art.  13,  primo  comma,  della  legge   n.   400/1988   prevede
 l'emanazione  di  direttive  del  Presidente  del Consiglio, adottate
 sulla base degli indirizzi del Consiglio dei Ministri, relative  alle
 funzioni  e  attivita'  dei  commissari  del  Governo  nelle  regioni
 indicate nelle lettere da a) ad f) dello stesso art. 13.
    Di tali funzioni e attivita', alcune attengono esclusivamente alle
 competenze statali e  ai  rapporti  nell'ambito  dell'amministrazione
 statale,   e   non  sono  pertanto  suscettibili  di  incidere  sulle
 competenze e sulle attivita' delle regioni.
    Altre invece toccano direttamente i problemi del  coordinamento  e
 della   collaborazione   fra   organi  e  amministrazioni  statali  e
 amministrazioni regionali.
    La  direttiva  in  oggetto  riguarda  entrambi  tali   ambiti   di
 attivita',  e  anzi  prevalentemente  proprio  i rapporti fra Stato e
 regioni.
    Solo il  punto  2  della  direttiva  attiene  esclusivamente  alla
 "funzione  di  sovraintendenza  sulle  attivita' degli uffici statali
 decentrati e relative modalita' di espletamento".
    A tale proposito la regione ricorrente rileva solo che,  al  punto
 2.4,  si  prevede  la  convocazione,  da  parte  del  commissario del
 Governo, di conferenze da lui presiedute "tra i rappresentanti  degli
 uffici  decentrati  dello  Stato  a  livello  regionale  e  di  altre
 pubbliche amministrazioni", conferenze cui  si  prevede  possano  far
 seguito   vere   e   proprie   intese  "tra  i  rappresentanti  delle
 amministrazioni  intervenute".  Il  generico  riferimento  ad  "altre
 pubbliche    amministrazioni"    potrebbe   astrattamente   ritenersi
 estensibile anche alle amministrazioni della regione e degli enti  da
 essa dipendenti; e se cosi' fosse, sarebbe palese il contrasto fra le
 previsioni  della  direttiva  e lo stesso art. 13, primo comma, lett.
 b), della legge n. 400/1988, secondo cui le riunioni di coordinamento
 che coinvolgono le regioni devono  essere  convocate  dal  Presidente
 delle regioni e da quest'ultimo presiedute, e non possono sfociare in
 vere e proprie intese vincolanti.
    E'  ragionevole  peraltro ritenere, anche sulla base del confronto
 fra il paragrafo 2 e  il  paragrafo  3  della  direttiva,  che  dette
 previsioni  non  siano  riferibili alle amministrazioni regionali, ma
 solo a quelle statali o di altri enti dipendenti dallo Stato. In  tal
 caso  nulla vi sarebbe da eccepire da parte della regione: ma anche a
 questo proposito appare utile un chiarimento da parte della Corte.
    Il paragrafo 1 della direttiva si intitola "Rapporti tra  Stato  e
 regioni - Cooperazione tra gli organi".
    Si  dispone  anzitutto  che  "per  assicurare  a livello regionale
 l'unita' di indirizzo  e  l'adeguatezza  dell'azione  amministrativa,
 nonche'   il   buon   andamento   della  pubblica  amministrazione  e
 l'attuazione  coordinata  dei  programmi  statali  e  regionali,   il
 commissario del Governo promuove la cooperazione tra gli uffici dello
 Stato  e  quelli  della  regione  nell'esercizio  delle  funzioni  di
 rispettiva competenza".
    Ora - a parte la non corrispondenza tra  il  titolo,  che  accenna
 alla  cooperazione "tra gli organi", e il contenuto, che si riferisce
 alla cooperazione "tra gli uffici" statali e regionali  -  e'  facile
 osservare   che   la   direttiva,   nell'individuare   le   finalita'
 dell'attivita' disciplinata, mescola palesemente fini  che  la  legge
 indica  come  propri  dell'attivita'  commissariale di sovrintendenza
 alle funzioni esercitate dagli organi amministrativi decentrati dello
 Stato (art. 13, primo comma, lett. a), legge n. 400/1988: "assicurare
 a livello regionale l'unita' di indirizzo e l'adeguatezza dell'azione
 amministrativa"), e fini che  la  legge  indica  invece  come  propri
 dell'attivita' di coordinamento delle funzioni amministrative statali
 con  quelle esercitate dalla regione (art. 13, primo comma, lett. b):
 "ai fini del buon andamento  della  pubblica  amministrazione  e  del
 conseguimento degli obiettivi della programmazione".
