IL PRETORE A scioglimento della riserva di cui all'udienza 4 maggio 1994, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa n. 1388/1993 F.N.L.E. C.G.I.L. vs. Azienda municipalizzata del gas di Pistoia. 1. - L'organizzazione sindacale ricorrente ha opposto il decreto 10 giugno 1993 del pretore di Pistoia che ha respinto - carente l'intento antisindacale da parte della datrice di lavoro - il ricorso ex art. 28 dello statuto dei lavoratori mirante alla declaratoria come antisindacale del comportamento tenuto dall'Azienda municipalizzata del gas di Pistoia dell'aver trattenuto, versandoli all'I.N.P.S. i contributi sindacali dei lavoratori iscritti per il mese di dicembre 1992, quale sanzione per la proclamazione dello sciopero del 22 settembre 1992 senza il rispetto del preavviso di 10 giorni. Nel citato decreto il pretore ha riconosciuto che anche nell'ipotesi di sciopero politico (quale quello proclamato dalle confederazioni nazionali il 22 settembre 1992 per protesta contro il c.d. decreto Amato) va osservato il termine di preavviso di 10 giorni, rilevando, peraltro, sulla base degli scopi esplicitati dal quinto comma dell'art. 2 della legge n. 146/1990, che nella fattispecie - regolarmente assicurato il servizio pubblico di erogazione del gas metano - nessuna violazione della disciplina limitativa dell'esercizio del diritto di sciopero sia stata posta in essere dal sindacato ricorrente. Ha tuttavia, escluso la censurabilita' della condotta datoriale attraverso il richiamo di quella giurisprudenza della Corte di cassazione che ritiene necessario anche l'intenzione antisindacale laddove la condotta del datore di lavoro sia lesiva della sua obiettivita' e non presenti i caratteri dell'abuso del diritto. 2. - L'Azienda opposta ha resistito alla pretesa deducendo a sostegno il recente indirizzo interpretativo di Corte costituzionale dal 10 giugno 1993, n. 276 (non conosciuta dal giudice del decreto), secondo la quale - infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, settimo comma, della legge n. 146/1990, nella parte in cui non prevede che le disposizioni in tema di preavviso minimo e di indicazione della durata dello sciopero non si applichino anche alle ipotesi di sciopero economico-politico, oltre quelle contemplate di astensione in difesa dell'ordine costituzionale o di protesta per gravi eventi lesivi di incolumita' e sicurezza dei lavoratori, deve ritenersi impossibile un giudizio a priori di innocuita' per l'utenza dello sciopero e la conseguente piena autonomia sotto il profilo degli effetti e della legittimita' dello sciopero) dell'obbligo di preavviso rispetto alle ulteriori misure necessarie per una legittima proclamazione di astensione dal lavoro nei servizi pubblici essenziali. L'Azienda municipalizzata del gas di Pistoia, in relazionea cio', ha quindi proposto riconvenzionale per l'affermazione della legittimita' delle trattenute operate. 3. - Cio' premesso, il giudicante, se, da un canto, in contrario avviso rispetto al decreto opposto, ritiene la irrilevanza del profilo psicologico-soggettivo per la realizzazione della condotta antisindacale da parte del datore di lavoro, una volta accertata la obiettiva lesione della posizione soggettiva dell'organizzazione sindacale (cfr. Cass. 22 luglio 1992, n. 8815, Not. giur. lav. 1992, 611) - d'altro canto, non puo' non aderire all'autorevole decisione di Corte costituzionale n. 276/1993, cit., che ha con chiarezza ricordato i limiti del c.d. sciopero economico-politico ed ha - implicita la distinzione di esso dalle astensioni succitate previste dal settimo comma art. 2 - ricavato dalla disciplina positiva la piena applicabilita' del termine di preavviso a tutte le altre forme di astensione dal lavoro, prescindendo dagli esiti concreti verso l'utenza. 4. - La legittimita' della condotta dell'Azienda viene posta peraltro in discussione dalla organizzazione opponente con il richiamo dell'inciso nel quale la citata decisione della Consulta ha affermato che la legge n. 146 "non riguarda tutti i dipendenti delle aziende erogatrici, ma solo i dipendenti addetti alle attivita' di erogazione del servizio". Pertanto, non sarebbe legittima la trattenuta indiscriminatamente operata riguardo a tutti gli iscritti dell'o.s. che abbia proclamata l'astensione senza il rispetto del termine di preavviso, perche' si dovrebbe riguardare la posizione dei singoli lavoratori addetti e mandar esenti dalla trattenuta (a favore dell'I.N.P.S.) quelle relative a dipendenti non addetti all'erogazione. La tesi e' suggestiva (tanto da aver consigliato al pretore una rapida indagine documentale sul punto), ma non risulta fondata all'esame sia della disciplina normativa sia della pronuncia della Corte. E' la stessa decisione n. 