Ricorso per conflitto di attribuzioni della regione siciliana, in persona del presidente della giunta regionale Francesco Martino, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 88 del 16 marzo 1994, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Valerio Onida di Milano e Francesco Castaldi, ed elettivamente domiciliato presso l'avv. Gualtiero Rueca in Roma, largo della Gancia 1, coma da delega a margine del presente atto contro il presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore in relazione alla nota della Banca d'Italia in data 10 febbraio 1994, n. 00036497, pervenuta alla regione ricorrente il 15 febbraio 1994, e avente ad oggetto "regione siciliana. Competenze in materia di sportelli". La regione siciliana ha competenza legislativa ripartita, e competenza amministrativa propria, in materia di "disciplina del credito, delle assicurazioni e del risparmio" (art. 17, lett. e, e art. 20 dello statuto speciale). Le norme di attuazione dello Statuto in materia di credito e risparmio sono state dettate con d.P.R. 27 giugno 1952, n. 1133. Esse stabilirono fra l'altro che gli organi regionali esercitano le attribuzioni in materia di "autorizzazione all'apertura, al trasferimento, alla sostituzione ed alla chiusura nel territorio regionale". degli istituti ed aziende di credito operanti esclusivamente nel territorio regionale (art. 2, lett. c, in relazione alla lett. a), nonche' di autorizzazione all'apertura, al trasferimento, alla sostituzione ed alla chiusura nel territorio regionale di sportelli di istituti ed aziende di credito aventi la sede centrale in Sicilia, ma operanti anche fuori del territorio regionale" (art. 2 lett. d); e che "la richiesta di autorizzazione all'apertura, al trasferimento o alla sostituzione, nel territorio della regione, di sportelli bancari di istituti di credito di diritto pubblico, banche di interesse nazionale e aziende di credito aventi la sede centrale fuori della regione siciliana deve essere presentata all'Assessorato delle finanze della regione, il quale ove non ritenga respingerla, la inoltra alla Banca d'Italia per i provvedimenti di sua competenza, ai sensi del regio decreto legge 12 marzo 1936, n. 375, e successive modificazioni" (la legge bancaria, ora in larga parte abrogata e sostituita dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia approvato con d.lgs 1 settembre 1993, n. 385). L'esercizio delle competenze della regione in materia di apertura degli sportelli bancari nel territorio regionale e' continuato pacificamente anche dopo che, in ottemperanza ai nuovi indirizzi comunitari e nazionali di liberalizzazione del mercato creditizio, la Banca d'Italia detto' nuove disposizioni in base alle quali l'apertura di nuovi sportelli non veniva piu' subordinata al preventivo rilascio di un'autorizzazione, ma era consentita a meno che la Banca d'Italia stessa non intervenisse con un provvedimento sospensivo (c.d. silenzio-assenso). In piena conformita' con tali disposizioni della Banca d'Italia, anche la regione ricorrente emano' analoghe disposizioni (circolare dell'Assessore per il Bilancio e le finanze in data 16 novembre 1990, n. 303811) le quali disciplinavano la competenza della regione sia a sospendere l'esecuzione delle iniziative per l'apertura di nuovi sportelli assunte dalle banche operanti esclusivamente nel territorio regionale o aventi sede centrale in Sicilia (ai sensi dell'art. 2, lett. c e lett. d del d.P.R. n. 1133 del 1952: cfr. punti 2 e 3 della citata circolare 16 novembre 1990), sia a sospendere l'esecuzione delle iniziative per l'apertura di nuovi sportelli delle banche aventi sede centrale fuori della regione, in via concorrente con l'analogo potere di sospensione spettante in questi casi alla Banca d'Italia (ai sensi dell'art. 6 del d.P.R. n. 1133 del 1952: cfr. il punto 4 della citata circolare del 16 novembre 1990). Il