    In  particolare, e' evidente come il coordinamento tra le funzioni
 amministrative  statali  e  quelle   regionali   non   possa   essere
 finalizzato ad assicurare "l'unita' di indirizzo".
    Tale   unita'   e'   caratteristica  infatti  solo  dell'attivita'
 amministrativa degli apparati dello Stato, al  cui  conseguimento  e'
 finalizzata  l'attivita'  di  direzione  del Presidente del Consiglio
 (art. 95, primo comma, della Costituzione);  mentre  la  regione,  in
 quanto  ente  dotato  di  autonomia  "politica",  ha e persegue anche
 nell'attivita' amministrativa propri indirizzi, definiti o  vincolati
 dalle  leggi  e  dai  programmi  regionali,  e non soggetti ad essere
 uniformati a quelli statali, bensi'  solo  suscettibili,  semmai,  di
 coordinarsi  per  iniziativa  spontanea  dei due enti nell'ambito del
 principio di leale cooperazione.
    Parlare dunque indiscriminatamente di  "unita'  di  indirizzo"  da
 assicurare  a livello regionale fra attivita' dello Stato e attivita'
 della regione, ad opera del commissario  del  Governo,  invocando  il
 criterio  che  esplicitamente la legge limita invece al coordinamento
 delle funzioni  amministrative  esercitate  dagli  uffici  decentrati
 dello  Stato,  significa  presupporre  una forzata riconduzione delle
 attivita' regionali a indirizzi statali, e negare  in  definitiva  la
 caratteristica peculiare dell'autonomia regionale.
    Paramenti,  parlare  di "adeguatezza" dell'azione amministrativa -
 altro criterio che la legge riferisce  solo  al  coordinamento  degli
 uffici   periferici   dello   Stato,   mentre  per  il  coordinamento
 Stato-regioni si riferisce solo al principio costituzionale di  "buon
 andamento"   dell'amministrazione   -   significa  ancora  una  volta
 presupporre una possibilita' di verifica da  parte  dello  Stato,  in
 ordine  all'attivita' amministrativa regionale, in base a valutazioni
 discrezionali  non  limitate  al  canone  costituzionale   del   buon
 andamento, e percio' potenzialmente invasive della sfera di autonomia
 di indirizzo politico e amministrativo della regione.
    Ne'  si  potrebbe  dire  che  si tratta di espressioni generiche e
 polisense; poiche' non a caso la legge utilizza  termini  e  concetti
 precisi  e diversi a proposito del coordinamento degli uffici statali
 e di quello fra amministrazioni statali e regionali,  e  non  a  caso
 invece la direttiva riprende promiscuamente, a proposito dei rapporti
 Stato-regioni,  le  due  serie  di termini e di concetti che la legge
 tiene separati.
    Ancora, nell'indicare  il  fine  dell'"attuazione  coordinata  dei
 programmi  statali  e  regionali",  la  direttiva  compie  un'analoga
 trasposizione.
    Infatti la legge parla dell'"attuazione coordinata  dei  programmi
 statali  e regionali" solo a proposito delle relazioni periodiche del
 commissario  del  Governo  al  Presidente  del  Consiglio,  anche  in
 funzione   delle  verifiche  periodiche  da  compiere  in  seno  alla
 conferenza Stato-regioni (art. 13, primo comma, lett.  f),  legge  n.
 400/1988),  e  dunque  solo  in vista di funzioni di coordinamento da
 esercitarsi ove necessario a livello del Governo nazionale.
   Come  obiettivo  del  coordinamento  fra  Stato   e   regione,   da
 promuoversi  d'intesa  fra il commissario del Governo e il Presidente
 della regione, la legge indica solo il "conseguimento degli obiettivi
 della programmazione" (art. 13, primo comma, lett. b).
    Viceversa  la  direttiva  in   oggetto   indica   nell'"attuazione
 coordinata"   dei   programmi   uno   dei   fini   dell'attivita'  di
 coordinamento del commissario: con cio' configurando una interferenza
 del commissario stesso, ben al di la' delle funzioni di  raccordo  ad
 esso  demandate  dalla  Costituzione  e  dalla  legge, nell'attivita'
 amministrativa regionale attuativa dei programmi.
    Del tutto singolare, poi, e' la previsione  del  punto  1.2  della
 direttiva,  secondo  cui  non solo il commissario del Governo "segue"
 l'attivita' degli organi  regionali,  ma  ad  esso  "sono  inviati  i
 progetti  di provvedimenti legislativi e gli altri atti deliberativi"
 della regione.