276, infatti, ad avvertire che la congiunzione "e" contenuta nell'incipit del secondo comma dell'art. 1 (regole da rispettare e procedure da seguire) significa chiaramente che i requisiti (per la legittimita' dello sciopero) sono concorrenti e non alternativi; per cui mentre le regole sono quelle misure che i lavoratori devono osservare per assicurare le prestazioni indispensabili, le procedure "si riassumono nell'obbligo dei lavoratori, e per essi dei sindacati promotori dello sciopero, di dare un preavviso non inferiore a dieci giorni". Autonomia dell'obbligo di preavviso e riferibilita' ai sindacati promotori dello sciopero rendono manifesto che l'eventuale selezione in riferimento alle concrete mansioni dei singoli addetti ha valore e funzione soltanto riguardo alle singole posizioni dei vari lavoratori che siano sanzionabili ai sensi del primo comma dell'art. 4. Potrebbe cosi' realizzarsi il caso di applicabilita' all'associazione sindacale della sanzione cui si discute per violazione del preavviso anche se di fatto l'adesione degli addetti allo sciopero (valutazione ex post che Corte cost. n. 276/1993 reputa ininfluente) sia modestissima o nulla. 5. - Come argomento ulteriore per rivendicare la correttezza dell'azione sindacale viene portata, anche in sede di opposizione, la circostanza - pacifica, d'altro canto, e utilizzata dal primo giudice per sancire la inimputabilita' del mancato preavviso - secondo la quale nessun pregiudizio in re ipsa sarebbe potuto derivare ed e' derivato all'utenza giacche' a priori - per patto collettivo esplicito sul punto (accordo 27 marzo 1991) - in caso di astensione dal lavoro tutta la struttura aziendale per l'erogazione dei servizi e la sicurezza degli impianti deve operare per garantire il mantenimento di tutte le prestazioni assicurate nei giorni festivi. Come dire, nel settore energia, le prestazioni indispensabili coincidono con la totalita' del servizio essenziale. La piu' volte richiamata autonomia dell'obbligo di preavviso rispetto alla predisposizione delle misure idonee, affermata con radicale nettezza dalla Corte costituzionale che sgancia il preavviso da ogni profilo teleologico funzionalistico, porterebbe ad escludere la rilevanza della dedotta situazione di fatto; ma non e' questa - a giudizio del pretore - la considerazione decisiva. In realta', l'accordo sindacale stipulato tra Federgasacqua e le associazioni di categoria aderenti alle confederazioni C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L., al punto 2 dell'allegato, pur dopo aver stabilito al punto 1 quanto sopra accennato in ordine al mantenimento delle prestazioni indispensabili, richiama espressamente il quinto comma dell'art. 2 della legge n. 146 per riaffermare l'obbligo di comunicazione della proclamazione di uno sciopero con preavviso non inferiore a dieci giorni (con le eccezioni di cui al testo legislativo). Non solo. Il quarto comma del detto punto 2 esamina proprio la ipotesi che ha dato origine alla vertenza al vaglio del pretore e stabilisce che anche nei casi di adesione a scioperi confederali (ossia nazionali, come quello del 22 settembre 1992) le federazioni di categoria sono tenute al rispetto del termine minimo di preavviso di dieci giorni. La pretesa (e credibile) innocuita' per l'utenza delle astensioni dal lavoro, dunque, nemmeno dalle organizzazioni stipulanti l'accordo in questione viene assunta come condizione di esonero dall'osservanza del termine di preavviso. 6. - Approdati ai teste' esplicitati risultati interpretativi l'opposizione delle F.N.L.E. - C.G.I.L. andrebbe respinta e dovrebbe venir affermata la legittimita' - in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dall'Azienda municipalizzata del gas di Pistoia - delle trattenute dei contributi sindacali ai sensi del secondo comma dell'art. 4 della legge n. 146. Si palesa, quindi, la rilevanza della questione circa la tenuta della disposizione ora citata in riferimento ai principi costituzionali. 7. - La formulazione analitica e sintetica del citato art. 4, secondo comma, pone all'interprete almeno due questioni di notevole spessore. La prima in ordine al soggetto abilitato alla decisione di "punire" con la sospensione dei benefici ex artt. 23 e 26 dello statuto dei lavoratori il sindacato inadempiente. Nel silenzio della norma e' arduo se non impossibile ricostruire un ruolo definito per la commissione di garanzia in merito all'irrogazione della sanzione. Appaiono d'altro canto, fondate le preoccupazioni espresse in argomento dalla dottrina sul consistente rischio di ulteriore snaturamento del ruolo super partes della commissione, la quale non e' chiamata soltanto a vigilare sui diritti degli utenti ma anche a garantire il legittimo e pieno esercizio