sistema delle competenze non e' mutato nemmeno dopo che il d.lgs 14 dicembre 1992, n. 481, sulla base della delega in cui agli artt. 1 e 25, primo comma, della legge 19 febbraio 1992, n. 142, ebbe dettato una nuova disciplina della materia, in base alla quale, portandosi a compimento il processo di liberalizzazione dell'attivita' bancaria, lo stabilimento di succursali di enti creditizi nazionali e' generalmente consentito ma la Banca d'Italia puo' vietare tale stabilimento "per motivi attinenti all'adeguatezza delle strutture organizzative o della situazione finanziaria, economica e patrimoniale degli enti", con obbligo degli enti creditizi di attenersi alle procedure indicate nelle istruzioni della Banca d'Italia (art. 13, primo comma 1, d.lgs n. 481/1992). Anche per tutto l'anno 1993 (il d.lgs n. 481 del 1992 e' entrato in vigore il 1 gennaio 1993, ai sensi dell'art. 50 del medesimo) l'apertura di nuovi sportelli delle banche aventi sede in Sicilia ha continuato ad essere attuata nell'osservanza delle disposizioni regionali, e le relative procedure hanno continuato pacificamente a far capo all'amministrazione regionale, cui la Banca d'Italia trasmetteva il proprio parere: come risulta dai documenti che, a titolo esemplificativo, si producono in questa sede. A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs 1 settembre 1993, n. 385, contenente il nuovo testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, emanato sulla basa della delega di cui all'art. 25 secondo comma, della legge n. 142/1992 - entrata in vigore avvenuta il 1 gennaio 1994, ai sensi dell'art. 162 dello stesso decreto legislativo - la Banca d'Italia ha ora inviato alla regione ricorrente la nota 10 febbraio 1994, qui impugnata, nella quale si ricorda che l'art. 13 del d.lgs n. 481/1992 ha "ridisciplinato la materia dell'apertura di succursali in armonia con il principio di liberta' di stabilimento" e che "le relative disposizioni hanno poi trovato definitiva sistemazione nell'art. 15 del testo unico"; si sostiene che "nel nuovo contesto normativo non e' previsto il rilascio di provvedimenti autorizzativi", ma "alla Banca d'Italia e' peraltro attribuito il potere di vietare lo stabilimento di nuove succursali solo per motivi di vigilanza, cioe' attinenti all'adeguatezza delle strutture organizzative o della situazione finanziaria, economica e patrimoniale delle banche interessate"; si rileva che l'art. 159 del testo unico "ribadisce il principio che nell'ambito dell'intero territorio nazionale le valutazioni di vigilanza sono riservate alla Banca d'Italia e precisa, tra l'altro, che la disposizioni dell'art. 15 in materia di sportelli bancari e' inderogabile e prevale sulle disposizioni contrarie gia' emanate"; in relazione e tutto cio', prosegue la nota, "si ritiene, doverosamente, che siano da considerare superate le attribuzioni finora spettanti alla regione a statuto speciale in materia di sportelli"; e che "di conseguenza, anche le banche operanti in tali regioni dovrebbero d'ora innanzi avere la possibilita' di procedere liberamente all'apertura di nuove dipendenze, salvo che sussistono controindicazioni di vigilanza". Conclusivamente si fa presente "che la Banca d'Italia non potra' piu', per il futuro, provvedere a fornire il consueto parere tecnico a codesta regione, ma intratterra' direttamente le banche interessate all'apertura di nuovi sportelli ove ritenga di esercitare il potere di veto attribuitole dalla legge". La riportata nota, ad avviso della regione ricorrente, da' pero' un'interpretazione errata del sistema costituzionale e legislativo, e risulta pertanto illegittima e lesiva delle attribuzioni spettanti alla regione ai sensi dello statuto e delle norme di attuazione, per i seguenti motivi di D I R I T T O Violazione dell'art. 17, lett. e), dello statuto speciale e degli artt. 2, lett. c) e d), e 6, delle norme