IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letta l'istanza avanzata dall'avv. Domenico Di Terlizzi nell'interesse di Di Bari Riccardo nato ad Andria il 1 gennaio 1950, intesa alla revoca del sequestro preventivo disposto sui beni del Di Bari con ordinanza di questo giudice in data 18 gennaio 1993; Letto il parere negativo espresso dal p.m. in sede che ha fatto proprie le motivazioni contenute nell'ordinanza 19 ottobre 1992 dal tribunale della liberta' di Bari; Letta la memoria integrativa a firma dello stesso difensore, depositata in cancelleria il 6 aprile 1993 nella quale si sollevano questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, modificato dall'art. 5 del 20 novembre 1992, n. 450, reiterato con d.l. 21 febbraio 1993, n. 14; RITENUTO IN FATTO Allo stato delle indagini, che in data 10 dicembre 1992 i carabinieri di Andria sorprendevano Di Bari Riccardo alla guida dell'autovettura Fiat Ritmo targata BA A 60232 risultata compendio di furto commesso in Margherita di Savoia l'8 giugno 1992 in danno di Mastrodonato Raffaele: che i carabinieri di Andria traevano in arresto il prevenuto al quale il procuratore della Repubblica presso l a pretura circondariale di Trani contestava i delitti di cui agli artt. 648 del c.p. e 12-quinquies della legge n. 356/1982, avendo gli stessi carabinieri accertato l'esistenza di libretti al portatore e titoli di stato per un ammontare di oltre 200.000.000 di lire intestati al Di Bari nonche' la proprieta' di un appartamento sito in Andria alla via Terenzio, 12, e di un'autovettura Volkwagen Golf targata BA 938707; che, interrogato nel corso dell'udienza di convalida dal g.i.p. presso la pretura circondariale, il Di Bari ammetteva di essere responsabile del delitto di ricettazione; che, dichiaratosi incompetente per materia il g.i.p. presso la pretura circondariale in ordine al delitto di cui all'art. 12-quinquies della legge n. 356/1992, gli atti venivano trasmessi al p.m. in sede il quale richiedeva al giudice per le indagini preliminari il sequestro preventivo dell'appartamento e dell'autovettura di proprieta' del Di Bari; sequestro che veniva disposto da questo giudice con ordinanza del 18 gennaio 1993 per il titolo del reato - art. 12-quinquies della legge citata - che prevede la confisca dei beni di provenienza ingiustificata ricorrendo anche l'ulteriore presupposto del delitto rappresentato dall'essere il Di Bari persona sottoposta alle indagini per il reato di ricettazione. Tanto premesso, in punto di fatto, ritiene il decidente non manifestamente infondate le questioni legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies, ipotesi di cui al cpv., legge n. 356/1992 come novellato, con riferimento ai principi espressi negli artt. 24, 25, secondo comma, e 27, primo e secondo comma, della Costituzione. Osserva il giudice che l'art. 12-quinquies della legge n. 356/1992, punisce con la reclusione da due a cinque anni e con la confisca dei beni e del denaro chiunque, sottoposto ad indagini in relazione ai reati di cui agli artt. 648, 648- bis, 648- ter, 416- bis, 629, 630, 644 e 644- bis del c.p., di delitti in materia di contrabbando, ovvero avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416- bis del c.p. ed infine dei delitti di cui agli artt. 73 e 64 del d.P.R. n. 309/1990, figuri proprietario o venga trovato nella disponibilita' - ingiustificata quanto alla provenienza - di beni, di denaro o di "altre utilita'". Il legislatore ha ritenuto la norma di commento "una fattispecie circostanziata di possesso ingiustificato di valori, che - rispetto all'art. 708 del c.p. - prescinde dalla sussistenza di pregiudizi penali in capo ai titolari dei beni di cui non e' provata la legittima provenienza, ma che precisa nel contempo il presupposto di fatto del reato, consistente nella evidente sproporzione fra capacita' economica del soggetto e titolarita' o possesso di beni e valori". Si rileva, di contro, che tale volonta' del legislatore si e' tradotta in una scrittura della norma che oltre a non essere piana e non chiara, appare insuscettibile di un confronto in termini di applicazione di principi costituzionali, con le norme incriminatrici di cui agli artt. 707 e 708 del c.p. Se per un verso, infatti, la Corte costituzionale ha affermato la legittimita' costituzionale dell'art. 708 del c.p. anche per la finalizzazione della norma intesa ad evitare che nel mercato si introducano beni o denaro provenienti da attivita' illecite (Corte costituzionale sentenza n. 464/1992; ordinanza nn. 105/1989 