    Si  configura  cosi'  una  sorta  di  controllo  preventivo  sulle
 deliberazioni  del  consiglio  e della giunta regionale, del tutto in
 contrasto con la disciplina costituzionale dei controlli sulle  leggi
 (art.  127  della Costituzione) e sugli atti amministrativi (art. 125
 della Costituzione) della regione.
    Se per quanto riguarda i progetti di legge si travalica nettamente
 l'ambito dei compiti demandati al commissario (che non comprendono in
 alcun modo una interferenza "preventiva"  sull'attivita'  legislativa
 regionale,  limitandosi  il  suo intervento al successivo visto sulle
 leggi, previo esame di esse da parte del Governo centrale), l'obbligo
 di invio al commissario degli "altri atti deliberativi" degli  organi
 regionali, oltre a tradursi in un adempimento estremamente gravoso (e
 assurdo)  sul  piano  pratico,  comporterebbe  una sorta di improprio
 generalizzato controllo statale sugli atti amministrativi  regionali,
 assolutamente incompatibile con le regole costituzionali.
    Il  punto  1.3  della direttiva stabilisce che "il commissario del
 Governo cura l'esecuzione delle deliberazioni prese dal Consiglio dei
 Ministri e degli atti emanati  da  un  Ministro  in  sostituzione  di
 organi della regione rimasti inattivi".
    Tale  generica previsione, se dovesse intendersi come suscettibile
 di fondare un'attivita' di sostituzione di organi regionali anche  in
 casi  nei quali tale sostituzione non sia prevista dalla legge, e con
 modalita' non stabilite dalla legge, sarebbe da ritenersi a sua volta
 illegittima per violazione dei principi  costituzionali  in  tema  di
 poteri  sostitutivi nei confronti delle regioni, e in particolare del
 principio  di  legalita'  sostanziale   nonche'   delle   regole   di
 competenza,  procedurali  e  sostanziali,  che  la  giurisprudenza di
 questa Corte ha affermato ai fini del legittimo  esercizio  di  detti
 poteri sostitutivi.
    Il  paragrafo  3  della  direttiva  in  oggetto stabilisce che "il
 commissario del Governo,  sentito  previamente  il  presidente  della
 giunta  regionale,  puo'  convocare, con cadenza di norma semestrale,
 riunioni  di  coordinamento  tra  i  rappresentanti  regionali  e   i
 funzionari  responsabili  di  uffici decentrati dello Stato a livello
 regionale".
    Tale previsione contrasta doppiamente con l'art. 13, primo  comma,
 lett.  b),  della  legge n. 400/1988, cui pure si riferisce quanto ai
 fini dell'attivita'.  Da  un  lato  in  quanto  prevede  che  sia  il
 commissario  a  convocare  le riunioni, laddove secondo la legge egli
 puo' solo "promuoverle", cioe' richiederne la convocazione, spettando
 poi al presidente della regione presiederle, (come dispongono  l'art.
 13,  primo  comma, lett. b), legge n. 400/1988 e lo stesso punto 3.3.
 della direttiva in oggetto), e dunque anche  convocarle  formalmente.
 E' evidente infatti che sia colui cui spetta presiedere la riunione a
 convocarla, fissandone il tempo e compilando l'ordine del giorno.
    Dall'altro  lato,  mentre  la  legge stabilisce che il commissario
 provveda al coordinamento in questione "d'intesa  con  il  presidente
 della  regione",  la  direttiva  prevede  che  la  convocazione delle
 riunioni di coordinamento (che sono in concreto lo strumento previsto
 di coordinamento) avvenga non  solo  ad  opera  del  commissario  del
 Governo,  ma  addirittura senza previa intesa con il presidente della
 regione, che verrebbe solamente "sentito"³ (Si osservi, per  misurare
 la  consapevole  "degradazione" operata nei confronti della posizione
 degli organi  regionali,  che  la  stessa  direttiva  prevede  previe
 "intese"   con   i   prefetti  al  fine  di  invitare  alle  riunioni
 rappresentanti degli enti locali: punto 3.2).
    Ancora,  il  punto  3.2.  della  direttiva  prevede  che   possano
 partecipare  alle  riunioni  di  coordinamento  anche  i  prefetti  e
 rappresentanti degli enti locali, all'uopo invitati. Ora, poiche'  e'
 chi  convoca  le  riunioni  che in concreto, normalmente, individua i
 partecipanti alle stesse, ne discende che sarebbe il commissario  del
 Governo,  chiamato  dal  punto  3.1  a convocare le riunioni, a poter
 anche invitare tali ulteriori soggetti, e cio'  -  si  badi  -  senza
 nessuna  intesa  preventiva col presidente della regione, che al piu'
 (e non  e'  nemmeno  detto)  verrebbe  "sentito"  sul  punto,  mentre
 apposite  "intese"  dovrebbero  intervenire  con i prefetti quanto ai
 rappresentanti degli enti locali da invitare.