di attuazione di cui al d.P.R. 27 giugno 1952, n. 1133, in relazione agli artt. 15 e 159 del d.lgs 1 settembre 1993, n. 385. Come si e' ricordato, la Banca d'Italia, nella nota impugnata, muove dalla premessa che le competenze regionali in materia di sportelli bancari siano "superate" a seguito dell'entrata in vigore del nuovo testo unico approvato con il d.lgs n. 385/1993, onde "d'ora innanzi" in questa materia dovrebbe esercitarsi esclusivamente il diritto di veto della Banca d'Italia medesima, la quale "non potra' piu', per il futuro" fornire invece pareri alla regione. Ma l'art. 15, primo comma, del testo unico, secondo cui le banche italiane possono stabilire succursali nel territorio della Repubblica, ma "la Banca d'Italia puo' vietare lo stabilimento di una nuova succursale per motivi attinenti all'adeguatezza delle strutture organizzative o della situazione finanziaria, economica e patrimoniale della banca", non costituisce, su questo punto, che la letterale riproduzione di quanto gia' disponeva l'art. 13 primo comma, del d.lgs n. 481/1992. Se fosse dunque vero che tale disposizione abbia la portata di far venir meno le competenze regionali in materia di sportelli, non si comprenderebbe perche' fino ad oggi, e pur nel vigore di detto art. 13 del d.lgs n. 481/1992, tali competenze invece non siano state affatto ritenute "superate", e anzi abbiano continuato ad essere esercitate pacificamente. In realta' l'art. 15 del testo unico (come gia' il corrispondente art. 13 del d.lgs n. 481/1992) non consente per nulla siffatta interpretazione. Esso si limita a trasformare il vecchio potere di "autorizzazione" all'apertura di sportelli - gia' esercitato, da ultimo, sulla base delle disposizioni regionali, nella forma del silenzio-assenso, dunque in regime di sostanziale liberalizzazione - in un potere di vietare lo stabilimento delle nuove succursali, per gli stessi motivi - o quanto meno per alcuni dei motivi - per i quali in precedenza poteva essere negata l'autorizzazione o essere disposta la "sospensiva" che impediva la formazione del silenzio assenso. Cio' che e' cambiato, con l'attuazione delle norme comunitarie, non e' tanto ne' principalmente la procedura da seguire per l'apertura di nuovi sportelli, che vede pur sempre l'intervento necessario dell'autorita' pubblica in funzione di controllo, autorita' alla quale le iniziative di apertura debbono essere comunicate, e che ha il potere di vietarle. Cio' che e' cambiato e' il contenuto e l'ambito del potere esercitato dall'autorita' pubblica, che, in coerenza con il nuovo regime dell'attivita' bancaria, vede espressamente limitate le ragioni che possono giustificare il provvedimento negativo, e non puo' piu' essere esercitato come potere largamente discrezionale in nome di interessi pubblici indifferenziati o genericamente individuati. Ma la sostanza e la portata del potere non cambiano. Si tratta pur sempre di un potere attribuito all'autorita' pubblica per controllare l'insediamento delle imprese bancarie onde verificare che esso non si svolga in contrasto con gli interessi pubblici che nella materia debbono essere salvaguardati, e attinenti all'affidamento della clientela, alla solidita', al buon ordine e alla "buona salute" del sistema delle imprese creditizie operanti sul mercato. Tra il vecchio potere autorizzativo e il nuovo potere di divieto non esiste dunque una radicale differenza di natura, tale da far ritenere che al secondo non possa applicarsi il sistema di riparto di competenze che caratterizzava il primo; sussiste solo una differenza, per cosi' dire, quantitativa, nel senso della minore intensita' del potere di divieto rispetto a quello di autorizzazione preventivamente. Del resto anche il potere di autorizzazione, quando si esplica nei confronti di attivita' dei privati oggetto della garanzia costituzionale e comunitaria di liberta' di