LA CORTE DI APPELLO Letti gli atti e sentite le parti; Ritenuto che con dispositivo letto all'udienza del 18 maggio 1992, il tribunale di Reggio Calabria dichiarava non doversi procedere a carico di Cudia Mariano in ordine ai reati a costui ascritti, per essere gli stessi estinti per intervenuta amnistia; La sentenza veniva depositata il successivo 11 giugno 1992 senza che in seguito ne venisse notificato avviso all'imputato ed ai suoi difensori; che in data 16 ottobre 1992 uno dei difensori del Cudia proponeva appello avverso la sentenza sopra citata, reclamando, ai sensi dell'art. 129, secondo comma, del c.p.p., il proscioglimento nel merito del proprio assistito; che all'udienza dibattimentale odierna il p.g. ed i difensori delle parti civili hanno eccepito l'inammissibilita' dell'appello dell'imputato sotto il profilo della sua tardivita', e cio' alla stregua dell'art. 585, secondo comma, lett. c), del vigente Codice di procedura penale - applicabile nella fattispecie - secondo cui il termine per proporre appello decorre "dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza, ovvero, nel caso previsto dall'art. 548, secondo comma, dal giorno in cui e' stata eseguita la notificazione e la comunicazione dell'avviso di deposito"; Considerato che e' pacifico che con le locuzioni "termine stabilito dalla legge" e "determinato dal giudice per il deposito della sentenza", il legislatore faccia riferimento, rispettivamente, ai termini di cui al secondo e terzo comma dell'art. 544 del c.p.p., l'originario termine di trenta giorni, previsto per il deposito della sentenza, ove la stesura della motivazione non fosse stata coeva alla lettera del dispositivo, e' stato successivamente ridotto, in virtu' della legge n. 133/1991, a giorni quindici; Non e' stato pero' a tale modifica adeguato il secondo comma dell'art. 548 del c.p.p.; che, per l'ipotesi in cui non fosse stato rispettato - per quel che qui interessa - il termine ordinario di deposito della sentenza, prevedeva, tra l'altro, la notificazione di un avviso di deposito alle parti private aventi diritto di impugnazione ed al difensore dell'imputato; come detto, tale evenienza e' espressamente presa in considerazione del secondo comma, lett. c), dell'art. 585 del c.p.p., secondo cui, allorquando essa abbia a verificarsi, il termine di impugnazione inizia a decorrere proprio dalla predetta notificazione. Orbene, per effetto della mancata modifica dell'art. 548, secondo comma, del c.p.p., attualmente il termine per impugnare la sentenza depositata dopo il quindicesimo giorno dalla lettura del dispositivo in udienza, ma entro il trentesimo giorno, decorre pur sempre dalla scadenza del "termine stabilito dalla legge", cosi' come previsto per il caso in cui la sentenza sia stata depositata entro il quindicesimo giorno. Una tale regolamentazione, ad avviso della Corte, non solo disciplina allo stesso modo, e senza alcun plausibile motivo, situazioni tra loro differenti, ma comprime, per di piu', lo stesso diritto di difesa - assegnando, nell'ipotesi considerata, un termine minore di quello ritenuto congruo dallo stesso legislatore per l'utile e compiuto esercizio di tale diritto nella fase dell'impugnazione - e si pone pertanto in contrasto coni precetti contenuti negli artt. 3 e 24 della Costituzione. La Corte ritiene conseguentemente, in considerazione della rilevanza della questione ai fini della decisione da adottare, di dover sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 585, secondo comma, lett. c), del c.p.p.