e 675/1988), per altro verso, la stessa Corte ha conclamato la compatibilita' con il sistema costituzionale della norma solo dopo suoi interventi ablatori in quelle parti nelle quali il presupposto soggettivo di "condannato per mendicita', di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta" (sentenza n. 110/1968) rendevano assolutamente sconnessa e sradicata da ogni valutazione giurisdizionale la condizione soggettiva dell'agente. In realta', entrambe le "norme di sospetto" in commento si muovono da un dato soggettivo certo rappresentato dall'essere stato l'agente "condannato" - con sentenza passata in giudicato - "per delitti determinati per motivi di lucro o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio", mentre il "sospetto" relativo alla titolarita' o al possesso di denaro, beni o valori, nel disposto dell'art. 12-quinquies della legge n. 356/1992, si fonda su un omologo "sospetto" rappresentato dall'essere l'agente persona sottoposta alle indagini: indizio che potrebbe essere supportato da una mera denuncia o da un'iniziativa autonoma del pubblico ministero che imporrebbero comunque, nell'attuale sistema processuale, l'iscrizione della notizia di reato sul registro previsto dall'art. 356 del c.p.p. Tali rilievi consentono di sospettare di iraggionevolezza le scelte legislative, non potendosi distinguere la situazione dell'incensurato da quella della persona sottoposta alle indagini che non solo deve presumersi "non colpevole" (art. 27 della Costituzione), ma, senza un controllo giurisdizionale da parte del giudice, non puo' essere chiamato a giustificare le sue capacita' patrimoniali e reddituali (art. 3 della Costituzione). Quand'anche infatti si ritenesse il reato in discorso reato "di pericolo", razionalmente il pericolo dovrebbe fondarsi su dati certi e concreti e non sul mero sospetto che invece caratterizza entrambi i presupposti - oggettivi e soggettivi - della disposizione. Come pure incerte e non concrete sono le locuzioni che concorrono a costituire la fattispecie astratta quali: "avere la disponibilita'" scollata da qualsiasi riferimento giuridico di natura civilistica (detenzione, possesso); "di valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato .." laddove il termine "sproporzionato", senza punta aggettivazione, appare assolutamente indeterminato, aperto ad ogni interpretazione, non quantificabile neppure in linea logica ove pure si rifletta che la colposa omissione della presentazione della dichiarazione dei redditi o la falsa dichiarazione - reati non ricompresi fra quelli in relazione ai quali il soggetto e' sottoposto alle indagini - non consentirebbe nessun valido ed efficace esercizio del diritto di difesa (art. 24, primo comma, della Costituzione) soprattutto con riferimento al denaro, ai beni mobili ovvero a quelle "altre utilita'" che rappresentano l'ennesima locuzione generico e indeterminata suscettibile di interpretazioni meramente soggettive che pure concorse alla formazione del precetto della norma. Peraltro non conforme ai principi costituzionali dettati dagli artt. 3 e 25 cpv., della Costituzione e' la presunzione di non legittima provenienza dei beni e del denaro eziologicamente collegata alla qualita' di persona sottoposta alle indagini ad un determinato titolo di reato per vincere la quale l'agente potrebbe essere costretto ad autodenunciarsi per altro o diverso titolo di reato. La richiesta di un canone superiore a quello consentito dalla legge n. 392/1978 profittando di uno stato di bisogno del conduttore, fatto che realizza il delitto di estorsione (Cass. sezione seconda, 24 aprile 1980, Paci) indurrebbe il locatore a giustificare la "legittima provenienza" del suo patrimonio e se questo e' stato realizzato nel tempo, anche attraverso evasioni fiscali, ad accusarsi di reati di cui alla legge n. 516/1982 che non hanno alcuna attinenza con i fini che il legislatore, introducendo nel sistema la norma incriminatrice in commento, pare essersi proposto. Non solo, ma come e' stato osservato dal difensore, il contrasto con l'art. 25 cpv., della Costituzione sotto il profilo della violazione del principio nella irretroattivita' della legge penale, appare stridente ove si consideri che, per i fatti anteriori all'entrata in vigore della legge n. 356/1992, la persona sottoposta alle indagini non aveva una legge scritta di riferimento e, quindi, aveva la facolta' di non precostituirsi la prova che giustificasse la titolarita' o la mera "disponibilita'" dei beni o del denaro, bene di per se' fungibile.