impresa, non e' e non puo' essere potere latamente discrezionale di consentire o di non consentire, per qualunque motivo di pubblico interesse, lo svolgimento di dette attivita'. Esso puo' esercitarsi in senso negativo, cioe' attraverso un diniego di autorizzazione, solo a seguito di una motivata determinazione dell'autorita', la quale riscontri in concreto una ragione di impedimento riconducibile agli interessi pubblici tipizzati dalle norme che disciplinano il settore. Lo stesso accade, in forma diversa, quando l'autorita' non sia piu' chiamata a rilasciare una preventiva autorizzazione, ma abbia un potere di vietare l'attivita'. Cio' vale a dimostrare la perfetta omogeneita' che sussiste fra siffatti poteri di autorizzazione e di divieto: questo secondo costituisce solo una forma diversa attraverso la quale possono essere fatti valere i medesimi interessi pubblici. Anche sul piano degli effetti giuridici, fra diniego di autorizzazione e provvedimento di divieto non sussiste una radicale differenza. In entrambi i casi sussiste una preesistente situazione di diritto del privato, che pero' nel primo caso non puo' esercitarsi fino a che non intervenga l'autorizzazione, nel secondo caso non puo' esercitarsi quando intervenga il divieto. Questa sostanziale omogeneita' delle situazione, sotto il profilo della configurazione sostanziale dei poteri autoritativi, emerge in ancora piu' chiara luce se si considera' l'ipotesi in cui il potere autorizzatorio - come e' avvenuto anche nella materia in esame - si esercita nella forma del c.d. silenzio-assenso. In questo caso, sostanzialmente, il privato che chiede l'autorizzazione si trova nella stessa situazione di chi sia soggetto a un potere di divieto: sa che entro un determinato lasso di tempo prestabilito potra' essere emesso un provvedimento interdittivo dell'autorita'. La omogeneita' sostanziale, e la relativa intercambialita', del regime autorizzatorio, di quello del "silenzio-assenso" e di quello del possibile divieto, risultano nel modo piu' esplicito, ad esempio, nella disciplina dettata dagli artt. 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, in tema di semplificazione dell'azione amministrativa. L'art. 19 prevede che i regolamenti determinino "i casi in cui l'esercizio di un'attivita' privata, subordinata ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, puo' essere intrapreso su denunzia di inizio dell'attivita' stessa da parte dell'interessato all'amministrazione competente", spettando a quest'ultima "verificare d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e disporre, se del caso, con provvedimento motivato, il divieto di prosecuzione dell'attivita' e la rimozione dei suoi effetti"; l'art. 20 a sua volta prevede che i regolamenti determinino "i casi in cui la domanda di rilascio di una autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, cui sia subordinato lo svolgimento di un'attivita' privata, si considera accolta qualora non venga comunicato all'interessato il provvedimento di diniego entro il termine fissato". Come si vede, lo stesso interesse pubblico, nell'ambito del medesimo procedimento, puo' essere curato vuoi attraverso l'istituto dell'autorizzazione, vuoi attraverso quello dell'autorizzazione tacita per silenzio-assenso, vuoi attraverso l'istituto dell'obbligo di comunicazione e dell'eventuale divieto. Orbene, cio' che e' accaduto nel caso dell'arpertura di sportelli bancari e' precisamente il passaggio da un regime di autorizzazione espressa ad uno di autorizzazione tacita per silenzio-assenso, ed ora ad un regime di potesta' di divieto per ragioni determinate: ma si tratta sempre di poteri autoritativi conferiti per la cura degli interessi pubblici ritenuti prevalenti nel settore. Dunque, se le norme statutarie e di attuazione conferiscono, in determinate ipotesi, alla regione il potere di autorizzare, dal momento in