del diritto di sciopero. Sebbene da autorevole interprete la legittimazione del potere sanzionatorio del datore di lavoro nei confronti del sindacato sia qualificata come una "mostruosita' giuridica" e sebbene di fatto questa legittimazione neppure risulti giustificabile attraverso il ricorso alla categoria dei rapporti di "supremazia speciale" (la quale certamente non sussiste tra datore di lavoro esercente un servizio pubblico qualificabile come essenziale e un'organizzazione sindacale di categoria), logica impone - nella persistente mancanza di indicazioni concrete da parte del legislatore - di ritenere titolare del potere di irrogazione della sanzione il datore di lavoro medesimo. Contrariamente a quanto probabilmente reputabile nelle ipotesi di cui al primo comma art. 4 (sanzioni per i singoli lavoratori, e sicuramente in generale nell'ambito dell'esercizio del tradizionale potere disciplinare del datore di lavoro, ad avviso del pretore, la fattispecie in esame non e' riconducibile alla categoria - ricostruita dalla dottrina civilistica soprattutto in riferimento ai poteri imprenditoriali nella gestione del rapporto di lavoro subordinato - dei c.d. "poteri privati". Questi, infatti, per definizione appaiono finalizzati all'esclusivo interesse privato del titolare di essi. Tale profilo di diretto interesse del datore di lavoro, nelle vicende in questione, appare del tutto marginale se non inesistente (laddove, come nella fattispecie, nessun pregiudizio/danno emerga per il datore medesimo). La sanzione di cui al secondo comma art. 4 ha un inequivocabile valore pubblicistico, con riguardo ai fini perseguiti dalla legge n. 146. La titolarita' dell'irrogazione della sanzione in capo ai datori si configura quindi come frutto di una sorta di "delega" di poteri pubblici, delega che appare - d'altra parte - conveniente affidare al soggetto che ha la piu' diretta gestione dei "beni" (permessi e contributi) sui quali operare la sanzione. Viene ora in evidenza la seconda questione che l'insufficiente dettato dell'art. 4 pone all'interprete, ossia quella concernente l'oggettiva automaticita' dell'inflizione della sanzione, quasi corollario inevitabile di una valutazione di lesione dei principi dell'art. 2. Dal testo normativo non e' dato ricavare altro che siffatta automaticita' di inflizione della sanzione. 8. - A giudizio del pretore, tale automatico ineluttabile sito sanzionatorio configura duplice lesione di principi costituzionali. Palese, infatti, risulta la violazione dell'art. 24, secondo comma, nell'ampia accezione di significati che ha assunto il diritto di difesa (contestazione, contraddittorio, motivazione del provvedimento) del soggetto privato nei confronti di un potere sanzionatorio espressione di potesta' pubbliche a tutela di interessi generali. E' conclamato principio di civilta' giuridica, che permea tutti i rami dell'ordinamento positivo, il riconoscimento della imprescindibile necessita' del momento procedurale per l'irrogazione di qualsivoglia pena. Alla lesione ex art. 24 della Costituzione, peraltro, si aggiunge il profilo relativo alla irragionevole disparita' di trattamento (con lesione dell'art. 3 della Costituzione) laddove - superate le considerazioni esposte al par. 7 - si volesse reputare la titolarita' del datore di lavoro ad irrogare la sanzione in questione quale espressione di un potere privato. Siffatti poteri non possono assolutamente essere arbitrari nella loro esplicazione e l'indispensabile controllo sull'esercizio di essi ha trovato oramai generale diffusione mediante la c.d. tecnica del "giusto procedimento". E' sufficiente richiamare in argomento la fondamentale decisione Corte costituzionale 30 novembre 1982, n. 204. Le sanzioni individuali, ex primo comma, art. 4, certamente non sfuggono alla specifica procedimentalizzazione introdotta dall'art. 7 dello statuto dei lavoratori; il secondo comma, nel non prevedere un analogo procedimento anche a tutela delle posizioni soggettive dell'organizzazione sindacale, pone una rottura, non manifestamente superabile in via interpretativa, con il richiamato principio della parita' di trattamento. Solo qualora la Consulta scriminasse non lesiva dei richiamati principi costituzionali l'automatica inflizione della sanzione della trattenuta operata dal datore di lavoro potrebbe venire affermata la legittimita' della condotta dell'Azienda municipalizzata del gas di Pistoia, richiesta in sede riconvenzionale, e presa in spregio dei principi della contestazione dell'addebito, della giustificabilita' (anche sotto il profilo della imputabilita' soggettiva della mancata osservanza dell'obbligo di preavviso), della congrua motivazione (anche per relationem, comunque) della irrogazione della pena.