    Il  punto  3.4 della direttiva prevede a sua volta che "qualora, a
 conclusione delle  riunioni  di  coordinamento,  si  pervenga  ad  un
 accordo   sulle  questioni  esaminate,  il  presidente  della  giunta
 regionale e il commissario del Governo verificano, per  la  parte  di
 competenza,   la   puntuale   attuazione   dell'accordo   da   parte,
 rispettivamente, degli organi e uffici regionali  e  degli  organi  e
 uffici statali interessati".
    In  tal  modo  le riunioni di coordinamento vengono trasformate in
 qualcosa di assai simile alle "conferenze di servizi"; ma, questo  e'
 il punto, senza che nessuna disposizione legislativa preveda siffatti
 accordi.
    E'   dunque  palese  la  violazione  del  principio  di  legalita'
 sostanziale, dal momento che si prevedono  ipotesi  di  coordinamento
 mediante  accordi,  realizzati  in  forme  procedimentali  diverse da
 quelle eventualmente previste da singole norme,  e  generalizzati:  e
 cio', si ripete, senza alcuna base legislativa.
    Che  d'altra  parte  non ci si riferisca qui a semplici agreements
 privi di efficacia giuridicamente  vincolante,  risulta  proprio  dal
 fatto   che  si  prevede  una  verifica  della  "puntuale  attuazione
 dell'accordo" da parte degli organi  e  uffici  regionali  e  statali
 interessati.
    Dunque  non  solo  gli  uffici,  ma  addirittura  anche gli organi
 regionali (consiglio e giunta) risulterebbero vincolati  da  siffatti
 "accordi"   raggiunti,   fuori   di   ogni   previsione  legislativa,
 nell'ambito delle riunioni di coordinamento convocate dal commissario
 del Governo.
    In  tal  modo  si  e'  piegato  l'istituto   delle   riunioni   di
 coordinamento,  previsto  dall'art.  13, primo comma, lett. h), della
 legge n. 400/1988, ad un utilizzo e  ad  uno  sviluppo  assolutamente
 estranei  alla  previsione  legislativa e in contrasto con essa oltre
 che con la Costituzione.
    La direttiva ha ancora una volta, su questo  punto,  indebitamente
 esteso  al  coordinamento  Stato-regione  uno  strumento  -  l'intesa
 raggiunta in riunioni  di  coordinamento,  di  verificare  nella  sua
 "puntuale   attuazione"   -  che  la  stessa  direttiva  ha  previsto
 legittimamente  per  cio'  che   attiene   al   coordinamento   delle
 amministrazioni  statali  periferiche  (cfr.  il  paragrafo  2,  e in
 particolare il punto 2.5).
    Il punto 3.5 della direttiva prevede infine, in  caso  di  mancato
 accordo  l'informazione  del  Presidente del Consiglio, e l'eventuale
 proposta ad esso da parte del commissario (questa volta d'intesa  col
 presidente  della  regione)  della  convocazione di apposita sessione
 della conferenza Stato-regioni.
    In  proposito  si  deve  pero'  osservare  che  i   problemi   del
 coordinamento fra amministrazioni statali e amministrazione regionale
 nel territorio di una singola regione, coinvolgendo l'autonomia della
 singola   medesima   regione,   non   possono   essere   risolti  con
 deliberazioni nell'ambito della conferenza nazionale, che  puo'  solo
 intervenire  su  profili  e questioni riguardanti di massima l'intero
 territorio nazionale e tutte le regioni.
    Nel punto 5.1 della direttiva si stabilisce  che  "il  commissario
 del  Governo  cura  l'adeguatezza,  con  riguardo  alle  esigenze del
 Governo, dei flussi di informazioni provenienti da organi  e  aziende
 regionali,  nonche'  dagli  uffici  decentrati  dello Stato a livello
 regionale ..".
    L'accenno  alle  "aziende  regionali"  sembra far intendere che il
 commissario possa acquisire direttamente flussi informativi, relativi
 all'attivita' di  organismi  strumentali  della  regione,  da  questi
 ultimi anziche' dagli organi responsabili della regione.
    Ma   anche   il   coordinamento  informativo  deve  rispettare  la
 distinzione fra la sfera statale e quella regionale, e l'autonomia di
 quest'ultima, onde i flussi informativi relativi alle amministrazioni
 dipendenti  dalla  regione  devono  essere  acquisiti  esclusivamente
 attraverso il tramite istituzionale del presidente della regione.