cui tale potere si e' trasformato in potere di vietare, questo non puo' che spettare alla stessa regione. Se la regione, in altri termini, era competente a esercitare il potere "maggiore" di autorizzare, non puo' essere competente anche ad esercitare il potere "minore" - in esso logicamente compreso - di vietare l'attivita'. L'interpretazione affermata dalla Banca d'Italia comporterebbe d'altronde il completo venir meno di una competenza regionale espressamente contemplata dallo statuto e dalle norme di attuazione. Ora, prima di attribuire alla legge statale una siffatta portata, un corretto criterio interpretativo, ispirato al principio della conservazione dei valori giuridici magis ut valeat, e all'esigenza di dare alle leggi un significato conforme alla Costituzione, impone di domandarsi se non sia un'altra l'interpretazione esatta, quella che consente di rispettare l'ordine delle competenze costituzionalmente stabilito. Tale e' l'interpretazione - l'unica corretta, ad avviso dell'esponente - che comporta l'esercizio da parte della Regione del potere di divieto in questione, nei casi, e con le modalita' e i raccordi, previsti dalle norme di attuazione dello Statuto che si riferiscono alla autorizzazione all'apertura degli sportelli. Del resto, sul piano letterale, non si puo' non rilevare che le competenze attribuite alla Regione concernono non solo l'autorizzazione all'apertura, ma anche la "chiusura" di sportelli bancari (art. 2, lett. c e d, d.P.R. n. 1133/1952). Ora, il potere di "vietare lo stabilimento di una nuova succursale", previsto dall'art. 15 del testo unico, se per un verso e' del tutto assimilabile e compreso in quello di autorizzare l'apertura, per altro verso, ove si esercitasse dopo l'avvenuta apertura, si configurerebbe propriamente come provvedimento di chiusura dello sportello. In altri termini le norme di attuazione chiaramente attribuiscono alla regione la competenza per qualsiasi provvedimento idoneo ad incidere sulla possibilita' per la banca di esercitare una succursale. Sotto ogni profilo, dunque, il potere in questione deve riconoscersi di competenza della regione. Sostiene la Banca d'Italia che il potere di vietare lo stabilimento di nuove succursali puo' essere esercitato "solo per motivi di vigilanza", e che le valutazioni di vigilanza, ai sensi dell'art. 159, primo comma, del testo unico, sono riservate alla Banca d'Italia. Nell'intendimento della Banca d'Italia, evidentemente, i motivi per i quali puo' essere esercitato il potere di divieto coinciderebbero senza residui con le valutazioni di vigilanza strettamente riservate alla Banca d'Italia stessa. Ma non e' cosi'. L'interesse pubblico a garantire la "sana e prudente gestione" delle banche non si esaurisce negli interessi per i quali alla Banca d'Italia e' affidata la specifica vigilanza sull'attivita' di raccolta del risparmio e di esercizio del credito. Tanto e' vero che lo stesso testo unico, il quale configura una serie di poteri pubblicistici esercitati sulle banche e diretti ad assicurare appunto la "sana e prudente gestione" del sistema bancario, per vari di questi poteri prevede espressamente un loro esercizio da parte delle regioni aventi attribuzioni statutarie in materia, sia pure previo parere della Banca d'Italia espresso "a fini di vigilanza" (art. 159, secondo comma): e' il caso del provvedimento di autorizzazione all'attivita' bancaria (art. 14, comma 2), dell'accertamento di compatibilita' delle modificazioni statutarie (art. 56, primo comma), dell'autorizzazione alle funzioni e alle scissioni alle quali prendono parte banche (art. 57, primo comma). Si tratta infatti di provvedimenti che attengono non solo all'attivita' bancaria, anche se hanno riflessi su di essa, ma, ancora prima, all'ordinamento del credito e cioe' ai soggetti e alla loro organizzazione. E, come e' noto, proprio all'ordinamento del credito