ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 38, secondo
 comma, del d.P.R. 29  settembre  1973,  n.  602  (Disposizioni  sulla
 riscossione  delle imposte sul reddito) promosso con ordinanza emessa
 il 14 gennaio 1993 dalla Commissione
 tributaria di secondo  grado  di  Venezia  sul  ricorso  proposto  da
 Mazzarolo Augusto contro l'Intendenza di Finanza di Venezia, iscritta
 al  n.  654  del  registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 44,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 26  gennaio  1994  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
    Ritenuto  che - nel corso del giudizio d'appello avente ad oggetto
 la pretesa di Mazzarolo Augusto al  rimborso  dell'imposta  pagata  a
 titolo   di   IRPEF   sull'indennita'  di  fine  rapporto  erogatagli
 dall'INADEL il 5 febbraio 1982, pretesa  contrastata  dall'Intendenza
 di  finanza  che  deduceva,  tra  l'altro, la decadenza del diritto a
 rimborso ( ex art. 38, comma 2,  d.P.R.  n.  602/73)  per  tardivita'
 della  relativa  domanda - la Commissione tributaria di secondo grado
 di Venezia ha sollevato (con ordinanza del 14 gennaio 1993) questione
 incidentale di legittimita' costituzionale, con riferimento  all'art.
 3  Cost.,  dell'art. 38, comma 2, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 per
 violazione del principio di eguaglianza  (art.  3  Cost.)  in  quanto
 riserva  ai  dipendenti non solo di imprese private, ma anche di enti
 pubblici  diversi  dalle  Amministrazioni  statali,  un   trattamento
 irragionevolmente  diverso  da  quello  dei dipendenti statali atteso
 che, mentre questi ultimi hanno dieci anni di tempo per  chiedere  il
 rimborso delle imposte ritenute sui loro emolumenti e indennita' ( ex
 art.  37 d.P.R. n. 602/73), i primi hanno soltanto diciotto mesi ( ex
 art. 38 d.P.R. n. 602/73);
      che  -  rileva  ancora  la  Commissione  tributaria rimettente -
 ancorche' la legge 26  settembre  1985  n.  482,  nel  modificare  il
 trattamento   fiscale   delle  indennita'  di  fine  rapporto,  abbia
 stabilito, fra l'altro, l'applicabilita' delle nuove disposizioni nei
 giudizi "ritualmente promossi e pendenti" alla data della sua entrata
 in vigore, in realta' occorre (perche'  ci  sia  la  pendenza  di  un
 giudizio "ritualmente" promosso) che la pretesa di rimborso sia stata
 tempestivamente fatta valere, sicche' la sua tempestivita' condiziona
 l'applicabilita'  della  nuova  (piu'  favorevole)  normativa; che e'
 intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
 questione sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata;
    Considerato  che  secondo  la  giurisprudenza  di  legittimita'  e
 tributaria la nuova normativa  della  tassazione  dell'indennita'  di
 fine  rapporto si applica a tutti i giudizi pendenti senza che sia di
 ostacolo  l'eventuale  decadenza  per  inosservanza  del  termine  di
 diciotto  mesi  di  cui all'art. 38 d.p.r. n. 602/73 ove si tratti di
 indennita' percepite a partire dal 1 gennaio 1980, le quali "in  ogni
 caso"  -  come  prescrive  l'art.  5  legge  n.  482/85  cit.,  cosi'
 introducendo una disposizione che  e'  speciale  e,  in  particolare,
 derogatoria  anche  dell'art.  38 cit. (cosi' come gia' questa stessa
 Corte ha  rilevato:  v.  ord.  n.  145  del  1990)  -  devono  essere
 riliquidate   secondo   i  nuovi  criteri  (piu'  favorevoli  per  il
 contribuente) di calcolo dell'imposta;
      che  nella  specie  l'oggetto  della   controversia   tributaria
 riguarda proprio la riliquidazione di un'indennita' percepita dopo la
 data suddetta;
      che  pertanto,  non  trovando applicazione la norma censurata in
 ragione  del   diritto   vivente   come   risultante   dalla   citata
 giurisprudenza,   la   questione   di   costituzionalita'   e'  priva
 dell'indefettibile   requisito   della   rilevanza   e   quindi    e'
 manifestamente inammissibile;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87
 e  29,  secondo  comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.