si riferiscono per lo piu' le competenze attribuite in questa materia alle Regioni a statuto speciale (la regione siciliana ha, piu' ampiamente, competenza in materia di "disciplina del credito e .. del risparmio": art. 17, lett. e dello statuto). Orbene, anche il potere di vietare l'apertura di succursali si esercita non solo e non tanto in funzione di vigilanza sull'attivita' bancaria, quanto soprattutto in funzione di controllo sull'adeguatezza dei soggetti e della loro organizzazione. Cio' e' testualmente confermato dall'art. 15, primo comma, del testo unico il quale prevede che il divieto possa essere pronunciato "per motivi attinenti all'adeguatezza delle strutture organizzative o della situazione finanziaria, economica e patrimoniale della banca. E' dunque palese che non solo motivi attinenti alla vigilanza sull'attivita' bancaria, di competenza della Banca d'Italia, ma anche altri motivi, attinenti agli interessi cui e' finalizzato il controllo pubblicistico del sistema del credito e dei soggetti in esso operanti, pur dopo il processo di liberalizzazione innescato dalle norme comunitarie. Che poi l'art. 159 del testo unico dichiari inderogabile, e prevalente sulle disposizioni contrarie gia' emanate, la disposizione dell'art. 15 (come gia', del resto, l'art. 46, terzo comma, del decreto legislativo n. 481 del 1992 dichiarava inderogabile e prevalente sulle contrarie disposizioni gia' emanate quella, fra l'altro, dell'art. 13 dello stesso decreto, corrispondente all'art. 15 del testo unico), non puo' avere alcun rilievo ai fini del problema qui discusso. Il problema non e' infatti quello dell'applicabilita' o meno della disciplina di cui all'art. 15, cui il legislatore regionale - che sta per dare attuazione per l'ambito della propria competenza alla direttiva CEE n. 98/646, ai sensi dell'art. 46, primo comma, del decreto legislativo n. 481 del 1992 e dell'art. 159, quarto comma, del testo unico - dovra' conformarsi; ma e' solo quello della competenza a esercitare i poteri amministrativi nelle materie e sugli oggetti che le norme statutarie e di attuazione attribuiscono alla regione. Fra questi poteri non puo' ritenersi incluso anche quello di vietare lo stabilimento di nuove succursali secondo la previsione di cui all'art. 15 del testo unico. Il potere di divieto per le ragioni di cui a detto art. 15 dovra' dunque essere esercitato, per le banche aventi sede in Sicilia, dalla regione, ai sensi dell'art. 2, lettere c) e d), del d.P.R. n. 1133/1952, col parere tecnico che nell'ambito e per i fini della propria attivita' di vigilanza sull'attivita' bancaria la Banca d'Italia continuera' ad esprimere, anche ai sensi dell'art. 3 dello stesso d.P.R. n. 1133/1952. Per quanto poi riguarda le altre banche, in ordine allo stabilimento di succursali nel territorio della regione siciliana dovra' continuare a trovare applicazione - mutatis mutandis - l'art. 6 delle norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 1133/1952; onde le comunicazioni delle banche dovranno pervenire anche alla regione, la quale potra' esercitare il medesimo potere di divieto, che potra' essere altresi' esercitato, in via concorrente, da parte della Banca d'Italia, anche nei casi in cui la regione non abbia ritenuto di esercitarlo. Infatti il citato art. 6 prevede che sia la regione che la Banca d'Italia abbiano poteri impeditivi in ordine all'apertura di nuovi sportelli di tali banche. Si tratta, in definitiva, di una materia nella quale le norme di attuazione gia' apprestano gli strumenti di una efficace collaborazione fra Regione e organi centrali, in ispecie la Banca d'Italia, e in cui quindi non puo' verificarsi nemmeno di fatto alcun rischio di scoordinamento ne' di conflitto. Non vi e' ragione alcuna, dunque, che possa giustificare una indebita sottrazione alla regione di attribuzioni ad essa costituzionalmentespettanti.